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mercoledì 31 agosto 2022

Intenzione di preghiera per il mese di Settembre 2022: Preghiamo per l'abolizione della pena di morte

Intenzione di preghiera per il mese di Settembre 2022


Preghiamo per l'abolizione della pena di morte

Nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di settembre, Francesco ribadisce l’inammissibilità della pena capitale, abolita in 170 Stati ma ancora applicata in 55 Paesi di tutti i continenti: “È moralmente inadeguata. La società non deve privare chi ha commesso un crimine della possibilità di redimersi”


Guarda il video

È un “no” senza condizioni contro la pena di morte quello che Francesco - il Papa che ha modificato il Catechismo per dichiarare tale pratica “sempre inammissibile” - torna a ribadire nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di settembre.

Chiedo a tutte le persone di buona volontà di mobilitarsi per ottenere l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Preghiamo perché la pena di morte, che attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo.

Inammissibile alla luce del Vangelo

Francesco chiama i cristiani ad una mobilitazione spirituale collettiva, per far sì che in tutti i Paesi del mondo sia sradicata questa sanzione penale che – come dice nel filmato, in spagnolo – “non offre giustizia alle vittime, ma alimenta la vendetta”. Secondo dati delle Nazioni Unite, circa 170 Stati hanno abolito la pena capitale e hanno imposto una moratoria al suo utilizzo nella legislazione o nella pratica. Molti hanno sospeso le esecuzioni per più di dieci anni. Tuttavia sono 55 i Paesi dei vari continenti dove ancora vengono giustiziati prigionieri e colpevoli di reati. Per il Papa questo è “inammissibile” alla luce del Vangelo, perché “il comandamento ‘non uccidere’ si riferisce sia all’innocente che al colpevole”.

In ogni condanna deve esserci sempre una finestra di speranza. La pena capitale non offre giustizia alle vittime, ma alimenta la vendetta. Ed evita qualsiasi possibilità di rimediare a un eventuale errore giudiziario. Dall’altro lato, moralmente, la pena di morte è inadeguata: distrugge il dono più importante che abbiamo ricevuto, la vita. Non dimentichiamo che, fino all’ultimo momento, una persona può convertirsi e può cambiare.

(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 31/08/2022)

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Ancora una volta è con un tweet che viene annunciato il video con l'intenzione di preghiera per il mese di settembre.


CARLO MARIA MARTINI: BIBLISTA, PASTORE E PROFETA di Guido Formigoni

Il 31 agosto 2022 ricorrono i 10 anni
 dalla morte del cardinale gesuita.
CARLO MARIA MARTINI: 
BIBLISTA, PASTORE E PROFETA 
di Guido Formigoni *

Pubblicato su  Jesus  agosto 2022
(Testo parziale)



Cinquant’anni da professore, venti da pastore, gli ultimi dieci da appassionato profeta del rinnovamento della Chiesa. Schematizzare così la biografia di Carlo Maria Martini è senz’altro approssimativo e limitato, ma non mi pare del tutto improprio per tenere viva la sua memoria a dieci anni dalla scomparsa. Solo però se si aggiunge subito che in tutta la sua vita queste dimensioni si rifletterono e si inseguirono l’un l’altra, intrecciandosi sempre fortemente tra di loro.


Bibbia e discernimento.
Da professore si era occupato soprattutto di Bibbia, e la centralità della Parola, nella progressiva riscoperta conciliare che coincise con la sua giovinezza e maturità, segnò un cardine permanente della sua vita. Naturalmente, si trattava di una visione della Parola incarnata nella riflessione teologica e soprattutto nella vita della Chiesa. Questa dimensione intellettuale era forte ed era percepibile in lui anche dopo il 1979 e il suo cambio di ministero. Certo, lo studio non era mai stata per lui dimensione totalizzante. Da buon gesuita, inseriva la ricerca e lo studio della Bibbia nel discernimento degli spiriti in vista della conversione della vita,
...
 Da vero intellettuale, frequentava le opposizioni e le contrapposizioni per capire meglio, per approfondire la verità (sceglierà in seguito il motto episcopale di Gregorio Magno: pro veritate adversa diligere). 

... arrivato a Milano, egli si tuffò in un’esperienza nuova, che aveva a che fare con la dimensione comunitaria, collettiva, estesa, di una diocesi, di una terra, di una realtà umana complessa. Aveva a che fare con persone concrete e con dimensioni storiche complicate e impegnative. Non vi arrivò con un progetto strutturato, o con un discorso astratto: da vero intellettuale, rifuggiva dagli schematismi. Imparò molto, ascoltò, si fece interlocutore, andò a incontri, parlò con moltissime persone. 
La sua innata timidezza non limitava questo sforzo, anzi. Allo stesso tempo, riuscì ben presto a far passare un messaggio essenziale: per riprendere qualsiasi cammino umano (e anche pastorale), occorreva andare all’essenziale cioè alla «dimensione contemplativa della vita» (titolo, come si ricorderà, della sua prima lettera del 1979). E su questo filone cominciò a svolgere il ruolo del pastore come colui che offre un filo da seguire, senza sovrapporsi alle coscienze delle persone, ma chiamando ciascuno a confrontarsi con l’essenziale. Dalla centralità della Parola all’incontro con Gesù Eucaristia, che «innalzato da terra attirerà tutti a sé», si giunse quasi per spontaneo collegamento alla riflessione sulla missione e quindi a quella sulla carità, il «farsi prossimo», frutto della conversione interiore. 

Un metodo pastorale
 Il pastore mostrò di essere rispettoso di una terra (che non conosceva, lui torinese trapiantato da tempo a Roma), della sua gente, della sua tradizione cristiana. Ma capace anche di essere esigente e richiamare un rinnovamento continuo. Alcuni gesti e iniziative simboliche catalizzarono questo suo metodo pastorale: proporre una sperimentazione, vedere gli effetti, allargarne le modalità se buone, correggerle continuamente, e poi affidarle a chi avrebbe dovuto farle diventare tessuto quotidiano di una «comunità alternativa fondata sul Vangelo». Si pensi alla Scuola della Parola per i giovani, alle Cattedre dei non credenti, alle comunità vocazionali, al grande processo suscitato attorno all’appello a Farsi prossimo. Erano segnali innovativi di metodo e contenuti, erano spunti di un modello di Chiesa nuovo, da costruire insieme. Non a caso, al termine del primo anno di episcopato, la sua lettera ai fedeli suonava già più esplicita e convinta nel disegnare un “sogno”: la intitolò Come vedo la Chiesa di domani. Una Chiesa nutrita e liberata dalla Parola, che contempla nell’Eucaristia il suo Signore e che proprio per questo non diviene serva delle strutture che usa, parla con semplicità al mondo soprattutto con i fatti, si fa portatrice di una parola incoraggiante ai poveri e a coloro che vivono le difficoltà del proprio tempo, restando attenta alla presenza dello Spirito nei segni dei tempi. Una Chiesa che forma e sospinge umilmente all’impegno e alla testimonianza senza voler esorbitare dal proprio ruolo. Tali proposte si sono arricchite in un percorso durato appunto vent’anni: si pensi alle riflessioni sugli atteggiamenti del cristiano nella fase centrale dell’episcopato (educare, vigilare, comunicare), e poi alle lettere pastorali degli ultimi anni, collegate all’intuizione di Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente che lui fece propria di un Giubileo come occasione di conversione, di approfondimento dell’incontro anche ecumenico, nell’approccio trinitario.
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Da buon gesuita, ancora una volta, Martini conosceva i limiti del cambiamento. Divenne però – volente o nolente – il rappresentante di un modello, di una visione, di una intuizione di Chiesa senz’altro diversa da quella rappresentata nel suo insieme da papa Wojtyła. Questo da una parte non poteva turbarlo, nella visione di una sinfonicità ecclesiale che rifuggisse l’unità imposta dall’alto, ma senz’altro lo preoccupava e lo metteva in difficoltà nella misura in cui scattava il ricatto morale per cui qualcuno lo accusava di scarsa fedeltà o di volontà di contrapposizione a Roma.

Parole alla città 
In parallelo e in connessione con questo scavo nell’essenzialità della vita della Chiesa, egli strutturava una riflessione magisteriale che toccava i punti più alti nel rivolgersi alla città. Il Martini che era arrivato nella metropoli lontano e distante dalla politica, dall’economia, dalle dimensioni sociologiche o comunicative umane, si mise alla scuola della realtà e riuscì come pochi a far dialogare il suo ancoraggio alla Parola con le molteplici parole umane.
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I cristiani, che erano stati decisivi nel contribuire a fondare la democrazia in Italia, non potevano ora sottovalutare il dramma della consunzione delle modalità essenziali di funzionamento della democrazia stessa, nelle nuove «pesti» moderne della corruzione e dell’indifferenza. Un allarme bilanciato peraltro dall’esortazione a coltivare il grande «sogno» del futuro, senza fuggire dalle responsabilità nel presente: ancora una volta il sogno di una Chiesa capace di essere «fermento nella società», si traduceva nella proposta alla società di cogliere l’offerta di un invito a tornare sulle proprie radici umane essenziali, frammiste al mistero della divinità che opera nella storia. L’abitudine a non separare nettamente i credenti dai non credenti, collegata a un approccio positivo a chiunque si dimostrava pensante (secondo lo schema mutuato da Norberto Bobbio) era fondamentale in questo senso. Permetteva un’apertura fiduciosa al futuro, che non prescindeva dal prendere sul serio le paure del nuovo millennio, amplificate dal terrorismo omicida dell’11 settembre, su cui l’arcivescovo aveva parole chiare quanto ardue, prendendo chiaramente le distanze da una risposta di guerra alle drammatiche sfide della violenza. Ma si pensi anche alle anticipazioni sulla grande questione dell’immigrazione, del dialogo interreligioso con l’islam, delle opportunità e dei pericoli della nuova comunicazione di massa. 

La profezia quotidiana e quella ultima 
In questa pastoralità, comunque, emergeva già netta una dimensione profetica.
Papa Francesco ha parlato di Martini come di un «padre della Chiesa» contemporaneo.
E ce n’è ben donde: nella sua visione e nel suo spendersi, traluceva in tutti i passaggi questa ispirazione profonda a essere colui che umilmente parla in nome di Dio, fa emergere la voce dello Spirito che vuole incontrare le donne e gli uomini del proprio tempo, in modo sempre rinnovato e fresco. La profezia assunse caratteri ancora più evidenti negli ultimi dieci anni di vita da arcivescovo emerito, quando Martini ha saputo alternare sapientemente silenzi e parole, con rispetto e prudenza, senza voler esorbitare dal suo ruolo, ma anche con quel tanto di maggior libertà che le sue condizioni gli garantivano. Andando a Gerusalemme, com’era da tempo suo desiderio, per riprendere gli studi biblici, ma anche per un contatto ancora più profondo con i fratelli ebrei, e nella volontà di pregare per la pace e la riconciliazione tra i popoli in uno degli angoli più travagliati della terra. La sua sollecitudine per una Chiesa che doveva vincere le paure e prendere coraggiosamente le misure delle innovazioni possibili, si intrecciava ancora con l’attitudine ad accompagnare l’esistenza umana. Soprattutto quando si pongono le domande più radicali. Le Conversazioni notturne a Gerusalemme con il confratello Sporschill restano un testo di vivido impatto ancor oggi. Ha contribuito in questo modo alla ricerca su alcuni nodi profondi del vivere cristianamente l’umanità (da un approccio non scontato alle questioni bioetiche, fino agli spunti sofferti sulla malattia e la morte). Spunti vissuti nella lunga battaglia con il male che lo accompagnava, e che proprio a lui tolse progressivamente la parola oltre alla mobilità. Come sempre, nella Chiesa, tener viva la memoria dei Padri implicherebbe fare i conti seriamente con questa eredità vivace e ricca. 

* Guido Formigoni, autore di questo articolo, è professore di Storia contemporanea e pro-rettore dello Iulm. Da studioso e dirigente dell’Azione cattolica ambrosiana, dell’Associazione Lazzati e di Città dell’uomo, ha collaborato a lungo con Martini.

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Vedi anche il nostro Speciale (in continuo aggiornamento):



martedì 30 agosto 2022

Il concistoro di papa Francesco è una sorta di anticipazione del prossimo conclave

Il concistoro di papa Francesco è
una sorta di anticipazione del prossimo conclave 


«Extra omnes!». Non riecheggerà quel «Fuori tutti!» che, secondo la prassi, sigilla i cardinali elettori dando inizio al conclave per eleggere il nuovo papa, eppure l’incontro a porte chiuse che lunedì e martedì riunisce 197 porporati e patriarchi per recepire le novità della Praedicate Evangelium – la costituzione apostolica promulgata dal papa lo scorso 19 marzo – è percepito da molti come un pre-conclave. Nella due giorni di sessioni, la chiesa gerarchica recepirà le principali novità sulla riforma della curia voluta dal papa, che ne riordina l’assetto a favore dell’evangelizzazione e di una chiesa più missionaria. 

Ma, allo stesso tempo, quelle porte chiuse sono l’altra faccia del «Tollite portas» del Giubileo celestiniano inaugurato da Francesco domenica a L’Aquila, i battenti di una chiesa sempre più incerta che deve evitare il vizio capitale della chiusura. La basilica aquilana di Collemaggio, dove il papa ha celebrato la Perdonanza celestiana, rende plasticamente l’immagine della chiesa guidata da papa Francesco: un epicentro saldato nel Vangelo in un contesto che, però, porta il segno di crepe vive e la paura di scismi. 

I cardinali riunitisi a Roma ne incarnano le sfide: c’è la chiesa tedesca che chiede a Roma cambiamenti radicali nella dottrina e quella dei vescovi repressi con durezza nel Nicaragua di Daniel Ortega. Si allunga la lista degli abusi su minori nelle chiese locali di tutto il mondo e l’esodo dei fedeli non risparmia neppure una baluardo del cattolicesimo europeo come la Polonia, dove in 30 anni ha lasciato la chiesa il 10 per cento dei cattolici praticanti. 

Omaggio ai due papi 
domenica Francesco, inaugurando il 728esimo Giubileo voluto da Celestino V – il primo papa dimissionario nella storia della chiesa – ha bussato alle porte della chiesa con un ramo d’ulivo: allo stesso modo, lunedì bussa alla chiesa con gli strumenti della misericordia e della pace. 

«Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire», ha detto nella sua omelia, arrivando ad emendare lo stesso Dante Alighieri: «Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia. Ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”. Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili». 

È questa umiltà che il papa chiede al consesso di porporati lunedì e alla chiesa che sceglierà il suo successore martedì. Per Francesco, essere umili significa anche riconoscere i segni della profezia, come fece nel 2013 papa Benedetto XVI lasciando il soglio di Pietro. Per una strana coincidenza, nel giro di 24 ore Francesco si è fatto prossimo agli unici due testimoni che, nella storia della chiesa, hanno preferito farsi da parte in nome di un bene più grande, il vivente Benedetto e il defunto Celestino sepolto a Collemaggio: «L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie» ricordava domenica Bergoglio a L’Aquila. 

Lo ha fatto anche sabato, davanti ai cardinali elettori freschi di creazione: «Un cardinale ama la chiesa, sempre con il medesimo fuoco spirituale, sia trattando le grandi questioni sia occupandosi di quelle piccole; sia incontrando i grandi di questo mondo, sia i piccoli, che sono grandi davanti a Dio».

Una chiesa fuori Roma 
Nel 2018 su Limes Giulio Albanese scriveva: «Con papa Francesco si afferma decisamente la teologia missionaria, quella del decreto Ad gentes del Vaticano II, dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI, del recupero della pervasività della parola di Dio». 

Giunto al suo ottavo concistoro e a quota 131 cardinali elettori (se si esclude l’arcivescovo ghanese Richard Kuuia Baawobr, assente per malattia), Francesco consolida una visione paolina della chiesa di Roma, in cui il processo di globalizzazione diventa trasversale a quello di inculturazione del vangelo: valgano su tutto le aperture all’Asia e alla Panamazzonia, tanto quanto la scelta di cardinali che condividono la stessa idea di chiesa. 

Sotto questa lente va vista la scelta di Robert McElroy, il vescovo di San Diego che con il suo afflato sociale erode l’austerità degli arcivescovi conservatori di Los Angeles e San Francisco, che non hanno neppure ricevuto la porpora cardinalizia. Al di là dell’equatore, un esempio su tutti è quello di Ulrich Steiner, l’arcivescovo di Manaus che diventa il primo cardinale a rappresentare la regione amazzonica, stretta fra l’ecosistema minacciato e l’escalation di violenze legate al narcotraffico. 

In ambito asiatico, l’attenzione di Francesco è sui paesi vicini alla Cina, come sottolinea via social il gesuita Antonio Spadaro celebrando la porpora di Giorgio Marengo, missionario in Mongolia. Questi due giorni di sessioni a porte chiuse saranno, così, utili ai cardinali non solo per la formazione sul testo della nuova riforma, ma anche per conoscersi meglio. In molti casi per la primissima volta.
(fonte: Domani, articolo di Marco Grieco 29/08/2022)


Alberto Pellai ECCO PERCHÉ FREQUENTARE LA MATERNA FA BENE AI BAMBINI

Alberto Pellai
 
ECCO PERCHÉ FREQUENTARE LA MATERNA
FA BENE AI BAMBINI
 
La socializzazione dopo i tre anni rappresenta un diritto e un bisogno e la scuola dell’infanzia è quindi un allenamento alla vita. Le famiglie grazie ad essa escono dall'isolamento ed entrano in una rete di legami. Inoltre, le relazioni in età prescolare sono importanti per lo sviluppo del cervello. Lo dice anche la neuroscienza (A. Pellai)


La proposta di rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia ha generato critiche da più parti. Eppure non si rivelerebbe una scelta sbagliata sotto molti punti di vista. Tra l’altro è una scelta già abbracciata in Europa da Francia ed Ungheria che hanno l’obbligo dai 3 anni e una decina circa di altre nazioni in cui l’obbligo scolastico comincia a 4 o 5 anni. Dalle esperienze di questi stati si potrebbe trarre ispirazione per comprendere i punti di forza e le eventuali criticità di una tale innovazione proposta anche per l’Italia nell’attuale campagna politica in corso.

Dopo i tre anni, i bambini devono acquisire competenze socio-relazionali. La socializzazione rappresenta al tempo stesso un diritto e un bisogno e la scuola dell’infanzia è una palestra che sa proporre un ottimo allenamento alla vita, in questo senso. Questo è tanto più vero e necessario per i bambini nati e cresciuti al tempo del covid. L’isolamento sociale prodotto dai lockdown, le reclusioni forzate, il distanziamento necessario per la prevenzione del contagio hanno ridotto in modo molto evidente le occasioni di incontro e socializzazione dei piccolissimi. Inoltre la scuola dell’infanzia propone una relazione privilegiata con adulti dotati di competenze educative. L’impoverimento delle relazioni inter-famigliari e intra-famigliari ha ridotto il numero di relazioni che i bambini più piccoli hanno con gli adulti del loro contesto di vita. Spesso, quegli stessi adulti sono molto impegnati nel tenere insieme tutti gli impegni e i doveri della loro vita. Questo implica minori possibilità di offrire ai bambini relazioni stimolanti ed esperienze efficaci dal punto di vista educativo e formativo. Nel loro essere “multitasking” gli adulti spesso si vedono – giocoforza – obbligati a coinvolgere sempre più spesso i bambini in attività mediate dallo schermo. Programmi televisivi, videogiochi, video ricreativi mostrati attraverso gli schermi di smartphone e tablet diventano spesso modalità con cui si intrattengono i bambini in età prescolare per tempi significativi nell’arco della giornata. Moltissime ricerche evidenziano come – soprattutto dopo la pandemia da covid 19 – i bambini di età 3-6 anni abbiano visto crescere in modo esponenziale il tempo trascorso davanti allo schermo con una riduzione significativa delle attività di gioco attivo, di esplorazione della natura e di contatto con gli altri bambini. Inoltre, cresce l’evidenza clinica che mostra un numero sempre maggiore di bambini con disturbi o ritardo del linguaggio. Così come la permanenza prolungata davanti ai piccoli schermi ha generato un incremento drastico di casi di miopia in età pediatrica, su scala mondiale.

Le relazioni che i bambini vivono e le esperienze che i bambini fanno in età prescolare hanno un’importanza cruciale per lo sviluppo del loro cervello. Un recente studio dei neuroscienziati pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama confrontava l’organizzazione della materia bianca del cervello di bambini che tutti i giorni vengono coinvolti in attività di lettura condivisa con quella di bambini che non vivono questa esperienza e che vengono esposti per almeno due ore al giorno in attività schermo—mediate. Inutile dire che il cervello dei primi presentava una struttura e un’organizzazione molto più regolare e più funzionale all’apprendimento (soprattutto delle competenze necessarie alle funzioni di letto-scrittura) dei secondi.

La scuola dell’infanzia obbligatoria a 3 anni potrebbe essere vista oggi come una risorsa necessaria per una generazione di bambini che in età prescolare si trova a vivere con sempre minor possibilità di contatto e relazione con bambini di pari età e a fianco di adulti sempre più impegnati. Inoltre, la scuola dell’infanzia potrebbe rappresentare un luogo in cui adulti preparati e competenti sul piano educativo permettono ai bambini di vivere una porzione significativa della propria quotidianità in un ambiente in cui le esperienze in presenza, concrete e di gioco attivo vengono favorite e incentivate permettendo ai piccolissimi di non entrare nella deriva oggi sempre più precoce e crescente che li vede fare sempre più cose davanti e attraverso uno schermo.

Infine è nella scuola dell’infanzia che moltissime famiglie con bambini piccoli escono dall’isolamento ed entrano in una rete composta da altre famiglie con cui condividere relazioni ed esperienze partecipando a quella comunità educante che senza la spinta incentivante fornita dalla frequenza scolastica non riesce a rendersi realtà concreta e partecipativa per tantissimi genitori.
(fonte: Famiglia Cristiana 25/08/2022) 


lunedì 29 agosto 2022

Prolungata per un anno la Perdonanza celestiniana

Prolungata per un anno la Perdonanza celestiniana

In occasione dell’apertura, domenica 28 agosto, della Porta Santa della basilica di Collemaggio da parte di Papa Francesco, primo Pontefice nella storia a dare il via al Perdono di Celestino V, la Penitenzieria Apostolica ha concesso ai fedeli la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria fino al 28 agosto 2023


Papa Francesco sulla papamobile davanti alla basilica di Collemaggio a L'Aquila (Vatican Media)

La visita di Papa Francesco a L’Aquila ha portato un nuovo dono agli aquilani: la Perdonanza celestiniana, iniziata ieri con l’apertura della Porta Santa della basilica di Santa Maria di Collemaggio, è stata prolungata per un anno. Viene, dunque, data, in questo modo, la possibilità di sperimentare la misericordia divina ad un numero più ampio di persone, perché cresca la devozione dei fedeli e la salvezza delle anime, dispone un apposito decreto della Penitenzieria Apostolica, datato 15 luglio. Fino al 28 agosto del 2023, infatti, fedeli e pellegrini che si recano nel luogo di culto voluto da Pietro da Morrone, potranno ottenere l’indulgenza plenaria concessa con la bolla Inter sanctorum solemnia nel 1294. Con tale bolla, detta del Perdono, Celestino V ha riconosciuto la remissione dei peccati a quanti pentiti e confessati si recano a Collemaggio, dai vespri del 28 agosto a quelli del giorno dopo, la Santa Sede ha deciso di prorogare per 365 questa possibilità. La Penitenzieria stabilisce inoltre per i fedeli che con il cuore almeno contrito avranno comunque visitato con devozione la basilica aquilana l’indulgenza parziale.

Papa Francesco davanti al mausoleo che custodice le spoglie di Celestino V

Le condizioni per ottenere l’indulgenza di Celestino V tutto l'anno

Questa sera, il vescovo ausiliare di L’Aquila, monsignor Antonio D’Angelo, chiude la Porta Santa della basilica di Collemaggio ma resta, appunto, aperta l’opportunità di ottenere l’indulgenza plenaria, per sé o per i defunti, Le condizioni sono recitare il Credo, il Padre nostro e una preghiera secondo le intenzioni del Papa, accostarsi alla confessione ed alla comunione entro gli 8 giorni precedenti o seguenti la partecipazione ad un rito in onore di Celestino V oppure dopo aver sostato in preghiera davanti le sue spoglie, custodite nel mausoleo posto a destra dell’altare centrale della basilica di Collemaggio. Gli anziani, gli ammalati e coloro che per gravi motivi non possono allontanarsi da casa, potranno conseguire l’indulgenza plenaria se, maturato il pentimento di ciascun peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, alle tre consuete condizioni, davanti ad una piccola immagine di San Pietro Celestino partecipano spiritualmente alle celebrazioni, dopo avere offerto le proprie preghiere e i propri dolori, o le sofferenze della propria vita, a Dio misericordioso.

Il saio di Celestino V custodito dalle monache benedettine celestine di L'Aquila
(fonte: Vatican News, articolo di Tiziana Campisi 29/08/2022)

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Vedi anche i post precedenti:

VISITA PASTORALE DI PAPA FRANCESCO A L’AQUILA 28/08/2022 / Seconda parte - Omelia: " Chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri..." - Angelus: "Invochiamo la Madonna affinché ottenga per il mondo intero il perdono e la pace." - Apertura della Porta Santa (cronaca, foto, testo e video)

VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A
L’AQUILA

Domenica, 28 agosto 2022

Vedi il post precedente:

Al termine, trasferimento in auto alla Basilica di Santa Maria in Collemaggio

10.00 Sul Piazzale della Basilica di Collemaggio: Santa Messa
· Omelia
· Angelus
· Rito dell’apertura della Porta Santa
12.30 Al termine, il Santo Padre si congeda dalle Autorità che Lo hanno accolto; trasferimento in auto allo Stadio Gran Sasso
12.45 Stadio Gran Sasso: decollo da L’Aquila
13.15 Atterraggio all’eliporto del Vaticano

Alla Basilica di Santa Maria in Collemaggio il Papa celebra la Messa e guida la preghiera dell’Angelus e infine celebra il rito di apertura della Porta Santa. Tutto per la 728.ma Perdonanza celestiniana che si svolge dal 23 al 30 agosto nel capoluogo abruzzese.

Chiunque entrerà nella Basilica di Collemaggio, pentito e confessato, accostandosi alla comunione e recitando il Credo, il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre, secondo le intenzioni del Papa, potrà ottenere l’indulgenza plenaria concessa da Celestino V con la bolla "Inter sanctorum solemnia", meglio nota come Bolla del Perdono. Quella di Collemaggio è di fatto "la prima porta santa al mondo".

La ricorrenza della Perdonanza a Collemaggio è "Patrimonio d'Italia per la tradizione" dal 2011 ed è stata iscritta nella "Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'umanità" dell'UNESCO nel 2019. Nessun papa, prima di Papa Francesco, era mai venuto all’Aquila ad aprire la Porta Santa tanto desiderata da Celestino V.


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SANTA MESSA

Piazzale della Basilica di Santa Maria in Collemaggio




OMELIA DEL SANTO PADRE

I Santi sono un’affascinante spiegazione del Vangelo. La loro vita è il punto di vista privilegiato da cui possiamo scorgere la buona notizia che Gesù è venuto ad annunciare, e cioè che Dio è nostro Padre e ognuno di noi è amato da Lui. Questo è il cuore del Vangelo, e Gesù è la prova di questo Amore, la sua incarnazione, il suo volto.

Oggi celebriamo l’Eucaristia in un giorno speciale per questa città e per questa Chiesa: la Perdonanza Celestiniana. Qui sono custodite le reliquie del santo Papa Celestino V. Quest’uomo sembra realizzare pienamente ciò che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore» (Sir 3,18). Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”.

Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili, non ce n’è un altro. Proprio perché sono tali, gli umili appaiono agli occhi degli uomini deboli e perdenti, ma in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà. È infatti «ai miti che Dio rivela i suoi segreti. […] Dagli umili egli viene glorificato» (Sir 3,19-20). Nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti. L’umiltà non consiste nella svalutazione di se stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie. A partire proprio dalle nostre miserie, l’umiltà ci fa distogliere lo sguardo da noi stessi per rivolgerlo a Dio, Colui che può tutto e ci ottiene anche quanto da soli non riusciamo ad avere. «Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23).

La forza degli umili è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo, i calcoli… No, è il Signore. In tal senso, Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è Misericordia. Questa è il cuore stesso del Vangelo, perché la misericordia è saperci amati nella nostra miseria. Vanno insieme. Non si può capire la misericordia se non si capisce la propria miseria. Essere credenti non significa accostarsi a un Dio oscuro e che fa paura. Ce lo ha ricordato la Lettera agli Ebrei: «Non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola» (12,18-19). No, cari fratelli e sorelle, noi ci siamo accostati a Gesù, il Figlio di Dio, che è la Misericordia del Padre e l’Amore che salva. La misericordia è Lui, e con la misericordia può parlare soltanto la nostra miseria. Se qualcuno di noi pensa di arrivare alla misericordia per un altro cammino che non sia la propria miseria, ha sbagliato strada. Per questo è importante capire la propria realtà.

L’Aquila, da secoli, mantiene vivo il dono che proprio Papa Celestino V le ha lasciato. È il privilegio di ricordare a tutti che con la misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia. Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati. Essere perdonati è sperimentare qui e ora ciò che più si avvicina alla risurrezione. Il perdono è passare dalla morte alla vita, dall’esperienza dell’angoscia e della colpa a quella della libertà e della gioia. Che questo tempio sia sempre luogo in cui ci si possa riconciliare, e sperimentare quella Grazia che ci rimette in piedi e ci dà un’altra possibilità. Il nostro Dio è il Dio delle possibilità: “Quante volte, Signore? Una? Sette?” – “Settante volte sette”. È il Dio che ti dà sempre un’altra possibilità. Sia un tempio del perdono, non solo una volta all’anno, ma sempre, tutti i giorni. È così, infatti, che si costruisce la pace, attraverso il perdono ricevuto e donato.

Partire dalla propria miseria e guardare lì, cercando come arrivare al perdono, perché anche nella propria miseria sempre troveremo una luce che è la strada per andare al Signore. È Lui che fa la luce nella miseria. Oggi, al mattino, per esempio, ho pensato a questo, quando eravamo arrivati a L’Aquila e non potevamo atterrare: nebbia fitta, tutto scuro, non si poteva. Il pilota dell’elicottero girava, girava, girava… Alla fine ha visto un piccolo buco ed è entrato lì: è riuscito, un maestro. E ho pensato alla miseria: con la miseria succede lo stesso, con la propria miseria. Tante volte lì, guardando chi siamo, niente, meno di niente; e giriamo, giriamo… Ma a volte il Signore fa un piccolo buco: mettiti lì dentro, sono le piaghe del Signore! Lì è la misericordia, ma è nella tua miseria. C’è il buco che nella tua miseria il Signore ti fa per potere entrare. Misericordia che viene nella tua, nella mia, nella nostra miseria.

Cari fratelli e care sorelle, voi avete sofferto molto a causa del terremoto, e come popolo state provando a rialzarvi e a rimettervi in piedi. Ma chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri. Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria.

Ognuno nella vita, senza per forza vivere un terremoto, può, per così dire, fare esperienza di un “terremoto dell’anima”, che lo mette in contatto con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria. In questa esperienza si può perdere tutto, ma si può anche imparare la vera umiltà. In tali circostanze ci si può lasciar incattivire dalla vita, oppure si può imparare la mitezza. Umiltà e mitezza, allora, sono le caratteristiche di chi ha il compito di custodire e testimoniare la misericordia. Sì, perché la misericordia, quando viene da noi è perché noi la custodiamo, e anche perché noi possiamo dare testimonianza di questa misericordia. È un dono per me, la misericordia, per me misero, ma questa misericordia dev’essere anche trasmessa agli altri come dono da parte del Signore.

C’è però un campanello d’allarme che ci dice se stiamo sbagliando strada, e il Vangelo di oggi lo ricorda (cfr Lc 14,1.7-14). Gesù è invitato a pranzo – abbiamo sentito – a casa di un fariseo e osserva con attenzione come molti corrono a prendere i posti migliori a tavola. Questo gli dà lo spunto per raccontare una parabola che rimane valida anche per noi oggi: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto, per favore, e tu vai dietro!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto» (vv. 8-9). Troppe volte si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo. L’uomo non è il posto che detiene, l’uomo è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce.

Il cristiano sa che la sua vita non è una carriera alla maniera di questo mondo, ma una carriera alla maniera di Cristo, che dirà di se stesso di essere venuto per servire e non per essere servito (cfr Mc 10,45). Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore. Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione e tutte queste miserie. E prendono il comando, le miserie.

Fratelli e sorelle, che L’Aquila sia davvero capitale di perdono, capitale di pace e di riconciliazione! Che L’Aquila sappia offrire a tutti quella trasformazione che Maria canta nel Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52); quella che Gesù ci ha ricordato nel Vangelo di oggi: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). E proprio a Maria, da voi venerata con il titolo di Salvezza del popolo aquilano, vogliamo affidare il proposito di vivere secondo il Vangelo. La sua materna intercessione ottenga per il mondo intero il perdono e la pace. La consapevolezza della propria miseria e la bellezza della misericordia.

Guarda il video dell'omelia

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ANGELUS


Cari fratelli e sorelle!

Al termine di questa celebrazione, ci rivolgiamo alla Vergine Maria con la preghiera dell’Angelus.

Prima però desidero salutare tutti voi che avete partecipato, anche quanti hanno dovuto farlo a distanza, a casa o in ospedale o in carcere. Ringrazio le Autorità civili per la loro presenza e per lo sforzo organizzativo. Ringrazio di cuore il Cardinale Arcivescovo e gli altri Vescovi, i sacerdoti, le consacrate, i consacrati, le famiglie, il coro e tutti i volontari, come pure le Forze dell’ordine e la Protezione civile.

In questo luogo, che ha patito una dura calamità, voglio assicurare la mia vicinanza alle popolazioni del Pakistan colpite da alluvioni di proporzioni disastrose. Prego per le numerose vittime, per i feriti e gli sfollati, e perché sia pronta e generosa la solidarietà internazionale.

Ed ora invochiamo la Madonna affinché, come dicevo al termine dell’omelia, ottenga per il mondo intero il perdono e la pace. Preghiamo per il popolo ucraino e per tutti i popoli che soffrono a causa delle guerre. Il Dio della pace ravvivi nel cuore dei responsabili delle nazioni il senso umano e cristiano di pietà, di misericordia. Maria, Madre di misericordia e Regina della pace, prega per noi!

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APERTURA DELLA PORTA SANTA

Papa Francesco ha presieduto il rito dell’apertura della Porta Santa, dando inizio così alla 728ª Perdonanza Celestiniana, l’indulgenza plenaria che Papa Celestino V ha concesso a quanti pentiti e confessati si recano nel luogo di culto dai vespri del 28 agosto a quelli del giorno dopo. Prima di compiere il gesto, Francesco ha sostato in preghiera solitaria e silenziosa davanti alla Porta, seduto sulla sedia a rotelle. Sullo sfondo, il canto delle litanie. 

Poi il Santo Padre si è alzato in piedi e con tre colpi bastone, con il bastone d'ulivo del Getsemani, consegnatogli dal sindaco dell'Aquila Pierluigi Biondi, Papa Francesco ha aperto la Porta Santa alle 11.28 in occasione della 728/a Perdonanza celestiniana.

"Apritemi le porte della giustizia" , ha detto il Pontefice prima dell'apertura secondo la preghiera rituale a cui viene risposto: "Voglio entrarvi e rendere grazie al Signore".
"È questa la porta del Signore" ha detto ancora il Papa per sentirsi rispondere: "Per essa entrano i giusti".
Dunque, le parole finali: "Entrerò nella tua casa, Signore" a cui è stato replicato: "Mi prostrerò in adorazione del tuo santo tempio".

Poi ha varcato per primo la soglia. 





Il Papa, tornato in carrozzella, si è fermato in preghiera davanti alla tomba di Celestino V. È la prima volta, in 728 anni, che un Pontefice apre la Porta Santa della basilica di Santa Maria in Collemaggio. La bolla della Perdonanza fu emessa il 29 settembre del 1294, mentre la Porta Santa, sul fianco sinistro della basilica, è stata costruita in epoca successiva e l’uso di attraversarla fra il 28 e il 29 agosto per ottenere l’indulgenza plenaria risale al XV secolo.


Guarda il video

Su questo momento tanto si è speculato nei mesi scorsi ricordando come Benedetto XVI, nella sua visita del 2009, aveva lasciato, come omaggio, sulla tomba di Celestino V il pallio che gli era stato imposto ad inizio di pontificato. Un gesto che, per molti, aveva anticipato la sua decisione del 2013, quella di rinunciare al suo ruolo.

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Al termine del rito, Francesco si congeda dalle autorità che lo hanno accolto all’arrivo e si trasferisce in auto allo Stadio Gran Sasso, da dove – alle ore 12.45 circa – parte per far rientro in Vaticano.

Guarda il video integrale

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VISITA PASTORALE DI PAPA FRANCESCO A L’AQUILA 28/08/2022 / Prima parte - Ai Familiari delle Vittime: "La morte non può spezzare l’amore... Ma il dolore c’è, e le belle parole aiutano, ma il dolore rimane. E con le parole non se ne va il dolore. Soltanto la vicinanza, l’amicizia, l’affetto: camminare insieme, aiutarci come fratelli e andare avanti..." (cronaca, testo e video)

VISITA PASTORALE DI PAPA FRANCESCO
A
L’AQUILA

Domenica, 28 agosto 2022

8.00 Decollo in elicottero dall’eliporto del Vaticano.
8.25 Atterraggio nello Stadio Gran Sasso di L’Aquila (in forma privata); trasferimento in auto a Piazza Duomo
8.45 In piazza Duomo il Santo Padre è accolto da: - Card. Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo di L’Aquila - Dott. Marco Marsilio, Presidente della Regione Abruzzo - Dr.ssa Cinzia Teresa Torraco, Prefetto di L’Aquila - Dott. Pierluigi Biondi, Sindaco di L’Aquila
Accompagnato dal Card. Petrocchi, il Santo Padre entra in Duomo per una visita privata (la Cattedrale risulta ancora disastrata dopo il terremoto del 2009)
9.15 Sul sagrato del Duomo:
· Il Santo Padre rivolge un saluto ai Familiari delle Vittime, alle Autorità e ai cittadini presenti in Piazza
Al termine, trasferimento in auto alla Basilica di Santa Maria in Collemaggio

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Il Papa a L'Aquila: siete gente resiliente, serve impegno lungimirante per ricostruire

Primo appuntamento della visita di Francesco nel capoluogo abruzzese con l'incontro, in Piazza Duomo, con i familiari delle vittime del terremoto del 2009. L'abbraccio alla popolazione che ringrazia per la testimonianza di fede e l'impegno nella "rinascita". L'appello ad avere "attenzione particolare" nella ricostruzione delle chiese, poi la denuncia: "Troppe vittime nelle carceri". Il Pontefice in visita nella Cattedrale ancora sfigurata dal sisma


Parla di speranza, di dolore e dignità, ma anche di "un impegno lungimirante" per la ricostruzione spirituale e materiale, il Papa al popolo "resiliente" de L’Aquila, che dopo circa tredici anni ancora soffre le conseguenze del terribile terremoto del 2009 che provocò oltre 300 morti e 1600 feriti. Il Pontefice è giunto intorno alle 8.30 nel capoluogo abruzzese, dove celebra oggi la Perdonanza Celestiniana, primo Pontefice ad aprire la Porta Santa dopo 728 anni. Atterrato in elicottero in Piazza d'Armi, Francesco si dirige subito verso la centrale Piazza Duomo. Il tragitto a bordo della Fiat 500L bianca è accompagnato dal canto dedicato alla Salus Populi Aquilani, la Vergine protettrice della popolazione. Ad accogliere il Papa c'è il cardinale Giuseppe Petrocchi, insieme alle locali autorità, tra cui il presidente della regione Marco Marsilio.

Piazza Duomo gremita

Tutto intorno, assiepate dietro le transenne, migliaia di persone a scattare foto dai telefonini. Sul sagrato, invece, sotto un sole timido e ai piedi del palco bianco sul quale campeggiano striscioni con scritte tratte da frasi del Papa come “Il perdono è un diritto umano” o “Il mondo ha bisogno di pace”, sventolano dalla folla le bandiere bianco-gialle del Vaticano e anche una gialla e blu dell’Ucraina. In prima fila ci sono i parenti delle vittime del terremoto che, come dice il cardinale Petrocchi nel suo saluto, ha “provocato immani distruzioni e numerosi morti”. Dietro a loro i piccoli scouts di Agesci, i membri di varie associazioni caritative, gruppi laicali, rappresentanti del mondo carcerario abruzzese, tra figure istituzionali e detenuti.

Il Papa in Piazza Duomo a L'Aquila

La gratitudine del Papa

Francesco, raggiunto il palco in sedia a rotelle, parla di un “abbraccio”, quello del Papa a “tutta la città e la diocesi dell’Aquila”. ...
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 28/08/2022)
 
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PAROLE DEL SANTO PADRE AI FAMILIARI DELLE VITTIME,
ALLE AUTORITÀ E AI CITTADINI PRESENTI IN PIAZZA

Sagrato del Duomo



Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

Sono contento di trovarmi tra voi, e ringrazio il Cardinale Arcivescovo per il saluto che mi ha rivolto a nome di tutti. Insieme con voi qui presenti abbraccio con affetto tutta la città e la diocesi dell’Aquila. Ringrazio per la vostra presenza, anche delle autorità, dei carcerati, dei bambini, di tutti: il popolo di Dio.

In questo momento di incontro con voi, in particolare con i parenti delle vittime del terremoto, voglio esprimere la mia vicinanza alle loro famiglie e all’intera vostra comunità, che con grande dignità ha affrontato le conseguenze di quel tragico evento.

Anzitutto vi ringrazio per la vostra testimonianza di fede: pur nel dolore e nello smarrimento, che appartengono alla nostra fede di pellegrini, avete fissato lo sguardo in Cristo, crocifisso e risorto, che con il suo amore ha riscattato dal non-senso il dolore e la morte. E penso a uno di voi, che mi ha scritto tempo fa, e mi diceva che aveva perso i suoi due unici figli adolescenti. E come questo tanti, tanti. Gesù vi ha rimessi tra le braccia del Padre, che non lascia cadere invano nemmeno una lacrima, nemmeno una!, ma tutte le raccoglie nel suo cuore misericordioso.

In quel cuore sono scritti i nomi dei vostri cari, che sono passati dal tempo all’eternità. La comunione con loro è più viva che mai. La morte non può spezzare l’amore, ce lo ricorda la liturgia dei defunti: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta ma trasformata” (Prefazio I). Ma il dolore c’è, e le belle parole aiutano, ma il dolore rimane. E con le parole non se ne va il dolore. Soltanto la vicinanza, l’amicizia, l’affetto: camminare insieme, aiutarci come fratelli e andare avanti. O siamo un popolo di Dio o non si risolvono i problemi dolorosi, come questo.

Mi congratulo con voi per la cura con cui avete realizzato la Cappella della Memoria. La memoria è la forza di un popolo, e quando questa memoria è illuminata dalla fede, quel popolo non rimane prigioniero del passato, ma cammina e cammina nel presente rivolto al futuro, sempre rimanendo attaccato alle radici e facendo tesoro delle esperienze passate, buone e cattive. E con questo tesoro e queste esperienze va avanti! Voi, gente aquilana, avete dimostrato un carattere resiliente. Radicato nella vostra tradizione cristiana e civica, ha consentito di reggere l’urto del sisma e di avviare subito il lavoro coraggioso e paziente della ricostruzione.

C’era tutto da ricostruire: le case, le scuole, le chiese. Ma, voi lo sapete bene, questo si fa insieme alla ricostruzione spirituale, culturale e sociale della comunità civica e di quella ecclesiale.

La rinascita personale e collettiva, dopo una tragedia, è dono della Grazia ed è anche frutto dell’impegno di ciascuno e di tutti insieme. Sottolineo quell’“insieme”: non a piccoli gruppetti, no, insieme, tutti insieme. È fondamentale attivare e rafforzare la collaborazione organica, in sinergia, delle istituzioni e degli organismi associativi: una concordia laboriosa, un impegno lungimirante, perché stiamo lavorando per i figli, per i nipoti, per il futuro.

Nell’opera di ricostruzione, le chiese meritano un’attenzione particolare. Sono patrimonio della comunità, non solo in senso storico e culturale, anche in senso identitario. Quelle pietre sono impregnate della fede e dei valori del popolo; e i templi sono anche luoghi propulsivi della sua vita, della sua speranza.

E a proposito di speranza, voglio salutare e ringraziare la delegazione del mondo carcerario abruzzese, qui presente. Anche in voi saluto un segno di speranza, perché anche nelle carceri ci sono tante, troppe vittime. Oggi qui siete segno di speranza nella ricostruzione umana e sociale.

A tutti rinnovo il mio saluto, benedico di cuore voi, le vostre famiglie e l’intera cittadinanza. Jemonnanzi!

Guarda il video

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La visita privata nella Cattedrale

Sulle note del Salve Regina, ancora in sedia a rotelle, il Pontefice si è trasferito quindi all'interno del Duomo per una visita privata in questo luogo che ancora appare sfigurato dalle ferite del sisma. Con l'elmetto di sicurezza sul capo, Papa Francesco ha salutato i pompieri e tutti coloro che si adoperano per la ricostruzione, che lo hanno accompagnato nei vari cantieri in cui si lavora per far tornare a risplendere questo antico edificio barocco.


Papa Francesco esce dal Duomo
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 28/08/2022)

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domenica 28 agosto 2022

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXII Domenica T.O.


Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli

  XXII Domenica T.O. Anno C
28 agosto 2022 


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, rivolgiamo la nostra preghiera a Dio Padre, a colui che è la nostra luce e la nostra speranza, e insieme diciamo:

          R/  Ascoltaci, o Signore

 

Lettore


- Perché i pastori della Chiesa e ogni cristiano non si lascino sedurre dalla tentazione di occupare i “primi posti” o di ricercare posizioni di privilegio e di potere, ma, sull’esempio di Cristo Gesù, con grande libertà di spirito sappiano stare all’ultimo posto come fratelli nella fede e in umanità. Preghiamo.

- Perché, assumendo la sapienza del vangelo che ci illumina nel discernimento delle complesse situazioni della vita, sappiamo stare sempre dalla parte dei poveri, degli esclusi e degli indifesi. Preghiamo.

- Perché impariamo a vivere il senso vero dell’umiltà come vocazione del cristiano, che, a motivo di Cristo, è chiamato a prendere le distanze da ogni forma di orgoglio, di egocentrismo e di autoreferenzialità, per confidare in Dio e nella sua opera di liberazione e di salvezza. Preghiamo.

- Perché, attorno alla mensa dell’eucaristia domenicale, impariamo ad abitare in questo mondo coltivando nelle relazioni e nella solidarietà il valore della gratuità che non ricerca il contraccambio. Preghiamo.

- A Dio Padre dei poveri e degli ultimi, rivolgiamo la nostra preghiera, affinché tutte le popolazioni povere della Terra, nessuna esclusa e nel rispetto della loro dignità, possano partecipare alla tavola del banchetto del mondo. Preghiamo.

- Davanti a Dio, fonte della vita, ricordiamo i nostri parenti e amici defunti e le vittime ancora colpite dal corona-virus [pausa di silenzio]; ricordiamo le vittime delle varie guerre sparse nel mondo, come pure le vittime della violenza nelle famiglie e sulle strade e nei quartieri delle nostre città. Tutti possano contemplare il Volto del Signore e riposare nella sua pace. Preghiamo.


Per chi presiede


O Dio nostro Padre, la tua grandezza si è manifestata nella scelta dei poveri e degli ultimi. Donaci la tua sapienza, affinché comprendiamo che vivere da cristiani comporta una responsabilità verso noi stessi e verso le persone più fragili. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.   AMEN.