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lunedì 30 novembre 2015

PAPA FRANCESCO VIAGGIO APOSTOLICO IN KENYA, UGANDA E NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA /8 (cronaca, foto, testi e video) - Arrivo in Uganda e incontri con le autorità e con catechisti e insegnanti



 27 novembre 2015 
 Arrivo in Uganda e incontro con le autorità 

Alle 15.05 ora italiana Papa Francesco è arrivato a Entebbe, in Uganda, per la seconda tappa della sua missione pastorale in Africa che lo ha già visto visitare il Kenya. 
Ad attendere Papa Bergoglio c'era una delegazione composta da personalità politiche e religiose, guidata dal presidente Yoweri Museveni. 

Museveni ha diffuso su YouTube un messaggio di benvenuto per Papa Francesco. "Possa la sua visita rafforzare il nostro amore per il prossimo.... benvenuto in Uganda Sua Santità Papa Francesco".


Ad accoglierlo Francesco ha trovato, insieme alle autorità, cori folkloristici, suonatori di tamburi e danzatori della tribù kiganda, l'etnia dominante nel regno tradizionale del Buganda sul cui territorio si trova Entebbe, una trentina di chilometri a sud della capitale Kampala. 

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Francesco ha visitato nella State House il presidente, che, per usare un'espressione eufemistica del portavoce vaticano Federico Lombardi, "sta governando il paese con mano ferma". Alle 18 (le 16 italiane) l'incontro con autorità e corpo diplomatico nella sala delle conferenze della State House.

Ecco il testo integrale del discorso del Santo Padre:

Signor Presidente,
Illustri membri del Governo,
Distinti membri del Corpo Diplomatico,
Cari fratelli Vescovi,
Signore e Signori,

Vi ringrazio per il vostro cortese benvenuto, e sono lieto di essere in Uganda. La mia visita al vostro Paese si prefigge innanzitutto di commemorare il cinquantesimo anniverario della canonizzazione dei Martiri Ugandesi, avvenuta ad opera del mio predecessore, il Papa Paolo VI. Tuttavia spero che la mia presenza qui sia vista anche come un segno di amicizia, di stima e di incoraggiamento per tutti gli abitanti di questa grande Nazione.

I martiri, sia cattolici che anglicani, sono autentici eroi nazionali. Essi rendono testimonianza ai principi-guida espressi nel motto ugandese: Per Dio e per il mio Paese. Essi ci ricordano l’importanza che la fede, la rettitudine morale e l’impegno per il bene comune hanno rappresentato e continuano a rappresentare nella vita culturale, economica e politica di questo Paese. Essi inoltre ci ricordano, nonostante le nostre diverse credenze religiose e convinzioni, che tutti siamo chiamati a cercare la verità, a lavorare per la giustizia e la riconciliazione, e a rispettarci, proteggerci ed aiutarci reciprocamente come membri dell’unica famiglia umana. Questi alti ideali sono particolarmente richiesti a uomini e donne come voi, che avete il compito di assicurare con criteri di trasparenza il buon governo, uno sviluppo umano integrale, un’ampia partecipazione alla vita pubblica della Nazione, così come una saggia ed equa distribuzione delle risorse, che il Creatore ha elargito in modo così ricco a queste terre.

La mia visita intende anche attirare l’attenzione verso l’Africa nel suo insieme, sulla promessa che rappresenta, sulle sue speranze, le sue lotte e le sue conquiste. Il mondo guarda all’Africa come al continente della speranza. L’Uganda è stata veramente benedetta da Dio con abbondanti risorse naturali, che siete chiamati ad amministrare come custodi responsabili. Ma la Nazione è stata soprattutto benedetta attraverso il suo popolo: le sue solide famiglie, i suoi giovani e i suoi anziani. Sono ansioso di incontrarmi domani con i giovani, per i quali avrò parole di incoraggiamento e di stimolo. Quanto è importante che vengano loro offerte la speranza, la possibilità di ricevere un’istruzione adeguata e un lavoro retribuito, e soprattutto l’opportunità di partecipare pienamente alla vita della società! Voglio però menzionare anche la benedizione che ricevete attraverso gli anziani. Essi sono la memoria vivente di ogni popolo. La loro saggezza ed esperienza dovrebbero sempre essere valorizzate come una bussola che può consentire alla società di trovare la giusta direzione nell’affrontare le sfide del tempo presente con integrità, saggezza e lungimiranza.

Qui nell’Africa Orientale, l’Uganda ha mostrato un impegno eccezionale nell’accogliere i rifugiati, permettendo loro di ricostruire le loro esistenze nella sicurezza e facendo loro percepire la dignità che deriva dal guadagnarsi da vivere con un onesto lavoro. Il nostro mondo, segnato da guerre, violenze e diverse forme di ingiustizia, è testimone di un movimento migratorio di popoli senza precedenti. Il modo in cui affrontiamo tale fenomeno è una prova della nostra umanità, del nostro rispetto della dignità umana e, prima ancora, della nostra solidarietà con i fratelli e le sorelle nel bisogno.

Sebbene la mia visita sia breve, spero di incoraggiare i tanti silenziosi sforzi compiuti per assistere i poveri, gli ammalati e le persone in qualsiasi difficoltà. È in questi piccoli segni che possiamo vedere la vera anima di un popolo. In molti modi il nostro mondo diventa più solidale; tuttavia, nel medesimo tempo, assistiamo con preoccupazione alla globalizzazione della “cultura dello scarto”, che ci rende ciechi di fronte ai valori spirituali, indurisce i nostri cuori davanti alle necessità dei poveri e priva i nostri giovani della speranza.

Desidero incontrarvi e trascorrere questo tempo con voi, e prego che voi e tutto l’amato popolo dell’Uganda siate sempre all’altezza dei valori che hanno dato forma all’anima della vostra Nazione. Invoco su voi tutti l’abbondanza delle benedizioni del Signore.

Mungu awabariki! (Dio vi benedica!)

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Il percorso del corteo papale si è poi dipanato lungo strade gremite di folla in festa, i lampioni addobbati con festoni neri, gialli e rossi, i colori della bandiera nazionale: ma anche di soldati e poliziotti.




 Incontro con catechisti e insegnanti 

Alle 19.15 (17.15) la visita a Munyonyo e il saluto ai catechisti e insegnanti, prima di ritirarsi per il pernottamento nella sede della nunziatura apostolica.



Guarda il video del discorso del Papa (in italiano)

Ecco il testo integrale del discorso:

Cari catechisti ed insegnanti,
Cari amici,

Saluto tutti voi con affetto nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore e Maestro.

“Maestro!”. Che bel titolo è questo! Gesù è il nostro primo e più grande maestro. San Paolo ci dice che Gesù ha dato alla sua Chiesa non solo apostoli e pastori, ma anche maestri, per edificare l’intero Corpo nella fede e nell’amore. Insieme ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, che sono stati ordinati per predicare il Vangelo e prendersi cura del gregge del Signore, voi, come catechisti, avete una parte di rilievo nel portare la Buona Notizia ad ogni villaggio e casolare del vostro Paese. Voi siete stati eletti per avere il ministero della catechesi. 

Vorrei prima di tutto ringraziarvi per i sacrifici che voi e le vostre famiglie fate, e per lo zelo e la devozione con cui svolgete il vostro importante compito. Voi insegnate quello che Gesù ha insegnato, istruite gli adulti e aiutate i genitori a crescere i loro figli nella fede e portate a tutti la gioia e la speranza della vita eterna. Grazie, grazie per la vostra dedizione, per l’esempio che offrite, per la vicinanza al popolo di Dio nella vita quotidiana e per i tanti modi con cui piantate e coltivate i semi della fede in tutta questa vasta terra! Grazie specialmente per il fatto di insegnare ai bambini e ai giovani come pregare. Perché è molto importante, è un lavoro grande quello di insegnare ai bambini a pregare.

So che il vostro lavoro, benché gratificante, non è facile. Vi incoraggio perciò a perseverare, e chiedo ai vostri Vescovi e sacerdoti di aiutarvi con una formazione dottrinale, spirituale e pastorale in grado di rendervi sempre più efficaci nella vostra azione. Anche quando il compito appare gravoso, le risorse risultano troppo poche e gli ostacoli troppo grandi, vi farà bene ricordare che il vostro è un lavoro santo. E voglio sottolinearlo: il vostro è un lavoro santo. Lo Spirito Santo è presente laddove il nome di Cristo viene proclamato. Egli è in mezzo a noi ogni volta che eleviamo i cuori e le menti a Dio nella preghiera. Egli vi darà la luce e la forza di cui avete bisogno! Il messaggio che portate si radicherà tanto più profondamente nei cuori delle persone quanto più voi sarete non solo dei maestri, ma anche dei testimoni. E questa è un’altra cosa importante: voi dovete essere maestri, ma questo non serve se voi non siete testimoni. Che il vostro esempio faccia vedere a tutti la bellezza della preghiera, il potere della misericordia e del perdono, la gioia di condividere l’Eucaristia con tutti i fratelli e le sorelle.

La comunità cristiana in Uganda è cresciuta grandemente grazie alla testimonianza dei martiri. Essi hanno reso testimonianza alla verità che rende liberi; furono disposti a versare il proprio sangue per rimanere fedeli a ciò che sapevano essere buono, bello e vero. Siamo oggi qui in Munyonyo, nel luogo dove il Re Mwanga decise di eliminare i seguaci di Cristo. Egli non riuscì in questo intento, così come il Re Erode non riuscì ad uccidere Gesù. La luce rifulse nelle tenebre e le tenebre non hanno prevalso (cfr Gv1,5). Dopo aver visto la coraggiosa testimonianza di sant’Andrea Kaggwa e dei suoi compagni, i cristiani in Uganda divennero ancora più convinti delle promesse di Cristo.

Possa sant’Andrea, vostro Patrono, e possano tutti i catechisti ugandesi martiri ottenere per voi la grazia di essere saggi maestri, uomini e donne le cui parole siano ricolme di grazia, di una convincente testimonianza dello splendore della verità di Dio e della gioia del Vangelo! Testimoni di santità. Andate senza paura in ogni città e villaggio di questo Paese, senza paura, per diffondere il buon seme della Parola di Dio, e abbiate fiducia nella sua promessa che tornerete festosi, con covoni ricolmi di un abbondante raccolto. Chiedo a tutti voi, catechisti, di pregare per me, e far pregare i bambini per me.

Omukama Abawe Omukisa! (Dio vi benedica!)

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AVVENTO Tempo per crescere nell'amore



AVVENTO
Tempo per crescere nell'amore





Lo sguardo corre oltre. Cerca il volto di una madre. Spera di intravedere un Bimbo. Il muro che divide Betlemme da Gerusalemme non conosce fessure, come i muri rabberciati dei contadini. È perfetto. Costringere a chiudere gli occhi. Così si può disegnare l’Evento di Betlemme guidati da un sogno. Nascerà davvero quel Bambino promesso, di nome Gesù? Troverà almeno una grotta per poter venire alla luce? Che nasca non vi è dubbio. Che gli uomini siano preparati ad accoglierlo è una scommessa da tentare ogni anno. Sì, si può addirittura confidare nella fragilità di un Bambino. Indifeso, adagiato in una mangiatoia, avvolto da pochi stracci. Eppure quel Bambino imprimerà alla storia un nuovo ritmo, un passo inatteso, il passo dell’amore. Ecco l’Avvento è attesa di quel Bimbo divino, che Erode teme fino a ordinarne la morte, senza raggiungerlo perché un angelo avvisa Giuseppe di fuggire in Egitto.
L’Avvento prepara a questa storia, a questo incontro con quel Bimbo che è a contatto con Dio in maniera così intensa, impensabile e inimmaginabile dalla mente umana, da essere egli stesso Figlio di Dio, dunque Dio stesso. È il mistero, il fatto, che celebriamo a Natale. Una impossibilità in termini umani, una pretesa così assoluta, oltre le prospettive umane, se non l’avesse inventato Dio. Egli ha inviato suo Figlio tra gli uomini per redimerli, cosicché essi stessi potessero divenire figli dello stesso Padre.

L’Avvento è questa attesa, questa certezza.

Una novità così grande, da essere sovrumana, occorre prepararla nel nostro cuore. Come? Tenendo bene gli occhi aperti, non lasciandosi vincere dal sonno della pigrizia, delle abitudini. A nessuno è concesso di dormire, di lasciarsi andare. Sì, l’atteggiamento giusto del cristiano sta racchiuso in un verbo: vegliare. Anzitutto significa riprendere in mano il proprio rapporto con Dio, distogliendo un po’ l’animo dalle preoccupazioni quotidiane.

Vegliare significa scrutare la propria esistenza, la propria vita. Dove stiamo andando? C’è ancora spazio per Dio? Per la preghiera? Vegliare significa attenzione e delicatezza verso la persona, la moglie, il marito, i figli che vivono accanto a te. Ed è vegliare trovare il tempo del dialogo, anche sulla fede, quale frutto di un rinnovato dialogo con Dio.

Dunque Avvento è certezza che il nostro viaggio terreno ha una meta. È Cristo stesso, che viene nel mondo di oggi non di ieri, che entra nella nostra terra non da principe o sovrano ma da umile viandante.
Vegliare significa assumere quegli atteggiamenti e quelle scelte che orientano i nostri giorni senza lasciarci conquistare dal qualunquismo che chiude la porta del cuore alla sensibilità verso gli altri. Vegliare vuol dire anche rifuggire dal timore di annunciare Gesù Cristo nel nostro ambiente agli amici e a quanti lo hanno quasi dimenticato. È l’esercizio quotidiano della fedeltà, della coerenza, della compassione, del perdono.

Vegliare è in sintesi un modo di vivere nuovo. Perché c’è una luce che illumina noi e quello che sta accadendo attorno a noi. Perché c’è una speranza, non riposta soltanto nelle nostre forze ma nella forza di un Dio che vive tra noi.

Nessuno permetta al mondo circostante, luccicante nei negozi, di rubarci il natale della fede.
(fonte: SIR)

L'avvento è il tempo liturgico che precede e prepara il Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini. Contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
QUAL È L'ORIGINE STORICA?...
QUAL È IL SIGNIFICATO TEOLOGICO?...
QUANDO COMINCIA E COME È SCANDITO LITURGICAMENTE?...
L’AVVENTO AMBROSIANO È DIVERSO DAL RITO ROMANO?...

“Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore”: anche noi, come i Tessalonicesi, siamo sorpresi, forse anche un po’ scossi, dalla carica propositiva e piena di entusiasmo dell’Apostolo. Senza nascondere i problemi, di cui parla in altre sezioni della lettera, san Paolo colloca al centro del suo messaggio una parola che è insieme annuncio evangelico e benedizione. Dio stesso è la fonte dell’amore e della misericordia; Egli stesso ci innesta nel mistero della sua carità e ci fa crescere in esso. Prima ancora che noi possiamo interrogarci sui nostri doveri, sulle nostre responsabilità, avvertiamo la forza di crescita che viene da Dio stesso. Lui dunque ci costituisce come annunciatori della misericordia, nell’anno del Giubileo straordinario indetto da papa Francesco, che proprio nel tempo di Avvento comincerà nelle nostre Chiese particolari.
...

Così siamo chiamati a vivere il nuovo anno liturgico, riscoprendo tutta la forza del desiderio con cui l’umanità grida a Dio (tempo di Avvento), e tutta la forza della carità con cui Dio si fa nostro fratello, perché anche noi possiamo essere in comunione con lui (tempo di Natale).
Invoco su tutti voi e sulle vostre comunità la grazia, la misericordia e la benedizione del Signore: Egli vi faccia “crescere e sovrabbondare nell’amore”.

Leggi tutto: Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella misericordia (Sussidio CEI per Avvento/Natale 2015) - Presentazione di mons. Nunzio Galantino



MA DAI, NON AVER PAURA DEL PRESEPE


MA DAI, NON AVER PAURA DEL PRESEPE

A chi dimostra di temere il suo messaggio (accade ad esempio a Rozzano, nel Milanese, dove - in nome di un politically correct assurdo - il Natale si farà a gennaio), noi diciamo: per una volta provate ad ascoltare.

Arriva Natale e con le luci nelle strade e gli addobbi nei grandi magazzini ritornano i presidi, gli insegnanti e i genitori illuminati che cancellano presepe, Madonna, Giuseppe e soprattutto Gesù Bambino perché potrebbero offendere chi non ci crede. Adesso è la volta di Rozzano e del dirigente scolastico che rimanda a gennaio il Natale e lo chiama Festa della luce e, anzi, per l’occasione fa il giro di ronda per vedere se è rimasto qualche crocefisso nascosto, anche dopo la decisione del Consiglio di istituto di rimuoverli. 

Ma dai! Smettiamola con questo finto politically correct di quelli che si sentono sempre incaricati a parlare in nome di altri. Chi ha figli ne ha incontrati molti. Sono quelli che con fierezza e orgoglio ti dicono di essere laici – perché tu che cosa sei, invece? Una suora travestita? – e che “per difendere i diritti dei genitori atei o di altre fedi e per non ledere la loro sensibilità” chiedono cose assurde come la Festa della luce o quella dell’inverno… dove tutti si vogliono bene e hanno la possibilità di tagliare il panettone e brindare senza chiamare in campo cose trite e ritrite come la Buona novella e il Bambino che rende nuove tutte le cose (come se non ce ne fosse ancora più bisogno…).

Ma dai! Smettiamola con questa finta attenzione agli altri e anche con il desiderio di mettersi in mostra parlando a loro nome. Tanto poi, come è accaduto a tanti, ti viene vicina la mamma marocchina o il papà tunisino a chiedere curiosi che tradizione abbiamo per questo giorno caldo e a farsi spiegare di quel santo che aveva il nome di questo Papa, Francesco, e che trovava bello ricostruire la scena di una nascita che, nella sua povertà e grandezza, dovrebbe almeno provocare un po’ di silenzio e di sguardo dentro sé stessi… E quante volte quei bambini che cantano insieme - pensa persino Tu scendi dalla stelle (che a Rozzano non piace, manco fosse un canto di odio) – han fatto scendere qualche lacrima anche sul viso di chi non crede e ha perso ogni speranza al punto che vorrebbe calpestare anche quella degli altri che ne hanno ancora perché il sol vederla diventa insopportabile… 

Ma dai! Smettiamola con la paura di guardarla questa stalla che ogni tanto spunta tra mille alberi con le palline e anche di vederlo, il Piccolino, che forse non riuscirà nemmeno a diventare vecchio come tutti quei Babbi Natali, che invece fan tanta simpatia e sembrano non dar fastidio a nessuno, nemmeno la centesima volta che ti gridano «Oh Oh Oh» dalla porta del grande magazzino. Certo verrebbe da dire: “Allora voi che non avete niente da festeggiare state pure a scuola e in ufficio”, ma, si sa, la libertà delle persone è già stata infranta dal quel vecchiume della religione di stato che "obbliga" a far vacanza il 25 dicembre.

Invece, sommessamente, proviamo a consigliare - ovviamente nel rispetto delle sensibilità di tutti: almeno una volta, di nascosto dagli altri combattenti del laicismo becero, magari in una chiesa deserta o nella casa di chi insiste ancora, testardo e antiquato, a mettere in fila pecore e pastori per identificarsi nell’attesa, provate a guardarlo quel presepe, in silenzio, regalandovi qualche secondo pulito dalla paura e dalla rimozione. Potrebbe accadere anche a voi, dentro il vostro cuore, di sentirla, quella voce del neonato, che vi tocca e vi assicura che anche la vostra di vita può diventare tutta nuova.
(articolo di Renata Maderna su Famiglia Cristiana)


domenica 29 novembre 2015

PAPA FRANCESCO VIAGGIO APOSTOLICO IN KENYA, UGANDA E NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA /7 (cronaca, foto, testi e video) - Incontro con i giovani nello Stadio Kasarani e partenza per l'Uganda

27 novembre 2015 
 Incontro con i giovani nello Stadio Kasarani 

Per capire l’atmosfera che precedeva l’arrivo del Papa allo Stadio Kasarani, dove si è svolto l’incontro con i giovani di Nairobi, bastava osservare un unico fotogramma: un lungo trenino danzante capeggiato addirittura dal presidente Uhuru Kenyatta, seguito dagli animatori e da una quindicina di vescovi che non hanno resistito al ritmo della musica. Canti, balli di gruppo, flash mob ed esecuzioni musicali, nel tipico stile ‘effervescente’ della gioventù africana, ha caratterizzato tutto l’evento ultima tappa della visita di Francesco in Kenya.
Gli oltre 60mila giovani sono assiepati sugli spalti fin dalle prime ore dell’alba. Per loro oggi è festa: le scuole sono chiuse e a lavoro ci si è presi le ferie. L’attesa per il Successore di Pietro è troppo forte. Francesco arriva puntuale intorno alle 8.30 e compie il consueto giro in papamobile, mentre la gente urla, canta, fotografa, fa la ‘Ola’, agita braccia, bandiere e striscioni. 



Il Papa una volta sul palco rimane quasi a bocca aperta nel vedere l’accoglienza riservatagli; poi benedice tre piante portate dai ragazzi e riceve una placca indicante il numero di rosari recitati in questi mesi secondo le sue intenzioni.

La gioia dilagante si copre presto di un velo di commozione al momento delle testimonianze di due giovani. Il primo è Manuel che racconta la sua gioventù travagliata: rapito dai guerriglieri del nord, carcerato, torturato, costretto ad assistere alla morte dei suoi amici. Poi c’è Linette che esprime al Papa la sua preoccupazione per i casi di droga, violenza e tribalismo che i giovani kenioti sono costretti a subire. Testimonianze troppo forti da rispondere con un testo pre-scritto: Bergoglio cestina infatti il discorso preparato e si lancia in una lunga e appassionata allocuzione a braccio, in spagnolo, in cui stigmatizza i mali di tribalismo e corruzione e lancia una speranza per i giovani vittime di reclutamento, di disoccupazione o di abbandono da parte delle loro stesse famiglie.

[in inglese]
Grazie tante per il rosario che avete pregato per me: grazie, grazie tante!

Grazie per la vostra presenza, per la vostra presenza entusiasta, qui! Grazie a Linette e grazie a Manuel, per le vostre riflessioni.

[in spagnolo]
Esiste una domanda alla base di tutte le domande che mi hanno rivolto Linette e Manuel: “Perché succedono le divisioni, le lotte, la guerra, la morte, il fanatismo, la distruzione fra i giovani? Perché c’è questo desiderio di autodistruggerci? Nella prima pagina della Bibbia, dopo tutte quelle meraviglie che ha fatto Dio, un fratello uccide il proprio fratello. Lo spirito del male ci porta alla distruzione; lo spirito del male ci porta alla disunità, ci porta al tribalismo, alla corruzione, alla dipendenza dalla droga… Ci porta alla distruzione attraverso il fanatismo.

Manuel mi chiedeva: “Cosa fare perché un fanatismo ideologico non ci rubi un fratello, non ci rubi un amico?”. C’è una parola che può sembrare scomoda, ma non la voglio evitare perché voi la avete usata prima di me: l’avete usata quando mi avete portato i rosari, contando i rosari che avete pregato per me; l’ha usata anche il Vescovo, quando vi ha presentato, e ha detto che vi siete preparati a questa visita con la preghiera. La prima cosa che io risponderei è che un uomo perde il meglio del suo essere umano, una donna perde il meglio della sua umanità, quando si dimentica di pregare, perché si sente onnipotente, perché non sente il bisogno di chiedere aiuto al Signore davanti a tante tragedie.

La vita è piena di difficoltà, ma ci sono due modi di guardare alle difficoltà: o le si guarda come qualcosa che ti blocca, che ti distrugge, che ti tiene fermo, oppure le si guarda come una reale opportunità. A voi scegliere. Per me, una difficoltà è un cammino di distruzione, oppure è una opportunità per superare la mia situazione, quella della mia famiglia, della mia comunità, del mio Paese?

Ragazzi e ragazze, non viviamo in cielo, viviamo sulla terra. E la terra è piena di difficoltà. La terra è piena non soltanto di difficoltà, ma anche di inviti a deviare verso il male. Però c’è qualcosa che tutti voi giovani avete, che dura per un certo tempo, un tempo più o meno lungo: la capacità di scegliere quale cammino voglio scegliere, quale di queste due cose voglio scegliere: farmi sconfiggere dalla difficoltà, oppure trasformare la difficoltà in una opportunità, perché possa vincere io?

Alcune delle difficoltà che voi avete menzionato sono delle vere sfide. E quindi prima una domanda: voi volete superare queste sfide oppure lasciarvi vincere dalle sfide? Voi siete come quegli sportivi che, quando vengono qui a giocare nello stadio, volete vincere, o come quelli che hanno già venduto la vittoria agli altri e si sono messi i soldi in tasca? A voi la scelta!

Una sfida che ha menzionato Linette è quella del tribalismo. Il tribalismo distrugge una nazione; il tribalismo vuol dire tenere le mani nascoste dietro la schiena e avere una pietra in ciascuna mano per lanciarla contro l’altro. Il tribalismo si vince soltanto con l’orecchio, con il cuore e con la mano. Con l’orecchio, ascoltando: qual è la tua cultura?, perché sei così?, perché la tua tribù ha questa abitudine, questa usanza?, la tua tribù si sente superiore o inferiore? Con il cuore: una volta che ho ascoltato con le orecchie la risposta, apro il mio cuore; e poi tendo la mano per continuare il dialogo. Se voi non dialogate e non vi ascoltate fra di voi, allora ci sarà sempre il tribalismo, che è come un tarlo che corrode la società. Ieri - per voi la facciamo oggi - è stata dichiarata una giornata di preghiera e di riconciliazione. Io vi voglio invitare adesso, tutti voi giovani, Linette e Manuel, a venire qui, a prenderci tutti per mano; ci alziamo in piedi e ci prendiamo per mano come segno contro il tribalismo. Tutti siamo un’unica nazione! Siamo tutti un’unica nazione! Così deve essere il nostro cuore. Il tribalismo non è soltanto alzare la mano oggi, questo è il desiderio, ma è la decisione. Ma il tribalismo è un lavoro di tutti i giorni. Vincere il tribalismo è un lavoro di tutti i giorni; è un lavoro dell’orecchio: ascoltare l’altro; un lavoro del cuore: aprire il mio cuore all’altro; un lavoro della mano: darsi la mano l’uno con l’altro… E adesso diamoci la mano gli uni gli altri…. “No al tribalismo!”.

Sedetevi.

Un’altra domanda che ha fatto Linette è sulla corruzione. In fondo mi chiedeva: “Si può giustificare la corruzione semplicemente per il fatto che tutti stanno peccando, che tutti sono corrotti? Come possiamo essere cristiani e combattere il male della corruzione?”.

Io ricordo che nella mia patria, un giovane di 20-22 anni, voleva dedicarsi alla politica; studiava, era entusiasta, andava da una parte all’altra… Ha trovato lavoro in un ministero. Un giorno ha dovuto decidere su quello che bisognava comprare; allora ha chiesto tre preventivi, li ha studiati e ha scelto il più economico. Poi è andato all’ufficio del capo perché lo firmasse. “Perché hai scelto questo?” - “Perché bisogna scegliere il più conveniente per le finanze del Paese” – “No, no! Bisogna scegliere quelli che ti danno di più da metterti in tasca”, disse. Il giovane allora rispose al capo: “Io sono venuto a fare politica per aiutare la patria, per farla crescere”. E il capo gli rispose: “E io faccio politica per rubare!”. Questo è soltanto un esempio. Ma questo non soltanto nella politica, ma in tutte le istituzioni, compreso il Vaticano, ci sono casi di corruzione. La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. E’ come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile… e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Con tanto zucchero facile, finiamo diabetici e anche il nostro Paese diventa diabetico!

Ogni volta che accettiamo una “bustarella”, una tangente, ogni volta che accettiamo una “bustarella” e ce la mettiamo in tasca, distruggiamo il nostro cuore, distruggiamo la nostra personalità e distruggiamo la nostra patria. Per favore, non prendete gusto a questo “zucchero” che si chiama corruzione. “Padre, però io vedo che ci sono molti che sono corrotti, vedo tante persone che si vendono per un po’ di soldi, senza preoccuparsi della vita degli altri...”. Come in tutte le cose, bisogna cominciare: se non vuoi la corruzione nel tuo cuore, nella tua vita, nella tua patria, comincia tu, adesso! Se non cominci tu, non comincerà neanche il tuo vicino. La corruzione ci ruba anche la gioia, ci ruba la pace. La persona corrotta non vive in pace.

Una volta - e questo è un fatto storico, che adesso vi racconto – nella mia città è morto un uomo. Tutti sapevamo che era un grande corrotto. Allora io ho chiesto alcuni giorni dopo: come è stato il funerale? E una signora, che aveva molto senso dell’umorismo mi rispose: “Padre, non riuscivano a chiudere la bara, la cassa, perché voleva portarsi via tutto il denaro che aveva rubato”. Quello che voi rubate con la corruzione, rimarrà qui e lo userà qualcun altro. Però rimarrà anche – e questo teniamolo bene a mente – nel cuore di tanti uomini e donne che sono rimasti feriti dal tuo esempio di corruzione. Rimarrà nella mancanza del bene che avresti potuto fare e non hai fatto. Rimarrà nei ragazzi malati, affamati, perché il denaro che era per loro, a causa della tua corruzione, te lo sei goduto tu. Ragazzi e ragazze, la corruzione non è un cammino di vita: è un cammino di morte!

C’era anche una domanda su come usare i mezzi di comunicazione per divulgare il messaggio di speranza di Cristo, e promuovere iniziative giuste perché si veda la differenza. Il primo mezzo di comunicazione è la parola, è il gesto, è il sorriso. Il primo gesto di comunicazione è la vicinanza. Il primo gesto di comunicazione è cercare l’amicizia. Se voi parlate bene tra di voi, se vi sorridete, se vi avvicinate come fratelli; se voi state vicini gli uni agli altri, anche se appartenete a tribù differenti; se voi siete vicini a quelli che hanno bisogno, a quelli che sono poveri, a quelli abbandonati, agli anziani che nessuno visita, se siete vicini a loro, questi gesti di comunicazione sono più contagiosi di qualunque rete televisiva.

Fra tutte queste domande ho detto qualcosa che spero vi possa aiutare. Ma chiedete molto a Gesù, pregate il Signore, affinché vi dia la forza di distruggere il tribalismo, di essere tutti fratelli; affinché vi dia il coraggio di non lasciarvi corrompere, affinché vi dia il desiderio di poter comunicare fra di voi come fratelli, con un sorriso, con una buona parola, con un gesto di aiuto e con la vicinanza.

Anche Manuel nella sua testimonianza ha fatto delle domande incisive. Mi preoccupa la prima cosa che ha detto: “Cosa possiamo fare per fermare il reclutamento dei nostri cari? Cosa possiamo fare per farli tornare? Per rispondere a questo dobbiamo sapere perché un giovane, pieno di speranze, si lasci reclutare oppure vada a cercare di essere reclutato: si allontana dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalla sua tribù, dalla sua patria; si allontana dalla vita, perché impara ad uccidere… E questa è una domanda che voi dovete rivolgere a tutte le autorità. Se un giovane, se un ragazzo o una ragazza, se un uomo o una donna, non ha lavoro, non può studiare, che può fare? Può delinquere, oppure cadere in una forma di dipendenza, oppure suicidarsi… - in Europa, le statistiche dei suicidi non vengono pubblicate -, oppure arruolarsi in una attività che gli dia un fine nella vita, ingannandolo…

La prima cosa che dobbiamo fare per evitare che un giovane sia reclutato o che cerchi di farsi reclutare è istruzione e lavoro. Se un giovane non ha lavoro, che futuro lo attende? Da lì viene l’idea di lasciarsi reclutare. Se un giovane non ha possibilità di ricevere una educazione, anche un’educazione di emergenza, di piccoli incarichi, che cosa può fare? Lì c’è il pericolo! E’ un pericolo sociale, che va al di là di noi, anche al di là del Paese, perché dipende da un sistema internazionale, che è ingiusto, che ha al centro dell’economia non la persona, ma il dio denaro. Che cosa posso fare per aiutarlo o per farlo tornare? Prima di tutto pregare. Però con forza! Dio è più forte di ogni campagna di reclutamento. E poi? Parlargli con affetto, con tenerezza, con amore e con pazienza. Invitarlo a vedere una partita di calcio, invitarlo a fare una passeggiata, invitarlo a stare insieme nel gruppo. Non lasciarlo da solo. Questo è quello che mi viene in mente adesso.

Certamente ci sono – è la tua seconda domanda – ci sono comportamenti che danneggiano, comportamenti in cui si cercano felicità passeggere, ma che finiscono poi per danneggiarvi. La domanda che mi hai fatto, Manuel, è una domanda di un professore di teologia: “Come possiamo capire che Dio è nostro Padre? Come possiamo vedere la mano di Dio nelle tragedie della vita? Come possiamo trovare la pace di Dio?”. Questa domanda se la pongono gli uomini e le donne di tutto il mondo, in un modo o nell’altro. E non trovano una ragione. Ci sono domande, alle quali, per quanto ci si sforzi di rispondere, non si riesce a trovare una risposta. “Come posso vedere la mano di Dio in una tragedia della vita?”. C’è una sola risposta: no, non c’è risposta. C’è una sola strada, guardare al Figlio di Dio. Dio lo ha consegnato per salvare tutti noi. Dio stesso si è fatto tragedia. Dio stesso si è lasciato distruggere sulla croce. E quando viene il momento in cui non capite, quando siete disperati e quando il mondo vi cade addosso, guardate la Croce! Lì c’è il fallimento di Dio; lì c’è la distruzione di Dio. Ma lì c’è anche sfida alla nostra fede: la speranza. Perché la storia non è finita in quel fallimento: c’è stata la Risurrezione che ci ha rinnovato tutti.

Vi farò una confidenza… Avete fame? Sono le 12.00… No? Allora vi farò una confidenza. In tasca porto sempre due cose [le tira fuori dalla tasca e le mostra]: un rosario, un rosario per pregare; e una cosa che sembra strana… Che cos’è questo? Questa è la storia del fallimento di Dio, è una Via Crucis, una piccola Via Crucis [mostra un astuccio che si apre e contiene delle piccole immagini]: come Gesù ha sofferto da quando è stato condannato a morte, fino a quando è stato sepolto… E con queste due cose, cerco di fare del mio meglio. Ma grazie a queste due cose non perdo la speranza.

Un’ultima domanda del “teologo” Manuel: “Che parole ha per i giovani che non hanno vissuto l’amore nelle proprie famiglie? E’ possibile uscire da questa esperienza?”. Ovunque ci sono ragazzi abbandonati, o perché sono stati abbandonati alla nascita o perché la vita li ha abbandonati, la famiglia, i genitori, e non sentono l’affetto della famiglia. Per questo la famiglia è così importante. Difendete la famiglia! Difendetela sempre. Ovunque ci sono non solo bambini abbandonati, ma anche anziani abbandonati, che stanno lì senza che nessuno li visiti, senza nessuno che voglia loro bene… Come si può uscire da questa esperienza negativa, di abbandono, di mancanza di amore? C’è soltanto un rimedio per uscire da queste esperienze: fare quello che io non ho ricevuto. Se voi non avete ricevuto comprensione, siate comprensivi con gli altri; se voi non avete ricevuto amore, amate gli altri; se voi avete sentito il dolore della solitudine, avvicinatevi a quelli che sono soli. La carne si cura con la carne! E Dio si è fatto Carne per curarci. Facciamo anche noi lo stesso con gli altri.

Bene, credo che - prima che l’arbitro fischi la fine – sia il momento di concludere. Io vi ringrazio di cuore per essere venuti, per avermi permesso di parlare nella mia lingua materna… Vi ringrazio per aver pregato tanti Rosari per me. E, per favore, vi chiedo che preghiate per me, perché anche io ne ho bisogno, e molto! E prima di andarcene, vi chiedo di metterci tutti in piedi e preghiamo insieme il nostro Padre del Cielo, che ha un solo difetto: non può smettere di essere Padre!

[Padre Nostro in inglese]

[Benedizione in inglese]

Guarda il video del discorso ai giovani (tr. in italiano)

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 Incontro con i Vescovi del Kenya 

Finito l’incontro con i giovani il Papa si è riunito in privato con i vescovi del Kenia, una trentina di persone in un locale dello stadio, poi il rientro in nunziatura da dove alle 14.30 ora di Nairobi, il Papa riparte per andare all’aeroporto e volare verso l’Uganda.

Cerimonia di congedo all’Aeroporto Internazionale “Jomo Kenyatta” di Nairobi e partenza in aereo da Nairobi per Entebbe
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Vedi anche:

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME)- 29 novembre 2015





Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)





Preghiera dei Fedeli



"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 1/2015-2016 (C) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'

Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo: Lc 21,25-28.34-36



Il sole, la luna e le stelle sono immagini, simboli delle divinità pagane e dei potenti di questo mondo di ogni epoca, idoli di morte attorno ai quali ruota la vita e la storia degli uomini. Essi sono destinati a crollare, a cadere rovinosamente davanti alla epifania del Figlio dell'uomo e al suo amore crocifisso. 
Vuoti, si frantumeranno in mille pezzi, come la statua di 'Dagon' davanti alla 'Cavod', alla gloria luminosa dell'Arca del Signore . E mentre per tutti coloro che non credono questi sconvolgimenti saranno causa di angoscia, di abbattimento e di terrore, per quanti invece appartengono al Signore, per "coloro che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole bianche nel sangue dell'Agnello"(Ap 7,14), è giunto il "kairòs", il momento propizio, il tempo di rialzarsi e risollevare la testa, come uomini liberi, come figli del Padre perché fratelli di colui che ci ha riscattati a caro prezzo donando la sua vita e amandoci fino alla fine. Attenti allora a non permettere che le melliflue menzogne dell'idolo appesantiscano il nostro cuore. 
Attenti a non lasciarci anestetizzare dal suo veleno mortale che promette di dare la libertà e la vita ma che invece rende schiavi e uccide. Sempre vigilanti nella notte oscura della storia, in attesa, "con i fianchi cinti e le lampade ardenti, come uomini che attendono il ritorno del loro Signore dalle nozze, perché quando viene e bussa subito gli aprano. Beati saranno quei servi che, venendo, il Signore troverà vigilanti"(Lc 12,35-37).


sabato 28 novembre 2015

PAPA FRANCESCO VIAGGIO APOSTOLICO IN KENYA, UGANDA E NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA /6 (cronaca, foto, testi e video) - VISITA AL QUARTIERE POVERO DI KANGEMI


 27 novembre 2015 
VISITA AL QUARTIERE POVERO DI KANGEMI


Papa Francesco ha iniziato la sua terza e ultima giornata in Kenya - dopo aver celebrato la Messa in privato nella nunziatura apostolica di Nairobi - nel quartiere povero di Kangemi, una baraccopoli dove mancano i servizi essenziali, nel cuore della capitale kenyana, circondata da zone residenziali e situata in fondo a una piccola vallata che confina con un'altra baraccopoli. Qui vivono oltre centomila persone senza una rete di drenaggio delle acque nere e senza servizi, in abitazioni di fortuna fabbricate con latta e legno. 


La popolazione di oltre 100mila abitanti è multietnica. Il Papa ha percorso le stradine in terra battuta fino alla parrocchia cattolica di san Giuseppe Lavoratore retta dai gesuiti che dirigono anche un ambulatorio, un istituto tecnico superiore, un centro di assistenza alle madri in difficoltà.
Il Papa viene salutato da una residente dello slum in abiti tradizionali, Pamela Akwede, che gli ricorda come il 60 per cento della popolazione di Nairobi viva nelle baraccopoli le quali occupano solo il 5 per cento dell'area totale della città. La gente qui «sopravvive con meno di un dollaro al giorno. Ci sono stati focolai di colera, specialmente all'inizio di quest'anno». Mentre suor Mary Killeen ricorda che serve una maggiore presenza di religiosi nei quartieri poveri.
Francesco, che da arcivescovo di Buenos Aires aveva mandato molti preti a vivere nelle baraccopoli, è visibilmente felice. 

Grazie per avermi accolto nel vostro quartiere. Grazie al Signor Arcivescovo Kivuva e a padre Pascal per le loro parole. In realtà, mi sento a casa condividendo questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte. Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno! Come possiamo non denunciare le ingiustizie subite?

Ma prima di tutto vorrei soffermarmi su un aspetto che i discorsi di esclusione non riescono a riconoscere o sembrano ignorare. Voglio fare riferimento alla saggezza dei quartieri popolari. Una saggezza che scaturisce da «un’ostinata resistenza di ciò che è autentico», da valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato. Voi siete in grado di tessere «legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo».

La cultura dei quartieri popolari impregnati di questa particolare saggezza, «ha caratteristiche molto positive, che sono un contributo al tempo in cui viviamo, si esprime in valori come la solidarietà, dare la propria vita per l’altro, preferire la nascita alla morte; dare una sepoltura cristiana ai propri morti. Offrire un posto per i malati nella propria casa, condividere il pane con l'affamato: “dove mangiano 10 mangiano in 12”; la pazienza e la forza d’animo di fronte alle grandi avversità, ecc.». Valori che si fondano sul fatto che ogni essere umano è più importante del dio denaro. Grazie per averci ricordato che esiste un altro tipo di cultura possibile.

Vorrei rivendicare in primo luogo questi valori che voi praticate, valori che non si quotano in Borsa, valori con i quali non si specula né hanno prezzo di mercato. Mi congratulo con voi, vi accompagno e voglio che sappiate che il Signore non si dimentica mai di voi. Il cammino di Gesù è iniziato in periferia, va dai poveri e con i poveri verso tutti.

Riconoscere queste manifestazioni di vita buona che crescono ogni giorno tra voi, non significa in alcun modo ignorare la terribile ingiustizia della emarginazione urbana. Sono le ferite provocate dalle minoranze che concentrano il potere, la ricchezza e sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate.
...

Questo contesto di indifferenza e ostilità, di cui soffrono i quartieri popolari, si aggrava quando la violenza si diffonde e le organizzazioni criminali, al servizio di interessi economici o politici, utilizzano i bambini e i giovani come “carne da cannone” per i loro affari insanguinati. Conosco anche le sofferenze di donne che lottano eroicamente per proteggere i loro figli e figlie da questi pericoli. Chiedo a Dio che le autorità prendano insieme a voi la strada dell’inclusione sociale, dell’istruzione, dello sport, dell’azione comunitaria e della tutela delle famiglie, perché questa è l’unica garanzia di una pace giusta, vera e duratura.

Queste realtà che ho elencato non sono una combinazione casuale di problemi isolati. Sono piuttosto una conseguenza di nuove forme di colonialismo, che pretende che i paesi africani siano «pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco». Non mancano di fatto, pressioni affinché si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità che pretende «legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare».

A questo proposito, propongo di riprendere l’idea di una rispettosa integrazione urbana. Né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento. Abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future. Il debito sociale, il debito ambientale con i poveri delle città si paga concretizzando il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro [le tre “t”: tierra, techo, trabajo]. Questa non è filantropia, è un dovere morale di tutti.

Faccio appello a tutti i cristiani, in particolare ai Pastori, a rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria. So che fate molto, ma vi chiedo di ricordare che non è un compito in più, ma forse il più importante, perché «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo».

Cari cittadini, cari fratelli. Preghiamo, lavoriamo e impegniamoci insieme perché ogni famiglia abbia una casa decente, abbia accesso all’acqua potabile, abbia un bagno, abbia energia sicura per illuminare, per cucinare, per migliorare le proprie abitazioni... perché ogni quartiere abbia strade, piazze, scuole, ospedali, spazi sportivi, ricreativi e artistici; perché i servizi essenziali arrivino ad ognuno di voi; perché siano ascoltati i vostri appelli e il vostro grido che chiede opportunità; perché tutti possiate godere della pace e della sicurezza che meritate secondo la vostra infinita dignità umana.

Mungu awabariki! (Dio vi benedica!)

E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

Guarda il video del discorso di Papa Francesco (tr. in italiano)


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Vedi anche:


S.TERESA D’AVILA In Dio conosciamo noi stessi: il “Castello Interiore” - prima parte - (VIDEO)

S.TERESA D’AVILA
In Dio conosciamo noi stessi: il “Castello Interiore” 
- prima parte -
Alberto Neglia, ocarm



Incontro del 04.11.2015 inserito nell'ambito dei
I MERCOLEDÌ' DELLA SPIRITUALITÀ 2015
S. TERESA D’AVILA DONNA IN CAMMINO CON DIO 
Nel V Centenario della nascita (1515-2015)
promossi dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto (ME)





Sotto il segno dell’efficienza
Si ha l’impressione che l’esperienza umana oggi sia proposta e sia vissuta sotto il segno dell’efficienza. All’interno di questo paradigma diventa sempre più difficile per l’uomo fermarsi per stare con se stesso, ognuno sente il bisogno di proiettarsi in un attivismo che gli dia l’impressione di essere vivo, ed efficiente nella società.

Di fronte a questa deriva che rischia di vanificare il senso profondo della nostra vita credo che sia opportuno riflettere sulla necessità di recuperare, una intensa vita interiore.

Ovviamente, con vita interiore non alludiamo ad intimismo o a un gioco psicologico, ma all’impegno a recuperare noi stessi come persone e di organizzare la nostra vita e le nostra missione dal di dentro, cioè, da un consapevole rapporto di amicizia con il Dio vivente che nel figlio suo Gesù ci visita, ci fa crescere come figli e come fratelli e ci coinvolge a stare nella storia con la sua stessa passione. 


La vita interiore non si improvvisa
È chiaro che la vita interiore non si improvvisa, né è un fatto automatico. È frutto di una lotta prima di tutto con se stessi. Paolo ce lo ricorda: «Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti secondo l’uomo interiore mi compiaccio per la legge di Dio, ma vedo una legge diversa nelle mie membra che osteggia la legge della mia mente» (Rom 7,21-23).

Lasciare emergere l’uomo interiore, quindi, non è un dato di fatto, è un cammino. Oggi si attivano tanti pellegrinaggi, ma il vero pellegrinaggio è quello della conversione, quello verso l’intimo di sé dove abita Dio. Il viaggio più lungo e più impegnativo è quello che conduce ad «essere rafforzati dallo Spirito nell’uomo interiore» (Ef 3,16), che fa del nostro corpo il tempio dello Spirito (1Cor 6,19). Qui vedo e gusto quanto è buono il Signore (Sal 34,9) e, dalla sua presenza in me, più intima di quanto io possa esserlo a me stesso (intimior intimo meo) (S. Agostino), ricevo il mio essere me stesso. 

«Il viaggio più lungo è il viaggio interiore», annotava Dag Hammarskjold, anche se si tratta, in questo viaggio, di trovare un centro che non è fuori di noi, ma in noi.

Ma è anche il più impegnativo, richiede infatti il coraggio di sottrarsi alle mode, di andare incontro all’impopolarità e di sapersi conciliare con una certa solitudine e con i propri limiti.

In questa riflessione ci lasceremo guidare da Teresa d’Avila che nei suoi scritti evidenzia la necessità e il dinamismo di questo cammino.



Teresa donna itinerante
Il tema del cammino non solo è presente ma è dominante nell’esperienza e negli Scritti di Teresa. Lei ha viaggiato a lungo per fondare e visitare i 17 monasteri a cui ha dato vita. Una delle sue opere porta come titolo Cammino di perfezione. E, all’interno di quest’opera Teresa si consegna a Dio “Camminiamo insieme, Signore: verrò dovunque voi andrete, e per qualunque luogo passerete passerò anch’io” (Cammino di perfezione 26,6). È ovvio che l’andare va oltre il camminare per le vie di Spagna, ma è un lasciarsi coinvolgere nel ritmo e nello spazio di Dio. Alla fine della sua vita, dice che le mancava di percorrere l`ultimo tratto di strada, quello tra terra e cielo, e, prima di morire, esclama: «È ora, Sposo mio che ci vediamo. È tempo di camminare» Teresa, quindi, è una “itinerante” e le è congeniale vedere l’avventura spirituale come un cammino.
...
Teresa sta dicendo che ci sono vari “modi di essere”, cioè, di vivere la propria esperienza umana e cristiana, per cui potremmo dire: il fuori del castello è il luogo in cui la persona non vive la libertà del proprio possesso; al contrario è soggetta al dominio di forze che le sfuggono. Per Teresa essere fuori significa essere alienati, privi di autenticità di vita, in modo superficiale, condizionati dalle suggestioni immediate che lasciano nel vuoto e determinati dal banale (cf. 1Pt 1,18)
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