Il Natale di Leone XIV contro la roboante propaganda di guerra.
Dalle tende di Gaza alla pace selvatica,
il grido contro l’indifferenza del mondo mentre muoiono bambini e ragazzi
Nella solennità del Natale 2025, Papa Leone XIV ha unito l’omelia della celebrazione in Basilica e il messaggio Urbi et Orbi in un unico, potente, richiamo alla responsabilità comune che deve opporsi, ha chiesto, ai roboanti discorsi di chi manda a morire” giovani ucraini e russi in quella guerra che non si riesce a fermare perché i “monologhi” prevalgono sul dialogo che stenta per questo a decollare.
Dalla Loggia centrale, davanti a 26 mila pellegrini, prima della benedizione Urbi et Orbi, il Pontefice ha affrontato il dramma della guerra partendo da un’immagine di estrema precarietà: quella degli abitanti della Striscia. “Come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente?”, si è chiesto il Papa nell’ omelia accostando poi nel messaggio le vittime di Gaza a quelle, di cui non parla nessuno, dello Yemen, bombardato da oltre 10 anni da una coalizione anglo-araba-statunitense, sottolineando poi come Dio stesso si immedesimi “con chi non ha più nulla e ha perso tutto”.
La teologia della carne e il vagito di Dio
Nell’omelia, commentando il Vangelo di Giovanni, ha spiegato che “il Verbo di Dio appare e non sa parlare, viene a noi come neonato che soltanto piange e vagisce”. Questa scelta divina definisce un nuovo modo di intendere l’umanità attraverso la “carne”, termine che per il Pontefice rappresenta “la radicale nudità cui a Betlemme e sul Calvario manca anche la parola; come parola non hanno tanti fratelli e sorelle spogliati della loro dignità e ridotti al silenzio”.
Secondo il Papa, la pace non può essere un concetto astratto, ma deve nascere dal contatto con questa fragilità: “Quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace”. Essa, ha aggiunto, “nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà”.
L’insensatezza della guerra, i monologhi del potere e i discorsi roboanti che spingono a combattere
Il Pontefice ha rivolto parole durissime contro la manipolazione delle coscienze e la retorica bellica, definendo fragili “le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”. Citando Papa Francesco, ha messo in guardia dalla “tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore”, poiché il potere di diventare figli di Dio “rimane sepolto finché stiamo distaccati dal pianto dei bambini e dalla fragilità degli anziani, dal silenzio impotente delle vittime”.
Il superamento dei conflitti richiede dunque un cambiamento radicale nel modo di relazionarsi: “Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno e, fecondati dall’ascolto, cadremo in ginocchio davanti alla nuda carne altrui”.
La via della responsabilità e la pace selvatica
Nel messaggio Urbi et Orbi, Leone XIV ha indicato nella responsabilità la vera “via della pace”. Ha esortato ogni uomo a riconoscere le proprie mancanze invece di accusare gli altri: “Se ognuno di noi, a tutti i livelli, invece di accusare gli altri, riconoscesse prima di tutto le proprie mancanze e ne chiedesse perdono a Dio, e nello stesso tempo si mettesse nei panni di chi soffre, si facesse solidale con chi è più debole e oppresso, allora il mondo cambierebbe”.
In un momento di grande suggestione poetica, il Papa ha citato l’autore israeliano Yehuda Amichai per invocare una “pace selvatica”, che non sia solo un accordo politico o un cessate-il-fuoco, ma qualcosa che nasca da una “grande stanchezza” e sbocci “all’improvviso, perché il campo ne ha bisogno”.
Verso la chiusura del Giubileo
Mentre l’Anno Santo volge al termine, Leone XIV ha ricordato che, sebbene le Porte Sante stiano per chiudersi, “Cristo nostra speranza rimane sempre con noi”. Affidando il mondo alla Vergine Maria, “Regina della pace”, ha concluso riaffermando che “nulla nasce dall’esibizione della forza e tutto rinasce dalla silenziosa potenza della vita accolta”. Il Natale del Signore, nel messaggio di questo primo Natale di Leone XIV, resta indissolubilmente il “Natale della pace”, una pace che richiede il coraggio del dialogo e il rifiuto dell’indifferenza.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri 25/12/2025)
*************
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
SANTA MESSA DEL GIORNO
OMELIA DI LEONE XIV
Basilica di San Pietro
Giovedì, 25 dicembre 2025
_________________________________________
Sorelle e fratelli carissimi!
«Prorompete insieme in canti di gioia» (Is 52,9), grida il messaggero di pace a chi si trova fra le rovine di una città interamente da ricostruire. Anche se impolverati e feriti, i suoi piedi sono belli – scrive il profeta (cfr Is 52,7) – perché, attraverso strade lunghe e dissestate, hanno portato un annuncio lieto, in cui ora tutto rinasce. È un nuovo giorno! Anche noi partecipiamo di questa svolta, alla quale nessuno sembra credere ancora: la pace esiste ed è già in mezzo a noi.
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Così Gesù disse ai discepoli, ai quali aveva da poco lavato i piedi, messaggeri di pace che da lì in poi avrebbero dovuto correre attraverso il mondo, senza stancarsi, per rivelare a tutti il «potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Oggi, dunque, non soltanto siamo sorpresi dalla pace che è già qui, ma celebriamo come questo dono ci è stato fatto. Nel come, infatti, brilla la differenza divina che ci fa prorompere in canti di gioia. Così, in tutto il mondo, il Natale è per eccellenza una festa di musiche e di canti.
Anche il prologo del quarto Vangelo è un inno e ha per protagonista il Verbo di Dio. Il “verbo” è una parola che agisce. Questa è una caratteristica della Parola di Dio: non è mai senza effetto. A ben vedere, anche molte delle nostre parole producono effetti, a volte indesiderati. Sì, le parole agiscono. Ma ecco la sorpresa che la liturgia del Natale ci pone di fronte: il Verbo di Dio appare e non sa parlare, viene a noi come neonato che soltanto piange e vagisce. «Si fece carne» (Gv 1,14) e, sebbene crescerà e un giorno imparerà la lingua del suo popolo, ora a parlare è solo la sua semplice, fragile presenza. «Carne» è la radicale nudità cui a Betlemme e sul Calvario manca anche la parola; come parola non hanno tanti fratelli e sorelle spogliati della loro dignità e ridotti al silenzio. La carne umana chiede cura, invoca accoglienza e riconoscimento, cerca mani capaci di tenerezza e menti disposte all’attenzione, desidera parole buone.
«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,11). Ecco il modo paradossale in cui la pace è già fra noi: il dono di Dio è coinvolgente, cerca accoglienza e attiva la dedizione. Ci sorprende perché si espone al rifiuto, ci incanta perché ci strappa all’indifferenza. È un vero potere quello di diventare figli di Dio: un potere che rimane sepolto finché stiamo distaccati dal pianto dei bambini e dalla fragilità degli anziani, dal silenzio impotente delle vittime e dalla rassegnata malinconia di chi fa il male che non vuole.
Come scrisse l’amato Papa Francesco, per richiamarci alla gioia del Vangelo: «A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 270).
Cari fratelli e sorelle, poiché il Verbo si fece carne, ora la carne parla, grida il desiderio divino di incontrarci. Il Verbo ha stabilito fra noi la sua fragile tenda. E come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città? Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate da tante guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte. Fragili sono le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire.
Quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace. La pace di Dio nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà, nasce da sogni e visioni che, come profezie, invertono il corso della storia. Sì, tutto questo esiste, perché Gesù è il Logos, il senso da cui tutto ha preso forma. «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3). Questo mistero ci interpella dai presepi che abbiamo costruito, ci apre gli occhi su un mondo in cui la Parola risuona ancora, «molte volte e in diversi modi» (cfr Eb 1,1), e ancora ci chiama a conversione.
Certo, il Vangelo non nasconde la resistenza delle tenebre alla luce, descrive il cammino della Parola di Dio come una strada impervia, disseminata di ostacoli. Fino a oggi gli autentici messaggeri di pace seguono il Verbo su questa via, che infine raggiunge i cuori: cuori inquieti, che spesso desiderano proprio ciò a cui resistono. Così il Natale rimotiva una Chiesa missionaria, sospingendola sui sentieri che la Parola di Dio le ha tracciato. Non serviamo una parola prepotente – ne risuonano già dappertutto – ma una presenza che suscita il bene, ne conosce l’efficacia, non se ne arroga il monopolio.
Ecco la strada della missione: una strada verso l’altro. In Dio ogni parola è parola rivolta, è un invito alla conversazione, parola mai uguale a sé stessa. È il rinnovamento che il Concilio Vaticano II ha promosso e che vedremo fiorire solo camminando insieme all’intera umanità, mai separandocene. Mondano è il contrario: avere per centro sé stessi. Il movimento dell’Incarnazione è un dinamismo di conversazione. Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno e, fecondati dall’ascolto, cadremo in ginocchio davanti alla nuda carne altrui. La Vergine Maria è proprio in questo la Madre della Chiesa, la Stella dell’evangelizzazione, la Regina della pace. In lei comprendiamo che nulla nasce dall’esibizione della forza e tutto rinasce dalla silenziosa potenza della vita accolta.
Guarda il video integrale
*************
MESSAGGIO "URBI ET ORBI"
DI LEONE XIV
NATALE 2025
Loggia Centrale della Basilica di San Pietro
Giovedì, 25 dicembre 2025
____________________________________
Messaggio del Santo Padre e Benedizione “Urbi et Orbi” nella Solennità del Natale
Cari fratelli e sorelle,
«Rallegriamoci tutti nel Signore: il nostro Salvatore è nato nel mondo. Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo» (Antifona d’ingresso alla Messa della notte di Natale). Così canta la liturgia nella notte di Natale, e così riecheggia nella Chiesa l’annuncio di Betlemme: il Bambino che è nato dalla Vergine Maria è il Cristo Signore, mandato dal Padre a salvarci dal peccato e dalla morte. Egli è la nostra pace, Colui che ha vinto l’odio e l’inimicizia con l’amore misericordioso di Dio. Per questo «il Natale del Signore è il Natale della pace» (S. Leone Magno, Sermone 26).
Gesù è nato in una stalla, perché non c’era posto per Lui nell’alloggio. Appena nato, sua mamma Maria «lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia» (cfr Lc 2,7). Il Figlio di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, non viene accolto e la sua culla è una povera mangiatoia per gli animali.
Il Verbo eterno del Padre, che i cieli non possono contenere ha scelto di venire nel mondo così. Per amore ha voluto nascere da donna, per condividere la nostra umanità; per amore ha accettato la povertà e il rifiuto e si è identificato con chi è scartato ed escluso.
Nel Natale di Gesù già si profila la scelta di fondo che guiderà tutta la vita del Figlio di Dio, fino alla morte sulla croce: la scelta di non far portare a noi il peso del peccato, ma di portarlo Lui per noi, di farsene carico. Questo, solo Lui poteva farlo. Ma nello stesso tempo ha mostrato ciò che invece solo noi possiamo fare, cioè assumerci ciascuno la propria parte di responsabilità. Sì, perché Dio, che ci ha creato senza di noi, non può salvarci senza di noi (cfr S. Agostino, Discorso 169, 11. 13), cioè senza la nostra libera volontà di amare. Chi non ama non si salva, è perduto. E chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede (cfr 1Gv 4,20).
Sorelle e fratelli, ecco la via della pace: la responsabilità. Se ognuno di noi – a tutti i livelli –, invece di accusare gli altri, riconoscesse prima di tutto le proprie mancanze e ne chiedesse perdono a Dio, e nello stesso tempo si mettesse nei panni di chi soffre, si facesse solidale con chi è più debole e oppresso, allora il mondo cambierebbe.
Gesù Cristo è la nostra pace prima di tutto perché ci libera dal peccato e poi perché ci indica la via da seguire per superare i conflitti, tutti i conflitti, da quelli interpersonali a quelli internazionali. Senza un cuore libero dal peccato, un cuore perdonato, non si può essere uomini e donne pacifici e costruttori di pace. Per questo Gesù è nato a Betlemme ed è morto sulla croce: per liberarci dal peccato. Lui è il Salvatore. Con la sua grazia, possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione.
In questo giorno di festa, desidero inviare un caloroso e paterno saluto a tutti i cristiani, in modo speciale a quelli che vivono in Medio Oriente, che ho inteso incontrare recentemente con il mio primo viaggio apostolico. Ho ascoltato le loro paure e conosco bene il loro sentimento di impotenza dinanzi a dinamiche di potere che li sorpassano. Il Bambino che oggi nasce a Betlemme è lo stesso Gesù che dice: «Abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).
Da Lui invochiamo giustizia, pace e stabilità per il Libano, la Palestina, Israele, la Siria, confidando in queste parole divine: «Praticare la giustizia darà pace. Onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre» (Is 32,17).
Al Principe della Pace affidiamo tutto il Continente europeo, chiedendogli di continuare a ispirarvi uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi si trova nel bisogno. Preghiamo in modo particolare per il martoriato popolo ucraino: si arresti il fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall’impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso.
Dal Bambino di Betlemme imploriamo pace e consolazione per le vittime di tutte le guerre in atto nel mondo, specialmente di quelle dimenticate; e per quanti soffrono a causa dell’ingiustizia, dell’instabilità politica, della persecuzione religiosa e del terrorismo. Ricordo in modo particolare i fratelli e le sorelle del Sudan, del Sud Sudan, del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Democratica del Congo.
In questi ultimi giorni del Giubileo della Speranza, preghiamo il Dio fatto uomo per la cara popolazione di Haiti, affinché cessi ogni forma di violenza nel Paese e possa progredire sulla via della pace e della riconciliazione.
Il Bambino Gesù ispiri quanti in America Latina hanno responsabilità politiche, perché, nel far fronte alle numerose sfide, sia dato spazio al dialogo per il bene comune e non alle preclusioni ideologiche e di parte.
Al Principe della Pace domandiamo che illumini il Myanmar con la luce di un futuro di riconciliazione: ridoni speranza alle giovani generazioni, guidi l’intero popolo birmano su sentieri di pace e accompagni quanti vivono privi di dimora, di sicurezza o di fiducia nel domani.
A Lui chiediamo che si restauri l’antica amicizia tra Tailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino ad adoperarsi per la riconciliazione e la pace.
A Lui affidiamo anche le popolazioni dell’Asia meridionale e dell’Oceania, provate duramente dalle recenti e devastanti calamità naturali, che hanno colpito duramente intere popolazioni. Di fronte a tali prove, invito tutti a rinnovare con convinzione il nostro impegno comune nel soccorrere chi soffre.
Cari fratelli e sorelle,
nel buio della notte, «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), ma «i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). Non lasciamoci vincere dall’indifferenza verso chi soffre, perché Dio non è indifferente alle nostre miserie.
Nel farsi uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego; con chi è sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati; con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane.
Al cuore di Dio giunge l’invocazione di pace che sale da ogni terra, come scrive un poeta:
«Non la pace di un cessate-il-fuoco,
nemmeno la visione del lupo e dell’agnello,
ma piuttosto
come nel cuore quando l’eccitazione è finita
e si può parlare solo di una grande stanchezza.
[…]
Che venga
come i fiori selvatici,
all’improvviso, perché il campo
ne ha bisogno: pace selvatica». [1]
In questo giorno santo, apriamo il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che sono nel bisogno e nel dolore. Così facendo lo apriamo al Bambino Gesù, che con le sue braccia aperte ci accoglie e dischiude a noi la sua divinità: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
Tra pochi giorni terminerà l’Anno giubilare. Si chiuderanno le Porte Sante, ma Cristo, nostra speranza, rimane sempre con noi! Egli è la Porta sempre aperta, che ci introduce nella vita divina. È il lieto annuncio di questo giorno: il Bambino che è nato è il Dio fatto uomo; egli non viene per condannare, ma per salvare; la sua non è un’apparizione fugace, Egli viene per restare e donare sé stesso. In Lui ogni ferita è risanata e ogni cuore trova riposo e pace. «Il Natale del Signore è il Natale della pace».
A tutti auguro di cuore un sereno santo Natale!
--------------------------------
[1] Y. Amichai, “Wildpeace”, in The Poetry of Yehuda Amichai, Farrar, Straus and Giroux, 2015.
____________________________
Auguri del Santo Padre ai Popoli e alle Nazioni in Occasione del Santo Natale
Ed ora rivolgo un cordiale augurio in alcune espressioni linguistiche:
Italiano
Buon Natale! La pace di Cristo regni nei vostri cuori e nelle vostre famiglie.
Francese
Joyeux Noël ! Que la paix du Christ règne dans vos cœurs et dans vos familles.
Inglese
Merry Christmas! May the peace of Christ reign in your hearts and in your families.
Tedesco
Frohe Weihnachten! Der Friede Christi herrsche in euren Herzen und in euren Familien.
Spagnolo
¡Feliz Navidad! Que la paz de Cristo reine en sus corazones y en sus familias.
Portoghese
Feliz Natal! Que a paz de Cristo reine nos vossos corações e nas vossas famílias.
Polacco
Błogosławionych Świąt Bożego Narodzenia!
Arabo
ميلاد مجيد! ليملك سلامُ المسيحِ في قلوبِكم وفي أسرِكم
Cinese
圣 诞 快 乐!
Latino
Felix sit vobis Domini Nativitas! Pax Christi in vestris cordibus vestrisque familiis regnet.
Guarda il video integrale
*************
Vedi anche il post precedente: