S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
30 maggio 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“Spirito in gabbia”
«Profezia, memoria e speranza»: sono le tre caratteristiche che rendono liberi la persona, il popolo, la Chiesa, impedendo di finire in un «sistema chiuso» di norme che ingabbia lo Spirito Santo. Lo ha ricordato Papa Francesco nella messa celebrata lunedì mattina 30 maggio nella cappella della Casa Santa Marta.
«È chiaro a chi Gesù parla con questa parabola: ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani del popolo» ha fatto subito notare il Papa riferendosi al passo evangelico di Marco (12, 1-12) proposto dalla liturgia. Dunque «per loro» il Signore usa «l’immagine della vigna», che «nella Bibbia è l’immagine del popolo di Dio, l’immagine della Chiesa e anche l’immagine della nostra anima». Così, ha spiegato Francesco, «il Signore cura la vigna, la circonda, scava una buca per il torchio, costruisce una torre».
Proprio in questo lavoro si riconosce «tutto l’amore e la tenerezza di Dio per fare il suo popolo: questo il Signore lo ha fatto sempre con tanto amore e con tanta tenerezza». E «lui ricorda sempre a questo popolo quando gli era fedele, quando lo seguiva nel deserto, quando cercava il suo volto». Ma «poi la situazione si è rovesciata e il popolo si impadronì di questo dono di Dio» al grido di: «Noi siamo noi, siamo liberi!». Quel popolo «non pensa, non ricorda che sono state le mani, il cuore di Dio a farlo, e così diventa un popolo senza memoria, un popolo senza profezia, un popolo senza speranza».
È dunque «ai dirigenti di questo popolo» che Gesù si rivolge «con questa parabola: un popolo senza memoria ha perso la memoria del dono, del regalo; e attribuisce a se stesso quello che è: noi possiamo!». Tante volte nella Bibbia si parla di «asceti, profeti» — ha affermato il Papa — e «Gesù stesso sottolinea l’importanza della memoria: un popolo senza memoria non è popolo, dimentica le sue radici, dimentica la sua storia».
Mosè, nel libro del Deuteronomio, ripete più volte questo concetto: «Ricordate, ricorda!». Quello è infatti «il libro della memoria del popolo, del popolo di Israele; è il libro della memoria della Chiesa, ma è anche il libro della nostra memoria personale». È proprio «quella dimensione deuteronomica della vita, della vita di un popolo o della vita di una persona, che fa tornare sempre alle radici per ricordare e poter non sbagliare nel cammino». Invece le persone a cui Gesù si rivolge con la parabola «avevano perso la memoria: avevano perso la memoria del dono, del regalo di Dio che aveva fatto loro»
«Persa la memoria, è un popolo incapace di fare posto ai profeti», ha proseguito Francesco. Gesù stesso, infatti, «dice loro che hanno ucciso i profeti, perché i profeti ingombrano, i profeti sempre ci dicono quello che noi non vogliamo sentire». E così «Daniele a Babilonia si lamenta: “Noi, oggi, non abbiamo profeti!”». Parole in cui è racchiusa la realtà di «un popolo senza profeti» che indichino «loro la via e ricordino loro: il profeta è quello che prende la memoria e fa andare avanti». Ecco perché «Gesù dice ai capi del popolo: “Voi avete perso la memoria e non avete profeti. Anzi: quando sono venuti i profeti, voi li avete uccisi!”».
Del resto, l’atteggiamento dei capi del popolo era evidente: «Noi non abbiamo bisogno dei profeti, noi siamo noi!». Ma «senza memoria e senza profeti — ha ammonito il Pontefice — diviene un popolo senza speranza, un popolo senza orizzonti, un popolo chiuso in se stesso che non si apre alle promesse di Dio, che non aspetta le promesse di Dio». Dunque «un popolo senza memoria, senza profezia e senza speranza: questo è il popolo che i capi dei sacerdoti, gli scribi, gli anziani hanno fatto del popolo di Israele».
E «la fede dov’è?», si è chiesto Francesco. «Nella folla» ha risposto, evidenziando che nel Vangelo si legge: «Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla». Quelle persone, infatti, «avevano capito la verità e, in mezzo ai loro peccati, avevano memoria, erano aperti alla profezia e cercavano la speranza». Un esempio, in tal senso, viene dai «due vecchietti, Simeone e Anna, persone di memoria, di profezia e si speranza».
Invece «i capi del popolo» legittimavano il loro pensiero circondandosi «di avvocati, di dottori della legge, che fanno loro un sistema giuridico chiuso: credo — ha commentato il Pontefice — che ci fossero quasi seicento comandamenti». E così «chiuso, sicuro», era il loro pensiero, con l’idea che «si salveranno quelli che fanno questo; degli altri non ci interessa, la memoria non interessa». Per quanto riguarda «la profezia: meglio che non vengano i profeti». E «la speranza? Ma, ognuno la vedrà». Questo «è il sistema attraverso il quale legittimano: dottori della legge, teologi che sempre vanno sulla via della casistica e non permettono la libertà dello Spirito Santo; non riconoscono il dono di Dio, il dono dello Spirito e ingabbiano lo Spirito, perché non permettono la profezia nella speranza».
E proprio «questo è il sistema religioso al quale Gesù parla». Un sistema «di corruzione, di mondanità e di concupiscenza», come dice il passo tratta dalla seconda lettera di san Pietro (1, 2-7), proposto nella prima lettura. Persino Gesù stesso «è stato tentato di perdere la memoria della sua missione, di non dare posto alla profezia e di prendere la sicurezza al posto della speranza». In proposito il Papa ha ricordato «le tre tentazioni del deserto: “Fai un miracolo e mostra il tuo potere!”; “Buttati giù dal tempio e così tutti crederanno!”; “Adorami!”».
«A questa gente Gesù, perché conosceva in se stesso la tentazione» del «sistema chiuso», rimprovera di girare «mezzo mondo per avere un proselito» e per farlo «schiavo». E così «questo popolo così organizzato, questa Chiesa così organizzata, fa schiavi». Tanto che «si capisce come reagisce Paolo, quando parla della schiavitù della legge e della libertà che ti dà la grazia». Perché «un popolo è libero, una Chiesa è libera quando ha memoria, quando lascia posto ai profeti, quando non perde la speranza».
«Il Signore ci insegni questa lezione, anche per la nostra vita» ha auspicato Francesco in conclusione, suggerendo di domandare a se stessi in un vero e proprio esame di coscienza: «Io ho memoria delle meraviglie che il Signore ha fatto nella mia vita? Ho memoria dei doni del Signore? Io sono capace di aprire il cuore ai profeti, cioè a quello che mi dice: “questo non va, devi andare di là, vai avanti, rischia”, come fanno i profeti? Io sono aperto a quello o sono timoroso e preferisco chiudermi nella gabbia della legge?». E alla fine: «Io ho speranza nelle promesse di Dio, come ha avuto nostro padre Abramo, che uscì dalla sua terra senza sapere dove andasse, soltanto perché sperava in Dio?».
«È chiaro a chi Gesù parla con questa parabola: ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani del popolo» ha fatto subito notare il Papa riferendosi al passo evangelico di Marco (12, 1-12) proposto dalla liturgia. Dunque «per loro» il Signore usa «l’immagine della vigna», che «nella Bibbia è l’immagine del popolo di Dio, l’immagine della Chiesa e anche l’immagine della nostra anima». Così, ha spiegato Francesco, «il Signore cura la vigna, la circonda, scava una buca per il torchio, costruisce una torre».
Proprio in questo lavoro si riconosce «tutto l’amore e la tenerezza di Dio per fare il suo popolo: questo il Signore lo ha fatto sempre con tanto amore e con tanta tenerezza». E «lui ricorda sempre a questo popolo quando gli era fedele, quando lo seguiva nel deserto, quando cercava il suo volto». Ma «poi la situazione si è rovesciata e il popolo si impadronì di questo dono di Dio» al grido di: «Noi siamo noi, siamo liberi!». Quel popolo «non pensa, non ricorda che sono state le mani, il cuore di Dio a farlo, e così diventa un popolo senza memoria, un popolo senza profezia, un popolo senza speranza».
È dunque «ai dirigenti di questo popolo» che Gesù si rivolge «con questa parabola: un popolo senza memoria ha perso la memoria del dono, del regalo; e attribuisce a se stesso quello che è: noi possiamo!». Tante volte nella Bibbia si parla di «asceti, profeti» — ha affermato il Papa — e «Gesù stesso sottolinea l’importanza della memoria: un popolo senza memoria non è popolo, dimentica le sue radici, dimentica la sua storia».
Mosè, nel libro del Deuteronomio, ripete più volte questo concetto: «Ricordate, ricorda!». Quello è infatti «il libro della memoria del popolo, del popolo di Israele; è il libro della memoria della Chiesa, ma è anche il libro della nostra memoria personale». È proprio «quella dimensione deuteronomica della vita, della vita di un popolo o della vita di una persona, che fa tornare sempre alle radici per ricordare e poter non sbagliare nel cammino». Invece le persone a cui Gesù si rivolge con la parabola «avevano perso la memoria: avevano perso la memoria del dono, del regalo di Dio che aveva fatto loro»
«Persa la memoria, è un popolo incapace di fare posto ai profeti», ha proseguito Francesco. Gesù stesso, infatti, «dice loro che hanno ucciso i profeti, perché i profeti ingombrano, i profeti sempre ci dicono quello che noi non vogliamo sentire». E così «Daniele a Babilonia si lamenta: “Noi, oggi, non abbiamo profeti!”». Parole in cui è racchiusa la realtà di «un popolo senza profeti» che indichino «loro la via e ricordino loro: il profeta è quello che prende la memoria e fa andare avanti». Ecco perché «Gesù dice ai capi del popolo: “Voi avete perso la memoria e non avete profeti. Anzi: quando sono venuti i profeti, voi li avete uccisi!”».
Del resto, l’atteggiamento dei capi del popolo era evidente: «Noi non abbiamo bisogno dei profeti, noi siamo noi!». Ma «senza memoria e senza profeti — ha ammonito il Pontefice — diviene un popolo senza speranza, un popolo senza orizzonti, un popolo chiuso in se stesso che non si apre alle promesse di Dio, che non aspetta le promesse di Dio». Dunque «un popolo senza memoria, senza profezia e senza speranza: questo è il popolo che i capi dei sacerdoti, gli scribi, gli anziani hanno fatto del popolo di Israele».
E «la fede dov’è?», si è chiesto Francesco. «Nella folla» ha risposto, evidenziando che nel Vangelo si legge: «Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla». Quelle persone, infatti, «avevano capito la verità e, in mezzo ai loro peccati, avevano memoria, erano aperti alla profezia e cercavano la speranza». Un esempio, in tal senso, viene dai «due vecchietti, Simeone e Anna, persone di memoria, di profezia e si speranza».
Invece «i capi del popolo» legittimavano il loro pensiero circondandosi «di avvocati, di dottori della legge, che fanno loro un sistema giuridico chiuso: credo — ha commentato il Pontefice — che ci fossero quasi seicento comandamenti». E così «chiuso, sicuro», era il loro pensiero, con l’idea che «si salveranno quelli che fanno questo; degli altri non ci interessa, la memoria non interessa». Per quanto riguarda «la profezia: meglio che non vengano i profeti». E «la speranza? Ma, ognuno la vedrà». Questo «è il sistema attraverso il quale legittimano: dottori della legge, teologi che sempre vanno sulla via della casistica e non permettono la libertà dello Spirito Santo; non riconoscono il dono di Dio, il dono dello Spirito e ingabbiano lo Spirito, perché non permettono la profezia nella speranza».
E proprio «questo è il sistema religioso al quale Gesù parla». Un sistema «di corruzione, di mondanità e di concupiscenza», come dice il passo tratta dalla seconda lettera di san Pietro (1, 2-7), proposto nella prima lettura. Persino Gesù stesso «è stato tentato di perdere la memoria della sua missione, di non dare posto alla profezia e di prendere la sicurezza al posto della speranza». In proposito il Papa ha ricordato «le tre tentazioni del deserto: “Fai un miracolo e mostra il tuo potere!”; “Buttati giù dal tempio e così tutti crederanno!”; “Adorami!”».
«A questa gente Gesù, perché conosceva in se stesso la tentazione» del «sistema chiuso», rimprovera di girare «mezzo mondo per avere un proselito» e per farlo «schiavo». E così «questo popolo così organizzato, questa Chiesa così organizzata, fa schiavi». Tanto che «si capisce come reagisce Paolo, quando parla della schiavitù della legge e della libertà che ti dà la grazia». Perché «un popolo è libero, una Chiesa è libera quando ha memoria, quando lascia posto ai profeti, quando non perde la speranza».
«Il Signore ci insegni questa lezione, anche per la nostra vita» ha auspicato Francesco in conclusione, suggerendo di domandare a se stessi in un vero e proprio esame di coscienza: «Io ho memoria delle meraviglie che il Signore ha fatto nella mia vita? Ho memoria dei doni del Signore? Io sono capace di aprire il cuore ai profeti, cioè a quello che mi dice: “questo non va, devi andare di là, vai avanti, rischia”, come fanno i profeti? Io sono aperto a quello o sono timoroso e preferisco chiudermi nella gabbia della legge?». E alla fine: «Io ho speranza nelle promesse di Dio, come ha avuto nostro padre Abramo, che uscì dalla sua terra senza sapere dove andasse, soltanto perché sperava in Dio?».
(fonte: L'Osservatore Romano)
Guarda il video