LEONE XIV
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 settembre 2025
“Te quiero, Leon!”. È una delle tante acclamazioni, nelle varie lingue, con cui il Papa è stato accolto al suo arrivo in papamobile in una piazza San Pietro ancora una volta affollatissima, raggiunta dai fedeli attraverso le lunghe file ordinate nei rispettivi varchi di accesso. Leone XIV, apparso sorridente e rilassato, ha fatto subito fermare la jeep bianca scoperta per salutare i bambini, come sempre protagonisti nel perimetro delimitato dal colonnato del Bernini.
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(Foto Vatican Media/SIR) |
Uno di loro, mentre i solerti uomini della Gendarmeria vaticana lo sollevavano dalle transenne, teneva ben visibile tra le mani un piccolo cartellone rosso con la scritta in nero: “Buon onomastico”. Oggi, infatti, si festeggia san Roberto Bellarmino, e il territorio vaticano è in festa per l’onomastico papale. Tra i piccoli, il Papa ne ha salutato anche uno vestito esattamente come lui. Non è mancato l’ormai tradizionale scambio dello zucchetto. Tra i vari doni consegnati al Santo Padre anche una piccola statua in legno con le sue fattezze.
Al termine del giro in papamobile in piazza San Pietro, il Papa è sceso dall’auto e prima di prendere posizione sul centro del sagrato si è inchinato davanti alla statua della Madonna dei Sete dolori, issata su un catafalco al di sopra dei gradini. La Madonna dei Sette Dolori, conosciuta anche come Maria Addolorata, è un titolo attribuito alla Vergine Maria, che rappresenta i suoi dolori e sofferenze durante la vita di Gesù. Si tratta di un tema caro alla devozione popolare, che raffigura Maria vestita di nero che piange il figlio morto, disteso ai suoi piedi.
(fonte: Sir 17/09/2025)
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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù.
7. La morte. «Un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 19,40-41)
Cari fratelli e sorelle,
nel nostro cammino di catechesi su Gesù nostra speranza, oggi contempliamo il mistero del Sabato Santo. Il Figlio di Dio giace nel sepolcro. Ma questa sua “assenza” non è un vuoto: è attesa, pienezza trattenuta, promessa custodita nel buio. È il giorno del grande silenzio, in cui il cielo sembra muto e la terra immobile, ma è proprio lì che si compie il mistero più profondo della fede cristiana. È un silenzio gravido di senso, come il grembo di una madre che custodisce il figlio non ancora nato, ma già vivo.
Il corpo di Gesù, calato dalla croce, viene fasciato con cura, come si fa con ciò che è prezioso. L’evangelista Giovanni ci dice che fu sepolto in un giardino, dentro «un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 19,41). Nulla è lasciato al caso. Quel giardino richiama l’Eden perduto, il luogo in cui Dio e l’uomo erano uniti. E quel sepolcro mai usato parla di qualcosa che deve ancora accadere: è una soglia, non un termine. All’inizio della creazione Dio aveva piantato un giardino, ora anche la nuova creazione prende avvio in un giardino: con una tomba chiusa che, presto, si aprirà.
Il Sabato Santo è anche un giorno di riposo. Secondo la Legge ebraica, nel settimo giorno non si deve lavorare: infatti, dopo sei giorni di creazione, Dio si riposò (cfr Gen 2,2). Ora anche il Figlio, dopo aver completato la sua opera di salvezza, riposa. Non perché è stanco, ma perché ha terminato il suo lavoro. Non perché si è arreso, ma perché ha amato fino in fondo. Non c’è più nulla da aggiungere. Questo riposo è il sigillo dell’opera compiuta, è la conferma che ciò che doveva essere fatto è stato davvero portato a termine. È un riposo pieno della presenza nascosta del Signore.
Noi facciamo fatica a fermarci e a riposare. Viviamo come se la vita non fosse mai abbastanza. Corriamo per produrre, per dimostrare, per non perdere terreno. Ma il Vangelo ci insegna che saperci fermare è un gesto di fiducia che dobbiamo imparare a compiere. Il Sabato Santo ci invita a scoprire che la vita non dipende sempre da ciò che facciamo, ma anche da come sappiamo congedarci da quanto abbiamo potuto fare.
Nel sepolcro, Gesù, la Parola vivente del Padre, tace. Ma è proprio in quel silenzio che la vita nuova inizia a fermentare. Come un seme nella terra, come il buio prima dell’alba. Dio non ha paura del tempo che passa, perché è Signore anche dell’attesa. Così, anche il nostro tempo “inutile”, quello delle pause, dei vuoti, dei momenti sterili, può diventare grembo di risurrezione. Ogni silenzio accolto può essere la premessa di una Parola nuova. Ogni tempo sospeso può diventare tempo di grazia, se lo offriamo a Dio.
Gesù, sepolto nella terra, è il volto mite di un Dio che non occupa tutto lo spazio. È il Dio che lascia fare, che attende, che si ritira per lasciare a noi la libertà. È il Dio che si fida, anche quando tutto sembra finito. E noi, in quel sabato sospeso, impariamo che non dobbiamo avere fretta di risorgere: prima occorre restare, accogliere il silenzio, lasciarci abbracciare dal limite. A volte cerchiamo risposte rapide, soluzioni immediate. Ma Dio lavora nel profondo, nel tempo lento della fiducia. Il sabato della sepoltura diventa così il grembo da cui può sgorgare la forza di una luce invincibile, quella della Pasqua.
Cari amici, la speranza cristiana non nasce nel rumore, ma nel silenzio di un’attesa abitata dall’amore. Non è figlia dell’euforia, ma dell’abbandono fiducioso. Ce lo insegna la Vergine Maria: lei incarna questa attesa, questa fiducia, questa speranza. Quando ci sembra che tutto sia fermo, che la vita sia una strada interrotta, ricordiamoci del Sabato Santo. Anche nel sepolcro, Dio sta preparando la sorpresa più grande. E se sappiamo accogliere con gratitudine quello che è stato, scopriremo che, proprio nella piccolezza e nel silenzio, Dio ama trasfigurare la realtà, facendo nuove tutte le cose con la fedeltà del suo amore. La vera gioia nasce dall’attesa abitata, dalla fede paziente, dalla speranza che quanto è vissuto nell’amore, certo, risorgerà a vita eterna.
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Saluti
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APPELLO
Esprimo la mia profonda vicinanza al popolo palestinese a Gaza, che continua a vivere nella paura e a sopravvivere in condizioni inaccettabili, costretto con la forza a spostarsi ancora una volta dalle proprie terre. Davanti al Signore Onnipotente che ha comandato: «Non ucciderai» (Es 20,13) e al cospetto dell’intera storia umana, ogni persona ha sempre una dignità inviolabile, da rispettare e da custodire. Rinnovo l’appello al cessate-il-fuoco, al rilascio degli ostaggi, alla soluzione diplomatica negoziata, al rispetto integrale del diritto umanitario internazionale. Invito tutti ad unirsi alla mia accorata preghiera, affinché sorga presto un’alba di pace e di giustizia.
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. ...
Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Siate sempre fedeli all’ideale evangelico, e realizzatelo nelle vostre quotidiane attività.
E, prima di concludere, vorrei ringraziare tutti voi per gli auguri manifestati in questo giorno del mio onomastico. Tante grazie!
A tutti la mia benedizione!
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