Le parole provocatorie del messaggio di Valditara alla presentazione alla Camera della Fondazione Giulia Cecchettin
In sintesi per il ministro il patriacato non c'è più
e la vera causa dell'aumento dei femminicidi è l'immigrazione illegale...
Fanno molto discutere le parole del ministro Valditara, pronunciate in occasione dell’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin. Attraverso un videomessaggio, il capo del dicastero ha spiegato che il patriarcato «come fenomeno giuridico, è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza» ed ha anche aggiunto che «occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale».
La replica di Gino Cecchettin (padre di Giulia) ...
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Vorrei dire al ministro che chi ha portato via mia figlia è italiano. La violenza è violenza, indipendentemente da dove essa arrivi. Non ne farei un tema di colore, ma di azione. Di concetto”.
Gino Cecchettin non ha potuto fare a meno di commentare anche le parole di Valditara, secondo cui il patriarcato sarebbe finito: “Ma lui l’ha descritto benissimo. Non è che se neghi una cosa questa non esiste. Il ministro ha parlato di soprusi, di violenze, di prevaricazione. È esattamente quello il patriarcato ed è tutto ciò che viene descritto nei manuali. Mi sembra solo una questione di nomenclatura. È la parola, oggi, che mette paura: “patriarcato” spaventa più di “guerra””.
e di Elena Cecchettin (sorella di Giulia)
Sull’argomento è intervenuta sui social anche la sorella di Giulia, Elena: “Dico solo che forse, se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e ‘per bene’, si ascoltasse non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro Paese ogni anno”. E ancora: “Mio padre ha raccolto i pezzi di due anni di dolore e ha messo insieme una cosa enorme. Per aiutare le famiglie, le donne a prevenire la violenza di genere e ad aiutare chi è già in situazioni di abuso. Oltre al depliant proposto (che già qua non commentiamo) cos’ha fatto in quest’anno il governo? Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e a creare qualcosa di buono per il futuro?”
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Vedi anche il post precedente
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Valditara, la predica sul patriarcato e la lezione di Gino Cecchettin
Le sue parole rivelano quanto sia radicato in quella cultura che ha cercato di ridimensionare
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara evidentemente non lo sa, ma le sue parole rivelano quanto, forse a sua insaputa, sia profondamente radicato in quella cultura del patriarcato che ha cercato di ridimensionare, riducendola a una banale questione ideologica. Le sue dichiarazioni stupiscono non solo per i toni polemici, ma anche e soprattutto per il contesto in cui sono state pronunciate, ovvero la presentazione della Fondazione intitolata a Giulia Cecchettin, vittima della violenza di un uomo, il suo ex fidanzato Filippo Turetta, che l’ha massacrata perché odiava vederla libera. Oggetto e non soggetto. La precisazione che Valditara ha diffuso dopo essere stato travolto dalle polemiche, aggiustando il tiro, non migliora affatto la sua posizione. Il patriarcato, inteso come fattispecie giuridica, ha spiegato, non esiste più da 1975, mentre continua a esistere “il maschilismo contro cui bisogna lottare, mettendo al centro il valore di ogni persona”.
Il ministro dunque sovrappone questione giuridica e questione culturale, evidentemente ignorando che non basta una legge, per quanto giusta, a smantellare un sistema di dis-valori che ha rappresentato per secoli l’ecosistema in cui il patriarcato ha imposto la prevalenza del maschile sul femminile utilizzando le leve della forza e del potere. Poiché il ministro, sentendosi nel mirino, ha replicato senza ammettere errori e ha parlato di “strumentalizzazione”, ecco come lo spiega con parole semplici la sua collega di governo Eugenia Roccella che, per fortuna di tutti, ha idee diverse dalle sue: “C'è qualcosa di radicato che non riusciamo a combattere. Le leggi sono uno strumento essenziale ma non sono sufficienti a difendere le donne, è necessario intervenire su diversi fronti, e per questo serve un confronto serio, che parte da idee condivise”. Ecco, le idee condivise a quanto pare sono quello che manca. O forse un comune sentire.
E’ sembrato invece che al ministro servisse piuttosto un pulpito dal quale fare la predica a tutte le donne, e a una in particolare, a Elena Cecchettin, sorella di Giulia, che per prima dopo la morte della sorella aveva chiesto di unirsi nella lotta contro la cultura patriarcale che permea ancora la nostra società. Dunque il ministro, invitato in quanto temporaneamente incaricato dell’Istruzione di questo Paese, e per questo titolare di una grande responsabilità nella creazione di una cultura più aperta e inclusiva, ha ritenuto di fare la ramanzina alla famiglia della vittima. Aggiungendo a questo, nel suo discorso, un passaggio che alimenta ulteriore incredulità: “Occorre non far finta di non vedere che l'incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale" ha detto ricorrendo a quell’apparato ideologico (tipico del partito a cui appartiene, la Lega) che poco prima aveva contestato. Una frase non solo del tutto estranea al contesto in cui è stata pronunciata, dal momento che a togliere la vita a Giulia è stato un giovane italiano, ma anche smentita dai dati, che certificano come gli autori di violenza sessuale nel nostro Paese siano italiani nell’80 per cento dei casi.
A quale scopo dunque il ministro ha deciso di utilizzare la nascita della Fondazione Cecchettin per diffondere messaggi che appaiono incoerenti e ingiustificati? Poiché Valditara, come appare evidente, ha deciso di insistere con le sue argomentazioni, non resta che affidarsi alle parole di Gino Cecchettin, padre di Giulia, che ha fortemente voluto la nascita della Fondazione intitolata a sua figlia per contrastare la violenza di genere: “Le parole del ministro Valditara? Diciamo che ci sono dei valori condivisi e altri sui quali dovremo confrontarci”. Ascoltare, ministro, potrebbe essere un buon punto di partenza. A partire da chi ha perso, in questa battaglia per niente ideologica, le persone che amava di più.
(fonte: La Stampa, articolo di Maria Rosa Tomasello 18/11/2024)
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Valditara alla fondazione Cecchettin:
«Più migranti, più femminicidi».
La replica: «Giulia uccisa da un italiano»
Valditara alla presentazione alla Camera dFondazione Cecchettin dà la colpa dei femminicidi all'immigrazione
Per il ministro dell’Istruzione la lotta contro il patriarcato è «frutto di una visione ideologica». Le opposizioni. «Parole inaccettabili». Elena Cecchettin: «Giulia uccisa da un bianco per bene»
«Deve essere chiara a ogni nuovo venuto, a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale».
A dirlo il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara durante la presentazione alla Camera dei deputati della fondazione Giulia Cecchettin, la studentessa uccisa dall’ex partner Filippo Turetta l’11 novembre 2023, un ente che si dedicherà ad aiutare le famiglie, le donne a prevenire la violenza di genere e ad aiutare chi è già in situazioni di abuso.
Per Valditara, il femminicidio «oggi sembra più il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio che non sa sopportare in no», mentre «una volta era frutto di una concezione proprietaria della donna». Il ministro ha definito la lotta contro il patriarcato una «visione ideologica», sostenendo che «i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma a affermare una personale visione del mondo».
Frasi con doppie negazioni un po’ contorte, il cui senso però è chiaro ed evidenzia una narrazione comune alla destra di governo, e non solo, che mira a spostare il problema a un mondo esterno, a qualcosa di lontano ed estraneo alla società e cultura in cui viviamo.
Alle parole di Valditara aveva però già risposto un anno fa, in una lettera al Corriere della Sera, Elena Cecchettin, la sorella di Giulia: «Il femminicidio è un omicidio di Stato. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere», riconoscendo la natura strutturale della violenza maschile sulle donne perché il femminicida non è «una persona esterna alla società». Ma quelli che vengono definiti “mostri” «non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro».
La sua lettera ha rappresentato una svolta importante per la narrazione dei femminicidi e della violenza di genere. Ma alle istituzioni non è bastato. È quindi tornata a rispondere il 18 novembre sul suo profilo Instagram: «Se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e “per bene”, si ascoltasse, non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro paese ogni anno».
Radicato e trasversale
La violenza maschile contro le donne, il cui apice è appunto il femminicidio, è – come afferma Elena Cecchettin – un fenomeno culturale, radicato e trasversale, che non dipende dalla classe sociale o dalla provenienza di una persona. E nella maggior parte dei casi «l’assassino ha le chiavi di casa», gridano i movimenti femministi in piazza. Lo dicono i dati e lo raccontano le storie delle «120 donne» che sono state uccise «soltanto in Italia» da «quando è mancata Giulia. Migliaia e migliaia nel mondo», di fronte alle quali – ha detto Gino Cecchettin – «non possiamo permetterci di essere indifferenti o voltare lo sguardo altrove».
Da un recente rapporto di Action Aid e dell’Osservatorio di Pavia, “Oltre le parole”, emerge che più di un messaggio su dieci di esponenti di governo, parlamento o enti locali «è fuorviante»: ne è un esempio un post Facebook di Matteo Salvini «che esternalizza la violenza contro le donne», contrapponendo «la cultura occidentale, e le sue radici giudaico-cristiane, alla cultura islamica».
Così come i post dei politici, anche i giornali hanno per lungo tempo sovrarappresentato il femminicidio compiuto da un uomo di origine straniera, aveva raccontato a Domani Elisa Giomi, commissaria dell’Agcom, poi «nel tempo la copertura si è riallineata al dato fattuale».
«Parole inaccettabili»
Quelle di Valditara sono «parole inaccettabili», dicono le opposizioni. «Si tratta solo di razzismo e si chiama propaganda», afferma Chiara Braga, capogruppo del Partito democratico alla Camera, mentre Riccardo Magi di Più Europa parla di «una spudorata strumentalizzazione razzista» del ministro. Frasi «incredibili e gravissime», per la senatrice Pd Sandra Zampa.
«Accusare i migranti irregolari in relazione allo spaventoso numero di femminicidi in Italia copre di vergogna un esponente delle istituzioni smentito tra l’altro nelle sue insultanti parole dai dati raccolti dalla Commissione parlamentare femminicidi», ha aggiunto Zampa. Ciò che spiace, dicono in molti, è l’occasione importante come la presentazione della Fondazione Cecchettin, usata – conclude Braga – «per fare propaganda su queste e altre improbabili teorie».
La fondazione è stata creata da Gino Cecchettin, raccogliendo «i pezzi di due anni di dolore» e riuscendo a mettere insieme «una cosa enorme», racconta la figlia Elena su Instagram. «Cos’ha fatto invece il governo?», chiede la ragazza, «Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e creare qualcosa di buono?».
La violenza di genere è frutto di un «fallimento collettivo» ha ricordato il padre, «non è solo una questione privata. Dobbiamo educare le nuove generazioni». Ma dell’educazione sessuo-affettiva strutturale nelle scuole e del progetto di Valditara “Educare alle relazioni”, dopo un anno, non c’è traccia. (fonte: Domani, articolo di Marika Ikonomu 18/11/2024)
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