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sabato 27 dicembre 2025

IL SOGNO DI PAROLE DI GIUSEPPE "Seguire un sogno, iniziare un cammino e custodire. Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per le sorti del mondo." - SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE ANNO A - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

IL SOGNO DI PAROLE DI GIUSEPPE


Seguire un sogno, iniziare un cammino e custodire.
Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per le sorti del mondo.


I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno». Mt 2,13-15. 19-23

 
IL SOGNO DI PAROLE DI GIUSEPPE
 
Seguire un sogno, iniziare un cammino e custodire.
Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per le sorti del mondo.


Le letture sembrano venire da un altro mondo. Il Siracide parla di padri e di obbedienza, ma non si riferisce a padri o madri nel pieno del loro ruolo, ma a quei genitori che hanno perso il senno o la salute; parla della fragilità dell’anziano e della compassione del figlio, nel senso più evangelico della parola.

Paolo afferma qualcosa che era un dato di fatto, in Israele, a Roma, in Grecia e in tutto il mondo. “Voi mogli siate sottomesse ai mariti”. Eppure c’è un salto, Paolo subito dopo ha un colpo d’ala: “Voi mariti amate le vostre mogli”. Per la prima volta, Paolo inserisce l’amore dentro una relazione di coppia. Colpo di scena: le mogli esistono per amare ed essere amate. Ma le sorprese proseguono. Il racconto di Matteo ci lascia a bocca aperta: Giuseppe e Maria fuggono come due profughi in Egitto, due migranti senza terra nella terra di tutte le disgrazie per Israele.

Ma com’è che al vangelo viene in mente di indicarci come modello una coppia di profughi?

E immagino Giuseppe che per ben tre volte si ritrova a sognare, sogni di parole, e per tre volte si mette in strada. Sogna, stringe a sé la sua famiglia e si mette in cammino. Tre azioni da scolpire nel diario di casa: seguire un sogno, iniziare un cammino e custodire. Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per le sorti del mondo.

Sognare è il primo verbo. È il verbo di chi non si accontenta del mondo così com’è. «La materia di cui sono fatti i sogni è la speranza» (Shakespeare).

Mettersi in cammino è la seconda azione. Non stare fermi anche se, Dio offre poco, soltanto la direzione verso cui fuggire; poi subentrano la libertà e l’intelligenza, la creatività e la tenacia.

A noi spetta di non restare fermi, ma studiare progetti, itinerari, riposi, misurare la fatica e le forze. Il Signore non offre mai un prontuario di regole, lui accende obbiettivi e il cuore, poi ti affida alla tua libertà intelligente.

Il terzo verbo è custodire, prendere con sé, stringere a sé, proteggere. Due ragazzi innamorati e un neonato, quasi niente, eppure le sorti del mondo si decidono dentro questa famiglia. È successo allora, succede e succederà. Dentro gli affetti, nell’umile coraggio di una, di tante, di mille creature innamorate e silenziose. «Compito supremo di ogni vita è custodire delle vite con la propria vita: guai a noi se non scopriamo chi dobbiamo custodire, guai a noi se li custodiamo male» (Elias Canetti). Allora vedo Vangelo di Dio quando vedo una coppia che stringe a sé la vita dell’altro; è presenza di Dio ogni famiglia che cammina insieme, pellegrini o profughi, ma di speranza.

Oggi, nella festa della famiglia santa, vera liturgia domestica sarà regalare un abbraccio, non distratto, non svogliato, in cui dare e ricevere amore.


Leone XIV e la pace: un papa scomodo

Leone XIV e la pace: un papa scomodo


Disinnescare Leone. Dopo aver speso tante energie per rappresentarci un papa in controtendenza rispetto al suo predecessore, grazie a mozzette ed altri indumenti, ora che emergono evidenti i segnali di una continuità, non formale ma sostanziale, molti sguardi rimangono sull’apparenza, glissando sulla sostanza.

Leone XIV, ad esempio, è andato a pranzo in Nunziatura, ma ha anche fatto divulgare il suo primo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Poco notato, non si limita a dire “no al riarmo”, sebbene per riarmarsi occorrerebbe prima essersi disarmati, e non so chi lo abbia fatto, dopo una lontanissima stagione di controllo. Ma anche su questo c’è un punto rilevante.

Si legge nel testo: «Nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza».

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Ecco allora che leggere e divulgare il Messaggio sarebbe davvero interessante, oltre che necessario, trattandosi del primo messaggio del nuovo papa su un tema come la pace: ed è interessante perché questa citazione di Giovanni XXIII va proprio a parlarci del vero disarmo: «Occorre riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità».

Spicca poi un’altra citazione, questa volta di San’Agostino, e il Vice Presidente degli Stati Uniti che ben lo conosce potrebbe commentare anche questa, come ha fatto con l’ordo amoris. Eccola: «Chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace».

Il testo pontificio prosegue così: «Così Sant’Agostino raccomandava di non distruggere i ponti e di non insistere col registro del rimprovero, preferendo la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui. Sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo. In particolare, la Costituzione Gaudium et Spes portava l’attenzione sull’evoluzione della pratica bellica: “Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità”».

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Ed eccoci al punto sulle nuove guerre: «Constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico.

L’Enciclica Fratelli tutti presenta San Francesco d’Assisi come esempio di un tale risveglio: “In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose tra famiglie potenti, mentre crescevano le zone miserabili delle periferie escluse. Là Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti”. È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica».

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In questo messaggio di cui così poco, a mio avviso, si è parlato, c’è un’importantissima aggiunta: «È questo un servizio fondamentale che le religioni devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di trasformare in armi persino i pensieri e le parole. Le grandi tradizioni spirituali, così come il retto uso della ragione, ci fanno andare oltre i legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è simile e respingono chi è diverso. Oggi vediamo come questo non sia scontato. Purtroppo, fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata».

Scoprire che il papa americano, come si è giustamente sottolineato all’inizio del pontificato ma poi è un po’ sparito, anche dopo la scelta del nuovo arcivescovo di New York, una nomina non banale, ha una visione sempre più chiaramente in continuità con quella del suo predecessore può infastidire. Questo è lecito, ma la realtà è superiore alle idee e anche alle illusioni. I fatti sono lì. Il Vaticano non è Buckingham Palace, non conta soltanto per abiti, campi da tennis e cilindrate dei mezzi di trasporto, ma anche per ciò che da lì si dice.
(fonte: Settimana News, articolo di Riccardo Cristiano 20/12/2025)

Leone: «Santo Stefano testimone di una forza più vera di quella delle armi» (Sintesi/commento, testo e video)

Leone: «Santo Stefano
testimone di una forza più vera di quella delle armi»

Andò incontro al martirio senza odiare i nemici. Il Pontefice ricorda il primo martire cristiano e la sua forza «disarmata»

Il Papa all'Angelus per Santo Stefano REUTERS

Torna a parlare di pace, papa Leone, nel giorno in cui la Chiesa ricorda il martirio di Santo Stefano. Il suo giorno «“natale”», «come usavano dire le prime generazioni cristiane, certe che non si nasce una volta sola. Il martirio è nascita al cielo: uno sguardo di fede, infatti, persino nella morte non vede più soltanto il buio».

Il Pontefice ricorda quanto fosse luminoso il suo sguardo mentre andava verso la morte. «È il volto di chi non se ne va indifferente dalla storia, ma la affronta con amore. Tutto ciò che Stefano fa e dice ripresenta l’amore divino apparso in Gesù, la Luce brillata nelle nostre tenebre». Siamo chiamati alla vita dal Bambino nato a Betlemme, una bellezza che attrae, ma che viene anche respinta perché suscita, «fin dall’inizio, la reazione di chi teme per il proprio potere, di chi è smascherato nella sua ingiustizia da una bontà che rivela i pensieri dei cuori». E anche se spesso la posizione di chi oppone l’amore all’odio viene ridicolizzata, la verità è che «nessuna potenza, fino a oggi, può prevalere sull’opera di Dio. Dovunque nel mondo c’è chi sceglie la giustizia anche se costa, chi antepone la pace alle proprie paure, chi serve i poveri invece di se stesso. Germoglia allora la speranza, e ha senso fare festa malgrado tutto».

Come aveva già detto nella notte di Natale, «nelle condizioni di incertezza e di sofferenza del mondo attuale sembrerebbe impossibile la gioia», ma non è così. E anche se «chi oggi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù e dei martiri è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire avversari e nemici» non bisogna rassegnarsi. Perché «il cristiano però non ha nemici, ma fratelli e sorelle, che rimangono tali anche quando non ci si comprende. Il Mistero del Natale ci porta questa gioia: una gioia motivata dalla tenacia di chi già vive la fraternità, di chi già riconosce attorno a sé, anche nei propri avversari, la dignità indelebile di figlie e figli di Dio».

Ed è «per questo Stefano morì perdonando, come Gesù: per una forza più vera di quella delle armi. È una forza gratuita, già presente nel cuore di tutti, che si riattiva e si comunica in modo irresistibile quando qualcuno incomincia a guardare diversamente il suo prossimo, a offrirgli attenzione e riconoscimento. Sì, questo è rinascere, questo è venire nuovamente alla luce, questo è il nostro Natale!». Il Papa invita a contemplare Maria, «benedetta fra tutte le donne che servono la vita e oppongono la cura alla prepotenza, la fede alla sfiducia. Maria ci porti nella sua stessa gioia, una gioia che dissolve ogni paura e ogni minaccia come si scioglie la neve al sole».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Annachiara Valle 26/12/2025)

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FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

PAPA LEONE XIV
ANGELUS

Piazza San Pietro
Venerdì, 26 dicembre 2025
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi è il “natale” di Santo Stefano, come usavano dire le prime generazioni cristiane, certe che non si nasce una volta sola. Il martirio è nascita al cielo: uno sguardo di fede, infatti, persino nella morte non vede più soltanto il buio. Noi veniamo al mondo senza deciderlo, ma poi passiamo attraverso molte esperienze in cui ci è chiesto sempre più consapevolmente di “venire alla luce”, di scegliere la luce. Il racconto degli Atti degli Apostoli testimonia che chi vide Stefano andare verso il martirio fu sorpreso dalla luce del suo volto e delle sue parole. È scritto: «E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo» (At 6,15). È il volto di chi non se ne va indifferente dalla storia, ma la affronta con amore. Tutto ciò che Stefano fa e dice ripresenta l’amore divino apparso in Gesù, la Luce brillata nelle nostre tenebre.

Carissimi, la nascita fra noi del Figlio di Dio ci chiama alla vita di figli di Dio: la rende possibile, con un movimento di attrazione sperimentato fin dalla notte di Betlemme dalle persone umili come Maria, Giuseppe e i pastori. Ma quella di Gesù e di chi vive come Lui è anche una bellezza respinta: proprio la sua forza calamitante ha suscitato, fin dall’inizio, la reazione di chi teme per il proprio potere, di chi è smascherato nella sua ingiustizia da una bontà che rivela i pensieri dei cuori (cfr Lc 2,35). Nessuna potenza, però, fino a oggi, può prevalere sull’opera di Dio. Dovunque nel mondo c’è chi sceglie la giustizia anche se costa, chi antepone la pace alle proprie paure, chi serve i poveri invece di sé stesso. Germoglia allora la speranza, e ha senso fare festa malgrado tutto.

Nelle condizioni di incertezza e di sofferenza del mondo attuale sembrerebbe impossibile la gioia. Chi oggi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù e dei martiri è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire avversari e nemici. Il cristiano però non ha nemici, ma fratelli e sorelle, che rimangono tali anche quando non ci si comprende. Il Mistero del Natale ci porta questa gioia: una gioia motivata dalla tenacia di chi già vive la fraternità, di chi già riconosce attorno a sé, anche nei propri avversari, la dignità indelebile di figlie e figli di Dio. Per questo Stefano morì perdonando, come Gesù: per una forza più vera di quella delle armi. È una forza gratuita, già presente nel cuore di tutti, che si riattiva e si comunica in modo irresistibile quando qualcuno incomincia a guardare diversamente il suo prossimo, a offrirgli attenzione e riconoscimento. Sì, questo è rinascere, questo è venire nuovamente alla luce, questo è il nostro Natale!

Preghiamo ora Maria e la contempliamo, benedetta fra tutte le donne che servono la vita e oppongono la cura alla prepotenza, la fede alla sfiducia. Maria ci porti nella sua stessa gioia, una gioia che dissolve ogni paura e ogni minaccia come si scioglie la neve al sole.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,
rinnovo di cuore gli auguri di pace e di serenità nella luce del Natale del Signore.

Saluto voi tutti fedeli di Roma e pellegrini venuti da tanti Paesi.

Nel ricordo di Santo Stefano primo Martire, invochiamo la sua intercessione perché renda forte la nostra fede e sostenga le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza cristiana.

Il suo esempio di mitezza, di coraggio e di perdono accompagni quanti si impegnano nelle situazioni di conflitto per promuovere il dialogo, la riconciliazione e la pace.

A tutti auguro una buona festa!

Guarda il video


venerdì 26 dicembre 2025

Il Natale di Leone XIV contro la roboante propaganda di guerra. Dalle tende di Gaza alla pace selvatica, il grido contro l’indifferenza del mondo mentre muoiono bambini e ragazzi - Omelia e messaggio Urbi et Orbi 25/12/2025 (Sintesi/commento testi e video integrali)


Il Natale di Leone XIV contro la roboante propaganda di guerra. 

Dalle tende di Gaza alla pace selvatica,
il grido contro l’indifferenza del mondo mentre muoiono bambini e ragazzi 


Nella solennità del Natale 2025, Papa Leone XIV ha unito l’omelia della celebrazione in Basilica e il messaggio Urbi et Orbi in un unico, potente, richiamo alla responsabilità comune che deve opporsi, ha chiesto, ai roboanti discorsi di chi manda a morire” giovani ucraini e russi in quella guerra che non si riesce a fermare perché i “monologhi” prevalgono sul dialogo che stenta per questo a decollare.

Dalla Loggia centrale, davanti a 26 mila pellegrini, prima della benedizione Urbi et Orbi, il Pontefice ha affrontato il dramma della guerra partendo da un’immagine di estrema precarietà: quella degli abitanti della Striscia. “Come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente?”, si è chiesto il Papa nell’ omelia accostando poi nel messaggio le vittime di Gaza a quelle, di cui non parla nessuno, dello Yemen, bombardato da oltre 10 anni da una coalizione anglo-araba-statunitense, sottolineando poi come Dio stesso si immedesimi “con chi non ha più nulla e ha perso tutto”.

La teologia della carne e il vagito di Dio

Nell’omelia, commentando il Vangelo di Giovanni, ha spiegato che “il Verbo di Dio appare e non sa parlare, viene a noi come neonato che soltanto piange e vagisce”. Questa scelta divina definisce un nuovo modo di intendere l’umanità attraverso la “carne”, termine che per il Pontefice rappresenta “la radicale nudità cui a Betlemme e sul Calvario manca anche la parola; come parola non hanno tanti fratelli e sorelle spogliati della loro dignità e ridotti al silenzio”.

Secondo il Papa, la pace non può essere un concetto astratto, ma deve nascere dal contatto con questa fragilità: “Quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace”. Essa, ha aggiunto, “nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà”.

L’insensatezza della guerra, i monologhi del potere e i discorsi roboanti che spingono a combattere

Il Pontefice ha rivolto parole durissime contro la manipolazione delle coscienze e la retorica bellica, definendo fragili “le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”. Citando Papa Francesco, ha messo in guardia dalla “tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore”, poiché il potere di diventare figli di Dio “rimane sepolto finché stiamo distaccati dal pianto dei bambini e dalla fragilità degli anziani, dal silenzio impotente delle vittime”.

Il superamento dei conflitti richiede dunque un cambiamento radicale nel modo di relazionarsi: “Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno e, fecondati dall’ascolto, cadremo in ginocchio davanti alla nuda carne altrui”.

La via della responsabilità e la pace selvatica

Nel messaggio Urbi et Orbi, Leone XIV ha indicato nella responsabilità la vera “via della pace”. Ha esortato ogni uomo a riconoscere le proprie mancanze invece di accusare gli altri: “Se ognuno di noi, a tutti i livelli, invece di accusare gli altri, riconoscesse prima di tutto le proprie mancanze e ne chiedesse perdono a Dio, e nello stesso tempo si mettesse nei panni di chi soffre, si facesse solidale con chi è più debole e oppresso, allora il mondo cambierebbe”.

In un momento di grande suggestione poetica, il Papa ha citato l’autore israeliano Yehuda Amichai per invocare una “pace selvatica”, che non sia solo un accordo politico o un cessate-il-fuoco, ma qualcosa che nasca da una “grande stanchezza” e sbocci “all’improvviso, perché il campo ne ha bisogno”.

Verso la chiusura del Giubileo

Mentre l’Anno Santo volge al termine, Leone XIV ha ricordato che, sebbene le Porte Sante stiano per chiudersi, “Cristo nostra speranza rimane sempre con noi”. Affidando il mondo alla Vergine Maria, “Regina della pace”, ha concluso riaffermando che “nulla nasce dall’esibizione della forza e tutto rinasce dalla silenziosa potenza della vita accolta”. Il Natale del Signore, nel messaggio di questo primo Natale di Leone XIV, resta indissolubilmente il “Natale della pace”, una pace che richiede il coraggio del dialogo e il rifiuto dell’indifferenza.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri 25/12/2025)

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SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
SANTA MESSA DEL GIORNO

OMELIA DI LEONE XIV

Basilica di San Pietro
Giovedì, 25 dicembre 2025
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Sorelle e fratelli carissimi!

«Prorompete insieme in canti di gioia» (Is 52,9), grida il messaggero di pace a chi si trova fra le rovine di una città interamente da ricostruire. Anche se impolverati e feriti, i suoi piedi sono belli – scrive il profeta (cfr Is 52,7) – perché, attraverso strade lunghe e dissestate, hanno portato un annuncio lieto, in cui ora tutto rinasce. È un nuovo giorno! Anche noi partecipiamo di questa svolta, alla quale nessuno sembra credere ancora: la pace esiste ed è già in mezzo a noi.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Così Gesù disse ai discepoli, ai quali aveva da poco lavato i piedi, messaggeri di pace che da lì in poi avrebbero dovuto correre attraverso il mondo, senza stancarsi, per rivelare a tutti il «potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Oggi, dunque, non soltanto siamo sorpresi dalla pace che è già qui, ma celebriamo come questo dono ci è stato fatto. Nel come, infatti, brilla la differenza divina che ci fa prorompere in canti di gioia. Così, in tutto il mondo, il Natale è per eccellenza una festa di musiche e di canti.

Anche il prologo del quarto Vangelo è un inno e ha per protagonista il Verbo di Dio. Il “verbo” è una parola che agisce. Questa è una caratteristica della Parola di Dio: non è mai senza effetto. A ben vedere, anche molte delle nostre parole producono effetti, a volte indesiderati. Sì, le parole agiscono. Ma ecco la sorpresa che la liturgia del Natale ci pone di fronte: il Verbo di Dio appare e non sa parlare, viene a noi come neonato che soltanto piange e vagisce. «Si fece carne» (Gv 1,14) e, sebbene crescerà e un giorno imparerà la lingua del suo popolo, ora a parlare è solo la sua semplice, fragile presenza. «Carne» è la radicale nudità cui a Betlemme e sul Calvario manca anche la parola; come parola non hanno tanti fratelli e sorelle spogliati della loro dignità e ridotti al silenzio. La carne umana chiede cura, invoca accoglienza e riconoscimento, cerca mani capaci di tenerezza e menti disposte all’attenzione, desidera parole buone.

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,11). Ecco il modo paradossale in cui la pace è già fra noi: il dono di Dio è coinvolgente, cerca accoglienza e attiva la dedizione. Ci sorprende perché si espone al rifiuto, ci incanta perché ci strappa all’indifferenza. È un vero potere quello di diventare figli di Dio: un potere che rimane sepolto finché stiamo distaccati dal pianto dei bambini e dalla fragilità degli anziani, dal silenzio impotente delle vittime e dalla rassegnata malinconia di chi fa il male che non vuole.

Come scrisse l’amato Papa Francesco, per richiamarci alla gioia del Vangelo: «A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 270).

Cari fratelli e sorelle, poiché il Verbo si fece carne, ora la carne parla, grida il desiderio divino di incontrarci. Il Verbo ha stabilito fra noi la sua fragile tenda. E come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città? Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate da tante guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte. Fragili sono le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire.

Quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace. La pace di Dio nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà, nasce da sogni e visioni che, come profezie, invertono il corso della storia. Sì, tutto questo esiste, perché Gesù è il Logos, il senso da cui tutto ha preso forma. «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3). Questo mistero ci interpella dai presepi che abbiamo costruito, ci apre gli occhi su un mondo in cui la Parola risuona ancora, «molte volte e in diversi modi» (cfr Eb 1,1), e ancora ci chiama a conversione.

Certo, il Vangelo non nasconde la resistenza delle tenebre alla luce, descrive il cammino della Parola di Dio come una strada impervia, disseminata di ostacoli. Fino a oggi gli autentici messaggeri di pace seguono il Verbo su questa via, che infine raggiunge i cuori: cuori inquieti, che spesso desiderano proprio ciò a cui resistono. Così il Natale rimotiva una Chiesa missionaria, sospingendola sui sentieri che la Parola di Dio le ha tracciato. Non serviamo una parola prepotente – ne risuonano già dappertutto – ma una presenza che suscita il bene, ne conosce l’efficacia, non se ne arroga il monopolio.

Ecco la strada della missione: una strada verso l’altro. In Dio ogni parola è parola rivolta, è un invito alla conversazione, parola mai uguale a sé stessa. È il rinnovamento che il Concilio Vaticano II ha promosso e che vedremo fiorire solo camminando insieme all’intera umanità, mai separandocene. Mondano è il contrario: avere per centro sé stessi. Il movimento dell’Incarnazione è un dinamismo di conversazione. Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno e, fecondati dall’ascolto, cadremo in ginocchio davanti alla nuda carne altrui. La Vergine Maria è proprio in questo la Madre della Chiesa, la Stella dell’evangelizzazione, la Regina della pace. In lei comprendiamo che nulla nasce dall’esibizione della forza e tutto rinasce dalla silenziosa potenza della vita accolta.

Guarda il video integrale

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MESSAGGIO "URBI ET ORBI"
DI LEONE XIV

NATALE 2025

Loggia Centrale della Basilica di San Pietro
Giovedì, 25 dicembre 2025

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Messaggio del Santo Padre e Benedizione “Urbi et Orbi” nella Solennità del Natale


Cari fratelli e sorelle,

«Rallegriamoci tutti nel Signore: il nostro Salvatore è nato nel mondo. Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo» (Antifona d’ingresso alla Messa della notte di Natale). Così canta la liturgia nella notte di Natale, e così riecheggia nella Chiesa l’annuncio di Betlemme: il Bambino che è nato dalla Vergine Maria è il Cristo Signore, mandato dal Padre a salvarci dal peccato e dalla morte. Egli è la nostra pace, Colui che ha vinto l’odio e l’inimicizia con l’amore misericordioso di Dio. Per questo «il Natale del Signore è il Natale della pace» (S. Leone Magno, Sermone 26).

Gesù è nato in una stalla, perché non c’era posto per Lui nell’alloggio. Appena nato, sua mamma Maria «lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia» (cfr Lc 2,7). Il Figlio di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, non viene accolto e la sua culla è una povera mangiatoia per gli animali.

Il Verbo eterno del Padre, che i cieli non possono contenere ha scelto di venire nel mondo così. Per amore ha voluto nascere da donna, per condividere la nostra umanità; per amore ha accettato la povertà e il rifiuto e si è identificato con chi è scartato ed escluso.

Nel Natale di Gesù già si profila la scelta di fondo che guiderà tutta la vita del Figlio di Dio, fino alla morte sulla croce: la scelta di non far portare a noi il peso del peccato, ma di portarlo Lui per noi, di farsene carico. Questo, solo Lui poteva farlo. Ma nello stesso tempo ha mostrato ciò che invece solo noi possiamo fare, cioè assumerci ciascuno la propria parte di responsabilità. Sì, perché Dio, che ci ha creato senza di noi, non può salvarci senza di noi (cfr S. Agostino, Discorso 169, 11. 13), cioè senza la nostra libera volontà di amare. Chi non ama non si salva, è perduto. E chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede (cfr 1Gv 4,20).

Sorelle e fratelli, ecco la via della pace: la responsabilità. Se ognuno di noi – a tutti i livelli –, invece di accusare gli altri, riconoscesse prima di tutto le proprie mancanze e ne chiedesse perdono a Dio, e nello stesso tempo si mettesse nei panni di chi soffre, si facesse solidale con chi è più debole e oppresso, allora il mondo cambierebbe.

Gesù Cristo è la nostra pace prima di tutto perché ci libera dal peccato e poi perché ci indica la via da seguire per superare i conflitti, tutti i conflitti, da quelli interpersonali a quelli internazionali. Senza un cuore libero dal peccato, un cuore perdonato, non si può essere uomini e donne pacifici e costruttori di pace. Per questo Gesù è nato a Betlemme ed è morto sulla croce: per liberarci dal peccato. Lui è il Salvatore. Con la sua grazia, possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione.

In questo giorno di festa, desidero inviare un caloroso e paterno saluto a tutti i cristiani, in modo speciale a quelli che vivono in Medio Oriente, che ho inteso incontrare recentemente con il mio primo viaggio apostolico. Ho ascoltato le loro paure e conosco bene il loro sentimento di impotenza dinanzi a dinamiche di potere che li sorpassano. Il Bambino che oggi nasce a Betlemme è lo stesso Gesù che dice: «Abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

Da Lui invochiamo giustizia, pace e stabilità per il Libano, la Palestina, Israele, la Siria, confidando in queste parole divine: «Praticare la giustizia darà pace. Onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre» (Is 32,17).

Al Principe della Pace affidiamo tutto il Continente europeo, chiedendogli di continuare a ispirarvi uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi si trova nel bisogno. Preghiamo in modo particolare per il martoriato popolo ucraino: si arresti il fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall’impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso.

Dal Bambino di Betlemme imploriamo pace e consolazione per le vittime di tutte le guerre in atto nel mondo, specialmente di quelle dimenticate; e per quanti soffrono a causa dell’ingiustizia, dell’instabilità politica, della persecuzione religiosa e del terrorismo. Ricordo in modo particolare i fratelli e le sorelle del Sudan, del Sud Sudan, del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Democratica del Congo.

In questi ultimi giorni del Giubileo della Speranza, preghiamo il Dio fatto uomo per la cara popolazione di Haiti, affinché cessi ogni forma di violenza nel Paese e possa progredire sulla via della pace e della riconciliazione.

Il Bambino Gesù ispiri quanti in America Latina hanno responsabilità politiche, perché, nel far fronte alle numerose sfide, sia dato spazio al dialogo per il bene comune e non alle preclusioni ideologiche e di parte.

Al Principe della Pace domandiamo che illumini il Myanmar con la luce di un futuro di riconciliazione: ridoni speranza alle giovani generazioni, guidi l’intero popolo birmano su sentieri di pace e accompagni quanti vivono privi di dimora, di sicurezza o di fiducia nel domani.

A Lui chiediamo che si restauri l’antica amicizia tra Tailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino ad adoperarsi per la riconciliazione e la pace.

A Lui affidiamo anche le popolazioni dell’Asia meridionale e dell’Oceania, provate duramente dalle recenti e devastanti calamità naturali, che hanno colpito duramente intere popolazioni. Di fronte a tali prove, invito tutti a rinnovare con convinzione il nostro impegno comune nel soccorrere chi soffre.

Cari fratelli e sorelle,

nel buio della notte, «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), ma «i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). Non lasciamoci vincere dall’indifferenza verso chi soffre, perché Dio non è indifferente alle nostre miserie.

Nel farsi uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego; con chi è sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati; con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane.

Al cuore di Dio giunge l’invocazione di pace che sale da ogni terra, come scrive un poeta:

«Non la pace di un cessate-il-fuoco,
nemmeno la visione del lupo e dell’agnello,
ma piuttosto
come nel cuore quando l’eccitazione è finita
e si può parlare solo di una grande stanchezza.
[…]
Che venga
come i fiori selvatici,
all’improvviso, perché il campo
ne ha bisogno: pace selvatica». [1]

In questo giorno santo, apriamo il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che sono nel bisogno e nel dolore. Così facendo lo apriamo al Bambino Gesù, che con le sue braccia aperte ci accoglie e dischiude a noi la sua divinità: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).

Tra pochi giorni terminerà l’Anno giubilare. Si chiuderanno le Porte Sante, ma Cristo, nostra speranza, rimane sempre con noi! Egli è la Porta sempre aperta, che ci introduce nella vita divina. È il lieto annuncio di questo giorno: il Bambino che è nato è il Dio fatto uomo; egli non viene per condannare, ma per salvare; la sua non è un’apparizione fugace, Egli viene per restare e donare sé stesso. In Lui ogni ferita è risanata e ogni cuore trova riposo e pace. «Il Natale del Signore è il Natale della pace».

A tutti auguro di cuore un sereno santo Natale!

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[1] Y. Amichai, “Wildpeace”, in The Poetry of Yehuda Amichai, Farrar, Straus and Giroux, 2015.

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Auguri del Santo Padre ai Popoli e alle Nazioni in Occasione del Santo Natale


Ed ora rivolgo un cordiale augurio in alcune espressioni linguistiche:

Italiano
Buon Natale! La pace di Cristo regni nei vostri cuori e nelle vostre famiglie.

Francese
Joyeux Noël ! Que la paix du Christ règne dans vos cœurs et dans vos familles.

Inglese
Merry Christmas! May the peace of Christ reign in your hearts and in your families.

Tedesco
Frohe Weihnachten! Der Friede Christi herrsche in euren Herzen und in euren Familien.

Spagnolo
¡Feliz Navidad! Que la paz de Cristo reine en sus corazones y en sus familias.

Portoghese
Feliz Natal! Que a paz de Cristo reine nos vossos corações e nas vossas famílias.

Polacco
Błogosławionych Świąt Bożego Narodzenia!

Arabo
ميلاد مجيد! ليملك سلامُ المسيحِ في قلوبِكم وفي أسرِكم

Cinese
圣 诞 快 乐!

Latino
Felix sit vobis Domini Nativitas! Pax Christi in vestris cordibus vestrisque familiis regnet.

Guarda il video integrale

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Vedi anche il post precedente:


Tonio Dell'Olio - Natale e Buon Natale

 
Tonio Dell'Olio
 
Natale e Buon Natale

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  22 DICEMBRE 2025

Quant’è difficile districarsi nella fitta ragnatela della cronaca e delle notizie dal mondo, per poter augurare un Natale di gioia!

Mi sentirei un borghese ipocrita persino a utilizzare la cifra della poesia che, quando è autentica, è capace di scrutare l’anima degli avvenimenti per disturbare o innalzare, mai per compiacere. 
Mi sentirei un vigliacco a servirmi delle lacrime dei bambini di Gaza o di Uvira in Congo, di Port-au-Prince o del Kayah State in Myanmar, degli sfollati nei pressi del confine tra Thailandia e Cambogia o di Sumy in Ucraina… per parlare del Dio-bambino che nasce nella stalla. 

Il Natale è novità di vita, acqua sorgiva a cui dissetare la sete di cambiamento e il nostro impegno per realizzarlo. 
Per questo dire Buon Natale è correre il rischio di una promessa o di una speranza senza compromessi e senza sconti. Solo se siamo disposti a osare questo cammino, possiamo augurarci e augurare Buon Natale.


giovedì 25 dicembre 2025

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE SANTA MESSA NELLA NOTTE - Leone XIV: non c’è spazio per Dio se non c’è per l’uomo

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
SANTA MESSA NELLA NOTTE

CAPPELLA PAPALE
Basilica di San Pietro
Mercoledì, 24 dicembre 2025


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Messa della notte di Natale, Leone XIV:
non c’è spazio per Dio se non c’è per l’uomo

Con 6 mila fedeli nella basilica di San Pietro e oltre 5 mila in piazza, il Papa presiede la celebrazione e ricorda che la vita nuova di Dio, donata nel bambino Gesù per tutti, non è un’idea risolutiva per ogni problema, ma una storia d’amore che ci coinvolge. La nascita del Salvatore valorizza la dignità infinita di ognuno, "mentre un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce" e libera, "mentre l’uomo vuole diventare Dio per dominare sul prossimo"


"Benvenuti tutti! Bienvenidos! Welcome!". Il saluto di Leone XIV, sul sagrato della Basilica vaticana prima dell'avvio della Messa della Notte di Natale, è rivolto ai circa cinquemila fedeli che, nonostante la pioggia battente su Roma, non hanno esitato ad esserci. Seguiranno la celebrazione all'esterno, dai maxischermi predisposti che ne amplificheranno la solennità. È l'abbraccio del Successore di Pietro alla Chiesa universale. La basilica è molto ampia, dice il Papa, e ne contiene questa sera seimila di persone, ma "sfortunatamente non abbastanza per ricevervi tutti". Il Pontefice si dice "ammirato" per il "coraggio" e la "disponibilità" ad esserci "anche con questo clima". Poi aggiunge:

Gesù Cristo che è nato per noi, ci porta la pace, ci porti l'amore di Dio.


La celebrazione eucaristica in San Pietro (@Vatican Media)

E l'augurio per tutti, la benedizione estesa a tutti. A precedere la celebrazione eucaristica la lettura di alcuni brani biblici contraddistinta dal canto della Kalenda, l'antico annuncio liturgico del Natale del Signore - otto giorni prima delle kalendae di gennaio - come riportato nel Martirologio Romano. Un testo che racchiude tutti gli episodi fondamentali della storia universale fino alla venuta di Cristo, culmine del tempo di Avvento. Il lettore, infatti, ne proclama il senso: ricordarsi che Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria, è il centro della storia e del cosmo. In processione verso l'altare della Confessione sfilano vescovi e cardinali insieme con il Papa il quale, per la circostanza, veste la casula giallo oro che ha usato più volte a Natale san Giovanni Paolo II e indossata anche da Benedetto XVI. Leone svela l'immagine di Gesù Bambino e un gruppo di bambini di diverse nazionalità, da Corea del Sud, India, Mozambico, Paraguay, Polonia, Ucraina, la adorna ciascuno con un omaggio di magnifiche orchidee bianche. Si fondono con le il rosso delle 'stelle di Natale'.

Per trovare il Salvatore, non guardare in alto, contemplare in basso

Quattro i cardinali che concelebrano con il Papa: il Decano del Sacro Collegio, Giovanni Battista Re, insieme con Pietro Parolin, Marc Ouellet, Leonardo Sandri. È un tono molto poetico e sfidante al contempo quello dell'omelia di Leone, che richiama la millenaria ricerca della verità sulla terra, "tra le case", da parte dei popoli i quali hanno puntato lo sguardo sempre verso il cielo, pensando di trovarla tra le stelle. Sono finiti per brancolare nel buio dei loro stessi oracoli, dice il Papa evidenziando la profezia di Isaia laddove parla della "grande luce" che rifulse. È il Natale di Gesù, l’Emmanuele. "Nel Figlio fatto uomo, Dio non ci dona qualcosa, ma Sé stesso", precisa il Successore di Pietro. È il ribaltamento di ogni logica umana. La dimensione verticale lascia per così dire il posto a quella orizzontale: non è "più da cercare lontano, negli spazi siderali, ma chinando il capo, nella stalla accanto".

Per trovare il Salvatore, non bisogna guardare in alto, ma contemplare in basso: l’onnipotenza di Dio rifulge nell’impotenza di un neonato; l’eloquenza del Verbo eterno risuona nel primo vagito di un infante; la santità dello Spirito brilla in quel corpicino appena lavato e avvolto in fasce. È divino il bisogno di cura e di calore, che il Figlio del Padre condivide nella storia con tutti i suoi fratelli. La luce divina che si irradia da questo Bambino ci aiuta a vedere l’uomo in ogni vita nascente.

Là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dio

"Per illuminare la nostra cecità, il Signore ha voluto rivelarsi da uomo all’uomo". Leone XIV cita l'omelia di Benedetto XVI nella notte di Natale del 2012 e sottolinea:

Così attuali, le parole di Papa Benedetto XVI ci ricordano che sulla terra non c’è spazio per Dio se non c’è spazio per l’uomo: non accogliere l’uno significa non accogliere l’altro. Invece là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dio: allora una stalla può diventare più sacra di un tempio e il grembo della Vergine Maria è l’arca della nuova alleanza.

Un momento dell'Offertorio (@Vatican Media)

Non un’idea risolutiva per ogni problema, ma storia d’amore

E il Papa prosegue nell'evidenziare il sovvertimento che porta con sé il Natale, lo sparigliare delle carte, dei progetti per come li potrebbe concepire la mente dell'essere umano. Un bambino di fronte alle attese dei popoli, un inerme di fronte al dolore dei miseri. E "davanti alla violenza e alla sopraffazione - le parole del Pontefice - Egli accende una luce gentile che illumina di salvezza tutti i figli di questo mondo". E qui la citazione di Sant'Agostino: «la superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina».

Ammiriamo, carissimi, la sapienza del Natale. Nel bambino Gesù, Dio dà al mondo una vita nuova: la sua, per tutti. Non un’idea risolutiva per ogni problema, ma una storia d’amore che ci coinvolge.

Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?

A fare da corona alla nascita di Gesù un 'esercito celeste': sono gli angeli che il Papa, ripetendo un binomio di aggettivi ricorrente nei suoi discorsi, definisce "schiere disarmate e disarmanti". Poi l'affondo su alcune radici delle crisi contemporanee che riconducono, in effetti, all'atavica avidità e superbia dell'uomo:

Sì, mentre un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce, Dio si fa simile a noi, rivelando l’infinita dignità di ogni persona. Mentre l’uomo vuole diventare Dio per dominare sul prossimo, Dio vuole diventare uomo per liberarci da ogni schiavitù. Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?

I bambini di diverse provenienze che hanno accompagnato lo svelamento dell'immagine del Bambinello (@VATICAN MEDIA)

Il Natale è per noi tempo di gratitudine e di missione

L'omelia di Leone si conclude con il ricordo di come, nella notte di Natale di un anno fa, Francesco abbia posto in relazione profonda la nascita di Gesù con la speranza, avviando un Anno Santo dedicato. "Ora che il Giubileo si avvia al suo compimento - invita il Papa stanotte -, il Natale è per noi tempo di gratitudine e di missione. Gratitudine per il dono ricevuto, missione per testimoniarlo al mondo".

Sorelle e fratelli, la contemplazione del Verbo fatto carne suscita in tutta la Chiesa una parola nuova e vera: proclamiamo allora la gioia del Natale, che è festa della fede, della carità e della speranza. È festa della fede, perché Dio diventa uomo, nascendo dalla Vergine. È festa della carità, perché il dono del Figlio redentore si avvera nella dedizione fraterna. È festa della speranza, perché il bambino Gesù la accende in noi, facendoci messaggeri di pace.
Il Bambinello nel presepe, la preghiera della Chiesa

Quei bambini, che rappresentano il mondo, sono gli stessi che accompagnano il Vescovo di Roma, al termine della Messa, presso il presepe allestito in basilica. Il Papa porta il Bambinello che sarà il diacono a deporre nella culla. Una immagine di grande dolcezza, come dolce è stata l'intera liturgia con un Papa in alcuni momenti intimamente commosso e che non ha lesinato carezze, infine, per quei piccoli dagli abiti tradizionali dei propri Paesi di origine. Gesù è nato: quel "principe della pace" a cui è stata rivolta la supplica, nella preghiera universale, di "spezzare le catene dell'odio e della violenza", di trasformare "i cuori dei governanti delle nazioni, perché a tutte le genti sia donata la vera speranza di bene". E perché la Chiesa si lasci interpellare dalla storia e "sia lievito di concordia per il mondo".

Guarda il video integrale

(fonte: Vatican News, articolo di Antonella Palermo 24/12/2025)



mercoledì 24 dicembre 2025

Il primo “Natale della pace” di Leone XIV

Il primo “Natale della pace” di Leone XIV

A sette mesi dall’inizio del suo Pontificato, il Papa si appresta a celebrare per la prima volta i riti del Natale. Stasera, 24 dicembre, la Messa nella Basilica Vaticana

Mosaico realizzato dall’artista italiano Alberto Salietti per l’appartamento pontificio nel 1955

“Il Natale del Signore è il Natale della Pace”. Papa Leone richiama ancora una volta uno dei temi forti del suo magistero nel cartoncino, a cura della Prefettura della Casa pontificia, con il quale porge i suoi primi auguri nella Natività del Signore e nel Giubileo della speranza. La frase scelta è tratta dal Sermone 26 del primo Papa a portare il suo nome, san Leone Magno. L’immagine di copertina riprende un mosaico realizzato dall’artista italiano Alberto Salietti (1892- 1961) per l’appartamento pontificio nel 1955.
Il biglietto di auguri del Papa

Anche ieri sera, 23 dicembre, Papa Leone, nel rispondere alle domande dei giornalisti all’esterno di Villa Barberini a Castel Gandolfo, ha chiesto alle persone di buona volontà “almeno nella festa della nascita del Salvatore un giorno di pace”. Quella pace “disarmata e disarmante” che aveva invocato nell’affaccio dalla Loggia delle Benedizioni, appena eletto come Successore di Pietro.

(leggi l'articolo completo https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2025-12/papa-castel-gandolfo-giornalisti-23-dicembre-2025.html )

I riti del Natale

Il Pontefice si appresta dunque a celebrare i riti del Natale a partire da questa sera, 24 dicembre, quando alle ore 22 presiederà nella Basilica Vaticana la Messa della Notte per la solennità del Natale del Signore. Saranno dieci i bambini con fiori in mano che accompagneranno il Papa nella processione fino al presepe della Basilica, provengono dalla Corea del Sud, dall’India, dal Mozambico, dal Paraguay, dalla Polonia e dall’Ucraina. L’indomani, 25 dicembre, la celebrazione della Messa del giorno a San Pietro, alle 10, a cui seguirà la Benedizione “Urbi et Orbi” alle 12, dalla Loggia centrale della Basilica.

Il 26 dicembre, Santo Stefano, primo martire della Chiesa, il Papa reciterà la preghiera dell’Angelus in Piazza San Pietro così come domenica 28 dicembre. In conclusione del 2025, mercoledì 31 dicembre, il Papa terrà l’udienza generale e nel pomeriggio alle 17 i Primi Vespri e il Te Deum in ringraziamento per l’anno trascorso.

Le celebrazioni di gennaio

Il primo gennaio 2026, solennità di Maria Santissima Madre di Dio nella Basilica di San Pietro, alle 10, la Messa per la 59.ma Giornata mondiale della Pace e poi l'Angelus. Per l’occasione, Leone XIV ha scritto un messaggio sul tema: “La pace sia con tutti voi. Verso una pace disarmata e disarmante” nel quale si ritrova una forte denuncia contro la corsa al riarmo in atto nel mondo, i dati infatti riferiscono di un aumento del 9,4% nel 2024 delle spese militari.

Il 4 gennaio 2026, domenica, l’Angelus in Piazza San Pietro e il 6, Epifania del Signore, alle ore 9.30 la Messa e la chiusura della Porta Santa con la conclusione del Giubileo 2025 dedicato alla speranza. 

Domenica 11 gennaio è la festa del Battesimo del Signore, il Papa in Cappella Sistina celebrerà la Messa e impartirà il sacramento ad alcuni bambini.

La Messa di Natale

Nel calendario delle celebrazioni papali, Leone XIV ha introdotto di nuovo la Messa del giorno di Natale che invece i suoi predecessori Papa Francesco e Papa Benedetto XIV non hanno mai celebrato. L’ultima volta infatti risale a San Giovanni Paolo II, il 25 dicembre 1994.

I media vaticani per le celebrazioni papali offriranno un servizio di traduzione in Lingua dei Segni (LIS) e sottotitolazione per le persone con disabilità uditive e comunicative. Sul canale You Tube di Vatican News, in collaborazione con suor Veronica Donatello della Conferenza episcopale italiana, la traduzione LIS e nella lingua spagnola dei segni in streaming della Messa del 24 dicembre. Il servizio, al quale per l’occasione si aggiunge anche quello in lingua francese, è previsto anche per il Messaggio Natalizio e Benedizione “Urbi et Orbi” del giorno di Natale.

Sul canale youtube e i canali audio di Vatican News e per alcune lingue anche su facebook sono previste le cronache in brasiliano, francese, italiano, inglese, spagnolo, tedesco, arabo, cinese, polacco, vietnamita e portoghese.
(fonte: Vatican News 24/12/2025)

"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 6 - 2025/2026 - NATALE DEL SIGNORE - MESSA DELLA NOTTE

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


NATALE DEL SIGNORE - MESSA DELLA NOTTE

Vangelo:

«Non temete! Ecco, vi annuncio una grande gioia: è nato per voi un Salvatore». Alla liturgia del cielo risponde la liturgia della terra celebrata da gente povera e disprezzata, ma obbediente alla Parola che è stata loro annunciata. Nei pastori che subito rispondono all'invito dell'angelo, e che a loro volta diventano annunciatori dell'Evangelo, si intravede chiaramente la Comunità dei credenti. E' la Chiesa degli ultimi e dei disprezzati, come Colui che viene annunciato e che si manifesta nella debolezza e nell'impotenza di un bambino. Secondo il comune modo di pensare - purtroppo anche il nostro - a nessuno verrebbe in mente di cercare Dio in questa direzione, perché l'immagine che di Lui abbiamo è quella di un Dio potente, forte e glorioso, come del resto sono i nostri idoli. In Gesù invece si rivela un Dio piccolo, inerme, impotente, un Dio che si offre agli uomini come cibo in una mangiatoia per animali. E come il suo segno di riconoscimento sarà quello di «un bambino avvolto in fasce», allo stesso modo la caratteristica di Dio è la piccolezza, una piccolezza in grado di abbattere ogni presunta grandezza umana, come il sassolino che si stacca dal monte è la causa del crollo del gigantesco idolo descritto nel Libro di Daniele (Dn 2,34). Era necessario che il Signore dell'universo si rivelasse e desse i segni e i criteri perché noi potessimo riconoscerlo. Rivelazione, questa, fatta a pastori, una delle categorie umane fra le più disprezzate in Israele, perché i sapienti e gli intelligenti di questo mondo fanno fatica a credere e ad obbedire a quanto è stato loro annunciato, rimanendo, così, muti come il sacerdote Zaccaria perché sordi e increduli all'annuncio della Parola. «Dio, infatti, ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla, per ridurre a nulle le cose che sono» (1Cor 1,28)