Rileggendo la «Dilexit nos»
L’amore «nucleare» in un cuore cristiano
La storia ci racconta di come, nel corso della Grande Guerra, le potenze dell’Intesa tentarono di consacrare i propri eserciti al Sacro Cuore di Gesù. Un’immagine del Sacro Cuore fu portata ostensivamente al petto, tra gli anni 1915 e 1917, allacciata alle divise dei soldati e impressa sulle bandiere nazionali.
A oltre un secolo di distanza, mentre nuove dinamiche geopolitiche rimandano il mondo alla deriva, la quarta enciclica di Francesco invita a tornare alla fonte delle alleanze. Sull’onda di Fratelli tutti, la quarta enciclica pontificia Dilexit nos ripone l’essenza del Sacro Cuore, simbolo antico dell’amore cristiano, nelle aspirazioni — attribuisco a questa parola un valore religioso — collettive e raggiungibili nelle relazioni umane.
Il tema dell’«incontro con l’altro» è il vero colpo di scena del dramma antropologico esplorato nell’enciclica, la quale si ricollega a episodi che hanno fatto epoca. Tra questi svetta l’arroccarsi di alcune filosofie dominanti sull’assioma «penso quindi sono», implicato nel riferimento alle idee «chiare e distinte» (§. 10). Francesco descrive il processo di «frammentazione» dell’Essere, dalla chiusura nel «proprio io» fino alla scomparsa dell’altro dall’orizzonte umano (§. 17). In conclusione, indica nell’amore di Dio il vettore per ricondurre l’umanità nell’orbita della «vicinanza», dell’Essere identificato nel «tu», della «connessione» e dell’«apertura», in sintesi della «comunione» (§§. 10-14, 18, 25), nella quale lanciare un altro modo di essere in grado di compiere ciò che è stato definito, con espressione significativa, il «miracolo sociale» (§. 28).
Questo miracolo è visto avverarsi in un luogo «interiore», «intimo», «profondo», «sostanziale», «centrale» e nucleare, in quanto si verifica nel «nucleo», in ciò che ha carattere unitario. Con questa gamma di frequenze semantiche del lessico cristiano dell’amore, trasmesse nell’enciclica, l’idea cristiana di nucleo si tramanda nell’esperienza di una «comunione» del nostro cuore, rivelata nelle sembianze di un «piccolo atomo» accolto nella fornace ardente del costato di Gesù, stando alle parole autobiografiche di santa Margherita Maria Alacoque.
Osservo — superando le reticenze dello storico ad adottare un approccio intuitivo — l’antinomia che c’è tra questi modi amorevoli o quelli bellici di pensare un nucleo. La riscontro non già semplicemente tra due teorie filosofiche del nucleo ma tra due concezioni dell’unità nella vita.
L’eterogeneità di cuore e stragi diventa irrisolvibile quando le tecnologie militari hanno compromesso la materia, quasi non avesse alcuna pertinenza con lo spirito; nel momento in cui, disintegrando l’atomo come elemento e valore costituente, inventano la «fissione» nucleare e, con essa, la distruzione di massa.
La Dilexit nos ci ricorda che le «fenditure» del costato di colui che hanno «trafitto» (§. 104), caratteristiche dell’iconografia devozionale, sono prive di implicazioni annientatrici. Assumono invece i significati spirituali dell’«ingresso al segreto del cuore» (§. 104), della «sacra apertura» da cui poter effondere i Sacramenti (§§. 108 e 149). Sono «segni della totale donazione di sé» (§. 151). Concedono consapevolezza dei nostri peccati riflessi in un Cuore «continuamente ferito» (§. 153) e accendono il «desiderio di consolare» (§. 158). Esse, allora, compiono il «miracolo della [...] buona tristezza che porta alla dolcezza» (§. 159) che intenerisce i rapporti sociali.
Il segno visibile della ferita, raffigurata nell’arte sacra del Cuore di Gesù, suscita un desiderio di «riparazione». Non induce alla rottura del nucleo, alla scissione di quanto vi è di nucleare. Implica invece il bisogno di sanare la «struttura» stessa del «peccato sociale» insito nell’«aggressione diretta al prossimo» (§. 183). Ciò suggerisce di «guarire le relazioni» umane, ristabilendo un «legame nella carità fraterna» (§. 189). La «compunzione» entra così a far parte dei valori sociali virtuosi giacché genera solidarietà che propizia compassione, misericordia e riconciliazione (§. 190).
Come spiegato da Giovanni Paolo II e, con lui da Francesco, si inizia a costruire «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza [...] una nuova civiltà» definita «civiltà dell’amore» (§§. 181-182).
L’avvento dell’era atomica vede il concetto di nucleo improntarsi al processo di scomposizione, applicato alla fisica e insieme alla politica internazionale. La tecnologia è trascinata agli estremi di un pensiero che perverte il nucleo fino a culminare nella produzione di ordigni custodi di un atomo di morte. È quanto vi possa essere di più alieno alla spiritualità cristiana. All’opposto, i cristiani venerano l’idea di un nucleo sotto forma di cuore, in ciò che infonde di indivisibile e di unificante, e ad esso ricorrono per risanare le relazioni umane. Assistiamo a uno scontro di civiltà, tra coloro che isolano il nucleo, ridotto a un bersaglio da colpire, con intenzioni genocide, e coloro che, in comunione, custodiscono l’unità nei loro cuori come un atomo di fuoco, stando ad alcune espressioni connotative della mistica del Sacro Cuore.
L’amore cristiano non è totalitario ma «infinito» (§§. 60, 67, 79, 196). Totale è la guerra nucleare e il suo tentativo autodistruttivo di mettere fine agli opposti. Il cuore di Gesù non impone limiti, non pone condizioni, non dà ultimatum. È un amore pazzo, un cuore in fiamme, per come viene figurato; un fuoco che scalda ma non annienta. Ci insegna ad armonizzare ogni storia «frammentata in mille pezzi», a ripararla affidandosi al cuore, sul modello di Maria, madre di Dio, che «vedeva anche ciò che non capiva ancora» tenendolo in vita, conservandolo «vivo nell’attesa» (§. 19). Nel cuore «qualcosa [...] nasce dall’inconoscibile» (§. 24), scaturisce dalla «fiducia» (vocabolo ripetuto 28 volte nell’enciclica) «che chiama all’incontro» (§. 54), non al conflitto, persino all’«adorazione» (§. 51).
(fonte: L'Osservatore Romano articolo di Pino Esposito 14/11/2024)
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