Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



domenica 21 dicembre 2025

UDIENZA GIUBILARE 20 dicembre 2025 - Leone XIV "La storia è nelle mani di chi spera in Dio" (Sintesi/commento, testo e video)

UDIENZA GIUBILARE

Piazza San Pietro
Sabato, 20 dicembre 2025

****************


Il Papa all’ultima udienza giubilare dell’Anno Santo 2025

La storia è nelle mani
di chi spera in Dio


«La storia è nelle mani di Dio e di chi spera in Lui. Non c’è solo chi ruba, c’è soprattutto chi genera». Perché sebbene il Giubileo volga «al termine, non finisce la speranza che questo Anno ci ha donato: rimarremo pellegrini di speranza». Lo ha assicurato Leone XIV nell’ultima delle udienze giubilari del sabato, avviate nel gennaio scorso dal predecessore Francesco, in occasione dell’Anno Santo 2025.

In piazza San Pietro, alla presenza di circa dodicimila fedeli, il Pontefice agostiniano ha tenuto una catechesi sul tema «Sperare è generare. Maria, speranza nostra», denunciando come «la ricchezza della terra» sia «nelle mani di pochissimi, sempre più concentrata ingiustamente». Ma, di contro, «Dio ha destinato a tutti i beni del creato» e di conseguenza «il nostro compito è generare, non derubare», ha spiegato il vescovo di Roma.

In un’atmosfera natalizia richiamata dal grande albero addobbato al centro della piazza nei pressi dell’obelisco e dal presepe allestito accanto ad esso, il Papa ha compiuto a bordo della vettura bianca scoperta il consueto giro iniziale tra i reparti, scambiando qualche parola, tra gli altri, con una coppia di futuri sposi. E al termine dell’incontro, nei saluti ai gruppi presenti, ha espresso proprio l’auspicio che i «giovani, con coraggio e pieni di speranza, comprendano l’importanza del matrimonio sacramentale e siano aperti alla nuova vita».

Leggi anche:
(fonte: L'Osservatore Romano 20/12/2025)


****************

CATECHESI DI LEONE XIV


Catechesi. 11. Sperare è generare. Maria, speranza nostra

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Quando il Natale è alle porte, possiamo dire: il Signore è vicino! Senza Gesù, questa affermazione – il Signore è vicino – potrebbe suonare quasi come una minaccia. In Gesù, invece, noi scopriamo che, come avevano intuito i profeti, Dio è un grembo di misericordia. Gesù Bambino ci rivela che Dio ha viscere di misericordia, attraverso le quali genera sempre. In Lui non c’è minaccia, ma perdono.

Carissimi, quella di oggi è l’ultima delle udienze giubilari del sabato, avviate lo scorso gennaio da Papa Francesco. Il Giubileo volge al termine, non finisce però la speranza che questo Anno ci ha donato: rimarremo pellegrini di speranza! Abbiamo ascoltato da San Paolo: «Nella speranza, infatti, siamo stati salvati» (Rm 8,24). Senza speranza, siamo morti; con la speranza, veniamo alla luce. La speranza è generativa. Infatti è una virtù teologale, cioè una forza di Dio, e come tale genera, non uccide ma fa nascere e rinascere. Questa è vera forza. Quella che minaccia e uccide non è forza: è prepotenza, è paura aggressiva, è male che non genera niente. La forza di Dio fa nascere. Per questo vorrei dirvi infine: sperare è generare.

San Paolo scrive ai cristiani di Roma qualcosa che ci fa pensare: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). È un’immagine molto forte. Ci aiuta ad ascoltare e a portare in preghiera il grido della terra e il grido dei poveri. “Tutta insieme” la creazione è un grido. Ma molti potenti non ascoltano questo grido: la ricchezza della terra è nelle mani di pochi, pochissimi, sempre più concentrata – ingiustamente – nelle mani di chi spesso non vuole ascoltare il gemito della terra e dei poveri. Dio ha destinato a tutti i beni del creato, perché tutti ne partecipino. Il nostro compito è generare, non derubare. Eppure, nella fede il dolore della terra e dei poveri è quello di un parto. Dio genera sempre, Dio crea ancora, e noi possiamo generare con Lui, nella speranza. La storia è nelle mani di Dio e di chi spera in Lui. Non c’è solo chi ruba, c’è soprattutto chi genera.

Sorelle e fratelli, se la preghiera cristiana è così profondamente mariana, è perché in Maria di Nazaret vediamo una di noi che genera. Dio l’ha resa feconda e ci è venuto incontro coi suoi tratti, come ogni figlio somiglia alla madre. È Madre di Dio e nostra. “Speranza nostra”, diciamo nella Salve Regina. Somiglia al Figlio e il Figlio somiglia a lei. E noi somigliamo a questa Madre che ha dato volto, corpo, voce alla Parola di Dio. Le somigliamo, perché possiamo generare la Parola di Dio quaggiù, trasformare il grido che ascoltiamo in un parto. Gesù vuole nascere ancora: possiamo dargli corpo e voce. Ecco il parto che la creazione attende.

Sperare è generare. Sperare è vedere che questo mondo diventa il mondo di Dio: il mondo in cui Dio, gli esseri umani e tutte le creature passeggiano di nuovo insieme, nella città-giardino, la Gerusalemme nuova. Maria, speranza nostra, accompagni sempre il nostro pellegrinaggio di fede e di speranza.

_________________________________

Saluti

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, particularly those from the United States of America. In these final days before our celebration of the Lord’s birth at Christmas, I invoke upon all of you and your families, the joy and peace of the Lord Jesus Christ, son of God and Prince of Peace. God bless you!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos a María, Madre de la Esperanza, que nos acompañe siempre en nuestro camino de configuración con Cristo, su Hijo, el Verbo hecho carne que puso su morada entre nosotros. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Niech Dzieciątko Jezus napełnia pokojem wasze serca, rodziny, wspólnoty i całe społeczeństwo. Zawierzam Mu szczególnie ludzi młodych, aby z odwagą i pełni nadziei doceniali znaczenie sakramentalnego małżeństwa i byli otwarci na nowe życie. Błogosławionych Świąt Bożego Narodzenia!

[Saluto cordialmente i polacchi. Il Bambino Gesù riempia di pace i vostri cuori, le vostre famiglie, le vostre comunità e l’intera società. Affido a Lui in modo particolare i giovani, affinché con coraggio e pieni di speranza comprendano l’importanza del matrimonio sacramentale e siano aperti alla nuova vita. Buone Feste del Santo Natale!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Trani, Fisciano, Casoli, Macchia Val Fortore, come pure la Delegazione dell’ANAS.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Accostatevi al mistero di Betlemme con gli stessi sentimenti di fede e di umiltà che furono di Maria, per divenire ricchi di speranza e di letizia.

A tutti la mia benedizione!

Guarda il video integrale


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 5 - 2025/2026 - IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

Vangelo:

«Ho avuto paura!» (Gen 3,10). Sono queste le prime parole che l'uomo rivolge a Dio nel giardino dell'Eden. Per questa ragione: «Non temete!» sono le parole che, da sempre, Dio ripete (anche a noi) quando si rivela: a Zaccaria nel Tempio (Lc 1,13); a Maria a Nazareth (Lc 1,30); ai Pastori (Lc 2,10) e adesso a Giuseppe. L'Altissimo compie ciò che mente umana mai avrebbe pensato potesse avverarsi, la sorpresa più incredibile che una creatura possa mai immaginare: concepire l'Inconcepibile, il suo Creatore. Dio fa irruzione nella storia dell'uomo perché l'uomo possa prendere parte alla sua e lo fa assumendo la nostra povera carne, la nostra fragilità, affinché noi si possa accogliere la sua vita così come lui si manifesta: un bimbo piccolo, debole, povero. E realista questo meraviglioso progetto colmando Maria del suo amore, della sua grazia, della sua tenerezza, coinvolgendola nel suo amore per l'umanità intera. Maria è la prima di tutti i credenti perché nel suo grembo la Parola increata si è fatta uno di noi. Se veramente vogliamo accogliere il Figlio, dobbiamo necessariamente prendere con noi anche la Madre, Maria, come ha fatto Giuseppe. «Non possiamo accedere, in via ordinaria, a Gesù, se non attraverso la mediazione storica di chi lo ha accolto. Solo in Maria, figura dell'Israele rimasto fedele, troviamo la carne del Signore e il Signore che si dona ad ogni carne» (cit.). Giuseppe, il sognatore, è l'uomo dell'ascolto che mette in pratica la Parola, che nel silenzio realizza il progetto di Dio sul mondo. Giuseppe è figura del nuovo Adamo, immagine della Chiesa, che non ha più paura, ma si pone in ascolto del suo Signore, si risveglia dagli incubi della menzogna antica e accoglie la sua sposa e con essa il Figlio, sua vita.

sabato 20 dicembre 2025

NON TEMERE I TUOI SOGNI "... Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo. ... l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge. ... l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. - IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO A - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

NON TEMERE I TUOI SOGNI


... Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo.
 ... l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge. 
... l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.


Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi". Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. Mt 1, 18-24
 
NON TEMERE I TUOI SOGNI
 
... Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo.
... l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge
... l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

Dopo Giovanni, il profeta dubbioso di domenica scorsa, ecco un altro sognatore dubbioso, Giuseppe, l’ultimo patriarca. La sua casa è pronta, pronto il matrimonio, e i suoi sogni raccontano un’intensa storia d’amore con Maria; ma il dramma e il cuore ferito raccontano anche un’umanissima storia di crisi.

Prima che andassero a vivere insieme, Maria si trovò incinta... Allora Giuseppe pensò di ripudiarla in segreto.

È un buon giudeo, vorrebbe osservare la legge, andare dal rabbino a spiegargli la situazione: non è figlio mio. Dall’altro lato, però, non vuole mettere a rischio la vita di Maria, perché semplicemente quella ragazza lui la ama: gli ha occupato il futuro, il cuore e i sogni.

La legge prescriveva che il peccatore, l’adultero, doveva essere tolto di mezzo. Giuseppe lo sa, ma non lo fa, va controcorrente: decise di ripudiarla in segreto... di annullare il matrimonio senza clamore, senza processo, senza pericolo per Maria. È entrato in una logica altra: ha capito che qualcosa vale più della Legge antica, che prima viene l’amore. Quell’amore che è sempre un po’ “fuori legge”.

Ma ecco che in seguito a questa decisione fece un sogno. Non temere Giuseppe. Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo.

Non avere paura di prendere con te Maria. Non temere il futuro con lei e con questo figlio non tuo. Dio non interviene a risolvere i nostri problemi, siamo noi e le nostre paure che dobbiamo essere risolti.

Da chi ha imparato Gesù a ribaltare la legge antica, a mettere la persona prima della legge se non ascoltando Giuseppe? Da chi ha capito il piccolo Gesù che l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge? Dove ha imparato a sognare cieli nuovi e terra nuova e cuori nuovi, a darci speranza? È stato Giuseppe a dargli ali per volare, e mani robuste per dare concretezza ai suoi sogni.

Giuseppe che non parla mai, silenzioso e coraggioso, concreto e sognatore, uno della stirpe dei dirottatori, che sa andare controcorrente: le sorti del mondo sono affidate ai suoi sogni. Perché l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

Giuseppe fece come gli aveva detto l'angelo e prese con sé la sua sposa.

Il suo non è un rassegnato consenso, ma un virile e straordinario “sì” alla realtà che non ha deciso lui. Per questo coraggio di Giuseppe, che antepone l'amore alla generazione, Dio avrà un figlio tra noi.

Il santo cardinale Newman pregava così: non ti chiedo luce fino in fondo al mio orizzonte, ma solo per il primo passo

Anche noi avremo tanta luce quanta ne basta a un solo passo, e poi la luce si rinnoverà, come i sogni, la fede e i dubbi di Giuseppe. Avremo tanto coraggio quanto ne serve ad affrontare la prima notte. Poi il coraggio troverà la sua strada, come gli angeli nei sogni del giusto Giuseppe.

Enzo Bianchi: Vegliamo nell’attesa del Signore che viene

Enzo Bianchi
 Vegliamo nell’attesa del Signore che viene

Il tempo di Avvento ci richiama a una pratica spirituale faticosa, ma estremamente fruttuosa

Famiglia Cristiana - 14 Dicembre 2025
Rubrica: Cristiano, chi sei?


In ogni tempo liturgico la preghiera cristiana muta accentuando un aspetto. In Avvento si prega soprattutto vigilando, vegliando. Purtroppo questa postura della preghiera cristiana oggi è poco praticata perché si rifugge dalla fatica in generale e di conseguenza anche dalla fatica di una pratica orante. 
Eppure tutte le Scritture, e in particolar modo i Vangeli, testimoniano che Gesù “vegliava”, la sera, nella notte, al mattino presto! Vegliare significa sottrarre ore al sonno per stare desti, stare in attesa, attenti alla presenza e alla voce del Signore. Nei tempi antichi c’erano monaci che restavano a pregare addirittura tutta la notte vietandosi di dormire, appoggiando la testa su un bastone. Si chiamavano “vigilanti”, ma ancora adesso molti monaci si alzano nel cuor della notte a pregare, alle tre del mattino, e altri prima dell’alba. 
Vegliare è preghiera seria, che impegna il corpo che sperimenta la fatica di combattere contro il sonno e resta in attesa del Signore: bisogna farla questa esperienza per sentire come inebria di forza e come irrobustisce la speranza, che è attesa delle cose invisibili!

Chi è il cristiano, si chiedeva san Basilio? È colui che attende il Signore! 
Un’attesa umile, un’attesa amorosa, un’attesa impegnata, un’attesa che è epiclesi: Signore vieni! 
Come la sentinella attende l’aurora, tanti cristiani attendono la venuta del Signore: sono ai confini della chiesa, non sempre compresi, uomini di frontiera tra cielo e terra, tra incarnazione e parusia. D’altronde tutti sanno che dove c’è amore c’è attesa della persona amata: questo è un segno inequivocabile dell’amore. Il cristiano perciò in questo tempo di Avvento si interroghi: attende il Signore? Veglia nella notte per aspettarlo? Cerca di farsi trovare pronto? Dalla risposta potrà conoscere se in lui c’è la fede, la vera fede che è adesione al Signore.
(fonte: Blog dell'autore)


venerdì 19 dicembre 2025

MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2026 - Papa Leone smaschera la “logica distorta” del Rearm Europe e della propaganda di guerra alimentata dai governi (sintesi/commento e testo integrale)

MESSAGGIO DI LEONE XIV
PER LA LIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2026

**************

Papa Leone smaschera la “logica distorta” del Rearm Europe e della propaganda di guerra alimentata dai governi 


Nel rapporto tra cittadini e governanti si sta affermando “una logica distorta che arriva a considerare una colpa il non prepararsi alla guerra, il non essere pronti a reagire agli attacchi e a rispondere alle violenze”. Lo denuncia Papa Leone XIV nel suo Messaggio per la Giornata della Pace che sarà celebrata il prossimo primo gennaio 2026. Il Papa non discute il principio di legittima difesa, ma osserva come “questa mentalità contrappositiva rappresenti uno degli elementi più inquietanti dell’attuale destabilizzazione planetaria, sempre più drammatica e imprevedibile”.

“I ripetuti appelli all’aumento delle spese militari vengono spesso giustificati dai governanti – rileva Papa Prevost – con la presunta pericolosità dell’altro, alimentando una spirale fondata sulla paura e sul dominio della forza. In questo quadro, la deterrenza nucleare appare come l’emblema di un rapporto irrazionale tra i popoli, lontano dal diritto, dalla giustizia e dalla fiducia”.

In merito il Messaggio del Papa riporta che “nel 2024 le spese militari mondiali sono cresciute del 9,4%, raggiungendo i 2.718 miliardi di dollari, pari al 2,5% del PIL globale”, mentre “parallelamente, si assiste a un preoccupante riallineamento delle politiche educative, che sostituiscono la cultura della memoria con una narrazione permanente della minaccia”.

Da qui l’appello a “un risveglio delle coscienze, al dialogo e a una pace disarmante, fondata sulla fiducia, sull’umiltà e sul rifiuto della logica bellica come destino inevitabile dell’umanità”. “Chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace”. Lo ricorda il Pontefice citando Sant’Agostino nel Messaggio per la Giornata della Pace 2026. Nel testo, Leone XIV, invita a preferire “la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui”. Il Papa sottolinea come “sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo” e ricorda le parole della Costituzione Gaudium et spes: “Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni”.

Il testo richiama l’urgenza di vigilare sul “processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari” causato dal crescente affidamento delle decisioni di vita o di morte alle macchine, e denuncia “le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che spingono gli Stati in questa direzione”. L’appello continua citando San Francesco d’Assisi: “In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose… Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti”.

Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, il Papa cita Giovanni XXIII per sostenere che “l’arresto agli armamenti a scopi bellici” risulterebbe impossibile se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale, Secondo Leone XIV, “il criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti deve essere sostituito dal principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia”. Il Pontefice formula nel testo un invito alla responsabilità politica e sociale: “Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche, considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale… Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde”.

“Possa essere questo un frutto del Giubileo della Speranza”, auspica Papa Prevost commentando le parole della Sacra Scrittura: “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione”. Leone reclama dunque “un impegno concreto di pace, dialogo e disarmo dei cuori”.

Nel Messaggio il Papa spiega anche come “l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati”. “Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente ‘delegare’ alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane”, conclude il Pontefice.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri 18/12/2025)

**************

TESTO INTEGRALE

La pace sia con tutti voi.
Verso una pace disarmata e disarmante

“La pace sia con te!”.

Questo antichissimo saluto, ancora oggi quotidiano in molte culture, la sera di Pasqua si è riempito di nuovo vigore sulle labbra di Gesù risorto. «Pace a voi» ( Gv 20,19.21) è la sua Parola che non soltanto augura, ma realizza un definitivo cambiamento in chi la accoglie e così in tutta la realtà. Per questo i successori degli Apostoli danno voce ogni giorno e in tutto il mondo alla più silenziosa rivoluzione: “La pace sia con voi!”. Fin dalla sera della mia elezione a Vescovo di Roma, ho voluto inserire il mio saluto in questo corale annuncio. E desidero ribadirlo: questa è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. [1]

La pace di Cristo risorto

Ad aver vinto la morte e abbattuto i muri di separazione fra gli esseri umani (cfr Ef 2,14) è il Buon Pastore, che dà la vita per il gregge e che ha molte pecore al di là del recinto dell’ovile (cfr Gv 10,11.16): Cristo, nostra pace. La sua presenza, il suo dono, la sua vittoria riverberano nella perseveranza di molti testimoni, per mezzo dei quali l’opera di Dio continua nel mondo, diventando persino più percepibile e luminosa nell’oscurità dei tempi.

Il contrasto fra tenebre e luce, infatti, non è soltanto un’immagine biblica per descrivere il travaglio da cui sta nascendo un mondo nuovo: è un’esperienza che ci attraversa e ci sconvolge in rapporto alle prove che incontriamo, nelle circostanze storiche in cui ci troviamo a vivere. Ebbene, vedere la luce e credere in essa è necessario per non sprofondare nel buio. Si tratta di un’esigenza che i discepoli di Gesù sono chiamati a vivere in modo unico e privilegiato, ma che per molte vie sa aprirsi un varco nel cuore di ogni essere umano. La pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”. In questo orizzonte ci ha introdotti il Risorto. In questo presentimento vivono le operatrici e gli operatori di pace che, nel dramma di quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”, ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte.

Il contrario, cioè dimenticare la luce, è purtroppo possibile: si perde allora di realismo, cedendo a una rappresentazione del mondo parziale e distorta, nel segno delle tenebre e della paura. Non sono pochi oggi a chiamare realistiche le narrazioni prive di speranza, cieche alla bellezza altrui, dimentiche della grazia di Dio che opera sempre nei cuori umani, per quanto feriti dal peccato. Sant’Agostino esortava i cristiani a intrecciare un’indissolubile amicizia con la pace, affinché, custodendola nell’intimo del loro spirito, potessero irradiarne tutt’intorno il luminoso calore. Egli, indirizzandosi alla sua comunità, così scriveva: «Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso». [2]

Sia che abbiamo il dono della fede, sia che ci sembri di non averlo, cari fratelli e sorelle, apriamoci alla pace! Accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile. Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre scelte. Anche nei luoghi in cui rimangono soltanto macerie e dove la disperazione sembra inevitabile, proprio oggi troviamo chi non ha dimenticato la pace. Come la sera di Pasqua Gesù entrò nel luogo dove si trovavano i discepoli, impauriti e scoraggiati, così la pace di Cristo risorto continua ad attraversare porte e barriere con le voci e i volti dei suoi testimoni. È il dono che consente di non dimenticare il bene, di riconoscerlo vincitore, di sceglierlo ancora e insieme.

Una pace disarmata

Poco prima di essere catturato, in un momento di intensa confidenza, Gesù disse a quelli che erano con Lui: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E subito aggiunse: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Il turbamento e il timore potevano riguardare, certo, la violenza che si sarebbe presto abbattuta su di Lui. Più profondamente, i Vangeli non nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non violenta: una via che tutti, Pietro per primo, gli contestarono, ma sulla quale fino all’ultimo il Maestro chiese di seguirlo. La via di Gesù continua a essere motivo di turbamento e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi vorrebbe difenderlo: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11; cfr Mt 26,52). La pace di Gesù risorto è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali. Di questa novità i cristiani devono farsi, insieme, profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici. La grande parabola del giudizio universale invita tutti i cristiani ad agire con misericordia in questa consapevolezza (cfr Mt 25,31-46). E nel farlo, essi troveranno al loro fianco fratelli e sorelle che, per vie diverse, hanno saputo ascoltare il dolore altrui e si sono interiormente liberati dall’inganno della violenza.

Sebbene non siano poche, oggi, le persone col cuore pronto alla pace, un grande senso di impotenza le pervade di fronte al corso degli avvenimenti, sempre più incerto. Già Sant’Agostino, in effetti, segnalava un particolare paradosso: «Non è difficile possedere la pace. È, al limite, più difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna fatica». [3]

Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza. «In conseguenza – come già scriveva dei suoi tempi San Giovanni XXIII – gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». [4]

Ebbene, nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. [5] Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza.

Tuttavia, «chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace». [6] Così Sant’Agostino raccomandava di non distruggere i ponti e di non insistere col registro del rimprovero, preferendo la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui. Sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo. In particolare, la Costituzione Gaudium et spes portava l’attenzione sull’evoluzione della pratica bellica: «Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità». [7]

Nel ribadire l’appello dei Padri conciliari e stimando la via del dialogo come la più efficace ad ogni livello, constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico. L’Enciclica Fratelli tutti presenta San Francesco d’Assisi come esempio di un tale risveglio: «In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose tra famiglie potenti, mentre crescevano le zone miserabili delle periferie escluse. Là Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti». [8] È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica.

Una pace disarmante

La bontà è disarmante. Forse per questo Dio si è fatto bambino. Il mistero dell’Incarnazione, che ha il suo punto di più estremo abbassamento nella discesa agli inferi, comincia nel grembo di una giovane madre e si manifesta nella mangiatoia di Betlemme. «Pace in terra» cantano gli angeli, annunciando la presenza di un Dio senza difese, dal quale l’umanità può scoprirsi amata soltanto prendendosene cura (cfr Lc 2,13-14). Nulla ha la capacità di cambiarci quanto un figlio. E forse è proprio il pensiero ai nostri figli, ai bambini e anche a chi è fragile come loro, a trafiggerci il cuore (cfr At 2,37). Al riguardo, il mio venerato Predecessore scriveva che «la fragilità umana ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità». [9]

Giovanni XXIII introdusse per primo la prospettiva di un disarmo integrale, che si può affermare soltanto attraverso il rinnovamento del cuore e dell’intelligenza. Così scriveva nella Pacem in terris: «Occorre riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità». [10]

È questo un servizio fondamentale che le religioni devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di trasformare in armi persino i pensieri e le parole. Le grandi tradizioni spirituali, così come il retto uso della ragione, ci fanno andare oltre i legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è simile e respingono chi è diverso. Oggi vediamo come questo non sia scontato. Purtroppo, fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata. I credenti devono smentire attivamente, anzitutto con la vita, queste forme di blasfemia che oscurano il Nome Santo di Dio. Perciò, insieme all’azione, è più che mai necessario coltivare la preghiera, la spiritualità, il dialogo ecumenico e interreligioso come vie di pace e linguaggi dell’incontro fra tradizioni e culture. In tutto il mondo è auspicabile che «ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono». [11] Oggi più che mai, infatti, occorre mostrare che la pace non è un’utopia, mediante una creatività pastorale attenta e generativa.

D’altra parte, ciò non deve distogliere l’attenzione di tutti dall’importanza della dimensione politica. Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e qualificate, «considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde». [12]È la via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali.

Oggi, la giustizia e la dignità umana sono più che mai esposte agli squilibri di potere tra i più forti. Come abitare un tempo di destabilizzazione e di conflitti liberandosi dal male? Occorre motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la speranza, contrastando il diffondersi di «atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana». [13] Se infatti «il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori», [14] a una simile strategia va opposto lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala. Lo evidenziava già con chiarezza Leone XIII nell’Enciclica Rerum novarum: «Il sentimento della propria debolezza spinge l’uomo a voler unire la sua opera all’altrui. La Scrittura dice: È meglio essere in due che uno solo; perché due hanno maggior vantaggio nel loro lavoro. Se uno cade, è sostenuto dall’altro. Guai a chi è solo; se cade non ha una mano che lo sollevi ( Eccl 4,9-10). E altrove: il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata ( Prov 18,19)». [15]

Possa essere questo un frutto del Giubileo della Speranza, che ha sollecitato milioni di esseri umani a riscoprirsi pellegrini e ad avviare in sé stessi quel disarmo del cuore, della mente e della vita cui Dio non tarderà a rispondere adempiendo le sue promesse: «Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,4-5).

Dal Vaticano, 8 dicembre 2025

LEONE PP. XIV


[1] Cfr Benedizione apostolica “Urbi et Orbi” e primo saluto, Loggia centrale della Basilica di San Pietro (8 maggio 2025).
[2] Agostino d’Ippona, Discorso 357, 3.
[3] Ibid., 1.
[4] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 60.
[5] Cfr SIPRI Yearbook: Armaments, Disarmament and International Security (2025).
[6] Agostino d’Ippona, Discorso 357, 1.
[7] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 80.
[8] Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 4.
[10] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 61.
[12] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 63.
[13] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 42.
[14] Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 15.
[15] Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum (15 maggio 1891), 37.

**************

Chi ha insegnato agli adolescenti di oggi che è un valore avere un coltello in tasca?

Alberto Pellai
Chi ha insegnato agli adolescenti di oggi
che è un valore avere un coltello in tasca?

Primo aspetto: sono quasi solo maschi quasi fosse un prolungamento dell’identità di genere. Secondo, il mondo intorno – dalle serie Tv ai social – li radica nel modello del “vero uomo”


La cronaca ci parla sempre più spesso di giovanissimi che compiono attacchi usando lame. Andare in giro con un coltello sembra oggi essere un comportamento molto più diffuso che in passato. Non è stato normalizzato, per fortuna, ma di certo ascoltando le testimonianze di molti educatori e docenti che lavorano a contatto con adolescenti, si ha la percezione che siano numerosi i ragazzi che escono di casa portando nello zaino o in tasca una lama. Alcuni di loro, poi, avendola a disposizione, ne fanno uso all’interno di conflitti estemporanei o come strumento per intimidire (e a volte colpire) l’altro durante furti, scorribande o risse.

Inevitabile domandarsi come è avvenuto questo “sdoganamento” generazionale dei coltelli.

Primo aspetto: sono solo maschi quelli che escono di casa, tenendo un coltello a portata di mano. Inevitabilmente viene da pensare che il coltello rappresenti un prolungamento della propria identità di genere. Il vero maschio se ne può impossessare e portarlo in giro per dimostrare, anche attraverso di esso, di appartenere alla mascolinità vera. Il che ha un duplice significato: da una parte essere maschi comporta fragilità interiori che richiedono supporti esterni a sé, oggetti che fungano da veri e propri status symbol che confermino e rendano certi di essere dalla parte giusta, relativamente al proprio ruolo di genere. Un tempo era la sigaretta, oggi è il coltello. Stride moltissimo tale condizione con il lavoro enorme che si sta facendo per fare prevenzione della violenza di genere, per aiutare il “maschile” a connotarsi di nuove competenze emotive e relazionali che permettano a chi nasce e cresce maschio di coltivare un’identità non centrata sul mito del vero uomo, ancorandola invece al concetto di “uomo vero”. Ma questo messaggio educativo e preventivo, purtroppo, si confonde oggi con il messaggio che arriva a chi cresce attraverso il contesto socio-culturale di riferimento.

E qui abbiamo il secondo fattore di criticità, oggi pandemico. Perché tutto ciò che dal mondo arriva alla mente e al cuore dei nostri figli maschi, sembra radicarli in modo inevitabile al modello del “vero uomo” che si fa giustizia da solo, che usa la potenza violenta più che la competenza emotiva, quando c’è da risolvere un conflitto. Ci sono coltelli nelle serie tv più amate dagli adolescenti, c’è un richiamo continuo alla violenza e alla prepotenza, al machismo e al mito del “vero uomo” nelle canzoni e nei videogiochi con cui ogni giorno per ore i nostri figli riempiono il loro tempo libero. Ed è chiaro che non è colpa di una canzone o di un videogioco se uno va in giro con un coltello e poi lo usa. Ma c’è qualcosa di profondamente pericoloso che sta avvenendo nella vita di molti ragazzi. Da una parte, si trovano esposti ad un’adultità fragile che ha perso presenza e autorevolezza educativa nei loro confronti. Per crescere, soprattutto in condizioni di fragilità, servono adulti capaci di stare in relazione, capaci di transennare gli eccessi emotivi della prima adolescenza con la forza di proposte educative coinvolgenti e capaci di rispondere al bisogno di appartenenza, di protagonismo, di validazione che ogni adolescente porta con sé. Spesso però proprio i ragazzi più fragili escono precocemente dal “radar” del mondo adulto che educa. Escono dal circuito scolastico ed entrano in un limbo in cui solitudine e isolamento diventano fattori di amplificazione del proprio sentirsi disorientati e impotenti.

È su questo substrato che fanno breccia i modelli culturali di riferimento che attraverso gli schermi sempre accesi a riempire il vuoto di crescite denutrite e non allenate alla ricerca di senso, vengono avviate al mito della violenza. Un ragazzo un giorno mi ha detto: “Magari nella vita reale sei il più grande sfigato che esista, poi entri in un videogioco e li fai fuori tutti. Così finalmente ti senti capace, senti di avere ancora un valore”. Ecco il quesito fondamentale: chi ha insegnato agli adolescenti contemporanei che è un valore uscire di casa con una lama nello zaino o nelle tasche? Lo hanno imparato da soli, come autodidatti, o nelle loro vite è entrato un messaggio che nel coltello ha identificato un simbolo di potenza e mascolinità, di prepotenza e controllo sull’altro? La mitologia del coltello tra gli adolescenti, almeno in parte, nasce dal fatto che “agire violenza” tutt’oggi continua ad essere una modalità con cui i maschi si impossessano in modo totalmente “maldestro” del proprio ruolo di genere. Per cambiare questi copioni, oggi più che mai servono testimoni adulti credibili che sappiano stare in relazione, educare e modellare una crescita maschile dove essere competenti è più appagante che essere potenti, dove essere “uomo vero” è più premiante che essere “vero uomo”. È un compito che spetta soprattutto ai padri, essi stessi oggi sospesi tra il desiderio di nuovi riferimenti e modelli maschili di riferimento e la percezione di una fragilità e impotenza che li trova disorientati di fronte alle sfide educative che il terzo millennio ha messo nelle vite di chi cresce e di chi fa crescere.
(fonte: Famiglia Cristiana 18/12/2025)

giovedì 18 dicembre 2025

Come il Natale ci ricorda chi siamo

Come il Natale ci ricorda chi siamo


Che cosa accade a un popolo quando smette di credere in se stesso?

Non all’improvviso, ma a poco a poco. Quando smette di immaginare un futuro condiviso, di desiderare una vita da trasmettere, di riconoscersi in un «noi» che abbia ancora un senso.

***

Gli ultimi rapporti del Censis scattano una fotografia impietosa dell’Italia di oggi: una società cieca davanti ai suoi problemi più evidenti, immersa in uno stato di emergenza perenne, frammentata, ripiegata su se stessa. Un Paese che sembra aver smarrito la propria vocazione e che continua a consolarsi guardandosi dall’alto, ignorando ciò che accade in basso: le sue contraddizioni, le sue arretratezze, la sua incapacità di costruire un progetto comune.

Due condizioni – la cecità e l’emergenza continua – che ci spingono a ripiegarci sul nostro orticello, «alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano», con il risultato di legami sociali sempre più frammentati. Nella «incomunicabilità generazionale» si consuma così un dissenso giovanile silenzioso, «senza conflitto», fatto di fughe e diserzioni.

A questa realtà corrisponde una politica «spezzettata in micro-interventi» e impegnata a proteggere «microcosmi privati», mentre lo sviluppo economico si arena, incapace di fissare «traguardi strategici».

Siamo diventati un popolo che ha progressivamente smarrito le ragioni per sentirsi tale. Eppure ci consoliamo osservando il Paese «dall’alto»: le terrazze delle città storiche, i panorami marini, le colline, le cime innevate. Ma vissuta «dal basso», l’Italia rivela la sua fatica quotidiana, le fratture, la mancanza di visione condivisa.

***

La fotografia del Censis è severa, quasi da «fine impero». Ma forse è proprio questa la narrazione necessaria per provocare una reazione. Qualche anno fa lo stesso istituto ci definiva «sonnambuli». Oggi, la domanda più urgente è: cosa può davvero svegliarci?

Per storia e natura, siamo un popolo geograficamente e culturalmente vario, e abbiamo fatto della nostra frammentazione un punto di forza: comunità locali forti che collaborano nei momenti di crisi. Ma oggi questa ricchezza si sta svuotando. Il nostro «particolarismo» è diventato individualismo, un istinto alla disintegrazione. Ognuno sembra voler affermare se stesso prescindendo da legami, relazioni, obiettivi condivisi.

Ideali e visioni capaci di unirci sono rari. Ma è difficile sognare insieme quando si è troppo impegnati a sopravvivere o a sopraffare. Abbiamo bisogno di uno slancio collettivo, simile a quello del secondo dopoguerra. E oggi, il nemico che dovrebbe unirci è chiaro, anche se fingiamo di non vederlo: la crisi demografica.

Nel 2025 abbiamo registrato un nuovo record negativo di nascite: 369.944 bambini, il numero più basso dal secondo dopoguerra. Entro il 2040, solo una coppia su quattro avrà figli. Nel 2050, l’Italia avrà perso 4,5 milioni di residenti, l’equivalente di Roma e Milano messe insieme. Spariranno 3,7 milioni di persone con meno di 35 anni, mentre aumenteranno di 4,6 milioni gli over 65, di cui 1,6 milioni avranno più di 85 anni. Si prevede che nel 2050 mancheranno 8 milioni di persone in età lavorativa.

Un colpo mortale per l’equilibrio economico, visto che il nostro welfare si basa su un patto tra generazioni: i contributi di chi lavora finanziano le pensioni. In altre parole: siamo un popolo che ha rinunciato alla vita. Eppure, il problema non è il desiderio: l’Istat ci dice che, se oggi il numero medio di figli per donna è 1,18, il desiderio dichiarato resta superiore a due.

Il potenziale c’è. Ma viene soffocato da ostacoli strutturali: tasse penalizzanti, servizi carenti, precarietà. Fare famiglia è percepito come un percorso a ostacoli, un’avventura incerta, talvolta scoraggiante. Nemmeno l’immigrazione, da sola, può colmare il vuoto: i giovani continuano a partire. E sono proprio loro – i giovani – la cartina tornasole della vitalità di un Paese. Siamo un popolo che desidera la vita, ma troppo spesso vi rinuncia, per stanchezza e paura.

***

Il Natale ormai prossimo ci ricorda qualcosa di essenziale: per salvarci, dobbiamo rimettere al centro il verbo nascere.

Che può tornare a essere un verbo generoso – parola che condivide la radice con generare – e quindi gioioso. Nascere è qualcosa che ci riguarda per tutta la vita, non solo individualmente, ma come comunità. Nascere è realizzare la propria vocazione fino all’ultimo istante. Vivere, in fondo, è il modo umano di nascere del tutto. E questo lo facciamo ogni volta che, insieme ad altri, generiamo qualcosa di nuovo, di bello, di inatteso.

Come il Natale ci ricorda.
(fonte: Settimana News, articolo di Bruna Capparelli 09/12/2025)

UDIENZA GENERALE 17/12/2025 - Leone XIV "Mai come oggi la finanza è idolatrata al sanguinoso prezzo della vita umana e del creato" (testo e video)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 dicembre 2025


********************

Leone XIV prosegue le riflessioni giubilari su «Cristo nostra speranza» 
e invita a leggere la vita nel segno della Pasqua

Mai come oggi la finanza è idolatrata 
al sanguinoso prezzo della vita umana e del creato



Il vero tesoro si conserva nel cuore non nelle casseforti della Terra né nei grandi investimenti

«È nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio». È il forte monito lanciato da Leone XIV all’udienza generale di mercoledì 17 dicembre in piazza San Pietro. Proseguendo il ciclo di catechesi sul tema giubilare «Gesù nostra speranza», il Papa ha ancora approfondito il legame tra «la Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale», soffermandosi in particolare sulla Pasqua come «approdo del cuore inquieto». Prima di raggiungere i fedeli in piazza, il Pontefice si è recato in Aula Paolo VI per salutare le persone malate, alle quali ha rivolto a braccio le parole che pubblichiamo di seguito.

Saluto del Santo Padre ai malati in Aula Paolo VI prima dell’Udienza Generale

Buongiorno a tutti! Good morning! Welcome!

Faccio un breve saluto, una benedizione per ognuno di voi.

In questa giornata volevamo difendervi un po’ dagli elementi, dal freddo soprattutto... Non sta piovendo, però così forse state un po’ più comodi. Dopo potrete seguire l’Udienza sullo schermo, o se volete potete anche uscire, però approfittiamo di questo piccolo incontro un po’ più personale, così, per salutarvi, per offrirvi la benedizione del Signore, e anche un augurio. Siamo già vicino alla festa di Natale e vogliamo chiedere al Signore che la gioia di questo tempo di Natale vi accompagni tutti: le vostre famiglie, i vostri cari, e che siate sempre nelle mani del Signore con la fiducia, con l’amore che solo Dio ci può dare.

Do la benedizione a tutti adesso, poi passo a salutarvi.

Benedizione
(fonte: L'Osservatore Romano17/12/2025)

********************

CATECHESI DI LEONE XIV

Udienza Generale del 17 dicembre 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 8. La Pasqua come approdo del cuore inquieto


Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire. Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati. In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, ci riposeremo? La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia. Ebbene, dobbiamo solo aspettare, o questo ci può cambiare fin da ora?

Siamo assorbiti da tante attività che non sempre ci rendono soddisfatti. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tanti impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi, anzi donandosi fino alla fine. Eppure, percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita. Ci sentiamo allora stanchi, insoddisfatti: il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti. Perché? Perché noi non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore.

Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone. L’evangelista Matteo ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, nel riportare questa bellissima frase di Gesù: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

È dunque nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio.

È importante riflettere su questi aspetti, perché nei numerosi impegni che di continuo affrontiamo, sempre più affiora il rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo. Invece, leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum. Con questo aggettivo “inquieto”, Sant’Agostino ci fa comprendere lo slancio dell’essere umano proteso al suo pieno compimento. La frase integrale rimanda all’inizio delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te» (I, 1,1).

L’inquietudine è il segno che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato alla sua destinazione ultima, quella del “ritorno a casa”. E l’approdo autentico del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore. Questo tesoro, però, lo si trova solo amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: i fratelli e le sorelle in carne e ossa, la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi. Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare programma, forse anche di cambiare direzione.

Carissimi, ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude. Nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza.

Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non sarà deluso, se entra nel dinamismo dell’amore per cui è creato. L’approdo è certo, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e ringraziamo sempre il Signore che ce l’ha donata!

___________

Saluti
...


* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. In particolare ...

Saluto, infine, i malati, gli sposi novelli e i giovani, specialmente ... Tra non molti giorni sarà Natale e immagino che nelle vostre case si stia ultimando o è già ultimato l’allestimento del presepe, suggestiva rappresentazione del Mistero della Natività di Cristo. Auspico che un elemento così importante, non solo della nostra fede, ma anche della cultura e dell’arte cristiana, continui a far parte del Natale per ricordare Gesù che, facendosi uomo, è venuto “ad abitare in mezzo a noi”.

A tutti la mia benedizione!


Guardo il video integrale