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lunedì 31 dicembre 2018

Per non dimenticare Silvia e il missionario Gigi, due pezzi d’Italia dispersi in Africa

Silvia e il missionario Gigi,
due pezzi d’Italia dispersi in Africa

La cooperante rapita in Kenya e il religioso sequestrato in Niger: le storie da non dimenticare di due italiani di periferia


Silvia Romano e Pierluigi Maccalli, la volontaria e il missionario, l’inesperta e il veterano: due pezzi d’Italia dispersi in Africa. Rapiti a distanza di due mesi, tra il settembre e il novembre di quest’anno, da un fianco all’altro del continente, lontano dalle rotte più seguite: lei in un angolo di Kenya chiamato Chakama e lui a Bomoanga, villaggio del Niger che non trovi neanche con Google Maps. Due avamposti di umanità in mezzo al niente, scelti come luoghi di vita da due italiani di periferia: quando Silvia cominciava a camminare al Casoretto, nord-Est di Milano, padre Gigi da Madignano, nel cremasco, già si dedicava ai bambini in Costa D’Avorio. «La vita è un intreccio di due fili: gioie e pene — ha scritto padre Gigi nel messaggio di Natale del 2017 — Ma non abbandoniamo la speranza che un giorno il deserto fiorirà».

Silenzio

Salvo miracoli in questo Natale non fioriranno messaggi di speranza da Bomoanga, dove la Sma (Società delle missioni africane) ha chiuso nei giorni scorsi le sue attività spostando il personale nella capitale Niamey. E su Facebook Silvia di «Africa Milele» (Africa per sempre, in lingua swahili) non posterà immagini di sorrisi in mezzo alle acacie. Non ci sono nuove notizie sui due ultimi italiani sequestrati nel mondo. E questa è una buona ragione per parlarne.

La pista di Silvia

Silvia Costanza Romano, 23 anni, è probabilmente prigioniera da qualche parte nella zona del Tana, il fiume più lungo del Kenya. E’ possibile che i rapitori siano riusciti a superare il corso d’acqua in direzione nord, verso la Somalia dove i quaedisti di Al Shabab potrebbero usare la sua vita come merce di scambio. Ma non ci sono né conferme né smentite. Le ricerche negli ultimi giorni si sono concentrate nella foresta di Dakatcha, un centinaio di chilometri a nord del villaggio di Chakama, nell’entroterra di Malindi, dove la giovane cooperante è stata rapita il 20 novembre scorso. La polizia keniota nelle ultime due settimane ha smesso di dire che «il cerchio si stringe» intorno ai rapitori, come aveva fatto nei giorni successivi al sequestro. La taglia di 25 mila euro sulla banda, i droni usati dalla polizia e la ventina di arresti non hanno finora portato a risultati tangibili, così come le tracce sul terreno — dalla scoperta delle moto usate nella fuga alle treccine bionde di Silvia ritrovate tra i rovi — si sono esaurite. Ma il silenzio delle autorità, in Africa come in Italia, potrebbe anche essere il segno di una trattativa avviata. Certo i rapitori non sono così sprovveduti né isolati come ci avevano fatto credere i poliziotti sul posto.

Nel deserto di Bomoanga

Per Gigi Maccalli, 57 anni, le tracce si sono raffreddate assai più in fretta che nel caso di Silvia. Il missionario è stato rapito il 17 settembre da otto uomini a Bomoanga, dove viveva da 11 anni. La Missione Cattolica dei Padri Sma (con sede a Genova) si trova in zona Gourmancé, alla frontiera con il Burkina Faso. L’agenzia Fides ha fatto un quadro del luogo dove Sma è presente dagli anni ‘90: «La povertà è strutturale, i problemi di salute e igiene enormi, l’analfabetismo diffuso e la carenza di acqua e di scuole ingente. La mancanza di strade e di altre vie di comunicazione, anche telefoniche, rendono la zona isolata e dimenticata». Don Gigi era tornato da pochi giorni in quell’angolo di paradiso, dopo una visita in Italia per rivedere il fratello Walter, anche lui missionario. Ai primi di dicembre alla Sma era arrivata dal Niger una notizia confortante, anche se non corredata da prove: «Padre Gigi è vivo». Poi più nulla. I jihadisti attivi tra Burkina Phaso e Niger sono i principali sospettati per il sequestro del sacerdote italiano, in una fetta d’Africa che assai più del Kenya è lontano dai riflettori (e dal turismo) internazionali.

Stelle

Il veterano e la neofita, il missionario di lungo corso e la cooperante da pochi mesi. Gente che non gira con le guardie armate, che si fa «irretire» dai sorrisi dei bambini scalzi, nel grande gioco (e giogo) della cooperazione umanitaria specie se minuta e magari un po’ «sgarrupata». Per le celebrazioni natalizie del 2013, l’anno in cui scompariva in Siria padre Paolo Dall’Oglio, Gigi Maccalli così scriveva agli amici: «La sera, nella mia missione, alzo sovente lo sguardo verso il cielo. Oggi capisco perché ci sono tante stelle così luminose: sono le stelle degli innocenti». Comunque la si pensi sull’impegno e sull’accortezza, sulla forza e sul coraggio, nella notte di questo Natale brillano due stelle in più.
(fonte: Corriere della sera, articolo di Michele Farina del 24/12/2018)

Vedi anche il post (all'interno altri link a post precedenti):
Il volontariato di Silvia, un dono immenso... Silvia, resisti, ti aspettiamo!


Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO) - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe / C - 30/12/2018



Omelia p. Gregorio Battaglia



Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe / C - 

30/12/2018

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto

... Quella Parola che si è fatta carne sta imparando a vivere. Cosa significa? crescere da uomo, la fatica della nostra esistenza umana, vivere nella carne, nella fragilità ...

Dobbiamo imparare a vivere nei nostri limiti sapendo che lì si gioca il destino dell'uomo. Se noi impariamo nella piccolezza della nostra vita, in quel piccolo mondo che è la nostra casa, possiamo scoprire che in quel luogo noi possiamo fare nuovo il mondo, perché le nostre relazioni sono diverse, perché profumano di eternità le nostre relazioni, perché le cose di Dio, le cose del Padre le stiamo maturando dentro di noi ...

Imparare a vivere seriamente nella nostra pochezza, ma vivere intensamente quelle relazioni che costituiscono il cuore della nostra esistenza e lì dove noi impariamo quotidianamente ad accoglierci l'un l'altro noi stiamo rifacendo il mondo, lo rifacciamo non con le logiche del delirio, ma con quella logica che sa del profumo della presenza di Dio, perché si entra nella gratuità, si entra nel dono, si entra nel perdono, si entra nella misericordia ...
Il Signore ci faccia crescere come veri figli di questo Padre!

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«La famiglia è un tesoro: bisogna custodirla sempre, difenderla. La Santa Famiglia di Nazareth vi protegga e illumini sempre il vostro cammino.» Papa Francesco Angelus 30/12/2018 (testo e video)


ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 30 dicembre 2018


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi celebriamo la festa della Santa Famiglia e la liturgia ci invita a riflettere sull’esperienza di Maria, Giuseppe e Gesù, uniti da un amore immenso e animati da grande fiducia in Dio. L’odierno brano evangelico (cfr Lc 2,41-52) racconta il viaggio della famiglia di Nazareth verso Gerusalemme, per la festa di Pasqua. Ma, nel viaggio di ritorno, i genitori si accorgono che il figlio dodicenne non è nella carovana. Dopo tre giorni di ricerca e di timore, lo trovano nel tempio, seduto tra i dottori, intento a discutere con essi. Alla vista del Figlio, Maria e Giuseppe «restarono stupiti» (v. 48) e la Madre gli manifestò la loro apprensione dicendo: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (ibid.).

Lo stupore – loro «restarono stupiti» – e l’angoscia – «tuo padre e io, angosciati» – sono i due elementi sui quali vorrei richiamare la vostra attenzione: stupore e angoscia.

Nella famiglia di Nazareth non è mai venuto meno lo stupore, neanche in un momento drammatico come lo smarrimento di Gesù: è la capacità di stupirsi di fronte alla graduale manifestazione del Figlio di Dio. È lo stesso stupore che colpisce anche i dottori del tempio, ammirati «per la sua intelligenza e le sue risposte» (v. 47). Ma cos’è lo stupore, cos’è stupirsi? Stupirsi e meravigliarsi è il contrario del dare tutto per scontato, è il contrario dell’interpretare la realtà che ci circonda e gli avvenimenti della storia solo secondo i nostri criteri. E una persona che fa questo non sa cosa sia la meraviglia, cosa sia lo stupore. Stupirsi è aprirsi agli altri, comprendere le ragioni degli altri: questo atteggiamento è importante per sanare i rapporti compromessi tra le persone, ed è indispensabile anche per guarire le ferite aperte nell’ambito familiare. Quando ci sono dei problemi nelle famiglie, diamo per scontato che noi abbiamo ragione e chiudiamo la porta agli altri. Invece, bisogna pensare: “Ma che cos’ha di buono questa persona?”, e meravigliarsi per questo “buono”. E questo aiuta l’unità della famiglia. Se voi avete problemi nella famiglia, pensate alle cose buone che ha il famigliare con cui avete dei problemi, e meravigliatevi di questo. E questo aiuterà a guarire le ferite familiari.

Il secondo elemento che vorrei cogliere dal Vangelo è l’angoscia che sperimentarono Maria e Giuseppe quando non riuscivano a trovare Gesù. Questa angoscia manifesta la centralità di Gesù nella Santa Famiglia. La Vergine e il suo sposo avevano accolto quel Figlio, lo custodivano e lo vedevano crescere in età, sapienza e grazia in mezzo a loro, ma soprattutto Egli cresceva dentro il loro cuore; e, a poco a poco, aumentavano il loro affetto e la loro comprensione nei suoi confronti. Ecco perché la famiglia di Nazareth è santa: perché era centrata su Gesù, a Lui erano rivolte tutte le attenzioni e le sollecitudini di Maria e di Giuseppe.

Quell’angoscia che essi provarono nei tre giorni dello smarrimento di Gesù, dovrebbe essere anche la nostra angoscia quando siamo lontani da Lui, quando siamo lontani da Gesù. Dovremmo provare angoscia quando per più di tre giorni ci dimentichiamo di Gesù, senza pregare, senza leggere il Vangelo, senza sentire il bisogno della sua presenza e della sua consolante amicizia. E tante volte passano i giorni senza che io ricordi Gesù. Ma questo è brutto, questo è molto brutto. Dovremmo sentire angoscia quando succedono queste cose. Maria e Giuseppe lo cercarono e lo trovarono nel tempio mentre insegnava: anche noi, è soprattutto nella casa di Dio che possiamo incontrare il divino Maestro e accogliere il suo messaggio di salvezza. Nella celebrazione eucaristica facciamo esperienza viva di Cristo; Egli ci parla, ci offre la sua Parola, ci illumina, illumina il nostro cammino, ci dona il suo Corpo nell’Eucaristia da cui attingiamo vigore per affrontare le difficoltà di ogni giorno.

E oggi torniamo a casa con queste due parole: stupore e angoscia. Io so avere stupore, quando vedo le cose buone degli altri, e così risolvere i problemi familiari? Io sento angoscia quando mi sono allontanato da Gesù?

Preghiamo per tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle in cui, per vari motivi, mancano la pace e l’armonia. E le affidiamo alla protezione della Santa Famiglia di Nazareth.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

preghiamo insieme per tutti coloro che nella Repubblica Democratica del Congo soffrono a causa della violenza e dell’ebola. Auspico che tutti si impegnino a mantenere un clima pacifico che permetta un regolare e pacifico svolgimento delle elezioni. Preghiamo insieme: “Ave o Maria,…”.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini; i gruppi parrocchiali, le associazioni e i giovani. Oggi rivolgo un saluto speciale alle famiglie qui presenti. Un applauso alle famiglie che sono qui, tutte, e anche a quelle che partecipano da casa con la televisione e la radio. La famiglia è un tesoro: bisogna custodirla sempre, difenderla. La Santa Famiglia di Nazareth vi protegga e illumini sempre il vostro cammino.

Saluto i religiosi Mercedari venuti insieme con ministranti di varie parti d’Italia, come pure i fedeli di Legnaro e Gragnano. Saluto gli scout di Villabate; i ragazzi della Cresima dell’unità pastorale di Codognè (diocesi di Vittorio Veneto) e quelli di alcune parrocchie della diocesi di Bergamo: Curno, Palazzago, Gromlongo, Barzana, Almenno. E saluto questi due gruppi di suore con la bandiera spagnola e con la bandiera polacca.

A tutti auguro una buona domenica e una serena fine d’anno. Finire l’anno con serenità. Vi ringrazio ancora dei vostri auguri e delle vostre preghiere. E continuate per favore a pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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La Chiesa non è “neutrale” di Renato Sacco

La Chiesa non è “neutrale” 
di Renato Sacco 
in “Vita pastorale” n° 1 del gennaio 2019 


«La proposta di dedicare alla pace il primo giorno dell'anno nuovo non intende qualificarsi come esclusivamente nostra, religiosa cioè cattolica. Essa vorrebbe incontrare l'adesione di tutti i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria. Ed esprimersi in libere forme, congeniali all'indole particolare di quanti avvertono quanto bella e quanto importante sia la consonanza di ogni voce nel mondo per l'esaltazione di questo bene primario, che è la pace, nel vario concerto della moderna umanità...» (Paolo VI, Messaggio per la prima Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 1968). 

Pax Christi raccolse subito quell'invito e, per la notte del 31 dicembre 1968, organizzò la prima Marcia nazionale per la pace, a Sotto il Monte. E proprio nel paese natale di Giovanni XXIII s'è svolta, lo scorso anno, la 50a marcia. Quest'anno, per il primo gennaio 2019, il Papa ha scelto un titolo importante per il suo messaggio: La buona politica è al servizio della pace. Tutt'altro che scontato come messaggio! 

Viviamo in un contesto dove sembra trionfare l'antipolitica, con le considerazioni più banali e qualunquistiche che ne conseguono. Si è portati a vedere la politica soltanto come potere, come difesa di interessi particolari, fino ad arrivare alla guerra (considerata da qualcuno la prosecuzione della politica). Papa Francesco, invece, ci ricorda che la politica è la massima espressione della carità. Quando guardiamo alle vittime delle guerre, agli impoveriti, quando guardiamo per esempio allo Yemen, dov'è in atto la peggior crisi umanitaria al mondo, ci chiediamo: ma la politica cosa fa? 

E ci sono grandi responsabilità anche italiane. In Sardegna la Rwm di Domusnovas produce bombe che poi l'Italia, tramite intermediazioni, vende all'Arabia Saudita, che le usa per bombardare lo Yemen. È un esempio drammatico che interpella la politica. E che ci fa chiedere se è "buona politica". E se è "al servizio della pace". Ma interroga anche ognuno di noi. 

Il messaggio del Papa è un invito a riscoprire l'impegno politico di ogni cittadino, uomo e donna, nella costruzione della polis, per il bene comune del pianeta, per riparare ai tanti disastri umani e ambientali di cui siamo responsabili anche noi. Come si usava dire tanti anni fa: «Tutto è politica, ogni scelta che facciamo è politica». Francesco ci ricorda, però, che solo la politica "buona" è a servizio della pace. Pensiamo a tutta la situazione dei migranti, che ci tocca come italiani e come europei. 

Il messaggio della scorsa Giornata della pace, 1° gennaio 2018 era: Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace. Andrebbe ripreso ancora oggi. Anche in vista delle prossime elezioni europee. Andrebbe riletto alla luce di scelte politiche assurde, pericolose, violente e razziste cui assistiamo. Penso al decreto sicurezza: un esempio, a mio parere, di politica non buona. E non certo a servizio della pace. Di questo, forse, dovremmo interessarci e confrontarci di più. Anche all'interno delle comunità cristiane. E invece - ammettiamolo -, il tema della pace, del disarmo, dei diritti umani, della situazione pericolosa di razzismo e xenofobia che serpeggia neanche troppo velatamente anche tra molti che si dicono cristiani, non è centrale nella vita delle comunità e nelle scelte pastorali. Forse, più semplicemente, si evita di parlarne. 
Sarà, forse, per non creare "divisioni" o per "amore di comunione"? Ma, in questo modo, si lascia campo aperto alle peggiori scelte, a quanto i social vanno seminando: un misto tra bugie, insulti e odio. Nel linguaggio e non solo. 

La pace - intesa come valore globale, non solo come assenza di guerra -, non è un hobby o una fissazione di qualcuno. La pace è la buona notizia che tutti noi - uomini, donne, studenti, casalinghe, preti, laici, credenti e non credenti - siamo chiamati a seminare, percorrendo una strada certo in salita ma guidati dalla speranza. 

Don Tonino Bello, presidente di Pax Christi e vescovo di Molfetta, morto nel 1993, ogni anno incontrava i politici. A quelli assenti inviava una cassetta con la sua riflessione. Egli era solito dire: «Se Cristo è la nostra pace, allora la pace è un prodotto doc, è "made in cielo"». Sono convinto che siamo chiamati a chiedere con fermezza alla politica, italiana ed europea, che ci sia un chiaro impegno per il disarmo. Non possiamo parlare di pace in astratto e poi investire milioni di euro in armamenti. Penso agli F-35 che costano 150 milioni di euro l'uno. Penso alla nuova portaerei Trieste che ci verrà a costare circa 1,1 miliardi di euro. E l'elenco potrebbe continuare. 

Ma noi dobbiamo restare spettatori? O dire che non sono cose che ci riguardano, limitandoci ad annunciare un Vangelo disincarnato, che non diventa "buona notizia"? L'Italia non ha aderito al trattato per la messa al bando delle armi nucleari del 7 luglio 2017, all'Onu. Dobbiamo chiedere con forza al governo italiano di aderire! E sappiamo anche che sul territorio italiano a Ghedi e ad Aviano sono presenti decine e decine di testate nucleari, ben più potenti di quelle di Hiroshima. 

Papa Francesco più volte è intervenuto su questo tema. E ha convocato in Vaticano, nel novembre 2017, un convegno internazionale sul tema Prospettive per un mondo libero delle armi nucleari e per un disarmo integrale, promosso dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. «Papa Francesco è bravo», è il commento di molti. Ma poi lo si lascia solo! Ecco, allora, che ognuno è chiamato a impegnarsi nella propria realtà e nel proprio territorio. L'impegno per la pace, per il disarmo e la nonviolenza, la denuncia del razzismo e di ogni forma di odio e intolleranza non può essere assente dalla vita pastorale delle nostre comunità. Come ricordava il cardinale Lercaro di Bologna, il 1° gennaio 1968: «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia».


Vedi anche il post:



domenica 30 dicembre 2018

Don Ciotti a Villacidro: “quello che si sta facendo in Italia, quello che sta facendo la politica è contro la costituzione, quello che è stato fatto sulla pelle dei nostri migranti non deve essere rifatto sulla pelle di chi oggi chiede a noi accoglienza”

Le dure parole di Don Ciotti: 
“sulle armi (e sui migranti) in Italia c’è come un tradimento della Costituzione, 
un documento costato tanto sacrificio e dolore”




 



C’erano tanti bambini, giovani e moltissime famiglie ad accogliere oggi a Villacidro, piccolo paese del Sud Sardegna devastato dalla sete di lavoro e dalle troppe promesse non mantenute, Don Luigi Ciotti, ospite d’onore della XXXII edizione della Marcia della Pace che si tiene ogni anno durante il periodo delle feste natalizie. 
Un sacerdote, Don Luigi, da sempre in prima linea nel difendere i più poveri, gli umili, gli indifesi e gli ultimi che soffrono. Un sacerdote che viaggia da tempo sotto scorta per il suo impegno contro le mafie e che non ha mai tradito o barattato il suo impegno sociale, spesso andando contro corrente e senza preoccuparsi di chi lo minacciava. 
Tra i primi a riceverlo in piazza il vescovo della piccola diocesi di Ales - Terralba Mons. Roberto Carboni, il suo predecessore Mons. Giovanni Dettori, accolto nuovamente con genuino affetto da tanti uomini e donne di questa periferia isolana, e Don Angelo Pittau promotore e organizzatore dell’evento. Poi è stata la volta dei tanti sindaci e parroci del territorio a cui Don Ciotti ha voluto stringere la mano e scambiare qualche breve parola. 
Il lungo e colorato serpentone dei partecipanti, circa 3 mila, si è poi snodato per le strade del paese dopo un primo momento di preghiera comune guidato dallo stesso Mons. Carboni. In testa i tanti striscioni, tenuti per mano dai più giovani, dai volontari delle molteplici associazioni locali e da molti migranti che hanno trovato ospitalità in terra sarda. Striscioni e cartelli che richiamavano sempre il tema ufficiale della marcia, quell’appello alla “buona politica al servizio della pace” che Papa Francesco ha scelto come messaggio per la 52^ Giornata della Pace del prossimo 1 gennaio.
Un messaggio concreto, attuale che in questa terra, ormai ritornata ad essere triste luogo di emigrazione, si è arricchito di un eloquente sottotitolo “La buona politica per la Sardegna: solidarietà, lavoro, bene comune”. Tanti anche i dissocupati in prima fila con al proprio fianco i genitori o nonni che ancora non si vogliono arrendere alla sola idea di vedere anche il loro ultimo figlio o nipote prendere la via del mare per ritornare a sperare e poter credere in un futuro più roseo. 
Il corteo, che a ogni incrocio si è arricchito di nuovi partecipanti strappati momentaneamente alle loro attività e impegni quotidiani, ha concluso il suo tragitto in Piazza Madonna del Rosario dove sono iniziati gli interventi previsti dal programma, tutti incentrati sul tema principale senza però tralasciare quei problemi sociali che stanno a cuore della gente di tutti i giorni. Dopo il saluto dell'arcivescovo di Cagliari Mons. Arrigo Miglio e del delegato della Conferenza Episcopale Sarda per la Carità Mons. Giovanni Paolo Zedda, che ha evidenziato l’attualità del tema proposto da Papa Francesco e il suo stretto legame con quanto il Vangelo ci chiama a compiere come fedeli in Cristo, sono stati il Professor Giampiero Farru, presidente del Centro di Servizio per il Volontariato Sardegna Solidale, e il sindaco di Villacidro Marta Cabriolu a soffermarsi sui problemi reali e spiccioli di chi si trova ogni giorno difronte a una politica lontana dai cittadini. 
Volontari e primi cittadini che, sempre più in solitudine, devono ascoltare le istanze della povera gente, di chi non ha più voce o lacrime per piangere e ha bisogno di una speranza su cui aggrapparsi. Uomini e donne vittime semplici e nascoste di una politica che, sempre con maggior frequenza, non bada più al bene comune ma a uniformarsi agli slogan gridati, a ciò che impone l’economia, al senso comune del momento e alla crescente paura del diverso. 
Spunti di riflessione che hanno anticipato l’accorato intervento di Don Luigi Ciotti che, prendendo spunto dalla presa di posizione ufficiale dei vescovi sardi sulla necessità che la politica nazionale e regionale si interroghino sull’esistenza in Sardegna di fabbriche di armi che, proprio a pochi chilometri da Villacidro, sfornano strumenti di morte che uccidono ogni giorno bambini, giovani e anziani inermi in tante parti del mondo e, soprattutto, nello Yemen. Tutto sulla pelle dei lavoratori sardi che subiscono un sottile ma terribile ricatto perché costretti a fabbricare bombe e missili in silenzio perché consapevoli del fatto che per loro non ci potrà essere nessun altro lavoro nè alcun altro stipendio possibile al di fuori di quello che oggi ricevono per costruire qualcosa che provocherà solo morte e sofferenza. Su questo il fondatore di Libera è stato chiaro. La costituzione italiana, un documento costato tanti sacrifici e sofferenze al suo popolo, contiene un articolo dove è chiaramente scritto che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Proprio per questo Don Ciotti ha apertamente parlato di qualcosa che può essere inteso come “tradimento” da parte di chi dovrebbe far rispettare la costituzione perché è innegabile che “seguire ciò che chiede il mercato senza porsi il problema del depauperamento del valore umano” non è e non potrà mai essere buona politica. Questo perché “il lavoro non può giustificare la creazione di strumenti di morte per persone dei paesi sottosviluppati, ci deve essere una via di mezzo, perché il lavoro è anche dignità, e non deve essere sopraffatto da interessi che molte volte vengono curati dalle multinazionali”. 
Nel proseguo del suo applauditissimo intervento Don Ciotti non ha voluto far mancare un suo personale appello ai politici sardi, assessori e consiglieri regionali in testa, presenti sul palco quando rivolgendosi a loro ha detto “Voi che vivete in questa terra meravigliosa, voi che sapete cosa vuol dire l’accoglienza e non vi siete mai tirati indietro, pensate anche a chi viene qui a cercare accoglienza”. Poi l’affondo sul campo nazionale: “quello che si sta facendo in Italia, quello che sta facendo la politica è contro la costituzione, quello che è stato fatto sulla pelle dei nostri migranti non deve essere rifatto sulla pelle di chi oggi chiede a noi accoglienza”. Chi ha buone orecchie per intendere, intenda e chi vuol essere veramente cristiano rifletta.

(fonte testo: "Il sismografo" . articolo di Damiano Serpi 29/12/2018)

Vedi anche i post precedenti:


Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - Santa Famiglia / C





Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)







Preghiera dei Fedeli

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 7/2018-2019 (C) di Santino Coppolino


"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)


Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo: 
Lc 2,41-52



Luca, nel brano che è un anticipo del viaggio pasquale di Gesù, traccia con forza, usando la tecnica dell'inclusione, un completo disegno circa il suo futuro, rivelandoci la follia della sua sapienza che lo condurrà al dono totale di sé. Così come le fasce e la mangiatoia (2,6-7) sono speculari alla sindone e al sepolcro (24,53), ugualmente la salita della Santa Famiglia a Gerusalemme fa riferimento all'Aliyyà di Pasqua, l'ultimo pellegrinaggio che Gesù compirà nella Città Santa dove consegnerà la sua vita, e i tre giorni in cui Gesù si smarrisce e viene ritrovato, sono il preludio dei tre giorni trascorsi nel sepolcro e della sua resurrezione. Gesù ritrovato nel Tempio mentre ascolta e interroga i sapienti <<è l'icona del Crocifisso Risorto che interroga ed ammaestra i discepoli e apre loro l'intelligenza delle Scritture>> (cit.). Dopo questo evento Gesù tornerà a Nazareth, luogo della quotidianità e della vita di tutti i giorni, rimanendovi per trent'anni nel più assoluto silenzio e nascondimento. E' il mistero di una vita vissuta nella normalità, il grande progetto di Dio di assumere in pienezza la nostra povera e fragile esistenza in ogni situazione concreta. 
Proprio per questo motivo, e a ragione, l'apostolo Paolo potrà scrivere che Gesù  <<non ritenne una rapina l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di schiavo e divenendo simile agli uomini>> (Fil 2,6-7).


sabato 29 dicembre 2018

"La Famiglia di Nazaret «scuola» di amore" di p. Ermes Ronchi - Santa Famiglia di Gesù Anno C

La Famiglia di Nazaret «scuola» di amore

Commento
Santa Famiglia di Gesù – Anno C

Letture:  1 Samuele 1,20-22.24-28; Salmo 83; 1 Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52


I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. [...].

Maria e Giuseppe cercano per tre giorni il loro ragazzo: figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre e io angosciati ti cercavamo. La famiglia di Nazaret la sentiamo vicina anche per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. 

Maria più che rimproverare il figlio, vuole capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c'è sempre, e forse molto più bella e semplice di quanto temevi. Un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene – le due cose che importano ai figli – c'è un ragazzo che ascolta e risponde. Grande cosa il dialogo, anche faticoso: se le cose sono difficili a dirsi, a non dirle diventano ancora più difficili. 

Non sapevate che devo occuparmi d'altro da voi? I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, è come fermare la ruota della creazione. Non lo sapevate? Ma come, me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce: alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.

Ma essi non compresero. E tuttavia Gesù tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. C'è incomprensione, c'è un dolore che pesa sul cuore, eppure Gesù torna con chi non lo capisce. Afferma: Io ho un altro Padre e tuttavia sta con questo padre. E cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi i tre, sono profeti, eppure non si capiscono. 

E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? Si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà del mio uomo o della mia donna, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei genitori. 

Gesù lascia il tempio e i maestri della Legge e va con Giuseppe e Maria, maestri di vita; lascia gli interpreti dei libri, e va con chi interpreta la vita, il grande Libro. Per anni impara l'arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere. Da chi imparare la vita? Da chi ci aiuta a crescere in sapienza e grazia, cioè nella capacità di stupore infinito. I maestri veri non sono quelli che metteranno ulteriori lacci o regole alla mia vita, ma quelli che mi daranno ulteriori ali, che mi permetteranno di trasformare le mie ali, le cureranno, le allungheranno. Mi daranno la capacità di volare. Di seguire lo Spirito, il vento di Dio. La casa è il luogo del primo magistero, dove i figli imparano l'arte più importante, quella che li farà felici: l'arte di amare. 


NATALE 2018 - "Natale non smetterà di stupirci per l'amore che rivela ... La forza viene dalla Parola che si fa carne. "Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna

NATALE 2018
"Natale non smetterà di stupirci per l'amore che rivela ... 
La forza viene dalla Parola che si fa carne. "
Mons. Matteo Zuppi,
Arcivescovo di Bologna




Omelia 
Santa Messa della Notte di Natale
in Cattedrale - 24 Dicembre 2018







"Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama". 
Cielo e terra finalmente uniti. Natale non smetterà di stupirci per l'amore che rivela: 
Dio, il più grande, si consegna interamente agli uomini. 
Non è una pausa di buoni sentimenti in un tempo incattivito e duro, segnato da aggressività di uomini che sprigionano scintille di giudizi che se non spente possono causare incendi pericolosi e ferite profondissime! Natale non evita le difficoltà della vita vera. Anzi, ci sveglia dal sonno dell'indifferenza e possiamo viverlo solo scendendo con Dio nell'umile realtà della vita. 
E' Vangelo, non narcotico. E' luce nelle tenebre, non fuga in un mondo che non esiste.
 Avviene in uno sconvolgimento della vita ordinaria causato dal decreto di colui che era ritenuto Dio e che disponeva della vita degli uomini, Augusto. Le cose grandi sembrerebbero le sue, non quelle di un bambino figlio di un uomo e una donna costretti a mettersi in cammino dalla loro casa per andare a farsi censire. Anche noi viviamo in un tempo di tanta incertezza, disorientati adoratori di un benessere che non mantiene le promesse, impauriti del futuro perché abbiamo nel cuore poca speranza, ridotta ad illusione o vago ottimismo. Natale ci spinge a metterci in cammino con Maria e Giuseppe. Essi non si fanno condizionare dalle avversità; non diventano vittimisti, capaci solo di lamentarsi, come quei profeti di sventura, "sebbene accesi di zelo per la religione", che non sono capaci di vedere altro che rovine e guai, "che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo" e non credono nei "misteriosi piani della Divina Provvidenza" che con sapienza dispone, "anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa". 
Maria e Giuseppe non si fanno dominare dalla rabbia e con questa giustificano l'aggressività e il rozzo pensare a sé. Essi affrontano l'insicurezza, i rischi, la fatica, l'amarezza di non trovare un posto per loro, l'umiliazione di essere costretti fuori; non evitano i problemi; si sacrificano e non salvano se stessi perché hanno la forza che vince la paura. Infatti essi ascoltano e mettono in pratica la Parola che l'angelo aveva rivolto loro. La forza viene dalla Parola che si fa carne. La forza è l'amore per quel bambino che l'angelo aveva loro affidato. Padre, madre, fratello, sorella di Gesù non sono quelli che sanno dire "Signore Signore", magari con cura ossessiva per la corretta forma, ma non lo conoscono perché osservano le regole ma non il suo amore. Familiari di Gesù non sono coloro che pensano di difenderlo rendendolo una legge, ma chi ascolta e mette in pratica la Parola e accoglie il Verbo che si è fatto carne, storia, presenza. Questa è la gioia del Natale.
Questa notte la comprendiamo solo con l'intelligenza dei bambini, perché questo bambino ci rende figli, come siamo. Essi non capiscono meno, ma di più. Come bambini non abbiamo le risposte per tutto, ma accogliamo Colui che è il senso di tutto
Siamo semplicemente amati da Dio e ci commuove la sua tenerezza così eloquente in questa notte santa che ci rende santi non per le nostre presunte perfezioni ma solo perché suoi! Quanta gioia gli dobbiamo per l'amore che ci mostra, dal quale non dobbiamo difenderci, che non meritiamo e che scioglie le nostre diffidenze e i grumi del nostro peccato. 
Il suo è un amore benigno, che cerca il bene e non è prigioniero del male.
Non disprezziamolo giudicandolo troppo poco per il mondo! 
Gesù bambino è Dio che ci cerca e dal quale possiamo non scappare più come fece Adamo, peccatori come siamo, perché non si vergogna della nostra umanità e ci rende di nuovo come è Lui. Siamo "sotto il cono della sua luce, illuminati dall'effusione dei suoi raggi, che ci scrutano per metterci davanti a lui, proprio perché Gesù è venuto per volerci bene", diceva San Paolo VI. E' venuto non per chiedere, ma per dare. E' venuto per essere pane e nutrimento dell'uomo; è venuto per amarci e essere riamato, per chiederci la nostra persona, la nostra anima, non per rubarcela, non per renderci schiavi, "non per farci perdere come oggi si dice con linguaggio solenne la nostra personalità, ma per darci invece una felicità completa".
Come resistere davanti a un amore così? Questa notte troviamo pace e gioia vere, quelle che ogni uomo e il mondo intero cerca con ansia. Ci è tanto necessario un Natale vero, perché abbiamo sete di speranza, sgomenti per la capacità degli uomini di fare il male e di diventarne complici, inquieti nel vedere come si possono perdere i sentimenti di umanità, tanto da cercare quello che divide e, incredibilmente, mettere da parte quello che unisce! 
Andiamo anche noi a Betlemme. I pastori, ignoranti e poveri come erano, ascoltarono le parole degli angeli e si misero in cammino. Era buio. E' di notte che bisogna credere alla luce! L'amore non lo troviamo nelle soluzioni luccicanti, che si impongono da sole, che crediamo definitive e vogliamo poco impegnative. I pastori andarono senza indugio. C'è fretta di trovare la luce. Chi è nel buio sa quanto è importante la luce! Betlemme la troviamo dov'è Maria e Giuseppe, la sua famiglia, la sua comunità che lo genera nel mondo. E' una madre che non corre dietro le mode del mondo, eppure parla a tutti i cuori nella lingua che tutti comprendono quella del bambino che nasce. Non umiliamola con il nostro orgoglio, con la freddezza, con la presunzione delle nostre verità, disprezzandola con le divisioni o lasciandola sola. Rendiamola forte con la nostra santità perché in ogni comunità, piccola o grande, tanti possano vedere la luce che libera dall'ombra di morte, il sole che illumina le tenebre, Cristo. 
La Betlemme spirituale e umana della Chiesa ci spinge verso quella ugualmente spirituale e umana dei fratelli più piccoli di Gesù, i poveri. Non la troviamo lontano da noi ma in ogni luogo segnato dalla solitudine, povero di umanità. Betlemme la troviamo in un letto di sofferenza dove molti sono contenuti, lasciati troppo soli da uomini che non hanno tempo per loro e scappano perché la debolezza mette paura. Betlemme è una capanna dell'Africa, dove tanti condannati a morte attendono la grazia delle medicine. Troveremo Betlemme preparando "un posto" per chi è come Gesù, senza. Ecco perché Natale ci può rendere davvero più buoni: perché ci fa sentire quanto siamo amati al di là di ogni merito e ci spinge a non avere paura di amare, costringendoci tutti a chinarci sulla vita vera e a scegliere di prenderla con noi. Buono non è un sentimento sdolcinato, a poco prezzo, superficiale. Buono è chi difende la vita anche quando non conviene, e la difende con tutta la forza, l'intelligenza, la libertà, la passione dell'amore. Prendiamo con noi questo bambino, segno della benignità di Dio e ci aiuterà a guardare il mondo con occhi diversi e a scoprine la bellezza. Scaldiamo lui per non essere freddi; amiamolo perché sciolga il nostro peccato; regaliamogli tutto, perché ci fa ricchi del suo amore infinito. Ascoltiamolo per imparare a parlare; adottiamolo, perché lui ci generi a figli. Facciamogli posto nel nostro cuore e nelle nostre case per riempire i tanti vuoti di amore. Iniziamo semplicemente a dire a lui ed al nostro prossimo "ti voglio bene". E con Lui anche nell'oscurità grande delle notti della sofferenza vedremo la gloria di Dio e sapremo riconoscere la bellezza del creato e delle creature, tutte, perché tutte amate da Dio. Pace in terra agli uomini che Egli ama. 
Pace a me amato da Lui.


Solo accogliendo si diventa figli di Dio! 
Dobbiamo crescere in umanità per superare le nostre paure 
Insieme ai poveri capiamo che cosa stiamo a fare in questo mondo … 
e con Gesù bambino, che non trova posto, 
troviamo il nostro posto in questo mondo, 
dando posto agli altri troviamo posto anche per noi 
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Omelia veglia notte di Natale presso la stazione - 24.12.2018

A Villacidro. La Sardegna con don Ciotti marcia per la pace e chiede lavoro, solidarietà, giustizia


A Villacidro. La Sardegna marcia per la pace 
e chiede lavoro, solidarietà, giustizia

Adulti, bambini, giovani, anziani, sacerdoti, amministratori. Insieme per valorizzare i rapporti sociali e tradurli in impegno personale e collettivo per il bene di tutti

In marcia per la pace

Si mobilita per la pace, la Sardegna. Ferita dalla disoccupazione, dall’inverno demografico e dalla piaga sempre più dolente del business della armi da guerra, in mano al colosso tedesco Rwm che opera sul territorio. Piaga su cui – non è un caso – appena due giorni fa i vescovi sardi sono tornati alla carica, nel messaggio scritto per calare nella loro realtà il messaggio di papa Francesco per la Giornata della Mondiale della Pace, e accompagnare la XXXII Marcia regionale della Pace in programma a Villacidro oggi e intitolata "La buona politica per la Sardegna: solidarietà, lavoro, bene comune".

La mobilitazione parte dalla diocesi di Ales-Terralba, con la Caritas in prima linea . «Oggi le diseguaglianze sono sempre più forti e le guerre si susseguono per mantenere il potere, per aumentare i guadagni. La Chiesa, ma anche ogni uomo di buona volontà "giusto", non devono avere paura della politica – dice il direttore don Angelo Pittau direttore della Caritas diocesana –: papa Francesco ci spinge all’audacia di operare per la costruzione di un "regno", in cui giustizia e pace si intrecceranno». Anche la Sardegna, aggiunge don Pittau, «ha bisogno della buona politica per ravvivare la speranza nel suo popolo».

«Facendo nostro l’appello del Papa lo coniughiamo – dice il vescovo di Ales-Terralba, padre Roberto Carboni – con la realtà della nostra regione. In questo senso il primo passo è la solidarietà a tutti i livelli (tra famiglie, tra giovani e adulti, tra territori, tra città e borghi), che valorizza i rapporti sociali e si traduce in impegno personale e collettivo per il bene di tutti. Il secondo è operare per assicurare il lavoro, diritto fondamentale per ciascuno, che ci porta a un nuovo sviluppo della promozione umana, che ci restituisce la nostra dignità. Infine – aggiunge il vescovo Carboni – impegniamoci, iniziando da coloro che fanno politica, per il bene comune, frutto anch’esso della solidarietà e del lavoro».

I partecipanti – ne sono attesi migliaia da tutte le zone del Medio Campidano e della Marmilla, con delegazioni di altre diocesi, e rappresentanti del mondo politico, sindacale e delle organizzazioni del volontariato che fanno capo a "Sardegna Solidale" – marceranno insieme dalle 15 in avanti a Villacidro, il centro più popoloso (14mila abitanti) della diocesi alerese. La scelta non è casuale: «Villacidro è scivolata dal sogno della rinascita, del lavoro e del benessere, a un oggi senza speranza, con le fabbriche chiuse e la disoccupazione a due cifre – continua don Pittau –. Abbiamo scelto questa cittadina per restituire sogni e speranza alla sua gente e simbolicamente a tutti i paesi della nostra diocesi». Un territorio che di speranza ne ha bisogno: da alcuni anni, infatti, il Medio Campidano occupa gli ultimi posti nella graduatoria delle province italiane più povere.

«Noi amministratori siamo chiamati a fare buona politica, cioè fare ciò che è giusto, ma che, talvolta, potrebbe non essere in linea con le aspettative. buona politica – spiega la sindaca di Villacidro, Marta Cabriolu –: significa agire per il benessere dei cittadini, favorire occasioni di confronto, in modo tale che essa riesca ad avvicinarsi sempre più ai bisogni della comunità. La pace sociale si raggiunge mettendo da parte ogni egoismo e mettendo i cittadini al primo posto».

La marcia e la manifestazione non saranno monopolio degli adulti. Significativo il coinvolgimento di giovani e fanciulli. Stamattina, nell’ambito dell’iniziativa "Bambini anche noi per la pace", appuntamento con gli alunni della scuola dell’infanzia e primaria, che con una colomba di carta in mano, in corteo, raggiungeranno il municipio dove saranno accolti dalla sindaca Marta Cabriolu per i saluti finali. Ai giovani si parla anche col il linguaggio dei social, delle immagini e della multimedialità: per loro è stato promosso il concorso fotografico "Raccontateci la vostra Marcia della pace", aperto a tutti i gli under 20che attraverso un selfie di gruppo documenteranno la Marcia scegliendo posa, scenario, colori che descrivano al meglio il messaggio di pace e il tema dell’iniziativa.

Testimonial della manifestazione don Luigi Ciotti. «La Marcia per noi – dice Giampiero Farru, presidente dell’Associazione Sardegna Solidale – conclude il viaggio "Libera idee" nell’isola, finalizzato a conoscere, allargare la rete, rinnovare l’impegno civile contro le mafie e la corruzione».
(fonte: Avvenire, articolo di Mario Girau 28 dicembre 2018)


In 2000 a 32/a Marcia della pace

Don Ciotti contro fabbrica bombe, "lavoro è dignità"


Poco meno di 2000 persone, molti migranti, moltissime associazioni e tanti cittadini hanno sfilato per le strade di Villacidro per la 32/a Marcia della Pace promossa dalla Caritas diocesana di Ales-Terralba, dalla delegazione regionale Caritas Sardegna e da Sardegna Solidale. Il tema principale è quello della 52° Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1 gennaio 2019: "La buona politica al servizio della Pace", mentre il sottotitolo scelto per la marcia a Villacidro "La buona politica per la Sardegna: solidarietà, lavoro, bene comune" è diventato l'argomento dei vari interventi che si sono susseguiti sul palco allestito in piazza Madonna del Rosario. Tra i partecipanti il fondatore di Libera, Don Luigi Ciotti.

Tra i tanti a parlare l'arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio e il vescovo di Iglesias e delegato regionale della Caritas, Giovanni Paolo Zedda. "La pace è da ricercare e costruire continuamente - ha detto Zedda - giorno per giorno. La politica deve avere un ruolo importante: non può delegare la costruzione della pace". Proprio al mondo politico si è rivolto don Luigi Ciotti nel suo intervento. "Voi che vivete in questa terra meravigliosa, voi che sapete cosa vuol dire l'accoglienza e non vi siete mai tirati indietro, pensate anche a chi viene qui a cercare l'accoglienza. Quello che si sta facendo in Italia, quello che sta facendo la politica è contro la costituzione. Quello che è stato fatto sulla pelle dei nostri migranti non deve essere rifatto sulla pelle di chi oggi chiede a noi accoglienza".

Don Ciotti, che durante il suo lungo intervento si è soffermato a lungo sul concetto di speranza "che restituisce dignità ai popoli che vivono in stato di sopraffazione", si è schierato contro la fabbrica di bombe a Domusnovas. "Il lavoro non giustifica la creazione di strumenti di morte per persone dei paesi sottosviluppati - ha evidenziato -. Ci deve essere una via di mezzo, perché il lavoro è anche dignità, ma non deve essere sopraffatto da interessi che molte volte vengono curati dalle multinazionali".
(fonte: ANSA)

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venerdì 28 dicembre 2018

I Vescovi della Sardegna con Papa Francesco per la Pace


Con Papa Francesco per la Pace


Alla luce del Natale del Signore vogliamo accogliere con particolare attenzione il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2019: La buona politica è al servizio della Pace. 
Oggi, anche nella nostra Regione, abbiamo bisogno di una buona politica che faccia crescere il lavoro, un “lavoro libero, creativo solidale e partecipativo”. Un lavoro degno, che permetta ad ogni lavoratrice e lavoratore di tornare a casa ogni sera con la soddisfazione di aver guadagnato un pane dignitoso e di aver contribuito al progresso della società. Un lavoro che possa far crescere e consolidare la Pace, rispettoso della vita umana e della salvaguardia del creato, come abbiamo richiamato nel nostro messaggio di ottobre 2018, ad un anno dalla Settimana Sociale di Cagliari. La produzione e il commercio delle armi non contribuiscono certo alla Pace, anche se occupano molte persone e collocano in alto l’Italia nella classifica dei fabbricanti di armi. La Chiesa ha sempre sostenuto con fermezza che “la vendita e il traffico di armi costituiscono una seria minaccia per la Pace” (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 511). Nel mondo invece crescono sempre più le spese militari e si registrano ancora tanti “conflitti dimenticati”: lo scorso anno sono stati 378, sparsi in diverse parti del pianeta, di cui 20 classificati come guerre ad elevata intensità.

La gravissima situazione economico-sociale non può legittimare qualsiasi attività economica e produttiva, senza che se ne valuti responsabilmente la sostenibilità, la dignità e il rispetto dei diritti di ogni persona. In particolare non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente genera morte. Tale è il caso delle armi costruite nel nostro territorio regionale e usate per una guerra, che ha causato e continua a generare nello Yemen migliaia di morti, per la maggior parte civili inermi. Un business tragico che sembra non avere nessun colpevole, poiché i vari Paesi interessati si scaricano a vicenda le responsabilità. La questione diviene ancor più lacerante, sotto il profilo etico e socio-economico, poiché tale produzione avviene in un territorio, il nostro, tra i più poveri del Paese, ancora privo di prospettive per il lavoro. Cosi ai nostri operai si offre uno stipendio sicuro, ma essi devono subire l’inaccettabile per mancanza di alternative giuste e dignitose.

Scriveva il Servo di Dio don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, nella sua “Lettera al fratello che lavora in una fabbrica di armi”: “Certo, se io fossi coraggioso come Giovanni Paolo II, dovrei ripeterti le sue parole accorate: “Siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita!”. Ma, a parte il debito di audacia, debbo riconoscere che il Papa si rivolgeva agli scienziati. I quali, di solito almeno economicamente, hanno più di una ruota di scorta. Tu invece ne sei privo. E anche le ruote necessarie, se non sono proprio forate, hanno le gomme troppo lisce perché tu possa permetterti manovre pericolose. Non ti esorto perciò, almeno per ora, a quella forte testimonianza profetica di pagare, con la perdita del posto di lavoro, il rifiuto di collaborare alla costruzione di strumenti di morte. Ma ti incoraggio a batterti perché si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell’industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita. È un progetto che va portato avanti. Da te. Dai sindacati. Da tutti”.

Sentiamo il dovere di dire no a tutto il business delle armi, in Sardegna e nel Paese intero. Chiediamo un serio sforzo per la riconversione di quelle realtà economiche che non rispettano lo spirito della nostra Costituzione (art. 11), del Trattato sul commercio delle armi dell’ONU del 2 aprile 2013 (Arms Trade Treaty – ATT), ratificato dall’Italia come primo Paese UE, e della legge italiana 185/1990, che proibisce esportazione e transito di armi “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. È compito di tutti studiare con serietà, impegno e profondo senso di responsabilità la possibilità di un lavoro dignitoso per gli operai attualmente impegnati in tali attività. In questa direzione vogliamo sollecitare in ogni modo le migliori risorse della nostra terra: le Autorità istituzionali Comunali, Regionale e Nazionale, l’Università e la Scuola, il Mondo imprenditoriale, economico e della cultura, le associazioni dei Lavoratori, la Società civile in ogni sua componente. L’impegno per la riconversione delle industrie della morte non può essere solo il grido appassionato e sicuramente profetico di quanti sentono con particolare passione la necessità di coltivare la Pace. Può sembrare utopia, ma sappiamo che quando tale impegno è stato assunto da persone di buona volontà si è dimostrato realizzabile e fecondo. Come Chiesa dobbiamo e vogliamo lavorare soprattutto per la formazione delle coscienze e per ricordare a tutti il dovere del rispetto dei diritti di ogni uomo e di ogni donna, a qualunque Paese appartengano. C’è bisogno della preghiera e della responsabilità di tutta la comunità cristiana, c’è bisogno dell’impegno di ogni cittadino e di tutti i rappresentanti delle istituzioni cui stia veramente a cuore il bene comune.

Il messaggio di Papa Francesco per la LII Giornata Mondiale della Pace ci ricorda che la responsabilità politica appartiene ad ogni cittadino, e in particolare a chi ha ricevuto il mandato di prendersi cura del bene comune attraverso l’impegno nelle istituzioni. Questa missione consiste nel salvaguardare i diritti, rispettando i doveri nei confronti della giustizia sociale planetaria, e incoraggiando il dialogo tra gli attori della società, tra le generazioni e tra le culture: “Celebriamo in questi giorni il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ricordiamo in proposito l’osservazione del Papa San Giovanni XXIII: «Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli»” [Pacem in Terris 24].

Siamo pertanto chiamati tutti a portare e ad annunciare la Pace come la buona notizia di un futuro dove ogni vivente verrà considerato nella sua dignità e nei suoi diritti.

Cagliari, 28 dicembre 2018

I Vescovi della Sardegna



Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO) - Natale del Signore - Messa del giorno - 25/12/2018


Omelia p. Gregorio Battaglia


Natale del Signore
- Messa del giorno - 

25/12/2018

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto

Oggi per noi cristiani è davvero il grande giorno perché ci ricorda il grande mistero del Dio che si china su di noi ... il nostro Dio prende l'iniziativa e discende in mezzo a noi e abbraccia la nostra umanità e direbbe tutta la grande tradizione antica questo è il grande scambio, Lui prende da noi la nostra umanità per arricchire noi della sua divinità, è come se tra cielo e terra ormai non c'è più nessuna distanza ...


Il segreto della vita è in quel Bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia ... questo segno diventa per noi il segreto di reimpostare la nostra vita ... in questo atteggiamento di colui che si consegna, in questo Bambino messo nelle nostre mani e che si sta consegnando dicendo: ecco la vita impara anche tu a fare in modo che la tua esistenza possa essere questa offerta, questo dono ...

Quando noi saremo capaci di fare il suo gesto, di fare del nostro corpo, della nostra vita un dono in pienezza, una consegna, così come Lui si sta consegnando a noi, lì davvero nessuno ci può rubare la vita perché quella è una vita che non muore più, è una vita che nemmeno la morte può afferrare... perché siamo già nel grembo di Dio. E sia questa la luce che ci possa accompagnare in questo nuovo anno che sta per iniziare, dietro a Gesù imparare il segreto vero della vita!

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