“Dio non si apprende”:
sulla via della croce con Madeleine Delbrêl
Accostiamoci alla Passione di Cristo facendoci guidare dalle parole di Madeleine Delbrêl, nel centenario della sua conversione
Il 29 marzo di quest’anno ricorrono i cento anni dalla conversione di Madeleine Delbrêl (1904-1964), poetessa, mistica, assistente sociale francese; donna di grande profezia, scelse di vivere nella periferia parigina, a “Ivry la rossa”, secondo una vita donata nel mondo, a servizio del Vangelo. A Ivry Madeleine entrò in dialogo con la città atea, comunista e capitalista, toccando con mano le molteplici povertà del mondo moderno. Da quella sua immersione quotidiana, scaturì una spiritualità incandescente, coraggiosa, basata sul lento procedere dei giorni, nelle fatiche ordinarie di ogni esistenza, in ogni stato di vita, nell’amore libero e fedele per la Chiesa.
Ricordiamo i cento anni della sua conversione meditando la Passione di Gesù con alcune riflessioni tratte dagli scritti di questa piccola donna, grande ‘santa’ del quotidiano.
Prima stazione: Gesù nel Getsemani
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”.
(Mc 14, 32-26)
Poiché troviamo nell’amore un’occupazione sufficiente, non abbiamo cercato il tempo per classificare gli atti in preghiere e in azioni. Troviamo che la preghiera è un’azione e l’azione una preghiera; ci sembra che l’azione veramente amorosa è tutta piena di luce. Ci sembra che di fronte ad essa l’anima è come una notte tutta protesa verso la luce che sta per venire. E quando la luce si fa – il volere di Dio chiaramente compreso – ecco l’anima viverla con dolcezza piena, con pacatezza piena, guardando Dio animarsi e agire in essa. Ci sembra che l’azione sia anche una preghiera d’implorazione[…]
I nostri passi camminano in una strada, ma il nostro cuore batte nel mondo intero. È per questo che i nostri piccoli atti, nei quali non sappiamo distinguere fra azione e preghiera, uniscono così perfettamente l’amore di Dio e l’amore dei nostri fratelli.
(Noi delle strade)
Padre nostro…
Seconda stazione: Gesù e Pilato
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo
Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.
(Gv 18, 37-38)
Quando di uno si dice «È qualcuno», ci si capisce subito. Dio è «Qualcuno» è per me la migliore traduzione dell’ «Io credo in Dio». questo dice un po’ qualcosa, mentre tutte le altre parole che vogliono «dare un’idea di Dio» parlano in effetti di un Dio che sarebbe un’idea, non vivente, non attiva, non effettuale, in due parole, non qualcuno. Per molti che non sono cristiani «Dio è qualcuno». Non lo hanno inventato, ma indovinato attraverso quella sua opera che è la vita. Costoro, più amano la vita, più indovinano Dio. Checché sia quel che amano nella realtà dela vita. […] Ma niente di tutto questo può insegnarci Dio. Dio non si apprende. Non si apprende qualcuno.
(Manifesto del cristiano al mondo ateo)
Padre nostro…
Terza stazione: Gesù è condannato a morte
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo.
Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.
(Lc 23, 23-25)
La fede, quella vera, tiene bene. […]. Sarebbe assurdo pensare che il cristiano sia fatalmente condotto a perdere la fede nei contesti in cui la fede non è stata annunciata. […] Talvolta ci ricordiamo che la fede è nel tempo e per il tempo. Allora siamo tentati di renderla completamente temporale, di naturalizzarla. Altre volte, abbagliati da quanto la fede ci apporta di eterno, pensiamo di essere fedeli attraverso l’immobilità. Ora, se Dio è immutabile, non è l’immobilità che ci rende simili a Lui. La fede, quella vera, è per intero fatta per condurci dal tempo, per farci vivere dal tempo verso la vita eterna, nella vita eterna. Ma non possiamo accedere per la fede a questa vita eterna che nel tempo e attraverso il tempo, poiché la fede è essa stessa temporale. La fede deve passare, san Paolo lo dice: “Essa passerà”. La fede è una passante; nessun tempo le è refrattario, essa non è refrattaria a nessun tempo, è fatta per il tempo, è destinata a ciascun tempo, e quando un tempo sembra esserle refrattario, è a noi che è senza dubbio refrattario perché trasciniamo con noi il residuo di un altro tempo che si trova ad essere in contraddizione col tempo che dobbiamo vivere. Tuttavia, la fede vera, nuda, non trova nel tempo un’accoglienza confortevole. La fede nel nostro tempo recepisce le domande di questo tempo, ne viene sottoposta a domande, sovente ne viene messa in questione. È la regola del gioco, è la legge della Redenzione.
(Tempo d’oggi, tempo della nostra fede)
Padre nostro…
Quarta stazione: Gesù cade lungo la via della croce
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo
Per il superbo l’umiltà è obbrobrio,
così per il ricco è obbrobrio il povero.
Se il ricco vacilla, è sostenuto dagli amici,
ma l’umile che cade è respinto dagli amici
(Sap 13, 20-21)
La passione, la nostra passione, sì, noi l’attendiamo. Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l’ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati. Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così dobbiamo essere separati. Come un giovane animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi.
La passione, noi l’attendiamo. Noi l’attendiamo, ed essa non viene.
Vengono, invece, le pazienze.
Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria.
Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
è l’autobus che passa affollato,
il latte che trabocca,
gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gl’invitati che nostro marito porta a casa
e quell’amico che, proprio lui, non viene;
è il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più;
è la voglia di tacere e il dover parlare,
è la voglia di parlare e la necessità di tacere;
è voler uscire quando si è chiusi
è rimanere in casa quando bisogna uscire;
è il marito al quale vorremmo appoggiarci
e che diventa più fragile dei bambini;
è il disgusto della nostra parte quotidiana,
è il desiderio febbrile di tutto quanto non ci appartiene.
Così vengono le nostro pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.
E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando – per dare la nostra vita – un’occasione che ne valga la pena.
Perché abbiamo dimenticato che come ci son rami che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perché abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l’indossano.
Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all’altro della vita.
È la passione delle pazienze.
(La passione delle pazienze)
Padre nostro…
Quinta stazione: Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.
(Mc 15,21)
Partite nella vostra giornata
Senza idee prefabbricate e senza presagio di stanchezza;
senza progetti su Dio,
senza memoria a suo riguardo,
senza entusiasmo
senza biblioteca
incontro a lui.
Partite senza mappa per scoprirlo,
sapendo che egli è lungo il cammino e non alla fine.
Non cercate di trovarlo con formule originali,
ma lasciatevi trovare da Lui nella povertà di una vita banale.
La monotonia è una povertà: accettatela!
Non cercate i bei viaggi immaginari.
La varietà del Regno di Dio vi basti e vi rallegri.
Disinteressatevi della vostra vita,
poiché preoccuparsene è una ricchezza.
(Beati i poveri in spirito)
Padre nostro…
Sesta stazione: la Veronica asciuga il volto di Gesù
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
“Cercate il mio volto!”.
Il tuo volto, Signore, io cerco.
(Sal 27, 7-8)
È la ricchezza di coloro che debbono diffondere il Vangelo ad ostacolare la sua diffusione, sono i cristiani “ricchi”, in qualsiasi modo ciò avvenga. Bisogna, per annunciare il Vangelo, impoverire se stessi. Non è un mondo povero che fa da ostacolo all’espansione del Vangelo, ma i settori ricchi della Chiesa. Predicate il Vangelo: la Buona Novella del Regno di Dio e non quella di un mondo migliore. Non dobbiamo dimenticare il “senso unico” della salvezza, la quale non può venire che da Dio mediante il Cristo. Non si deve mescolare il Vangelo della salvezza con le ricette di felicità che il mondo propina. Non si deve riconoscere al mondo la paternità di certe idee forza, che sono in realtà particelle di Vangelo separate dal loro contesto e prese in carico da determinati settori umani. Non si deve saldare il messaggio del Cristo ad altri messaggi, farne un elemento della salvezza dell’uomo mediante l’uomo, mettere il Vangelo a servizio di cause che non sono puramente e semplicemente quelle della salvezza. Il Vangelo ci grida da un capo all’altro che solo Dio è, che l’uomo non produce da sé né vita, né verità, né amore. Il Regno dei cieli è l’amore personale di Dio, nel Cristo, per ciascuno di noi e di ciascuno di noi per ciascuno degli altri. È attraverso l’amore di ciascuno che noi possiamo amare l’umanità. È ciascuno che deve ricevere il Vangelo. La salvezza non è un’astrazione collettiva.(Chiesa e missione)
Padre nostro…
Settima stazione: Gesù muore in croce
Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo,
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!”. Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
(Mt 27, 45-50)
L’amore sa di essere più forte di tutto. Ama combattere. Combattendo si prende gioco di sé, vedendo le proporzioni rovesciarsi, fra i più grandi del mondo, di cui ognuno valuta la forza, ed esso, che quanto più vuole restare solo, tanto più si riduce. Non bisogna dimenticare tutto questo, quando si parla dell’amore. Ed è d’amore che si tratta. Dell’amore di Dio. Senza la solitudine, forse non sapremo mai se abbiamo cercato d’amore Dio o abbiamo fatto della letteratura, della filosofia o un romanzo storico.
Ma bisogna riconoscere la solitudine, la nostra solitudine, quella che non cerchiamo, quella che Dio ci porta dove noi siamo. Se non la riconosciamo, rischiamo che ci manovri senza che ce ne rendiamo conto, o che manchiamo all’appuntamento con Dio che essa è, sempre.
(Lettera del 1954)
Padre nostro…
Epilogo: La sera di Pasqua, nel cenacolo
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. 22Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
(Gv 20,19-23)
Il mondo non sempre è un ostacolo a pregare per il mondo.
Se certuni lo devono lasciare per trovarlo E sollevarlo verso il cielo, altri visi devono immergere per levarsi con lui verso il medesimo cielo. Nel cavo dei peccati del mondo Tu fissi loro un appuntamento: incollati al peccato, con Te essi vivono un cielo che li respinge e li attira.
Mentre Tu continui a visitare in loro la nostra scura terra, con Te essi scalano il cielo, votati a un’assunzione pesante, inguaiati nel fango, bruciati dal Tuo spirito, legati a tutti, legati a Te, incaricati di respirare nella vita eterna, come alberi con radici che affondano.
Padre Nostro…
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Sergio Di Benedetto 22/03/2024)