TUTTI POSSONO ESSERE
ARTIGIANI DI PACE
Enrico Peyretti*
La nonviolenza: stile di una politica per la pace: questo messaggio di papa Francesco per la 50a Giornata mondiale della Pace mi pare che abbia l’importanza di un passo storico. Non è solo una giusta esortazione alla pace, ma indica la nonviolenza interiore, attiva e politica come via alla pace. È anche importante che in un documento di questa levatura la parola sia scritta unita (nonviolenza) e non staccata (non violenza), per esprimerne il carattere positivo e non solo negativo. Non si tratta tanto di non fare violenza, quanto di gestire i conflitti naturali della vita con forze umane costruttive. Francesco sottolinea il carattere attivo e costruttivo della linea culturale-morale-politica nonviolenta.
Nel solco tracciato dai movimenti cristiani e non
Papa Francesco assume e propone questo concetto dinamico, euristico, della nonviolenza: una ricerca, un cammino verso la pace, «l’unica e vera linea dell’umano progresso» (n. 1, citando Paolo VI). In questo documento il papa raccoglie e sviluppa decisamente lo spirito e la linea tracciata, elaborata e sperimentata da movimenti cristiani e non cristiani, prima e dopo le maggiori pronunce cattoliche nella Pacem in Terris, nel Concilio e quelle del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec). Un’ultima espressione importante di questo lavoro di base è l’Appello alla Chiesa Cattolica per promuovere la centralità della nonviolenza evangelica, rivolto dai partecipanti all’incontro su “Nonviolenza e Pace giusta” (Roma, 11-13 aprile 2016, convocato da Pax Christi International, dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e da molte altre organizzazioni cattoliche internazionali), nel quale si legge anche: “Noi proponiamo che la Chiesa cattolica sviluppi e prenda in considerazione il passaggio a un approccio di Pace giusta basato sulla nonviolenza evangelica”. Francesco risponde anche a questo appello.
Il concetto di “pace giusta”, basata sulla giustizia, sta sostituendo positivamente l’antico concetto di “guerra giusta”, o meglio giustificata a determinate condizioni, che per secoli è stato centrale nella riflessione morale cristiana sulla guerra, e abusato dalla volontà di potenza di sovrani e Stati.
Da virtù personale a carattere della politica
La nonviolenza è stata a lungo vista come virtù personale, e certamente lo è, ma estranea alla politica. La cultura della pace dell’ultimo secolo compie proprio il passaggio dalla mitezza privata alla nonviolenza attiva come carattere della politica giusta. Papa Francesco si pone esattamente in questa evoluzione di cultura e di etica politica, con l’indicare la nonviolenza come “stile” di una politica che lavori per la pace, per l’umanizzazione, per il bene comune e per la stessa sopravvivenza dell’umanità.
La nonviolenza positiva si esercita nei rapporti interpersonali, sociali, internazionali. Tutti possono essere protagonisti, e non solo chi – Stati, eserciti, potenze – ha forze materiali tremende per decidere e imporre soluzioni. Persino le vittime! Dice Francesco: “Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace” (n.1). La loro forza è la forza della coscienza e dell’unità umana, che certamente ha bisogno di consapevolezza, cioè educazione e cultura, ha bisogno di coraggio, sostenuto dai cooperatori e dal clima morale, come hanno saputo fare i leaders citati dal papa nelle lotte nonviolente, più convenienti ed efficaci delle guerre e rivoluzioni armate.
L’illusione dell’uso delle armi
Nella “guerra mondiale a pezzi”, si chiede il papa, siamo oggi più consapevoli o più assuefatti? Nessun ottimismo, invece tutto l’allarme che Francesco ripete sulla guerra mondiale fatta di varie guerre in corso nel mondo, causate dalla volontà di dominio e di speculazione.
A che scopo la grande violenza militare? Permette forse di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene è scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali, enormi sofferenze e danni, ma benefici solo a pochi “signori della guerra”; dice chiaramente il papa: “Grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane (…) della grande maggioranza degli abitanti del mondo” (n. 2). “La forza delle armi è ingannevole” (n. 4).
Il pensiero della pace, da sempre (Erasmo, Kant, Simone Weil, …), denuncia la tragica illusione che le armi omicide possano ottenere vera difesa, liberazione e giustizia. Le armi comportano un alto rischio di disumanizzazione per chi le usa, sia pure come tragica necessità contro una più grave violenza. Le armi, o stabiliscono al potere nuovi violenti, o impegnano, chi si è sentito obbligato dalla situazione ad usarle, ad un lungo lavoro di purificazione. Il cammino della nonviolenza non condanna, per esempio, la Resistenza al nazifascismo, anzitutto perché fu in gran parte un’alta reazione morale, con mezzi nonviolenti, e non fu unicamente armata, e poi perché è progredita la coscienza ed è cresciuta la conoscenza dei metodi e delle esperienze nonviolente.
Nonviolenza: scelta ponderata e non assoluta
L’insegnamento di Gandhi non è assolutista. Insegnava chiaramente che alla violenza non ci si deve sottomettere, ma ci si deve opporre anche col patire (che non è subire); per non essere vili, collaboratori passivi del male, ci si deve opporre disobbedire, in casi estremi anche con la violenza. Scriveva: “L’unica cosa lecita è la nonviolenza. La violenza non può mai essere lecita (…) rispetto alla legge fatta dalla natura per l’uomo. Tuttavia, sebbene la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi, essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione. Quest’ultima non reca beneficio a nessun uomo e a nessuna donna. Nella violenza esistono molti gradi e varietà di coraggio. Ciascun uomo deve saperli giudicare da solo. Nessun altro può farlo o ha il diritto di farlo al suo posto” (“Harijan”, 27 ottobre 1946).
Dunque, al male (dominio, ingiustizia) si deve anzitutto reagire, e poi si deve scegliere tra i mezzi violenti e i mezzi nonviolenti della risposta. Ecco, dunque, che la nonviolenza è tutto l’opposto della rassegnazione passiva, è parte attiva nel rifiutare la prima violenza, ed è l’alternativa di valore morale e pratico alle reazioni violente che imitano (e così confermano) la violenza precedente.
Questa violenza non è solo quella delle armi, è molto più spesso una violenza strutturale, nelle divisioni sociali, nelle leggi discriminanti, nell’economia che non serve alla vita ma al profitto. Parlando di Madre Teresa il papa afferma che i potenti della terra, devono “riconoscere le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi” (n. 4). C’è una violenza esercitata dalle enormi diseguaglianze che causano povertà e offesa. A questa violenza economica sistemica è giusto opporsi con metodi e mezzi nonviolenti. In questo impegno inventivo e costruttivo lavorano, con una miriade di esperienze molecolari non clamorose, i movimenti nonviolenti di base.
Gesù leader nonviolento
Anche se noi cristiani abbiamo concesso troppo, per poca fede, nel giustificare i metodi violenti, Gesù di Nazareth è un vero precursore dei leaders moderni della nonviolenza. Nel discorso della montagna sulla vera felicità, nell’amore per gli ultimi e l’indipendenza dai potenti, nel coraggio con cui morì per amore fedele alla verità e all’umanità, difendendosi unicamente con gesti e parole di verità, Gesù ha lottato contro il male con la pura forza dell’amore.
A questo livello radicale Gesù “tracciò la via della nonviolenza” (n. 3), dice Francesco. È di grande importanza che il pensiero cristiano, dopo un lungo tempo di spiritualismo rassegnato alla violenza del mondo, ritrovi proprio nel Maestro lo spirito di amore forte e resistente contro il male, senza concessioni alla fatalità della violenza in un mondo irrimediabilmente malvagio.
Un patrimonio e un impegno per tutte le religioni
Papa Francesco rivendica alla Chiesa di essersi impegnata per la promozione della pace in molti Paesi, con strategie nonviolente “sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura”, ma riconosce apertamente che “questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose”. La conoscenza, il dialogo e la collaborazione tra le religioni è un forte fattore di pace giusta. Francesco ribadisce con forza: “Nessuna religione è terrorista”. “Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!” (n. 4).
Se le religioni, nelle loro espressioni autentiche, scelgono insieme lo spirito e la pratica della nonviolenza, possono dare un robusto contributo a radicare nei cuori delle persone e nelle tradizioni civili i fondamenti della pace giusta. La nonviolenza è anzitutto una qualità interiore, del cuore, continuamente da educare e rieducare. Opponiamoci a pessimismi e disperazione con questo esaltante impegno comune.
Dalla famiglia al mondo
Poiché la pace si fonda nei cuori, essa passa attraverso le relazioni più prossime, come la famiglia, per impregnare i popoli e arrivare ad essere pace nel mondo. Questa è una concreta sottolineatura, nel Messaggio Francesco supplica che si arrestino violenza domestica e abusi su donne e bambini. Con la stessa urgenza rivolge “un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica” (n. 5).
Tutto ciò è anche “un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo, (…) una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo” (…). “La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo è intimamente connesso”.
Mentre la violenza semplifica tagliando, sacrificando e impoverendo la realtà, con l’azione costruttiva e nonviolenta, “le tensioni e gli opposti [possono] raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita”, conservando “le preziose potenzialità delle polarità in contrasto” (n. 6). Infatti, la pace giusta è plurale, non fa deserto, non livella e non assorbe, non è la pace imperiale che schiaccia, ma favorisce l’armonia delle differenze, che sono la ricchezza della vita.
Impegno per uno sviluppo umano integrale
Un annuncio importante è dato da Francesco in questo messaggio: il 1° gennaio 2017 nasce il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, mediante il quale la Chiesa Cattolica vuole accompagnare “ogni tentativo di costruzione della pace con la nonviolenza attiva e creativa”. Francesco propone di impegnarci a diventare persone intimamente nonviolente, a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune. “Tutti possono essere artigiani di pace” (n. 7).
I nonviolenti, i loro vari movimenti di qualunque religione o visione di vita, possono sentirsi riconosciuti, incoraggiati, sostenuti e impegnati da questo messaggio di un leader morale come, per tutti, è Francesco.
* Enrico Peyretti
Ricercatore per la pace nel Centro Studi Domenico Regis di Torino e membro del gruppo “Chicco di senape” aderente alla Rete dei Viandanti
(fonte: VIANDANTI)