Licata disabili derisi e picchiati:
Lettera dei vescovi Montenegro e Damiano:
“quanto accaduto non si ripeta mai più”
In merito ai tristi fatti di Licata di disabili picchiati e derisi sui social l’Arcivescovo di Agrigento, Card. Francesco Montenegro e l’Arcivescovo Coadiutore, mons. Alessandro Damiano, hanno indirizzato, in data 27 gennaio, una lettera alla Comunità di Licata che pubblichiamo di seguito. La lettera sarà letta domenica 31 gennaio 2021 al termine di tutte le Messe nelle parrocchie di Licata.
Gli arcivescovi mons. Alessandro Damiano - Card. Francesco Montenegro
“Un’ombra di tristezza copre il cielo luminoso di Licata e della nostra Diocesi. Interrogativi profondi interpellano le nostre coscienze.
I fatti sono ormai noti: un branco di tre giovani-adulti, tre padri di famiglia, ha sequestrato e torturato persone disabili, fragili, incapaci di difendersi. Il tutto è accaduto, sotto lo sguardo indifferente e il passo veloce di decine e decine di nostri concittadini.
Come definiremmo quanto accaduto? Vigliaccheria, malvagità, delinquenza, follia …
Probabilmente qualcuno la derubricherà a una «bravata di pessimo gusto»: d’altronde non è la prima volta che i forti schiacciano i deboli; né sarà l’ultima, purtroppo; così va la vita. È una scena che si ripete da secoli, anche in città ricche di cultura e di gente straordinaria.
La scena riprodotta dai social – badate bene, ad opera degli stessi torturatori che, con spavalderia e arroganza hanno ritenuto di doversi gloriare della loro bestialità – è agghiacciante: riprende vittime, carnefici, passanti indifferenti. Quelle immagini ci sbattono in faccia una triste realtà, quella dell’anestesia delle nostre coscienze. Ormai nulla più ci scuote: né i morti in mare, né i derelitti che vivono per strada, né le tragedie che si consumano nelle case accanto alle nostre, né la violenza perpetrata sotto gli occhi di tutti. Siamo davvero diventati come Caino (Gn 4,9) e quel suo «Sono forse io custode di mio fratello» è diventato purtroppo anche il nostro. È vero, potremmo dire: «Non siamo stati noi ad alzare la mano contro le vittime, non ne sapevamo nulla, non passavamo di là (anche se parecchia gente – a quanto rivelano le immagini – è passata e ha visto)» … eppure ciò non ci libera purtroppo dal peso morale di quanto accaduto. Il silenzio e l’omertà sono peccati dinanzi a Dio. Ci sentiamo chiamati in causa e chiediamo a Dio perdono per una colpa condivisa.
Questa esperienza, oltre a colpirci emotivamente, deve però spingerci al cambiamento, perché quanto accaduto non si ripeta mai più; deve convincerci che – come uomini e come cristiani – siamo realmente chiamati ad essere «custodi» gli uni degli altri, soprattutto dei più fragili e indifesi. Come comunità cattolica dobbiamo sentirci fortemente interpellati dal quel grido di aiuto rimasto inascoltato: le nostre parrocchie devono sempre più mettere al centro della propria attenzione pastorale le persone vulnerabili e quanti in questa società vivono l’esperienza della marginalità sociale.
Nei giorni in cui facciamo memoria dell’Olocausto e dell’annientamento di milioni di vite umane sotto gli occhi indifferenti di una civilissima Europa, questa triste storia recente ci richiama alla vigilanza e al risveglio della coscienza. In questi giorni di tristezza, Licata è la Diocesi intera: quanto accaduto qui avrebbe potuto accadere in tanti altri centri dell’agrigentino.
Alla comunità ecclesiale licatese chiediamo di essere per tutti noi «faro di civiltà», esempio di vita buona secondo il Vangelo, vita di inclusione, voce profetica degli ultimi.
Con amarezza e tristezza ci rivolgiamo a tutti i Licatesi, credenti e no. Se si resta indifferenti dinanzi a fatti così gravi, quale futuro consegneremo ai nostri ragazzi? E noi credenti, che forse ci siamo limitati a leggere i fatti e a fare spallucce sentendoci a posto con la coscienza, in quanto “certe cose” non le facciamo, pensiamo che l’indifferenza è già violenza e il perbenismo non è fede, anzi? C’è un’ultima grave domanda: se apparteniamo alla categoria dei borghesi e degli indifferenti, che senso ha la nostra Eucaristia domenicale? Purtroppo, noi la consideriamo un dovere, ma la Bibbia ci dice che già ora è giudizio di condanna. Con Dio non si può giocare!
Invitiamo i presbiteri a leggere questa lettera alla fine di ogni S. Messa domenica prossima e tutti preghiamo per la conversione del nostro cuore”.
(fonte: Diocesi di Agrigento 28/01/2021)
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La cronaca dei fatti
Licata, tre disabili vittima di un violento pestaggio: tre fermi per tortura e sequestro
Tre persone sono state fermate dai carabinieri la notte scorsa a Licata, in provincia di Agrigento, con l'accusa di tortura, sequestro di persona e violazione di domicilio. I tre avrebbero picchiato altri tre giovani disabili, già umiliati in altre occasioni. Una delle vittime sarebbe stata pestata con un bastone, legata con del nastro adesivo e abbandonata per strada fino a quando una donna di passaggio non l'ha liberata. I fermi di indiziato di delitto sono stati firmati dal procuratore Luigi Patronaggio e dal pm Gianluca Caputo a carico di A. C., 26 anni, G. S., 23 anni, e A. M. S., 36 anni. Entro 48 ore i pm chiederanno la convalida del fermo per i tre indagati e sarà fissata l'udienza davanti al gip.
I precedenti
A quanto emerso in precedenza le tre vittime erano state prese di mira ripetutamente e derise sui social. Erano state legate a una sedia con un secchio in testa e prese a calci e pugni, minacciate di morte, bloccate con del nastro adesivo e fatte ruzzolare in mezzo alla strada, imbrattate con della vernice sul viso. Le violenze venivano poi sempre filmate con gli smartphone e diffuse sui social con titoli di derisione.
Secondo i pm non si può escludere che la banda si sia resa protagonista di altri episodi oltre a quelli finiti al centro dell'inchiesta e gli accertamenti sono ancora in corso.
Il commento del comandante provinciale dei carabinieri
"Per strada passavano decine e decine di persone, ma nessuno s'è fermato a prestare aiuto alle vittime, portatori di handicap o incapaci di intendere e di volere - ha evidenziato il comandante provinciale dell'Arma, il colonnello Vittorio Stingo -. Non c'è stata nessuna collaborazione e questa indifferenza collettiva per la sofferenza altrui ci ha colpito. Il branco era costituito da giovani, sposati e padri di figli, che riprendevano le loro violenze con i cellulari per poi diffondere i video sui social - ha spiegato - per schernire questi soggetti deboli. Social che da mezzi di comunicazione diventano strumento di diffusione di violenza".
"Ci siamo ritrovati davanti alla 'banalità del male' perché gli indagati ridevano della sofferenza di queste persone che hanno una difesa molto più bassa trattandosi di invalidi civili e di gente che ha problemi fisici o psichici - ha detto il comandante della compagnia di Licata, il capitano Francesco Lucarelli -. E' emersa anche la cultura, come direbbe Papa Francesco, dello 'scarto'. Le vittime sono state considerate alla stregua di oggetto inutile con il quale potersi dilettare".
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(servizio di Tele Studio 98)
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