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martedì 31 dicembre 2019

Storia di Natale: Si risveglia dal coma, vede la moglie e le sussurra "Ciao Amore!".


Storia di Natale: 
Si risveglia dal coma, vede la moglie e le dice "Ciao Amore!".

Guarda la moglie Ramona, che da quasi un mese è come ogni giorno al suo fianco, e le sussurra "Ciao amore". Si è risvegliato così dal coma, l'antivigilia di Natale, il runner Andrea Grilli che a fine novembre era scivolato durante un allenamento sul versante bergamasco del Resegone. La vicenda è stata raccontata in un lungo post pubblicato sulla pagina Facebook dell'ASD Falchi di Lecco, una società sportiva, ma soprattutto, come si legge sul loro sito, "un gruppo di amici con la passione per la montagna e per la corsa".
Il post, di cui di seguito riportiamo il testo per intero, ripercorre tutta la vicenda di Andrea, il 36enne scivolato il 30 novembre scorso.



Sabato 30 novembre
Andrea Grilli parte presto, intorno alle ore 6, dalla sua casa di Falghera per un allenamento di corsa al Resegone. È da solo. Seguendo il Sentiero n.1, raggiunge la vetta intorno alle ore 8 e incomincia a scendere dal versante bergamasco. Andrea scivola, probabilmente su un tratto ghiacciato, e comincia a cadere.
Andrea viene ritrovato grazie ad un altro escursionista scivolato nella stessa zona. Ormai sono trascorse quasi 2 ore... Andrea è in ipotermia, la sua temperatura corporea è di 24 °C, è privo di coscienza, ha numerose contusioni e fratture, i polmoni collassati... ma è vivo!
Viene portato subito in elicottero all'Ospedale di Bergamo nel reparto di terapia intensiva.
Pian piano la temperatura viene riportata a 36 °C. Viene monitorato l'edema cerebrale e con il passare dei giorni i parametri vitali si stabilizzano. Viene prima ridotta e poi tolta la sedazione, Andrea respira autonomamente ma non si sveglia...
Ogni giorno però c'è un piccolo e quasi impercettibile progresso: piccole reazioni alle voci esterne, gli occhi che si aprono, il ritmo del respiro che accelera, la mano che stringe debolmente quella della persona che gli parla...
Piccoli segni che alimentano la speranza e danno la forza per continuare a pregare...
Piccoli passi, come quando si affronta una dura salita, senza mai mollare... con la famiglia, gli amici e anche persone sconosciute che invocano il tuo risveglio e fanno il tifo per te!

Lunedì 23 dicembre
È pomeriggio, è l'orario delle visite per Andrea, la sua amata moglie Ramona gli parla come sempre e Andrea ha la reazione decisiva che tutti aspettavamo. Apre gli occhi, con una nuova luce che finalmente li inonda. Apre la bocca e pronuncia le parole più belle: "Ciao Amore!".
Il "risveglio" tanto atteso, bentornato Andrea, questa antivigilia di Natale chi se la dimenticherà più?!
Non potevi fare un regalo di Natale più bello a Ramona, ai tuoi bellissimi bimbi, ai tuoi genitori, a tutta la tua famiglia, ai tuoi amici e a chi ti vuole bene.
Hai dimostrato una forza fuori dal comune...
Tantissime persone ti sono state vicine fisicamente ma anche con il cuore, con il pensiero, con la speranza, con la preghiera... Credo che solo le persone veramente speciali riescano a suscitare tutto questo e tu sei speciale!
Grazie Andrea per averci fatto sentire tutti come fratelli, uniti nella speranza, fiduciosi nella preghiera, ognuno a suo modo.
Grazie a Chi ci ha donato, a due giorni dal Natale, l'immensa gioia del tuo risveglio: a volte i miracoli avvengono davvero!
E adesso la corsa continua, verso il traguardo di un pronto e pieno recupero!
Alè Andre! 💪💪💪

Riusciamo a comprendere il miracolo della vita solo quando lasciamo che l'inatteso accada. (Paulo Coelho)
(fonte: bacheca fb ASD Falchi Lecco)


A Capodanno un papa giovane sfida una Chiesa vecchia di Giuseppe Savagnone

A Capodanno un papa giovane sfida una Chiesa vecchia
di Giuseppe Savagnone


Una sfida

In uno scenario mondiale che, alla vigilia del nuovo anno, vede prevalere ovunque spinte difensive dettate dalla paura, un papa che il 17 dicembre scorso ha compiuto 83 anni è ancora una volta capace di lanciare la sfida del futuro alla sua Chiesa, aprendole nuovi scenari che la costringono a rimettersi in discussione.

È questo il senso del discorso tenuto da Francesco alla Curia romana, carica delle sue contraddizioni e dei suoi veleni, nel quale, col pretesto di porgere gli auguri natalizi, il pontefice ha presentato in realtà la sua visione rivoluzionaria – e finora ben poco compresa – della realtà ecclesiale.

La vita cristiana è un cammino

Alla base di questa visione c’è la convinzione, espressa con incisiva chiarezza, dal grande cardinale Henri Newmann, che «qui sulla terra vivere è cambiare».

Questo dice il papa, è vero anche per il cristianesimo: «La vita cristiana, in realtà, è un cammino, un pellegrinaggio. La storia biblica è tutta un cammino, segnato da avvii e ripartenze; come per Abramo; come per quanti, duemila anni or sono in Galilea, si misero in cammino per seguire Gesù (…). Da allora, la storia del popolo di Dio – la storia della Chiesa – è segnata sempre da partenze, spostamenti, cambiamenti».


Lo scandalo del cambiamento

Troppe volte ci si è stupiti e perfino indignati, in questi ultimi anni, che l’insegnamento, ma prima ancora lo stile pratico, di Francesco fossero molto diversi da quelli dei suoi predecessori.

Troppe volte si sono denunciati i cambiamenti da lui introdotti, fin dalla sera della sua elezione – il suo famoso «buonasera!», il suo sottolineare il proprio ruolo di vescovo di Roma, il suo richiedere ai fedeli di benedirlo a loro volta, come lui benediceva loro – quasi fossero dei tradimenti.

Il continuo confronto col passato ha contrassegnato dal primo momento questo pontificato anche in questioni più sostanziali, come quelle relative alla sfera morale, specialmente sessuale. Si sono contrapposti a questo papa i suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, additando quest’ultimo come il solo “vero” garante dell’ortodossia ed evocando fantasiosi scenari cospiratori per invalidare le sue dimissioni.

Si deve alla saggezza di Ratzinger se questi deliranti appelli – che avrebbero potuto determinare, se incoraggiati, un disastroso scisma – hanno avuto in questi anni la sola riposta che meritavano, e cioè il silenzio più assoluto. Una conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, della totale infondatezza della ricostruzione dei fatti da cui muovevano.

Davanti a un cambiamento epocale

A questo coro, spesso sguaiato, di proteste e di accuse, papa Francesco risponde, nel discorso alla Curia che abbiamo citato, invitando ad aprire gli occhi sulla realtà. Se è vero che «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca», la Chiesa non può non «lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente» e saper «leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento “risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi”».

La fedeltà alla Tradizione

E questo proprio per «fedeltà al depositum fidei e alla Tradizione», perché «la tradizione non è statica, è dinamica», non è costituita solo dal passato – sarebbe ridotta ad archeologia! –, ma è il processo incessante per cui esso viene riletto e rivissuto, in modi nuovi, nel presente e proiettato, con la forza dell’inventiva e della creatività, verso il futuro.

Questo non significa svalutare la memoria di ciò che è stato, ma è il modo migliore di garantire la continuità con esso: «Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento».

La legge del vivente

Ciò che è vivo resta tale solo in questo dinamismo, che esclude ogni staticità e ogni pedissequa ripetitività.

Così è per una pianta, che è identica a se stessa solo se cresce, nutrendosi degli umori della terra e da piccolo seme diventa albero; così è per gli animali, che adulti sembrano del tutto diversi da ciò che erano alla nascita, ma proprio in questo sviluppo si sono veramente conservati e realizzati.

Così è per la Chiesa, che non sarebbe stata fedele a se stessa se fosse rimasta quella del tempo apostolico e meno che mai se si fosse bloccata e irrigidita in una delle tante fasi del suo sviluppo secolare, ma la cui missione nel tendere incessantemente alla pienezza dell’immagine di Cristo che porta in sé e che, di epoca in epoca, si va completando.

Il tempo e lo spazio

A sostegno di questa prospettiva, papa Francesco ribadisce nel suo discorso alla Curia una delle proprie tesi preferite, già espressa fin dall’inizio del suo pontificato nell’intervista a «Civiltà Cattolica»: «Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi: “Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi”».

Una mancata risposta

Colpisce vedere quest’uomo di 83 anni insistere con tanta forza sulla tensione verso il futuro, mentre ci sono giovani preti che rimpiangono l’abito talare e la messa celebrata in latino… Certo, la Chiesa non può essere identificata solo con quella parte di essa che ha resistito con ostinazione a questo appello al cambiamento, bollandolo addirittura come eresia.

E neppure con i tanti che hanno applaudito il papa, ma non hanno mosso un passo per tradurne le indicazioni, ai loro rispettivi livelli – di vescovi, di preti, di semplici laici –, in un effettivo percorso di rinnovamento. Ma è certo che nel complesso essa è sembrata finora essere più spettatrice che protagonista dello sforzo di Francesco per traghettare il cristianesimo nel nuovo millennio, con tutti i problemi, le difficoltà, le contraddizioni, di una così complessa transizione.

E il motivo è semplice. Non si tratta qui soltanto di “fare” delle cose diverse rispetto al passato. È in gioco un rinnovamento profondo del proprio modo di vedere e di vivere il Vangelo. «Non si tratta ovviamente di cercare il cambiamento per il cambiamento, oppure di seguire le mode (…). Per Newman il cambiamento era conversione, cioè un interiore trasformazione».

Il vero pericolo non è l’islam

Ma a rendere ineludibile l’appello di Francesco, malgrado tutte le chiusure e le resistenze, è la forza della realtà. Ad essa il papa, nel discorso sopracitato, richiama energicamente non solo la Curia romana, ma tutti i cristiani: «Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più!».

E spiega «Non siamo più in un regime di cristianità, perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata». Il vero pericolo non è, come vorrebbero farci credere i paladini della chiusura delle frontiere, l’invasione dell’islam dall’esterno, ma lo svuotamento dei valori evangelici che si sta consumando all’interno e di cui è una prova, fra l’altro, proprio l’atmosfera di diffidenza e perfino di odio nei confronti di coloro che secondo il Vangelo costituirebbero «il nostro prossimo».

Nuove logiche per una nuova evangelizzazione

Perciò non si può più, come in passato, «distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra». Il confine ormai passa dentro di noi, nel cuore stesso di coloro che appartengono a Paesi di antica tradizione cattolica, dove il messaggio di Cristo è a volte liquidato o frainteso.

Di fronte a questo rivolgimento epocale, dice Francesco, «c’è bisogno di una nuova evangelizzazione, o rievangelizzazione». E per realizzarla, «abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti».

Sotto questo profilo, non siamo ben messi. Il pontefice cita il Cardinale Martini, le cui parole, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, a suo avviso, «devono farci interrogare». «La Chiesa», diceva Martini, «è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. (…) Solo l’amore vince la stanchezza».

Perché il Capodanno non sia vuota euforia

E così l’alternativa è quella di cui parlavamo all’inizio: tra la paura e il coraggio del cambiamento. Un’alternativa che, in modo diverso, riguarda tutti, credenti e non credenti. Perché anche questi ultimi hanno qualcosa da chiedere alla Chiesa e possono sperare in un suo reale rinnovamento.

Siamo alla vigilia del Capodanno. Ancora una volta in tutto il mondo risuoneranno, nei locali, per le strade, nelle case, i festosi auguri di una vita nuova, in po’ più felice. Ma è sufficiente guardarsi dentro per sospettare che dietro questa euforia si nasconda una segreta disperazione. Perché non basta che il tempo scorra, per cambiare. Un giovane papa di 83 anni ci sfida a sperare. Si rivolge alla Curia romana, ma l’invito è rivolto a tutta la sua Chiesa, anzi, più radicalmente, a tutti gli uomini del nostro tempo. Perché cerchino finalmente nel profondo di se stessi la forza del cambiamento.
(fonte: TUTTAVIA 27/12/2019)

Per approfondire vedi anche i post precedenti:


lunedì 30 dicembre 2019

Il card. Francesco Montenegro tra i testimonial della campagna sulla sicurezza stradale rivolta ai giovani: «Ragazzi, la vita è preziosa, per questo vi dico: “Picciò, accura!” (Ragazzi, prudenza!) ». - video





Campagna ANCE “Picciò, accura!”: 
Il card. Montenegro, in vespa, tra i testimonial (VIDEO)

C’è anche l’arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro, tra i testimonial della campagna sulla sicurezza stradale rivolta ai giovani dallo slogan “Picciò, accura!” (Ragazzi, prudenza!). Il progetto è promosso da Ance (Associazione nazionale costruttori edili) di Agrigento con lo scopo – come si legge nel comunicato stampa – di“stimolare nei ragazzi la consapevolezza dei pericoli presenti sulla strada, spingerli a prestare attenzione e ad avere comportamenti responsabili. Tutto attraverso il ricorso a video messaggi da parte di personaggi agrigentini del mondo del giornalismo, dello spettacolo, della musica e delle istituzioni”.

Il tutto è stato preceduto e preparato da una intelligente e raffinata strategia comunicativa, con l’affissione – in posti strategici e ben visibili della città di Agrigento – di diversi manifesti murali , che non potevano non destare l’attenzione e stuzzicare la curiosità della gente che, leggendo lo slogan – “Picciò, accura!” – stampato su sfondo bianco con gli indirizzi social da seguire per partecipare attivamente (la pagina facebook e il profilo Instagram – piccioaccura, oltre che un apposito canale Youtube (Picciò, accura!), si sono chiesti:”che sarà mai?”; “Che cosa vogliono comunicare? , “che prodotto vendono?”, “attenzione a cosa?”… Interrogativi che hanno trovato risposta quando sono stati pubblicati sui canali social, i video. 

“L’idea di questa iniziativa – spiega il presidente di Ance, Carmelo Salamone – è nata nei giorni della ‘mattanza’ registratasi tra settembre e ottobre, quando, sulle strade agrigentine, persero la vita diversi giovani e giovanissimi in incidenti, tra l’altro, quasi tutti autonomi. L’interesse di Ance, al netto del suo scopo sociale di Associazione dei costruttori – continua – è, quindi, di tentare, ove possibile, di stimolare un momento di riflessione sui rischi che si possono correre sulla strada, spesso correlati a comportamenti non corretti, come l’uso di droga e alcol, o, semplicemente la lettura delle notifiche del cellulare alla guida. Bisogna, a tutti i costi, fermare questa strage”. Comportamenti vietati e pericolosi, che, comunque, si aggiungono alle insidie che le nostre arterie stradali nascondono spesso per carenza di manutenzione ordinaria e straordinaria. Tutto attraverso il ricorso a testimonial d’eccezione (hanno già prestato il loro volto i giornalisti Angelo Ruoppolo e Silvio Schembri e la responsabile agrigentina dell’Associazione italiana Familiari e Vittime della Strada Carmelina Nobile) e ad un messaggio (“Picciò, accura!”) che sfrutta la capacità di sintesi della lingua siciliana anche per tentare di essere più vicino a giovani e giovanissimi. “Ringrazio pubblicamente – conclude Salamone – tutti coloro che hanno prestato e presteranno il volto a questa campagna in modo gratuito e per puro spirito volontaristico, perché hanno condiviso con noi la volontà di tentare di salvare vite umane”. Del resto, il fenomeno che sembra non conoscere crisi. Stando a dati Aci, i sinistri mortali in provincia sono stati 17 nel 2016, 14 nel 2017, 6 nel 2018 e oltre una decina finora nel 2019. Quasi invariato il numero degli incidenti, che è passato da 440 nel 2016 ai 438 del 2018 con mediamente 700 feriti ogni anno.

Un cardinale in vespa

Per gli agrigentini e gli abitanti dei comuni vicini ad Agrigento, non desta più stupore vedere l’Arcivescovo usare la vespa per gli spostamenti. Una singolare abitudine che aveva da prete a Messina e e che ha mantenuto da Arcivescovo e Cardinale. In una intervista alla rivista Credere (cfr n. 3/2015) alla domanda della giornalistaa Vittoria Prisciandaro “Continuerà a girare la diocesi con la Vespa blu?” La risposta del card. Montenegro è stata: «Fino a quando ce la fa a portarmi… La stazza è quella che è… E il casco l’ho sempre usato». Persino papa Francesco, in un recente incontro col cardinale Montenegro, ha chiesto se girasse ancora in Vespa. E proprio in sella alla sua vespa, nel video, il cardinale lancia il suo appello: “Ragazzi, la vita è preziosa, per questo vi dico: Picciò, accura!”

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Vedi anche il post


«Dobbiamo riprendere il dialogo in famiglia: padri, genitori, figli, nonni e fratelli devono comunicare tra loro ... La famiglia è un tesoro prezioso: bisogna sempre sostenerla, tutelarla» Papa Francesco, Angelus 29 dicembre 2019 (Testo e video)

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 29 dicembre 2019

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

E davvero, oggi è una bella giornata … Celebriamo oggi la festa della Santa famiglia di Nazareth. Il termine “santa” inserisce questa famiglia nell’ambito della santità che è dono di Dio ma, al tempo stesso, è libera e responsabile adesione al progetto di Dio. Così è stato per la famiglia di Nazareth: essa fu totalmente disponibile alla volontà di Dio.

Come non rimanere stupiti, per esempio, dalla docilità di Maria all’azione dello Spirito Santo che le chiede di diventare la madre del Messia? Perché Maria, come ogni giovane donna del suo tempo, stava per concretizzare il suo progetto di vita, cioè sposarsi con Giuseppe. Ma quando si rende conto che Dio la chiama ad una missione particolare, non esita a proclamarsi sua “serva” (cfr Lc 1,38). Di Lei Gesù esalterà la grandezza non tanto per il suo ruolo di madre, ma per la sua obbedienza a Dio. Gesù disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28), come Maria. E quando non comprende pienamente gli eventi che la coinvolgono, Maria nel silenzio medita, riflette e adora l’iniziativa divina. La sua presenza ai piedi della croce consacra questa totale disponibilità.

Poi, per quanto riguarda Giuseppe, il Vangelo non ci riporta una sola parola: egli non parla, ma agisce obbedendo. E’ l’uomo del silenzio, l’uomo dell’obbedienza. L’odierna pagina evangelica (cfr Mt 2,13-15.19-23) richiama per tre volte questa obbedienza del giusto Giuseppe, riferita alla fuga in Egitto e al ritorno nella terra d’Israele. Sotto la guida di Dio, rappresentato dall’Angelo, Giuseppe allontana la sua famiglia dalle minacce di Erode, e la salva. La Santa Famiglia solidarizza così con tutte le famiglie del mondo obbligate all’esilio, solidarizza con tutti coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra a causa della repressione, della violenza, della guerra.

Infine, la terza persona della Sacra Famiglia, Gesù. Egli è la volontà del Padre: in Lui, dice San Paolo, non c’è stato “sì” e “no”, ma soltanto “sì” (cfr 2Cor 1,19). E ciò si è manifestato in tanti momenti della sua vita terrena. Per esempio, l’episodio al tempio quando, ai genitori che lo cercavano angosciati, rispose: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49); il suo continuo ripetere: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 4,34); la sua preghiera nell’orto degli ulivi: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà» (Mt 26,42). Tutti questi eventi sono la perfetta realizzazione delle stesse parole del Cristo che dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta […]. Allora ho detto: “Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5-7; Sal 40,7-9).

Maria, Giuseppe, Gesù: la Sacra Famiglia di Nazareth che rappresenta una risposta corale alla volontà del Padre: i tre componenti di questa famiglia si aiutano reciprocamente a scoprire il progetto di Dio. Loro pregavano, lavoravano, comunicavano. E io mi domando: tu, nella tua famiglia, sai comunicare o sei come quei ragazzi a tavola, ognuno con il telefonino, mentre stanno chattando? In quella tavola sembra vi sia un silenzio come se fossero a Messa … Ma non comunicano fra di loro. Dobbiamo riprendere il dialogo in famiglia: padri, genitori, figli, nonni e fratelli devono comunicare tra loro … Questo è un compito da fare oggi, proprio nella giornata della Sacra Famiglia. La Santa Famiglia possa essere modello delle nostre famiglie, affinché genitori e figli si sostengano a vicenda nell’adesione al Vangelo, fondamento della santità della famiglia.

Affidiamo a Maria “Regina della famiglia”, tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle provate dalla sofferenza o dal disagio, e invochiamo su di esse la sua materna protezione.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

preghiamo il Signore per le vittime dell’orribile attentato terroristico di ieri, a Mogadiscio, in Somalia, dove nell’esplosione di un’autobomba, sono state uccise oltre 70 persone. Sono vicino a tutti i familiari e a quanti ne piangono la scomparsa. Preghiamo insieme: Ave o Maria, …

Saluto poi tutti i romani, i pellegrini, i gruppi parrocchiali, le associazioni e i giovani. Oggi rivolgo un saluto speciale alle famiglie qui presenti e a quelle che partecipano da casa attraverso la televisione e la radio. La famiglia è un tesoro prezioso: bisogna sempre sostenerla, tutelarla: avanti!

Saluto poi gli studenti di Forlì, i ragazzi della Cresima di Adrara San Martino, di Calcinate e il gruppo adolescenti della Parrocchia San Giuliano, in Albino, Bergamo.

Saluto tutti, e a tutti auguro una buona domenica e un fine Anno sereno. Finiamo l’anno in pace, pace del cuore: questo vi auguro. E in famiglia, comunicandosi, l’uno con l’altro. Vi ringrazio ancora dei vostri auguri e delle vostre preghiere. Continuate per favore a pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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APPELLO-PROPOSTA PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA

PERCHÈ LA STORIA CONTINUI


APPELLO-PROPOSTA PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA


Istituzione di una Scuola della Terra per suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo della Terra, disimparare l’arte della guerra e promuovere un costituzionalismo mondiale. Lo reclama la scena del mondo che soffre, lo rende possibile l’annuncio di un Dio non più geloso


Nel pieno della crisi globale, nel 72° anniversario della promulgazione della Costituzione italiana, Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Valerio Onida, Adolfo Perez Esquivel, il vescovo Nogaro, Paolo Maddalena, Riccardo Petrella, Domenico Gallo e molti altri hanno lanciato il progetto politico di una Costituzione per la Terra e promosso una Scuola, «Costituente Terra», che ne elabori il pensiero e prefiguri una nuova soggettività politica del popolo della Terra, «perché la storia continui». La proposta è espressa in questo documento che porta la data del 27 dicembre 2019.

L’Amazzonia brucia e anche l’Africa, e non solo di fuoco, la democrazia è a pezzi, le armi crescono, il diritto è rotto in tutto il mondo. “Terra! Terra!” è il grido dei naufraghi all’avvistare la sponda, ma spesso la terra li respinge, dice loro: “i porti sono chiusi, avete voluto prendere il mare, fatene la vostra tomba, oppure tornate ai vostri inferni”. Ma “Terra” è anche la parola oggi più amata e perduta dai popoli che ne sono scacciati in forza di un possesso non condiviso; dai profughi in fuga per la temperatura che aumenta e il deserto che avanza; dalle città e dalle isole destinate ad essere sommerse al rompersi del chiavistello delle acque, quando la Groenlandia si scioglie, i mari son previsti salire di sette metri sull’asciutto, e a Venezia già lo fanno di un metro e ottantasette. “Che si salvi la Terra” dicono le donne e gli uomini tutti che assistono spaventati e impotenti alla morte annunciata dell’ambiente che da millenni ne ospita la vita.

Ci sono per fortuna pensieri e azioni alternative, si diffonde una coscienza ambientale, il venerdì si manifesta per il futuro, donne coraggiose da Greta Thunberg a Carola Rackete fanno risuonare milioni di voci, anche le sardine prendono la parola, ma questo non basta. Se nei prossimi anni non ci sarà un’iniziativa politica di massa per cambiare il corso delle cose, se le si lascerà in balia del mercato della tecnologia o del destino, se in Italia, in Europa e nelle Case Bianche di tutti i continenti il fascismo occulto che vi serpeggia verrà alla luce e al potere, perderemo il controllo del clima e della società e si affacceranno scenari da fine del mondo, non quella raccontata nelle Apocalissi, ma quella prevista e monitorata dagli scienziati.

Il cambiamento è possibile

L’inversione del corso delle cose è possibile. Essa ha un nome: Costituzione della terra. Il costituzionalismo statuale che ha dato una regola al potere, ha garantito i diritti, affermato l’eguaglianza e assicurato la vita degli Stati non basta più, occorre passare a un costituzionalismo mondiale della stessa autorità ed estensione dei poteri e del denaro che dominano la Terra.

La Costituzione del mondo non è il governo del mondo, ma la regola d’ingaggio e la bussola di ogni governo per il buongoverno del mondo. Nasce dalla storia, ma deve essere prodotta dalla politica, ad opera di un soggetto politico che si faccia potere costituente. Il soggetto costituente di una Costituzione della Terra è il popolo della Terra, non un nuovo Leviatano, ma l’unità umana che giunga ad esistenza politica, stabilisca le forme e i limiti della sua sovranità e la eserciti ai fini di far continuare la storia e salvare la Terra.

Salvare la Terra non vuol dire solo mantenere in vita “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”, cantata dai nostri poeti, ma anche rimuovere gli ostacoli che “di fatto” impediscono il pieno sviluppo di tutte le persone umane.

Il diritto internazionale è già dotato di una Costituzione embrionale del mondo, prodotta in quella straordinaria stagione costituente che fece seguito alla notte della seconda guerra mondiale e alla liberazione dal fascismo e dal nazismo: la Carta dell’Onu del 1945, la Dichiarazio­ne universale dei diritti umani del 1948, i due Patti internazionali del 1966 e le tante Carte regionali dei diritti, che promettono pa­ce, sicurez­za, garanzia delle li­bertà fon­damen­tali e dei dirit­ti so­ciali per tut­ti gli esseri umani. Ma non sono mai state introdotte le norme di at­tua­zio­ne di queste Carte, cioè le garanzie internazionali dei di­ritti pro­clama­ti. Non è stato affatto costituito il nuovo ordine mondiale da esse disegnato. È come se un ordinamento statale fosse dotato della sola Costituzione e non anche di leggi attuative, cioè di codici penali, di tribunali, di scuole e di ospedali che “di fatto” la realizzino. È chiaro che in queste condizioni i diritti proclamati sono rimasti sulla carta, come pro­mes­se non man­tenute. Riprendere oggi il processo politico per una Costituzione della Terra vuol dire tornare a prendere sul serio il progetto costituzionale formulato settant’anni fa e i diritti in esso stabiliti. E poiché quei diritti appartengono al diritto internazionale vigente, la loro tutela e attuazione non è soltanto un’urgente opzione politica, ma anche un obbligo giuridico in capo alla comunità internazionale e a tutti noi che ne facciamo parte.

Qui c’è un’obiezione formulata a partire dalla tesi di vecchi giuristi secondo la quale una Costituzione è l’espressione dell’«unità politica di un popolo»; niente popolo, niente Costituzione. E giustamente si dice che un popolo della Terra non c’è; infatti non c’era ieri e fino ad ora non c’è. La novità è che adesso può esserci, può essere istituito; lo reclama la scena del mondo, dove lo stato di natura delle sovranità in lotta tra loro non solo toglie la «buona vita», ma non permette più neanche la nuda vita; lo reclama l’oceano di sofferenza in cui tutti siamo immersi; lo rende possibile oggi la vetta ermeneutica raggiunta da papa Francesco e da altre religioni con lui, grazie alla quale non può esserci più un dio a pretesto della divisione tra i popoli: “Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno” - hanno detto ad Abu Dhabi - non vuole essere causa di terrore per nessuno, mentre lo stesso “pluralismo e le diversità di religione sono una sapiente volontà divina con cui Dio ha creato gli esseri umani”; non c’è più un Dio geloso e la Terra stessa non è una sfera, ma un poliedro di differenze armoniose. 

Per molti motivi perciò è realistico oggi porsi l’obiettivo di mettere in campo una Costituente della Terra, prima ideale e poi anche reale, di cui tutte le persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti.

Una politica dalla parte della Terra

Di per sé l’istanza di una Costituzione della Terra dovrebbe essere perseguita da quello strumento privilegiato dell’azione politica che, almeno nelle democrazie, è il partito - nazionale o transnazionale che sia - ossia un artefice collettivo che, pur sotto nomi diversi, agisca nella forma partito. Oggi questo nome è in agonia perché evoca non sempre felici ricordi, ma soprattutto perché i grandi poteri che si arrogano il dominio del mondo non vogliono essere intralciati dal controllo e dalla critica dei popoli, e quindi cercano di disarmarli spingendoli a estirpare le radici della politica e dei partiti fin nel loro cuore. È infatti per la disaffezione nei confronti della politica a cui l’intera società è stata persuasa che si scende in piazza senza colori; ma la politica non si sospende, e ciò a cui comunque oggi siamo chiamati è a prendere partito, a prendere partito non per una Nazione, non per una classe, non “prima per noi”, ma a prendere partito per la Terra, dalla parte della Terra.

Ma ancor più che la riluttanza all’uso di strumenti già noti, ciò che impedisce l’avvio di questo processo costituente, è la mancanza di un pensiero politico comune che ne faccia emergere l’esigenza e ne ispiri modalità e contenuti.

Non manca certamente l’elaborazione teorica di un costituzionalismo globale che vada oltre il modello dello Stato nazionale, il solo nel quale finora è stata concepita e attuata la democrazia, né mancano grandi maestri che lo propugnino; ma non è diventato patrimonio comune, non è entrato nelle vene del popolo un pensiero che pensi e promuova una Costituzione della Terra, una unità politica dell’intera comunità umana, il passaggio a una nuova e rassicurante fase della storia degli esseri umani sulla Terra. 

Eppure le cose vanno così: il pensiero dà forma alla realtà, ma è la sfida della realtà che causa il pensiero. Una “politica interna del mondo” non può nascere senza una scuola di pensiero che la elabori, e un pensiero non può attivare una politica per il mondo senza che dei soggetti politici ne facciano oggetto della loro lotta. Però la cosa è tale che non può darsi prima la politica e poi la scuola, né prima la scuola e poi la politica. Devono nascere insieme, perciò quello che proponiamo è di dar vita a una Scuola che produca un nuovo pensiero della Terra e fermenti causando nuove soggettività politiche per un costituzionalismo della Terra. Perciò questa Scuola si chiamerà “Costituente Terra”.

“Costituente Terra”: una Scuola per un nuovo pensiero

Certamente questa Scuola non può essere pensata al modo delle Accademie o dei consueti Istituti scolastici, ma come una Scuola disseminata e diffusa, telematica e stanziale, una rete di scuole con aule reali e virtuali. Se il suo scopo è di indurre a una mentalità nuova e a un nuovo senso comune, ogni casa dovrebbe diventare una scuola e ognuno in essa sarebbe docente e discente. Il suo fine potrebbe perfino spingersi oltre il traguardo indicato dai profeti che volevano cambiare le lance in falci e le spade in aratri e si aspettavano che i popoli non avrebbero più imparato l’arte della guerra. Ciò voleva dire che la guerra non era in natura: per farla, bisognava prima impararla. Senonché noi l’abbiamo imparata così bene che per prima cosa dovremmo disimpararla, e a questo la scuola dovrebbe addestrarci, a disimparare l’arte della guerra, per imparare invece l’arte di custodire il mondo e fare la pace. .

Molte sarebbero in tale scuola le aree tematiche da perlustrare: 1) le nuove frontiere del diritto, il nuovo costituzionalismo e la rifondazione del potere; 2) il neo-liberismo e la crescente minaccia dell’anomia; 3) la critica delle culture ricevute e i nuovi nomi da dare a eventi e fasi della storia passata; 4) il lavoro e il Sabato, un lavoro non ridotto a merce, non oggetto di dominio e alienato dal tempo della vita; 5) la “Laudato sì” e l’ecologia integrale; 6) il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra; 7) l’Intelligenza artificiale (il Führer artificiale?) e l’ultimo uomo; 8) come passare dalle culture di dominio e di guerra alle culture della liberazione e della pace; 9) come uscire dalla dialettica degli opposti, dalla contraddizione servo-signore e amico-nemico per assumere invece la logica dell’ et-et, della condivisione, dell’armonia delle differenze, dell’“essere per l’altro”, dell’ “essere l’altro”; 10) il congedo del cristianesimo dal regime costantiniano, nel suo arco “da Costantino ad Hitler”, e la riapertura nella modernità della questione di Dio; 11) il “caso Bergoglio”, preannuncio di una nuova fase della storia religiosa e secolare del mondo.

Naturalmente molti altri temi potranno essere affrontati, nell’ottica di una cultura per la Terra alla quale nulla è estraneo d’umano. Tutto ciò però come ricerca non impassibile e fuori del tempo, ma situata tra due “kairòs”, tra New Delhi ed Abu Dhabi, due opportunità, una non trattenuta e non colta, la proposta di Gorbaciov e Rajiv Gandhi del novembre 1986 per un mondo libero dalle armi nucleari e non violento, e l’altra che ora si presenta di una nuova fraternità umana per la convivenza comune e la salvezza della Terra, preconizzata nel documento islamo-cristiano del 4 febbraio 2019 e nel successivo Comitato di attuazione integrato anche dagli Ebrei, entrato ora in rapporto con l’ONU per organizzare un Summit mondiale della Fratellanza umana e fare del 4 febbraio la “Giornata mondiale” che la celebri. 

Partecipare al processo costituente iscriversi al Comitato promotore 

Pertanto i firmatari di questo appello propongono di istituire una Scuola denominata “Costituente Terra” che prenda partito per la Terra, e a questo scopo hanno costituito un’associazione denominata “Comitato promotore partito della Terra”. Si chiama così perché in via di principio non era stata esclusa all’inizio l’idea di un partito, e in futuro chissà. Il compito è oggi di dare inizio a una Scuola, “dalla parte della Terra”, alle sue attività e ai suoi siti web, e insieme con la Scuola ad ogni azione utile al fine che “la storia continui”; e ciò senza dimenticare gli obiettivi più urgenti, il risanamento del territorio, la rifondazione del lavoro, l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, la firma anche da parte dell’Italia del Trattato dell’ONU per l’interdizione delle armi nucleari e così via.

I firmatari propongono che persone di buona volontà e di non perdute speranze, che esponenti di associazioni, aggregazioni o istituzioni già impegnate per l’ecologia e i diritti, si uniscano a questa impresa e, se ne condividono in linea generale l’ispirazione, si iscrivano al Comitato promotore di tale iniziativa all’indirizzo ‘progettopartitodellaterra@gmail.com’ versando la relativa quota sul conto BNL intestato a “Comitato promotore del partito della Terra”, IBAN IT94X0100503206000000002788 (dall’estero BIC BNLIITRR), 

La quota annua di iscrizione, al Comitato e alla Scuola stessa, è libera, e sarà comunque gradita. Per i meno poveri, per quanti convengano di essere tra i promotori che contribuiscono a finanziare la Scuola, eventuali borse di studio e il processo costituente, la quota è stata fissata dal Comitato stesso nella misura significativa di 100 euro, con l’intenzione di sottolineare che la politica, sia a pensarla che a farla, è cosa tanto degna da meritare da chi vi si impegna che ne sostenga i costi, contro ogni tornaconto e corruzione, ciò che per molti del resto è giunto fino all’offerta della vita. Naturalmente però si è inteso che ognuno, a cominciare dai giovani, sia libero di pagare la quota che crede, minore o maggiore che sia, con modalità diverse, secondo le possibilità e le decisioni di ciascuno.

Nel caso che l’iniziativa non riuscisse, le risorse finanziarie mancassero e il processo avviato non andasse a buon fine, l’associazione sarà sciolta e i fondi eventualmente residui saranno devoluti alle ONG che si occupano dei salvataggi dei fuggiaschi e dei naufraghi nel Mediterraneo.

Un’assemblea degli iscritti al Comitato sarà convocata non appena sarà raggiunto un congruo numero di soci, per l’approvazione dello Statuto dell’associazione, la formazione ed elezione degli organi statutari e l’impostazione dei programmi e dell’attività della Scuola.

PROPONENTI E PRIMI ISCRITTI. Raniero La Valle, giornalista (Roma), Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto (Roma), Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale, Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace 1980, Raffaele Nogaro, ex vescovo di Caserta, Paolo Maddalena, già vicepresidente della Corte Costituzionale, Mariarosaria Guglielmi, Segretaria generale di Magistratura Democratica, Riccardo Petrella, ecologo, promotore del Manifesto dell’acqua e dell’identità di “Abitante della Terra”, Domenico Gallo, magistrato, Francesco Carchedi, sociologo (Roma), Francesco Di Matteo, Comitati Dossetti per la Costituzione, Anna Falcone. avvocata, Roma, Pippo Civati, Politico, Piero Basso (Milano), Gianpietro Losapio, cooperatore sociale, direttore del Consorzio NOVA, Giacomo Pollastri, studente in Scienze Politiche (Roma), Francesco Comina, giornalista (Bolzano), Roberto Mancini, filosofo (Macerata), Francesca Landini, informatica (Roma), Giancarlo Piccinni e la Fondazione don Tonino Bello (Alessano), Grazia Tuzi, antropologa, autrice di “Quando si faceva la Costituzione. Storia e personaggi della comunità del porcellino” (Roma), Guido Innocenzo Gargano osb cam., monaco (Roma), Felice Scalia, s. J, (Messina), Marina Graziosi, docente (Roma), Agata Cancelliere, insegnante, (Roma), Raul Mordenti, storico della critica letteraria, Politico (Roma), Salvatore Maira, scrittore (Roma), Marco Malagola, francescano, missionario, (Torino), Norma Lupi (Roma), Andrea Cantaluppi, sindacalista (Roma), Enrico Peyretti (Torino), Nino Mantineo, università di Catanzaro, Giacoma Cannizzo, già sindaca di Partinico, Filippo Grillo, artista (Palermo), Nicola Colaianni, già magistrato e docente all’Università di Bari, Stefania Limiti, giornalista (Roma), Domenico Basile (Merate, Lecco), Maria Chiara Zoffoli (Merate), Luigi Gallo (Bolzano), Antonio Vermigli, giornalista (Quarrata, Pistoia), Renata Finocchiaro, ingegnere (Catania), Liana D’Alessio (Roma), Lia Fava, ordinaria di letteratura (Roma), Paolo Pollastri, musicista (Roma), Fiorella Coppola, sociologa (Napoli), Dario Cimaglia, editore, (Roma), Luigi Spina, insegnante, ricercatore (Biella), Marco Campedelli, Boris Ulianich, storico, Università Federico II, Napoli, Gustavo Gagliardi, Roma, Paolo Scandaletti, scrittore di storia, Roma, Pierluigi Sorti, economista, Roma, Vittorio Bellavite, coordinatore di “Noi siamo Chiesa”, Agnés Deshormes, cooperatrice internazionale, Parigi, Anna Sabatini Scalmati, psicoterapeuta, Roma, Francesco Piva, Roma, Sergio Tanzarella, storico del cristianesimo, Tina Palmisano, Il Giardino Terapeutico sullo Stretto, Messina, Luisa Marchini, segretaria di “Salviamo la Costituzione”, Bologna, Maurizio Chierici, giornalista. Angelo Cifatte, formatore, Genova, Marco Tiberi, sceneggiatore, Roma, Achille Rossi e l’altrapagina, Città di Castello, Antonio Pileggi, ex Provveditore agli studi e dir. gen. INVALSI, Giovanni Palombarini, magistrato, Vezio Ruggieri, psicofisiologo (Roma) Bernardetta Forcella, insegnante (Roma), Luigi Narducci (Roma), Giuseppe Salmè, magistrato, Giovanni Bianco, giurista (Roma), Giuseppe Deiana, presidente del Centro Puecher (Milano), Lelio Demichelis, sociologo, università dell'Insubria, Vittorio Pissacroia, attore (Firenze), Ivano Alteri, consulente del lavoro, Giovanni Iudicone, Danilo Andriollo (Vicenza), Guido Pollice, presidente di VAS (Verdi Ambiente e Società) Onlus, Laura Nanni (Albano). 

Roma, 27 dicembre 2019, 72° anniversario della promulgazione della Costituzione italiana.

(Fonte: Blog Raniero La Valle)

domenica 29 dicembre 2019

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe – Anno A





Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)







Preghiera dei Fedeli

 Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Anno A

29 dicembre 2019 


Colui che presiede

Fratelli e sorelle, assumendo la nostra condizione umana, Gesù ci ha narrato il volto del Padre. Restando uniti a Lui, il Figlio in cui il Padre si compiace, anche noi possiamo sentirci figli e con libertà innalzare a Dio le nostre preghiere, invocando insieme:

R./ Gloria a te, Signor.

Lettore

- Si rafforzi, o Padre, la fede della tua Chiesa, di tutto il popolo di Dio. La luce del tuo Santo Spirito la guidi per i sentieri tortuosi e tenebrosi della storia umana ed allo stesso tempo le faccia comprendere che la perdita di sicurezza, di privilegi non è necessariamente la fine della Chiesa, ma che forse può essere l’inizio di una vita più radicata nel Vangelo. Invochiamo.

- Sii vicino, o Padre, a tutte le comunità cristiane, che in varie parti del mondo conoscono la sofferenza, la persecuzione, l’abbandono della propria terra a motivo della loro fede nel tuo Figlio Gesù. Dona loro perseveranza per continuare ad amare e a sognare un’umanità, che sappia ritrovare la via del dialogo e dell’accoglienza reciproca. Invochiamo.

- Ti affidiamo, o Padre, la vita, i sogni, le sofferenze sofferte dai tanti migranti, uomini, donne e bambini, che si ritrovano ad essere facile preda dei vari trafficanti di esseri umani. Ti affidiamo, inoltre, gli Indios dell’Amazzonia e le loro famiglie, che con violenza e cinismo vengono scacciati dalle loro terre per fare posto agli interessi dei grandi gruppi industriali. Sii Tu il loro protettore. Invochiamo.

- Sostieni, o Padre, le nostre famiglie, perché come chiesa domestica, sappiano costruire un’autentica comunità nell’ascolto della Parola, nella preghiera, nella fede, nell’amore e nel rispetto reciproco, ed essere segno di luce e di speranza nei quartieri in cui abitano. Invochiamo.

- Ti affidiamo, o Padre, le famiglie che vivono in difficoltà economiche e quelle che vivono relazioni difficili e conflittuali: possano trovare aiuto e solidarietà, consigli sapienti, speranza e misericordia. Invochiamo.

- Davanti a te, o Padre, ricordiamo i nostri parenti e amici defunti; ricordiamo anche le vittime della violenza nelle famiglie, come pure le famiglie distrutte dalla guerra, dal terrorismo e dalla mafia. Tutti possano trovare consolazione e pace nella contemplazione del tuo Volto di Luce. Invochiamo.

Colui che presiede

O Dio, che in Gesù, Giuseppe e Maria ci hai donato una viva immagine della tua eterna comunione d’amore, rinnova in ogni comunità cristiana e in ogni famiglia le meraviglie del tuo Spirito, perché tutti possano essere testimoni del tuo legame d’amore sponsale con l’umanità. Per Cristo nostro Signore. 
AMEN.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 6/2019-2020 (A) di Santino Coppolino

"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino





Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
a cura di Santino Coppolino

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe anno A

Vangelo:
Mt 2,13-15.19-23

In Israele non c'è più sicurezza, non è più la terra promessa «dove scorrono latte e miele» (Es 3,8), la bramosia di potere degli uomini l'ha trasformata in terra di schiavitù e di morte. Erode, re illegittimo e sanguinario, che non si è fatto scrupolo di sterminare una decina di familiari tra i quali anche tre figli per paura di perdere il trono, vuole uccidere il bambino Gesù perché teme di essere spodestato. Ma di ogni potente «ride Colui che sta nei Cieli, il Signore si fa beffe di loro» (Sal 2,4). Erode, come il faraone e tutti i faraoni, finirà miseramente e Gesù ne vedrà la fine. E come il faraone cercò di assassinare Mosè facendo strage di bambini innocenti, allo stesso modo Erode cercherà di togliere di mezzo il "pericoloso concorrente". Come Mosè, Gesù fin dalla sua infanzia vivrà in un continuo esodo, ponendo fine al suo pellegrinaggio terreno soltanto sul Golgota. «Vivrà in Egitto da migrante e straniero, solidale con tutti i poveri e gli oppressi di tutti i tempi che fanno l'esperienza della "stranierità"» (cit.). Una volta morto Erode, tornerà in Israele stabilendosi però non in Giudea, ma a Nazareth, nella malfamata e disprezzata "Galilea delle genti", condividendo per sempre la sua vita di Figlio con tutti i disprezzati e i reietti della terra. 

sabato 28 dicembre 2019

Un solo granello di sogno... - Commento al Vangelo - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (A) a cura di P. Ermes Ronchi

Un solo granello di sogno 
caduto negli ingranaggi duri della storia
basta a modificarne il corso.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno». Mt 2,13-15.19-23

per gli amici dei social


Un padre, una madre, un figlio. Le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia silenziosa, nel nodo della vita, nel perno del futuro. Le cose decisive – oggi come allora – accadono dentro le relazioni, nel quotidiano coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e generose che sanno prendere con sé la vita di altri.
Il Natale non è sentimentale ma drammatico, è l’inizio del nuovo ordinamento di tutte le cose. Non è la festa dei buoni sentimenti, è la vera conversione della storia. La grande ruota del mondo aveva sempre girato in un unico senso: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il forte. Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio viene partorito da una donna, il movimento della storia per un istante si inceppa e poi prende a scorrere nel senso opposto: l’onnipotente si fa debole, l’eterno si fa mortale, l’infinito è nel frammento.

Erode invia soldati, Dio manda un sogno. Un solo granello di sogno caduto negli ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso. Giuseppe nel suo sogno non vede, ma sente. Un sogno di parole, che è concesso anche a noi: Dio cammina accanto alle nostre paure con la sua Parola, cammina con tutti i rifugiati e con chi dà loro soccorso in un sogno di parole infinite, un sogno di Vangelo.

“Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto”. 

Un Dio che fugge nella notte! Perché comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la strada e la data del ritorno? Perché Dio non ti protegge dalla notte ma nella notte, non ti evita il deserto ma è forza dentro il deserto, non ti salva dalla morte ma nella morte.
Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro e di vedere l’orizzonte, ma solo tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intrecci il suo respiro con quello di loro tre, fuggiaschi, per sapere che il viaggio va verso casa, anche se passa per l’Egitto.

È la sua come la nostra fede! Io so che nel mondo comandano i forti e i violenti, so che Erode siede sul suo trono di morte, so che la vita è un’avventura di pericoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma so anche che dietro a tutto questo c’è un filo rosso il cui capo è saldo nella mano del Signore. So che in ogni vita c’è il sogno di Dio che va lentamente incarnandosi.

Giuseppe il giusto rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che vivono l’amore senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompense, in silenzio, fanno ciò che devono fare. E lo fanno! Un po’ concreti e un po’ sognatori non possono fare altro che amare, spesso nel deserto più totale.
Inermi eppure più forti di ogni faraone.

per Avvenire

Il Vangelo racconta di una famiglia guidata da un sogno. Oggi noi, a distanza, vediamo che il personaggio importante di quelle notti non è Erode il Grande, non è suo figlio Archelao, ma un uomo silenzioso e coraggioso, concreto e sognatore: Giuseppe, il disarmato che è più forte di ogni Erode. E che cosa fa Giuseppe? Sogna, stringe a sé la sua famiglia, e si mette in cammino. Tre azioni: seguire un sogno, andare e custodire. (…)



La parola che si fa carne per un Natale privo di retorica - Giuseppe Schillaci

La parola che si fa carne
per un Natale privo di retorica
di Mons. Giuseppe Schillaci,
vescovo di Lamezia Terme



Avviso: I grassetto applicato al testo sono inseriti dal nostro staff ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

1. Il rendimento di grazie
Il 6 luglio scorso come Chiesa lametina abbiamo vissuto un evento di grazia con la mia ordinazione episcopale: ci siamo lasciati interpellare e coinvolgere da questo momento per interrogarci e capire meglio il nostro essere discepoli del Signore. Ci siamo proposti di guardare la realtà che ci circonda come Cristo la guarda, in particolare tutti gli uomini e le donne del nostro tempo e del nostro territorio senza cercare di escludere nessuno a priori, e quindi ascoltare come egli ascolta, e soprattutto servire come egli serve. Ad oggi ho potuto incontrare tante realtà e ascoltare molte persone. Allora voglio vivere questo Natale all’insegna del rendimento di grazie. Il Signore non ci lascia soli. Egli manifesta il suo amore per noi con la sua incarnazione che rappresenta sempre per noi un motivo di profonda riflessione, di sincera gratitudine, ma anche di una sana inquietudine, perché diventiamo sempre più discepoli di Gesù Cristo.

2. La Gioia

Non è bene che vi sia tristezza nel giorno in cui si nasce alla vita
S. Leone Magno, I Discorso nel Natale del Signore


Se come dice papa Francesco “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù” (Evangelii Gaudium 1), non possiamo non essere nella gioia, vivere nella gioia, dimorare nella gioia, che scaturisce da tale incontro, anche quando nella nostra vita sopraggiungono avversità, incomprensioni, dolori e sofferenze di ogni genere… La gioia per il cristiano è la persona di Gesù Cristo. Con Lui e in Lui nasce e rinasce la gioia! Questa gioia siamo invitati a contemplare, in particolare in questi giorni, nel mistero di un Bimbo offerto a noi nella mangiatoia. Questo è un segno che si consegna a noi nell’umiltà, mai nella potenza, nella presunzione o nell’arroganza. Si consegna a tutti, sempre, con i tratti della vicinanza e della tenerezza, non della distanza e della durezza. Davanti al Bambino di Nazareth tacciono le parole, prende forma e si manifesta lo stupore, indietreggia ogni giustificazione o autodifesa perché vengano fuori le cure e le attenzioni, svanisca la tristezza e lo sconforto, nasca la speranza e la consolazione per tutti noi, per le nostre Città, per la nostra Calabria, per la nostra Italia, per l’Europa, per il mondo intero.

3. Il Dono
Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo
Agostino, Sermone 189,4
Un bimbo ci è stato donato: è la gratuità del dono. Il Natale è l’occasione per fermarci e pensare alla verità della nostra fede, abbandonando, se fosse necessario, ogni formalismo nella nostra religiosità, per puntare sempre più all’essenzialità, alla semplicità, alla sobrietà. Il Signore nel suo Natale ci invita a non lasciarci tentare da chiusure ed esclusioni per paura di perdere comodità e privilegi, ma ci spinge a rischiare, affrontando, anche disagi e avversità. Come ricorda Papa Francesco nella sua lettera Admirabile Signum è stata propria la considerazione dei disagi della nascita di Gesù a ispirargli la realizzazione del presepio a Greccio. Scrive Tommaso da Celano, riportando le parole del Poverello di Assisi: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».
Il Natale del Signore ci richiama a riscoprire le dimensioni essenziali della nostra vita di fede senza temere di spendersi, mettendo in gioco tutta la nostra vita: rivedendo i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Lasciamoci contagiare dalla gioia che scaturisce dalla gratuità e dalla generosità di questo dono. Un dono che si moltiplica quando poniamo in essere tutte le nostre capacità di condivisione. Se partiamo dal principio che il Natale è per noi una gioia che viene incontro a noi e a tutti, senza alcun merito nostro, si dischiude dinanzi un mistero inesauribile di amore, di bontà e di grazia. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). A fronte di una mentalità che spesso tende a privilegiare interesse e tornaconto personale e che si rinchiude dentro l’orizzonte ristretto del proprio io, la gioia del Natale che ci viene incontro ci dilata il cuore, la mente e le braccia. Mettiamoci sempre più alla scuola della gratuità e della generosità che si mostra nel volto di un Bambino. Dio viene a salvarci con la dolcezza, la debolezza e l’umiltà di un bambino indifeso. Dio ama così, impariamo da lui ad amare e ad amarci, a donare e a donarci come egli ama, come egli si dona. Amare si coniuga benissimo con donare. L’amato è il donato!


4. La missionarietà
Costituiamoci in uno stato permanente di missione
Papa Francesco, Evangelii Gaudium 25
Questa gioia, che siamo chiamati a contemplare nel mistero del Natale, ci viene incontro generosamente e gratuitamente per cui non è riservata solo ad alcuni o a pochi, ma è per tutti. “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi è nato, nella città di Davide, per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 10-11). Una gioia grande che si espande, che si consegna senza escludere nessuno: è la gioia di un popolo, è la gioia grande che è per tutto il popolo. Gesù Cristo è la gioia di tutti! Una gioia che va comunicata a tutti, perché di tutti. Spinge sempre ognuno di noi ad andare oltre. Il discepolo non può tenere per sé una gioia che in sé è incontenibile e che pertanto va offerta a tutti. Il mandato missionario dei discepoli trova qui la sua ragione profonda. Dice papa Francesco: “La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria” (Evangelii Gaudium 23). Siamo ormai sempre più consapevoli che la missione non riguarda soltanto alcune persone che partono lontano per andare ad evangelizzare altri popoli (missione ad extra), ma riguarda tutti noi. Nessuno di noi pensa di annunciare ad altri se non vive. Si comunica ad altri ciò che si vive. Si evangelizza se si è evangelizzati. La trasmissione evangelica avviene per “attrazione e non per proselitismo” (Papa Benedetto XVI). In forza del battesimo tutta la comunità cristiana è chiamata ad annunciare il Vangelo, non è una riservata solo ad alcuni. Sentiamoci tutti, noi della Chiesa di Lamezia Terme, impegnati e coinvolti in questo annuncio. Accogliamo l’invito di papa Francesco: “Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una ‘semplice amministrazione’. Costituiamoci in tutte le regioni in uno ‘stato permanente di missione’” (Evangelii Gaudium, 25). Siamo chiamati ad essere sempre di più una comunità evangelizzatrice, in quanto si nutre, vive del Vangelo, non in astratto ma concretamente: “La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così ‘odore di pecore’ e queste ascoltano la loro voce” (Evangelii Gaudium, 24).


5. La nostra umanità
Basterebbe partire dal principio che ogni essere umano in sé,
prima ancora di avere dei doni e dei beni, è già un dono, è un bene in sé
Saluto del Vescovo alle autorità civili, 6 luglio 2019
Per questo ci rendiamo sempre più conto che è necessario abbandonare una certa retorica sdolcinata del Natale, soprattutto quando si pronunciano parole che non riescono a prendere corpo nei nostri vissuti esistenziali, ma rimangono relegate in un puro discorso teorico e astratto che cerca solo soddisfazione e gratificazione egocentrica. E’ mio desiderio che le nostre comunità cristiane abbiano uno stile improntato a maggiore concretezza: il mistero dell’incarnazione di un Dio che si fa uomo si manifesta al mondo, agli altri, a tutti, nella misura in cui noi come discepoli siamo capaci di assumere il medesimo stile. Diceva David Maria Turoldo: “Mi si perdoni. Le feste del Signore mi prendono tutte in contropiede, ma specialmente il Natale. Dove prende corpo, Cristo a Natale? In quale vita, in quale casa nasce, col suo carico di divino amore e di perdono e di umiltà e di servizio? Dove si fa carne e sangue per essere anima di una società nuova? Gli interrogativi potrebbero continuare. Prima di tutto per la mia stessa vita, per la gente di casa mia, per i cristiani che siamo, tutti diffidenti e preoccupati di una Provvidenza che ci mantiene gratuitamente e che pure potrebbe tagliarci subito l’aria, lasciarci tutti boccheggianti da un minuto all’altro” (La Parola di Gesù, 26). La parola si fa carne, Dio si fa uomo. Dio ha preso corpo assumendo la nostra debolezza. È Lui ad insegnarci che cosa significa farsi carico e come farsi carico quindi a non fuggire per esempio alle nostre responsabilità. Dio si avvicina a noi entrando nella nostra storia, coinvolgendosi. I padri da Atanasio in poi ci hanno insegnato che non si salva niente se non si assume. Quod non est assumptum non est sanatum. Cosa significa, ma soprattutto cosa comporta per noi oggi assumere la nostra realtà? Per noi presbiteri e diaconi, nelle nostre comunità, per noi Religiosi e religiose, per noi seminaristi, per noi fedeli tutti, uomini e donne, per noi genitori, per noi figli? Come Dio prende corpo nella nostra vita di ogni giorno, nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nelle nostre scelte?
La vita di ognuno di noi, fatta di disagi, sofferenze, malattie, fragilità, è anche la vita dentro la quale emergono risorse e potenzialità. Guardiamo dentro di noi, ma guardiamo anche fuori di noi: per esempio la bellezza del nostro territorio. Le vere risorse e potenzialità, lo sappiamo tutti, sono anzitutto gli uomini e le donne, è la nostra gente: le vere risorse siamo noi stessi!
Adoperiamoci perché nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie ci sia sempre più accoglienza, porte aperte non solo delle nostre chiese, delle nostre case, ma soprattutto della nostra mente e del nostro cuore. Non lasciamoci tentare da uno stile di vita che pensa anzitutto al proprio benessere personale, che si rifugia dentro la preoccupazione e la paura, che ci convince a dimenticarci degli altri in particolare dei più fragili, dei più deboli, dei più poveri. Non lasciamo che si affermi l’orizzonte di un pensiero unico in cui prevale l’indifferenza. Facciamo sempre in modo che ci sia meno indifferenza, non solo tra di noi, ma anche nei confronti di tutta la realtà che ci circonda, nei confronti della bellezza del nostro territorio: rispettiamo e amiamo la nostra casa comune; adoperiamoci perché ci sia sempre più meno individualismo, meno conflittualità tra di noi, ma più attenzione agli altri, più solidarietà, più compassione, più tenerezza, più vicinanza, più accoglienza nei confronti di tutti, in particolare nei confronti di chi non ha niente di niente.
In questi giorni fermiamoci a contemplare nel silenzio l’esempio della famiglia di Nazareth, lasciamoci interrogare da un mistero di amore che prende carne e sangue, che si fa gesto concreto di accoglienza profonda, di tenerezza commossa, di vicinanza responsabile, che genera processi virtuosi nella nostra terra, nelle nostre comunità, nella nostra vita.

Giuseppe Schillaci
13 dicembre 2019



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