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mercoledì 19 aprile 2023

Oggi si può ancora parlare di “guerra giusta”? - Vittorio Rocca (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
promossi dalla
FRATERNITÀ CARMELITANA
DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO


SE VUOI LA PACE,
DISARMA LE RELAZIONI
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Settimo Mercoledì - 22 marzo 2023

Oggi si può ancora parlare 
di “guerra giusta”? 

  Vittorio Rocca

 (VIDEO INTEGRALE)




1. Per iniziare

Come è stato possibile che dopo duemila anni di cristianesimo l’Europa sia piombata nella notte oscura di una guerra così devastante? Come è stato possibile che in questi duemila anni di cristianesimo la storia dei popoli europei sia stata tanto ricca di guerre e tanto povera di pace? Dobbiamo forse risponderci che la diplomazia e il realismo politico (quando non una colpevole complicità) sono stati più forti della spinta profetica e che il vangelo della pace non è stato annunciato. Dobbiamo forse risponderci che una teologia della pace non può limitarsi a regolare moralmente i criteri di una presunta legittimità di un intervento armato, ma proporsi come un’interpretazione globale di tutto il mistero della redenzione che si misura con la crudezza della realtà e con la sua capacità o incapacità di entrare nella storia. È questa la strada che mi sembra necessario anche oggi provare a percorrere.

Dinanzi alle stragi umanitarie non solo di questa guerra in Ucraina ma di questi ultimi decenni, occorre chiedersi se si può rifiutare in modo assoluto il ricorso ai mezzi militari, oppure pensare all’accettazione (certo molto condizionata) di una possibile legittimità dell’intervento umanitario, anche di carattere armato, per impedire che i diritti umani di una popolazione innocente siano gravemente calpestati da tiranni senza scrupoli. Questo dissidio è certamente molto interessante, nel rapporto dialettico tra due esigenze di fondo che non sempre è facile tenere insieme. Nella concezione cristiana, infatti, è estremamente chiara l’assolutezza (o piuttosto la necessaria progressiva assolutizzazione) del «non uccidere», come precetto fondamentale del vivere sociale ma, ancor più in profondità, come fondamento stesso della moralità. Contemporaneamente, però, troviamo l’appello alla responsabilità e all’obbligo di proteggere la vita che è minacciata, in un contesto storico-culturale in cui le soluzioni nonviolente non sono ancora sempre efficaci o concretamente realizzabili.

In fondo, riuscire a risolvere questa tensione (vista la potenza distruttiva delle armi moderne, che non donano una seconda chance) è proprio l’obiettivo della riflessione etica in questo campo. Come credenti dovremmo essere animati da un vero ottimismo antropologico, che ci porta a credere che l’umanità possa progressivamente dotarsi di strumenti etici, giuridici, sociali e culturali per un abbandono definitivo di ogni ricorso alla forza armata. Anzi, il tempo verrà (o meglio dovrebbe venire) in cui tutto ciò sarà superato e lo strumento culturale e provvisorio della guerra sarà sostituito da altri mezzi che, pur non essendo perfetti, saranno oggettivamente nonviolenti o, almeno, sempre meno violenti. Ora è il tempo di cominciare a costruire seriamente questa strada di sviluppo umano, sebbene nelle nostre condizioni attuali, in fieri, non possiamo ancora escludere del tutto, almeno a priori, la legittimità di un ricorso alla forza delle armi (se autorizzato da un’autorità internazionale ed imparziale), per proteggere l’innocente o per prevenire gravi abusi nei confronti del bene comune. La guerra è una minaccia che può essere eliminata dal mondo degli uomini; il diritto alla legittima difesa armata, però, non può essere messo radicalmente in discussione, nemmeno dal punto di vista teorico
...
Occorre un sentire sociale nuovo, che rifiuti di legittimare atteggiamenti e prassi ispirati alla contrapposizione e alla violenza: da quelli presenti nel linguaggio e nei comportamenti quotidiani a quelli riguardanti i rapporti tra gruppi e nazioni. È illusorio pensare di poter dire un convinto e costruttivo no alla guerra quando gli stili di vita non si lasciano plasmare dalla logica della reciprocità, del dialogo, del camminare insieme.

Ogni guerra nasce da un’ingiustizia, ogni guerra, comprese quelle che a volte si fanno nelle nostre famiglie e comunità, che si combattono o che si fanno in silenzio, anche quelle nascono dall’ingiustizia. È triste vedere che l’umanità non riesce a essere capace di pensare con schemi e progetti di pace. Tutti pensiamo con schemi di guerra. È il cainismo esistenziale. La fratellanza di tutti — è di tutti — e non si concretizza in schemi che trasformino la vita delle famiglie, comunità, popoli, nazioni e del mondo.

Come tutti i valori, anche la non violenza, per essere effettivamente efficace, deve diventare discernimento, cogliendo con fiducia i passi possibili. Dovrà essere espressione di dialogo e di confronto sincero. Le vie di uscita dall’ingiustizia della guerra sono faticose e richiamano a capovolgimenti di condotte individuali e di pratiche politiche. In questo senso esse possono generare nuova umanità. FT indica la strada dell’empatia, quando dice

«prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi» (n. 261).

Tenere gli occhi aperti sul dolore degli altri porta fuori dall’ingiustizia abissale della guerra, perché ne assume le conseguenze e determina la volontà di mai più ricorrere ad essa. E poi c’è la via dei negoziati, espressione di una attitudine a «pensare e generare un mondo aperto» (FT, n. 87), di cui «la migliore politica» (FT, n. 154) deve sapersi fare carico. La pace, inoltre, è sempre un processo.


Il messaggio del Papa per la giornata della pace di quest’anno 2023 prende l’avvio dalla beatitudine: «Beati i facitori di pace perché saranno chiamati figli di Dio». E il Papa aggiunge subito che le beatitudini non sono solo un premio nell’altra vita, non si raggiungono solo salendo in Cielo o aspettando che il Cielo scenda sulla terra. Le beatitudini, scrive il Papa, sono «dono messianico e opera umana ad un tempo». Il che vuol dire che il Regno di Dio può essere preparato anche partendo da questa terra e che questo mondo non è condannato ad essere solo il regno del male per sempre.

- "Con Cristo nostra Pace rivestiamo l’armatura di Dio (Ef 6,10-18)" - Egidio Palumbo (VIDEO INTEGRALE)

giovedì 16 marzo 2023

«Amate i vostri nemici» (Mt 5,44; Lc 6,27) - Alberto Neglia (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
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Quinto Mercoledì - 8 marzo 2023

«Amate i vostri nemici» 
(Mt 5,44; Lc 6,27) 
Alberto Neglia
(VIDEO INTEGRALE)




                 L’amore dei nemici, forse, costituisce uno degli elementi più originali del vivere cristiano. 
Gesù l’ha proposto in modo chiaro e deciso. Ma, mi sembra doveroso precisare che l’invito ad amare i nemici è presente già nell’Antico Testamento. Non per niente a premessa della “nuova legge” che Gesù espone nel discorso della montagna di Matteo viene posto l’avviso: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). 
           Gesù da compimento attraverso il suo vissuto e donando a noi il suo respiro perché la sua passione di amore passi nei nostri cuori
...
5. La preghiera spazio in cui veniamo educati a disarmare il nostro cuore e ad amare i nemici 
   Perché la fatica di amare i nemici sia possibile è indispensabile ciò che sempre è ricordato dai Vangeli accanto al comando di amare i nemici, e cioè la preghiera per i persecutori, l’intercessione per gli avversari: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo 5,44). 
   Se non si assume l'altro – e in particolare l’altro che si è fatto nostro nemico, che ci contraddice, che ci osteggia, che ci calunnia – nella preghiera, imparando così a vederlo con gli occhi di Dio, nel mistero della sua persona e della sua vocazione, non si potrà mai arrivare ad amarlo! Perché, deve essere chiaro, l’amore del nemico è questione di profondità di fede, di “intelligenza del cuore”, di ricchezza interiore, di amore per il Signore, e non semplicemente di buona volontà! Per questo è necessario pregare per accogliere il dono di Dio nel nostro cuore. 
   Lasciarci coinvolgere da Gesù e irradiare il suo volto non è un fatto automatico, ma è frutto, ripeto, di un itinerario di conversione che va coltivato nella preghiera, spazio in cui veniamo educati a disarmare il nostro cuore, perché il primo nemico da vincere in modo non violento è dentro di noi. 
   Proprio per questo Gesù ci esorta: «Pregate sempre senza stancarvi (incattivirvicomportarvi male» (Lc 18,1). 
   Pregare, ovviamente, non è recitare parole per convincere Dio a fare ciò che noi desideriamo, non è “dire preghiere”. Gesù ce lo ricorda esplicitamente: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6, 7-8). Pregare è esperienza in cui creiamo uno spazio a Dio, lo ascoltiamo e veniamo liberati dal nemico che è dentro di noi. È l’aprirgli una finestra sulla nostra volontà, uno sforzo per farlo diventare il Signore della nostra vita. Pregare, quindi è lasciarsi plasmare da Dio con tutte e due le sue mani, il Verbo e lo Spirito Santo. «La preghiera – ci ricorda l’Archimandita Sofronio – ridesterà in noi quell’alito divino che “Dio ha soffiato in Adamo” e grazie a cui “Adamo è divenuto un essere vivente” (Gen 2,7)»1 . 
   Si tratta, allora, pregando, di mettersi in ascolto di Dio Padre-madre che ci ama e ci guarda con tenerezza, ci illumina, ci perdona. Egli attraverso il profeta Isaia, ci ricorda: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Is 66,13)
   Nella preghiera, per esempio i Monaci di Tibirhine (in Algeria) in un periodo molto difficile cercano di lasciarsi coinvolgere nel dinamismo dell’Amato, lo supplicano perché sia Lui a disarmare il loro cuore, in un periodo molto difficile, in cui il nemico attenta alla loro vita
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Relazione integrale



venerdì 10 marzo 2023

La resistenza dei cristiani di fronte al potere violento nel libro dell’Apocalisse - Maurilio Assenza (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
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Quarto  Mercoledì - 1 marzo 2023


La resistenza dei cristiani 
di fronte al potere violento 
nel libro dell’Apocalisse  
Maurilio Assenza 
(VIDEO INTEGRALE)


"... l’attualità dell’Apocalisse: risveglia un senso del tempo diverso da quello in cui siamo immersi. 
La prima resistenza dei cristiani di fronte al potere violento, che tutto omologa e schiaccia sul presente, e un contributo unico e importante al cammino comune dell’umanità, diventa allora l’impegno a tenere viva una lettura della storia come quella dell’Apocalisse. Noi cristiani non possiamo restare impigliati nell’immediato. Dobbiamo ritrovare il respiro di una lettura più larga della realtà a cui ci apre l’assidua frequenza delle Scritture lette con attenzione al testo e alla vita. Se in certi momenti era importante che accanto alla Bibbia ci fosse il giornale (per una fede incarnata), oggi è necessario che, accanto e prima di giornali e social, ci sia la Bibbia. E che l’alterità del testo spinga ad un’ermeneutica della nostra storia, con grande lucidità, partecipazione e coraggio. Nella sinodalità, potremmo aggiungere, con il largo respiro che possiamo avere per la cattolicità della Chiesa sparsa nel mondo, che sempre più diventa da noi Chiesa dalle genti, e nell’accoglienza dei migranti come segno dei tempi; in una sinodalità che, accogliendo i gemiti dello Spirito nella storia, ci metta insieme in cammino verso il compimento e, intanto, ci renda capaci di lasciarci interpellare da questa storia che vive grandi catastrofi. Penso come sia importante per questo la narrazione e il compito di missionari, giornalisti, volontari internazionali e una cooperazione tra le Chiese che non si riduca a generica solidarietà ma diventi aiuto reciproco a capire il giudizio e la consolazione di Dio. Ricordo che quando siamo andati in Africa nel nostro gemellaggio pastorale tra diocesi di Noto e di Butembo-Beni, grazie alla sapienza dei vescovi Nicolosi e Katalico, ci siamo detti insieme alla Chiesa gemella: 
«Siamo chiamati a cantare il Magnificat nelle periferie dell’Impero!».
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Relazione integrale

- Da Gerico, la città chiusa e cieca, alla Gerusalemme, la città aperta e luminosa (Gs 5,13- 6,26; Lc 18,35-43; Ap 21,25) - Carmelo Raspa (VIDEO INTEGRALE)

giovedì 2 marzo 2023

Da Gerico, la città chiusa e cieca, alla Gerusalemme, la città aperta e luminosa (Gs 5,13- 6,26; Lc 18,35-43; Ap 21,25) - Carmelo Raspa (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
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Terzo Mercoledì - 15 febbraio 2023

Da Gerico, la città chiusa e cieca, 
alla Gerusalemme, la città aperta e luminosa 
(Gs 5,13- 6,26; Lc 18,35-43; Ap 21,25) 
a cura di Carmelo Raspa 

(VIDEO INTEGRALE)


1. La nascita della città secondo la Scrittura



La città è l’invenzione di un fratricida, il cui nome è Caino (Gen 4,17). Come può l’assassino di suo fratello essere il costruttore della civiltà? Eppure, leggendo la sua storia, si comprende il motivo: Caino è un uomo respinto, apparentemente senza motivo, che non sopporta la discriminazione e vi si ribella in modo violento (vv 1-5). Ma il fratello Abele, il cui nome si lega per assonanza al termine “soffio”, è indice di quella vanità (significato metonimico derivato dal precedente “soffio”), che può trasformarsi in presunzione di superiorità e di grandezza ostentata sfacciatamente di fronte all’altro, ciò che irrita Caino: l’errare del pastore, del viandante, può diventare diabolico.

Ma su Caino che uccide e che a modo suo si pente è posto un segno ambivalente: quello della maledizione (v 11), che dispiace, perché essa, la maledizione, viene da Dio e ci si chiede allora come Dio possa dichiarare maledetto un uomo, fosse anche l’uccisore di suo fratello, che rimane pur sempre un suo figlio, stando alle parole di Eva, la quale afferma di aver acquistato un uomo con Dio (v 1); e quello della custodia (v 15), per cui Caino non sarà più costretto a fuggire, ma nell’animo resterà inquieto.

Fonda allora una città per trovare pace: ma questa ha lo stesso nome del suo primogenito (v 17b). Una scoperta terribile, che fa inorridire: non forse che la città è costruita sul sacrificio del primogenito? Gerico, la più antica città della terra, nasce proprio così ed in tal modo è fondata di nuovo: «Chiel di Betel ricostruì Gerico; gettò le fondamenta sopra Abiram suo primogenito e ne innalzò le porte sopra Segub suo ultimogenito» (1Re 16,34).

Il sangue del primo figlio inaugura il sorgere della civiltà. Nella città sono il contadino, l’artigiano, il fabbro, il vasaio (Gen 4,20.22), coloro che, secondo quanto scrive il Siracide, «hanno fiducia nelle proprie mani» (Sir 38,31): «senza di loro», continua lo stesso Siracide, «sarebbe impossibile costruire una città» (v 32). La città conosce i cantori, i suonatori di cetra e di flauto e, insieme, Naama, l’amata, la bella, la cui professione è svelata dal suo stesso nome (Gen 4, 21.22b).

La città di Caino non soffre della tensione con una periferia, simbolo del caos e del male: in essa tutto sembra unificato, secondo un procedere sereno, se non proprio ordinato. Essa sorge in un contesto di genealogie che, nel libro di Genesi, si estendono dal cap. 1 al cap. 11: «la genealogia è dunque strettamente legata a una progressione nella quale vengono inserite (per lo più singolarmente) le varie ‘invenzioni’ che costituiscono il patrimonio attuale di quelle istituzioni e di quei beni che formano il tessuto civile e culturale dell’umanità storica»[1].

La città è frutto, pertanto, di relazioni, situandosi in un contesto di genealogie: relazioni che generano vita o la uccidono, relazioni che stringono patti di mutuo soccorso ispirandosi alla solidarietà o che possono esplodere in conflitti incontenibili sino alla violenza, enorme e ingiustificata, come lascia chiaramente arguire l’exploit di vanto di Lamech, che è, di conseguenza, una possibilità e non soltanto e semplicemente un’affermazione eccessiva: «ho ucciso un uomo per una mia scalfitura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette» (Gen 4,23-24).

La città è, pertanto, parte di quei beni di civiltà, necessari, ma ambivalenti “perché il loro esito supera i limiti delle possibilità umane”[2], che scaturiscono dall’impossibilità di vivere le origini ideali per l’umanità: di quest’ultima la città reca i segni della complessità e della contraddizione.


...


Di Gerusalemme, poi, Gesù, piangendo, si rammaricherà, poiché essa non ha riconosciuto né la via della pace né il tempo della visita di Dio nei suoi profeti, che ha sempre ucciso e per i quali ha poi innalzato splendidi sepolcri (Mt 23,37; Lc 13,34-35; 19,41-44).

La città non sembra essere il luogo della guarigione né tanto meno il Tempio (Mc 1,33; At 3,1ss): occorre che essa discenda dall’alto, come la Gerusalemme celeste descritta in Ap 21, e che in essa non vi sia più il tempio, sostituito dalla presenza viva di Dio stesso (vv. 22-23), perché il dolore, la sofferenza e la morte siano cancellati dalla sua faccia (v. 4). In questa città non abitano i mentitori, la cui sorte è lo stagno di fuoco, segno di una perenne confusione e di un loro oblio da parte di tutti gli altri uomini. Chi mente rimane solo (v. 8).

La città ideale è pertanto un’aspirazione legittima che si fa storia e cammino (Eb 11,9-10.13-16): essa si costruisce nel momento in cui ci si riconcilia con l’estraneità più grande, quella verso se stessi. Solo allora, rinunciando alla tentazione del possedere afferrando, si costruisce, nella logica e nelle strutture, la città perfetta intravista nella visione. In questa città, rivestita della gloria di Dio (Ap 21,10), le porte delle mura sono sempre aperte: dai quattro angoli del mondo giungono le nazioni recando la loro gloria ed il loro onore (v. 26), cioè le loro ricchezze culturali, che l’annuncio cristiano ha messo in luce accogliendole.

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- il calendario completo degli incontri

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- Ieri come oggi: «Io per la pace, ma essi, appena parlo, sono per la guerra» (Sal 120) - Gregorio Battaglia (VIDEO INTEGRALE)

- Amalek, il nemico interiore che ritorna sempre (Es 17,8-16) - Carmelo Russo (VIDEO INTEGRALE)
 

venerdì 17 febbraio 2023

Amalek, il nemico interiore che ritorna sempre (Es 17,8-16) - Carmelo Russo (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
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DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO


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Secondo Mercoledì - 8 febbraio 2023

Amalek,
il nemico interiore
che ritorna sempre (Es 17,8-16)
a cura di Carmelo Russo

(VIDEO INTEGRALE)




1. Il tema della guerra nella Bibbia: un esercizio di interpretazione

a) Nella Sacra Scrittura incontriamo immagini potenti, confortanti e, talvolta, sconcertanti. Nessun lettore resta indifferente alla forza icastica delle parole bibliche, capaci di produrre immagini, simboli, metafore, che aprono alla comprensione del reale in maniera diversa dal concetto, dalla definizione, dal modello logico. Queste immagini concrete con la loro forza imprimono nella nostra mente sensazioni acute e durature, condizionando il linguaggio e la cultura dei popoli nel bene e nel male, nell’integralità della loro esperienza.

...

Ripropongo una interpretazione di Amalek di Rav Moshe Avigdor Amiel, un’importante figura rabbinica dell'inizio del XX secolo, che in seguito si trasferì in Israele e divenne un leader del sionismo religioso.[1]

Rav Amiel percepiva Amalek come una minaccia non solo per gli ebrei, ma per il mondo intero. Non identificava Amalek con una persona o nazione in particolare, ma con un ethos: il militarismo, ossia una visione nazionalistica del mondo che sposa la convinzione che un popolo o uno stato devono mantenere un esercito forte e usarlo in modo aggressivo per perseguire i propri interessi nazionali. Il militarismo cattura l’essenza di Amalek, che vede la guerra come fine a se stessa: la spada non è solo un mezzo per un fine, ma lo scopo stesso della vita... Chi va in guerra non lo fa perché deve o perché non hanno scelta, ma per distinguere se stesso e il proprio ego.

Ciò che distingue Amalek dalle altre nazioni è che alza la spada non perché deve, ma perché può; per dimostrare il suo potere, la sua capacità di dominare l’altro. Questo può essere visto, spiega Rav Amiel, nel modo in cui Amalek ha attaccato il popolo ebraico dopo aver lasciato l’Egitto. Invece di colpire gli uomini robusti, Amalek “abbatte i ritardatari alle spalle” (Dt 25,18). Lo fa, non per raggiungere un obiettivo militare, ma perché i ritardatari rappresentano i deboli e Amalek odia i deboli. Secondo rav Amiel, Amalek rappresenta una volontà di potenza che vede la guerra e la violenza come un bene ultimo, perché separa i forti dai deboli.



Qual è allora la risposta corretta ad Amalek? Come sconfiggere coloro che opprimono violentemente i deboli solo per glorificare se stessi? Per rav Amiel la difesa va esperita su due livelli.

Anzitutto, quando Amalek colpisce, bisogna ovviamente difendere se stessi e tutti coloro che sono in pericolo, proprio come fece il popolo ebraico nel deserto. Quando Amalek viene con la spada, bisogna prendere la propria, perché non c'è moralità nell’andare come pecore al macello.

Tuttavia, Rav Amiel chiarisce che nessuna vittoria permanente contro Amalek può essere ottenuta con la spada. Se il militarismo, la trasformazione della forza in un idolo, è l’essenza di Amalek, allora la battaglia contro Amalek non può mai essere limitata a un nemico specifico. In verità, sostiene, la battaglia contro Amalek è una guerra contro l’idea stessa di guerra, che non può essere vinta attraverso la violenza e la forza militare. Il male non può essere sradicato dal mondo con il male. Il terrore non può essere eliminato dal mondo rispondendo con il terrore. Per Rav Amiel, questa affermazione non è solo filosofica, ma radicata in un’attenta lettura della Torah. La vittoria militare di Giosuè su Amalek fu solo temporanea poiché Amalek fuggì per combattere un altro giorno. Il segreto della sconfitta finale di Amalek non si trova sul campo di battaglia, ma nelle istruzioni di Dio a Mosè in seguito: “scrivi questo in un libro come promemoria” (Esodo 17,14). Ci si difende da Amalek con la spada, ma Amalek può essere veramente sconfitto solo con il libro, cioè la Torà. Il libro è più potente della spada non perché possa essere usata come arma, ma perché invoca un potere non radicato nella forza fisica. Se Amalek porta violenza e morte nel mondo, la sua sconfitta dipende dall’interiorizzazione da parte dell’umanità del messaggio fondamentale della Torah: tutta la vita umana è creata a immagine di Dio e attaccare coloro che non hanno fatto nulla di male è un affronto a tutto ciò che è santo in questo mondo

...
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- La traccia integrale (pdf)

- il calendario completo degli incontri

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giovedì 9 febbraio 2023

Ieri come oggi: «Io per la pace, ma essi, appena parlo, sono per la guerra» (Sal 120) - Gregorio Battaglia

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
 promossi dalla
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Primo Mercoledì - 1 febbraio 2023

Ieri come oggi:
 «Io per la pace, ma essi, 
appena parlo, 
sono per la guerra» (Sal 120)
 
a cura di Gregorio Battaglia


Abbiamo voluto proporre con questi mercoledì dedicati al lettura e meditazione della Bibbia l’idea di un percorso, che possa aiutarci a prendere sempre più consapevolezza dell’urgenza di disarmare le nostre relazioni, sia quelle personali, sia quelle sociali ed economiche. Iniziamo, allora, questa serie di incontri riflettendo sul Salmo 120, che, penso, possa offrirci quegli spunti necessari per deciderci a prendere sul serio il compito di diventare costruttori di relazioni umane ed umanizzanti. 

1. Il contesto del Salmo 120 
Come prima cosa vorrei brevemente richiamare la struttura letteraria del libro dei Salmi. Esso si compone di 150 Salmi, che sono preghiere/canti.
...
6. Un’identità ritrovata: “anî šhalôm”
Il Salmo 120 si chiude al v. 7 con questa forte proclamazione: «Io Pace (anî šhalôm)». In questa espressione così sintetica c’è racchiuso tutto il cammino di discernimento e di maturazione, portato avanti da questo fedele, che avvertiva in sé un senso di estraneità verso un mondo, che vede la pace come un momento di pausa tra una guerra ed un’altra.
L’orante, adesso, è capace di dire «Io», di presentarsi senza alcuna maschera e di dire apertamente che la sua vita è in stretto rapporto con la pace. Egli non è soltanto uno che ama ed opera per la pace, ma la sua esistenza, tutto il suo corpo è pace, spazio di accoglienza e di benedizione. È un vero atto di responsabilità personale e comunitaria, che indica all’umanità intera quale sia il vero cammino che conduce alla vita ed alla vita in pienezza. Di fronte a questa immagine il nostro pensiero si volge al Signore crocifisso e risorto, che si presenta ai suoi discepoli come il corpo glorioso della riconciliazione, perché i segni dei chiodi e le ferite che Egli mostra loro costituiscono delle vere aperture dove tutti hanno diritto di entrare e di sentirsi accolti e perdonati: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù stette in mezzo e disse loro: Pace a voi! Detto questo mostrò loro le mani ed fianco» (Gv 20,19-20). Tutto questo fa dire a Paolo nella lettera agli Efesini: «Egli è la nostra pace, colui che dei due ha fatto l’uno, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia per mezzo della sua carne. Così Egli […] ha creato in se stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace e ha riconciliato tutti e due con Dio in un solo corpo per mezzo della croce eliminando in se stesso l’inimicizia» (Ef 2,14-16). L’umanità crocifissa e risorta di Gesù si presenta a noi come il nuovo spazio per riscrivere una storia, che profumi di vita, di gratuità e di donazione reciproca.

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Incontro integrale


Leggi anche:
- La traccia integrale (pdf)

venerdì 20 gennaio 2023

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023 - SE VUOI LA PACE, DISARMA LE RELAZIONI

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA  2023
promossi dalla 
FRATERNITÀ CARMELITANA
DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO

SE VUOI LA PACE, 
DISARMA LE RELAZIONI


DAL 1 FEBBRAIO AL 29 MARZO
dalle h. 20.00 alle h. 21.00

DI PRESENZA NEL SANTUARIO E ONLINE



MERCOLEDÌ 1 FEBBRAIO 
Ieri come oggi: «Io per la pace, ma essi, appena parlo, sono per la guerra» (Sal 120) 
 (Gregorio Battaglia) 

MERCOLEDÌ 8 FEBBRAIO 
Amalek, il nemico interiore che ritorna sempre (Es 17,8-16) 
(Carmelo Russo) 

MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 
Da Gerico, la città chiusa e cieca, alla Gerusalemme, la città aperta e luminosa (Gs 5,13- 6,26; Lc 18,35-43; Ap 21,25) 
(Carmelo Raspa) 

MERCOLEDÌ 1 MARZO 
La resistenza dei cristiani di fronte al potere violento nel libro dell’Apocalisse 
 (Maurilio Assenza) 

MERCOLEDÌ 8 MARZO 
«Amate i vostri nemici» (Mt 5,44; Lc 6,27) 
(Alberto Neglia) 

MERCOLEDÌ 15 MARZO 
Con Cristo nostra Pace rivestiamo l’armatura di Dio (Ef 6,10-18) 
(Egidio Palumbo) 

MERCOLEDÌ 22 MARZO 
Oggi si può ancora parlare di “guerra giusta”?
 (Vittorio Rocca) 

MERCOLEDÌ 29 MARZO   - INCONTRO ANNULLATO
A 60 anni dalla “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Una enciclica da riscoprire
(Felice Scalia)


Per seguire la diretta on line: https://m.youtube.com/user/QdV100/live



Per informazioni:
 Chiesa del Carmine – Tel. 0909762800

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