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giovedì 18 settembre 2025

Tonio Dell'Olio: Gaza la vergogna è servita

Tonio Dell'Olio
 
Gaza la vergogna è servita

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  17 SETTEMBRE 2025



E noi affacciati alla finestra mentre il genocidio si compie. Più o meno sotto gli occhi di tutti. Più o meno cercando di capire quel che sentono nel profondo donne, bambini e uomini deportati verso un altrove anonimo con i camion carichi di brutti sentimenti.

Se non è genocidio ditelo voi cos’è! 
E penso agli anziani e a quelli resi non più autonomi nei movimenti dalle ferite incurate. Penso ai disabili che non possono né correre né sanno più piangere. Tutti con un lutto nell’anima. 

Se non è genocidio ditelo voi cos’è! 
La famiglia è stata decimata dall’orrore. Dall’orrore e dalla fame e dagli ospedali senza posti e medicine e senza anestesia. Ora invece ci sarebbe bisogno di un’anestesia sociale e collettiva per non sentire quel dolore lancinante e profondo provocato dall’arroganza del potere, dalla violenza che precede addirittura il lancio della bomba. 

Se non è genocidio ditelo voi cos’è! 
Ora tutti in fila mentre il mondo continua a guardare senza protestare, muto, inerte. È la vergogna servita all’ora di cena che indigna e fa pensare. Ma la seconda portata è l’analgesico, sedativo portato in tavola dagli interessi di parte e dal calcolo delle convenienze. Nessuno potrà dire di non averne saputo anche se hanno tentato di far tacere tutte le voci e i taccuini e le foto dei servi della conoscenza. E la preghiera ora va di sponda da Dio ai potenti perché si lascino convertire, se non dalla politica e dalla giustizia, almeno dalla pietà.


Leone XIV: cessate il fuoco a Gaza, rispettare integralmente il diritto umanitario


Leone XIV: cessate il fuoco a Gaza, 
rispettare integralmente il diritto umanitario

Al termine dell'udienza generale in Piazza San Pietro, mentre è in corso l'assedio delle forze militari israeliane a Gaza City, il Papa si dice vicino alla popolazione costretta "con la forza" a spostarsi dalle proprie terre, a "vivere nella paura" e sopravvivere "in condizioni inaccettabili". Il Pontefice ricorda che "ogni persona ha sempre una dignità inviolabile" e invoca lo stop dei bombardamenti, il rilascio degli ostaggi e una soluzione diplomatica. "Sorga un'alba di pace e giustizia"

Gli attacchi israeliani a Gaza

Rinnovo l’appello al cessate il fuoco, al rilascio degli ostaggi, alla soluzione diplomatica negoziata, al rispetto integrale del diritto umanitario internazionale

Da Piazza San Pietro la voce di Papa Leone XIV si fa largo nel frastuono dei bombardamenti che, dalla mezzanotte di ieri, hanno colpito Gaza City. Nel pieno di quello che le forze militari di Israele hanno definito la fase "finale" per radere al suolo l'enclave palestinese con l’obiettivo di annientare Hamas e liberare tutti i rapiti, con oltre 100 vittime già certificate, 140 edifici colpiti e circa 370 mila civili in fuga, il Papa, al termine dell'udienza generale, lancia il suo appello per "un'alba di pace" in questa terra martoriata.

Esprimo la mia profonda vicinanza al popolo palestinese a Gaza che continua a vivere nella paura e a sopravvivere in condizioni inaccettabili, costretto con la forza a spostarsi ancora una volta dalle proprie terre

Cessate il fuoco, liberazione ostaggi, soluzioni diplomatiche

Già ieri, all'uscita dalla sua residenza a Castel Gandolfo, rispondendo a una domanda dei giornalisti sull'"esodo" di Gaza, il Pontefice manifestava tutta la sua preoccupazione per i tanti che "non hanno dove andare", come pure per quelli che vogliono restare. Primo fra tutti, il parroco della Sacra Famiglia, padre Gabriel Romanelli - con il quale è in costante contatto (ieri mattina l'ultima telefonata) - che insieme alle suore della comunità parrocchiale continua a restare accanto alle circa 450 persone rifugiate nel complesso della chiesa. "Bisogna veramente cercare un’altra soluzione”, diceva ieri sera il Papa. E oggi all'udienza, in una piazza gremita, con tono di voce fermo e la fronte corrugata, indica le vie per una possibile soluzione: cessate il fuoco, liberazione degli ostaggi, dialogo e negoziati, rispetto "integrale" del diritto umanitario internazionale.

Un'alba di pace e giustizia

Quasi come una supplica in ginocchio dinanzi a Dio e al mondo, Papa Leone ricorda che "ogni persona ha sempre una dignità inviolabile, da rispettare e custodire". Lo afferma "davanti al Signore onnipotente che ha comandato 'non ucciderai' e al cospetto dell’intera storia umanitaria". Un monito per questo tempo di brutalità. Da qui una esortazione per tutti i fedeli e non solo

Invito tutti ad unirsi alla mia accorata preghiera, affinché sorga presto un’alba di pace e di giustizia

L'intercessione di pace di San Stanislao Kostka

La pace il Papa l'aveva invocata anche poco prima, durante il saluto ai fedeli polacchi. Leone XIV ha ricordato la memoria liturgica di domani di San Stanislao Kostka, giovane gesuita polacco di di 18 anni, patrono della Patria e dei giovani: lui, ha detto, "sia esempio e ispirazione per le nuove generazioni di credenti nella ricerca della volontà di Dio e nel coraggioso compimento della propria vocazione".

Alla sua intercessione affido la Polonia e la pace nel mondo

"Grazie degli auguri per l'onomastico"

Prima della benedizione finale, il Papa - al secolo Robert Francis Prevost - ringrazia quanti gli hanno espresso gli auguri per il suo onomastico di oggi, ricorrenza di san Roberto Bellarmino. Numerosi i cartelli, tra cui spiccava quello di un bambino issato sulla folla con la scritta "Buon Onomastico!". Auguri gli sono stati rivolti anche dagli speaker nelle diverse lingue che si sono avvicendati nella lettura durante l'udienza.

Prima di concludere, vorrei ringraziare tutti voi per gli auguri manifestati in questo giorno del mio onomastico. Tante grazie!
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 17/09/2025)

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Vedi anche il post:


Leone XIV: "Cari amici, la speranza cristiana non nasce nel rumore, ma nel silenzio di un’attesa abitata dall’amore." Udienza Generale 17/09/2025 (cronaca, testo e video)

LEONE XIV

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 settembre 2025


“Te quiero, Leon!”. È una delle tante acclamazioni, nelle varie lingue, con cui il Papa è stato accolto al suo arrivo in papamobile in una piazza San Pietro ancora una volta affollatissima, raggiunta dai fedeli attraverso le lunghe file ordinate nei rispettivi varchi di accesso. Leone XIV, apparso sorridente e rilassato, ha fatto subito fermare la jeep bianca scoperta per salutare i bambini, come sempre protagonisti nel perimetro delimitato dal colonnato del Bernini. 
(Foto Vatican Media/SIR)
Uno di loro, mentre i solerti uomini della Gendarmeria vaticana lo sollevavano dalle transenne, teneva ben visibile tra le mani un piccolo cartellone rosso con la scritta in nero: “Buon onomastico”. Oggi, infatti, si festeggia san Roberto Bellarmino, e il territorio vaticano è in festa per l’onomastico papale. Tra i piccoli, il Papa ne ha salutato anche uno vestito esattamente come lui. Non è mancato l’ormai tradizionale scambio dello zucchetto. Tra i vari doni consegnati al Santo Padre anche una piccola statua in legno con le sue fattezze.

Al termine del giro in papamobile in piazza San Pietro, il Papa è sceso dall’auto e prima di prendere posizione sul centro del sagrato si è inchinato davanti alla statua della Madonna dei Sete dolori, issata su un catafalco al di sopra dei gradini. La Madonna dei Sette Dolori, conosciuta anche come Maria Addolorata, è un titolo attribuito alla Vergine Maria, che rappresenta i suoi dolori e sofferenze durante la vita di Gesù. Si tratta di un tema caro alla devozione popolare, che raffigura Maria vestita di nero che piange il figlio morto, disteso ai suoi piedi.
(fonte: Sir 17/09/2025)

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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 
7. La morte. «Un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 19,40-41)


Cari fratelli e sorelle,

nel nostro cammino di catechesi su Gesù nostra speranza, oggi contempliamo il mistero del Sabato Santo. Il Figlio di Dio giace nel sepolcro. Ma questa sua “assenza” non è un vuoto: è attesa, pienezza trattenuta, promessa custodita nel buio. È il giorno del grande silenzio, in cui il cielo sembra muto e la terra immobile, ma è proprio lì che si compie il mistero più profondo della fede cristiana. È un silenzio gravido di senso, come il grembo di una madre che custodisce il figlio non ancora nato, ma già vivo.

Il corpo di Gesù, calato dalla croce, viene fasciato con cura, come si fa con ciò che è prezioso. L’evangelista Giovanni ci dice che fu sepolto in un giardino, dentro «un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 19,41). Nulla è lasciato al caso. Quel giardino richiama l’Eden perduto, il luogo in cui Dio e l’uomo erano uniti. E quel sepolcro mai usato parla di qualcosa che deve ancora accadere: è una soglia, non un termine. All’inizio della creazione Dio aveva piantato un giardino, ora anche la nuova creazione prende avvio in un giardino: con una tomba chiusa che, presto, si aprirà.

Il Sabato Santo è anche un giorno di riposo. Secondo la Legge ebraica, nel settimo giorno non si deve lavorare: infatti, dopo sei giorni di creazione, Dio si riposò (cfr Gen 2,2). Ora anche il Figlio, dopo aver completato la sua opera di salvezza, riposa. Non perché è stanco, ma perché ha terminato il suo lavoro. Non perché si è arreso, ma perché ha amato fino in fondo. Non c’è più nulla da aggiungere. Questo riposo è il sigillo dell’opera compiuta, è la conferma che ciò che doveva essere fatto è stato davvero portato a termine. È un riposo pieno della presenza nascosta del Signore.

Noi facciamo fatica a fermarci e a riposare. Viviamo come se la vita non fosse mai abbastanza. Corriamo per produrre, per dimostrare, per non perdere terreno. Ma il Vangelo ci insegna che saperci fermare è un gesto di fiducia che dobbiamo imparare a compiere. Il Sabato Santo ci invita a scoprire che la vita non dipende sempre da ciò che facciamo, ma anche da come sappiamo congedarci da quanto abbiamo potuto fare.

Nel sepolcro, Gesù, la Parola vivente del Padre, tace. Ma è proprio in quel silenzio che la vita nuova inizia a fermentare. Come un seme nella terra, come il buio prima dell’alba. Dio non ha paura del tempo che passa, perché è Signore anche dell’attesa. Così, anche il nostro tempo “inutile”, quello delle pause, dei vuoti, dei momenti sterili, può diventare grembo di risurrezione. Ogni silenzio accolto può essere la premessa di una Parola nuova. Ogni tempo sospeso può diventare tempo di grazia, se lo offriamo a Dio.

Gesù, sepolto nella terra, è il volto mite di un Dio che non occupa tutto lo spazio. È il Dio che lascia fare, che attende, che si ritira per lasciare a noi la libertà. È il Dio che si fida, anche quando tutto sembra finito. E noi, in quel sabato sospeso, impariamo che non dobbiamo avere fretta di risorgere: prima occorre restare, accogliere il silenzio, lasciarci abbracciare dal limite. A volte cerchiamo risposte rapide, soluzioni immediate. Ma Dio lavora nel profondo, nel tempo lento della fiducia. Il sabato della sepoltura diventa così il grembo da cui può sgorgare la forza di una luce invincibile, quella della Pasqua.

Cari amici, la speranza cristiana non nasce nel rumore, ma nel silenzio di un’attesa abitata dall’amore. Non è figlia dell’euforia, ma dell’abbandono fiducioso. Ce lo insegna la Vergine Maria: lei incarna questa attesa, questa fiducia, questa speranza. Quando ci sembra che tutto sia fermo, che la vita sia una strada interrotta, ricordiamoci del Sabato Santo. Anche nel sepolcro, Dio sta preparando la sorpresa più grande. E se sappiamo accogliere con gratitudine quello che è stato, scopriremo che, proprio nella piccolezza e nel silenzio, Dio ama trasfigurare la realtà, facendo nuove tutte le cose con la fedeltà del suo amore. La vera gioia nasce dall’attesa abitata, dalla fede paziente, dalla speranza che quanto è vissuto nell’amore, certo, risorgerà a vita eterna.

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Saluti
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APPELLO

Esprimo la mia profonda vicinanza al popolo palestinese a Gaza, che continua a vivere nella paura e a sopravvivere in condizioni inaccettabili, costretto con la forza a spostarsi ancora una volta dalle proprie terre. Davanti al Signore Onnipotente che ha comandato: «Non ucciderai» (Es 20,13) e al cospetto dell’intera storia umana, ogni persona ha sempre una dignità inviolabile, da rispettare e da custodire. Rinnovo l’appello al cessate-il-fuoco, al rilascio degli ostaggi, alla soluzione diplomatica negoziata, al rispetto integrale del diritto umanitario internazionale. Invito tutti ad unirsi alla mia accorata preghiera, affinché sorga presto un’alba di pace e di giustizia.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. ...
Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Siate sempre fedeli all’ideale evangelico, e realizzatelo nelle vostre quotidiane attività.

E, prima di concludere, vorrei ringraziare tutti voi per gli auguri manifestati in questo giorno del mio onomastico. Tante grazie!

A tutti la mia benedizione!


Guarda il video integrale


mercoledì 17 settembre 2025

17 settembre Solennità delle Impressioni delle Stimmate di San Francesco - Quale senso per i cristiani di oggi?

17 settembre
Solennità delle Impressioni delle Stimmate di San Francesco

Diana Papa
Le stimmate di san Francesco.
Quale senso per i cristiani di oggi?
 
Nel tempo trascorso alla Verna, prima di ricevere le stimmate, san Francesco si interroga con la preghiera “Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io…”, riconoscendo la grandezza di Dio e la propria fragilità di creatura. L’esperienza segna il suo totale abbandono all’amore gratuito del Signore, fino a conformarsi a Cristo povero e crocifisso. In occasione dell’ottavo centenario del dono delle stimmate, Papa Francesco ha ricordato come il Poverello sia “compagno di cammino” per i cristiani, chiamati oggi a riscoprire l’essenziale: fondare scelte e testimonianza quotidiana sul Vangelo, per diffondere giustizia, pace, gioia e speranza.

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

“Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” (FF 1915). È la domanda che S. Francesco rivolge a Dio nelle notti del 1224, sul Monte della Verna, prima di ricevere le stimmate. Non è per lui un momento di esaltazione del dolore, ma è il tempo in cui egli dà forma all’amore senza fine.

Nella preghiera Francesco avverte da un lato la grandezza e la dolcezza di Dio e dall’altro la propria fragilità di creatura, di ciò che è concretamente davanti a Dio. In Francesco il “Chi se’ tu” rivolto a Dio indica una relazione con Qualcuno a cui dà un volto, Cristo povero e crocifisso, con cui si identifica e di cui si fida.

Quel “Che sono io” dimostra che Francesco, nonostante la consapevolezza di sé come creatura, desidera immergersi in Dio, identificandosi completamente con Cristo povero e crocifisso.

È la domanda esistenziale che il Poverello di Assisi si pone e rivolge all’Altissimo, perché scopre la sua presenza, da cui si lascia avvolgere e che attraversa e abita la sua vita. Compare in lui il desiderio di stare in contatto con il senso profondo della sua vita, Cristo povero e crocifisso, da cui ha imparato a conformarsi durante il suo cammino esistenziale.

Scoprendo l’amore infinito di Dio per ogni creatura, attraverso Cristo ormai spoglio a tutti i livelli, Francesco sperimenta nella relazione personale con Lui tutto l’amore gratuito di Dio per ogni creatura.

Francesco travolto dall’amore, si consegna all’Altissimo. Scrive Massimo Fusarelli, Min. Gen. OFM in Ferite di luce: “Quando giunge alla Verna, l’ardore serafico lo aveva ormai reso come creta o cera del tutto malleabile tre le mani del Signore”. Ed ancora:” Le stimmate ci parlano della vita più profonda di Francesco, che è partecipazione totale a quella di Cristo… ci parlano di una conoscenza di Cristo che è fuoco che arde. Le stimmate ci fanno vedere la meta di chi impara a fidarsi del Signore”.

Francesco, prima di ricevere le stimmate, aveva attraversato un periodo buio intriso di difficoltà, di tentazioni, che lo avevano portato quasi a chiudersi in se stesso, soprattutto perché percepiva le tensioni per la stesura definitiva della Regola e quasi paventava il venire meno del progetto della forma di vita originale.

Contemplando Cristo povero e crocifisso, Francesco, accogliendo la croce, sceglie di consegnarsi totalmente a Dio, unica via sicura per seguire con fedeltà Cristo e conformarsi a Lui. Espropriandosi di tutto, accoglie gli accadimenti nell’abbandono totale tra le braccia del Signore, consapevole che Dio ama ciascun vivente in modo personale, con amore eterno e senza condizioni.

Riflettendo sull’esperienza di Francesco, possiamo chiederci:

In questo tempo noi cristiani, presi dall’organizzazione di tanti eventi, dove stiamo collocando il Signore nella nostra vita di credenti e nella storia?

Quante volte proferiamo il suo nome mentre ci troviamo insieme per discutere sul da farsi, fondando ogni decisione su Cristo e il Vangelo?

Come cristiani siamo chiamati a vivere i valori evangelici dove viviamo, testimoniando con la vita la reale presenza del Signore. Come strutturiamo il tempo nella compagnia di Gesù, portando ovunque giustizia, pace e gioia, anche pagando di persona, divenendo umili strumenti tra le mani di Cristo povero e crocifisso, anche quando ci viene chiesto nel quotidiano di dare la vita come Lui, solo per amore?

Chi o che cosa ci aiuta a camminare in compagnia di Gesù sulle strade del mondo, per diffondere la speranza che in questo tempo sembra minata da più parti, perché spesso manca la fede?

Papa Francesco, incontrando i Frati Minori il 5 aprile 2024, in occasione dell’ottavo centenario del dono delle stimmate a San Francesco, ha detto:

“Il discepolo di Gesù trova in San Francesco stimmatizzato uno specchio della sua identità. Il credente, infatti, non appartiene a un gruppo di pensiero o di azione tenuto insieme dalle sole forze umane, ma ad un Corpo vivente, il Corpo di Cristo che è la Chiesa. Nella comunione d’amore della Chiesa, ciascuno di noi riscopre chi è: un figlio amato, benedetto, e riconciliato, inviato per testimoniare i prodigi della grazia ed essere artigiano di fraternità. E in questa missione il Santo della Verna è un compagno di cammino, che sostiene e aiuta a non lasciarsi schiacciare da difficoltà, paure e contraddizioni, proprie e altrui”.

In questo tempo in cui ognuno pensa di poter fare solo ciò che piace, tutti siamo impegnati ad attivare insieme, sempre e dovunque, una modalità nuova, profondamente umana animata dallo Spirito, per narrare con i fatti che la bellezza della vita passa dall’imitazione di Cristo, condizione per diffondere l’amore.

Oggi c’è l’urgenza della presenza di autentici cristiani!

17 settembre, Solennità delle Impressioni delle Stimmate di San Francesco - Le Stimmate: luminoso mistero, dolore amabile, silenzio parlante

17 settembre
Solennità delle Impressioni delle Stimmate di San Francesco


Ci ha lasciato almeno un segno?
 
Le Stimmate: luminoso mistero, dolore amabile, silenzio parlante

Un anno fa terminava l’ottavo centenario delle Stimmate: ovvero, dei cinque prodigiosi segni della Passione di Gesù lasciati nelle carni di San Francesco sul monte della Verna, tra i magnifici boschi e colline del Casentino.

Cos’è rimasto di quel fatto e di quell’anno celebrativo?

Diciamolo pure, senza timori: il principale rischio che corre un centenario è quello che, terminato il calendario degli eventi, si metta in archivio il faldone di tutte le belle iniziative e delle celebrazioni anniversarie, corredato di un timbro a lettere cubitali che recita Fatto!… per tornare quindi a dedicarsi alle cose di tutti i giorni in quella che viene ormai chiamata da molti confort zone. Ritenere insomma il Centenario appena trascorso alla stregua del noto detto popolare: “Passata la festa, gabbato lo santo!”

Eppure quello dell’Impressione delle Stimmate non fu un evento ordinario, tutt’altro! Già il fatto che fu la prima volta che ad un essere umano vennero manifestati tali segni è qualcosa di notevole ma, ancor più, che solo ad alcuni, dopo di lui (Santa Maria delle Cinque Piaghe, Santa Gemma Galgani, San Pio da Pietrelcina tra i pochi altri), sono stati impressi i medesimi segni. Vogliamo, forse con una punta di presunzione adoperando alcuni ossimori, sottolineare tre aspetti che meritano di trattenuti come dei noccioli d’oliva nella bocca: per spremere fino al midollo il loro gusto e per rimanervi in compagnia.

Luminoso mistero

Le Stimmate di San Francesco furono e sono un luminoso mistero. Luminoso perché alla consapevolezza di San Francesco di quanto accadde quella mattina del 17 settembre 1224, prese il posto una gratitudine potente mescolata ad un persuasivo timore di Dio. San Francesco compone infatti le Lodi a Dio Altissimo dove per oltre 30 volte, in maniera incalzante, smisurata, amante, ripete il pronome personale tu, rivolto a Dio. Luminoso mistero per dire che alla luce che illumina e spiega si presenta un fatto misterioso che vela e al contempo rivela, nasconde e pure, fa intravedere.

Dolore amabile

Le Stimmate di San Francesco furono e sono un dolore amabile. Dolore; senz’altro dolore e anzitutto dolore; che lo accompagnò per i suoi restanti due anni di vita: giorno e notte. Dolore doloroso, dunque; sanguinante e invalidante. Dolore da nascondere per non suscitare chiacchiere, invidie, malumori. Dolore da sopportare con infinita pazienza e da curare perché non venisse a peggiorare il già precario stato di salute del santo. Insomma… dolore su dolore. Ma, anche (e spero che nessuno ritenga tale affermazione dissacrante, inopportuna, impertinente), amabile. E solo chi conosce per intero la vicenda umano-divina di San Francesco potrà concordare. San Francesco arriva alla Verna spaccato interiormente, fragile fisicamente e umiliato dall’Ordine dei Frati; tutto stava prendendo una piega distante dalle origini che, nei decenni successivi, diventerà ancor più evidente e drammatica. In tale contesto possiamo permetterci di chiamare amabile il dolore di San Francesco nella ricezione delle Stimmate in quanto giunsero a sigillo del fatto che, nonostante provato, era confermato di quanto fino a quel momento aveva vissuto, compreso, avviato e svolto. Amabile perché da quel momento San Francesco entrò in una pace serena vivendo gli ultimi tempi consegnato, riconciliato e lieto.

Silenzio parlante

Le Stimmate di San Francesco furono e sono un silenzio parlante. Silenzio perché quel che accadde quella mattina sui roccioni nei pressi del Sasso Spicco lo sanno solo loro per davvero: San Francesco e il Dio Altissimo. E nemmeno San Francesco ha speso molte parole su quel mirabile fatto. Silenzio anche a motivo della necessità di custodire come una perla preziosa un tale prodigio. Silenzio, infine, per non smarrire la dolcezza che, immaginiamo, San Francesco avrà provato nel vedersi visitato dal Cielo dal Serafino bruciante. D’altra parte, però, si tratta oltre che di un silenzio di un fatto parlante: allora come oggi. Parlò a San Francesco e ai frati suoi. Parlò alla Chiesa per l’originale primizia che trasformò il Poverello nello Stimmatizzato di Assisi. Parlò ai secoli a venire in quanto dette certamente spessore all’intera vicenda sanfrancescana prima e francescana poi. E parla tuttora per il fatto che rende quell’uomo attuale e capace di parlare e di essere vicino ai tanti “stimmatizzati” odierni.

Buona ricorrenza dunque a tutti, invitandovi a visitare il Santuario di La Verna, il luogo dove Francesco ricevette le stigmate il 17 settembre 1224.

(fonte: Assisi OFM, articolo di fr. Adriano Bertero OFM 17/09/2025)

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Vedi anche il post precedente:


Gaza, MSF: “I medici non possono fermare il genocidio, ma i leader mondiali sì”


Gaza, MSF: “I medici non possono fermare il genocidio, ma i leader mondiali sì”


“I medici non possono fermare il genocidio, ma i leader mondiali sì”, è la nuova campagna internazionale di Medici Senza Frontiere (MSF) rivolta a tutti i capi di governo dei Paesi in cui l’organizzazione è presente. 

In Italia, MSF chiede al governo Meloni di usare tutti gli strumenti politici, diplomatici ed economici soprattutto in vista dell’High level week dell’ottantesima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu.

“A Gaza non solo è in corso una catastrofe umanitaria, ma anche la distruzione sistematica di un popolo. Israele sta commettendo un genocidio a Gaza contro i palestinesi” dichiara Stefano Di Carlo, direttore generale di MSF in Italia. “Con la loro inazione, il loro silenzio o il loro sostegno diretto alle autorità israeliane, i governi di tutto il mondo, Italia compresa, sono complici di questo genocidio. Hanno l’obbligo morale e legale di reagire, utilizzando ogni strumento politico, diplomatico ed economico a loro disposizione per fermare queste atrocità”.

MSF chiede agli Stati di usare urgentemente la loro influenza per:
  • Fermare il genocidio contro i palestinesi a Gaza
  • Fermare la pulizia etnica e lo sfollamento forzato
  • Garantire un cessate il fuoco immediato e duraturo
  • Revocare l’assedio e consentire la consegna immediata e senza ostacoli di aiuti umanitari indipendenti su larga scala
  • Fermare gli attacchi alle strutture mediche e agli operatori sanitari
  • Smantellare la Gaza Humanitarian Foundation
  • Consentire l’evacuazione medica di coloro che necessitano di cure urgenti
  • Fermare i trasferimenti di armi che uccidono e mutilano le persone

I nostri 1.118 operatori e operatrici umanitari di MSF che lavorano a Gaza
non possono fermare questo genocidio.
Ma i leader mondiali possono farlo, se solo decidessero di agire.

Stop al genocidio

Più di 64.000 persone sono state uccise, tra cui 20.000 bambini, secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute. 
Il bilancio è probabilmente molto più alto, considerando che molte altre persone potrebbero essere rimaste intrappolate sotto le macerie.

Non c’è nessun luogo sicuro a Gaza. 
Anche se le strutture sanitarie dovrebbero essere protette, gli ospedali sono stati bombardati e le strutture mediche sono state saccheggiate, mettendo in pericolo la vita di personale e pazienti. 
Oggi nessun ospedale a Gaza è pienamente funzionante. Quelli che rimangono parzialmente operativi sono sovraffollati e gravemente carenti di forniture salvavita.

Sono stati uccisi 12 operatori di MSF dall’inizio del conflitto e il chirurgo ortopedico di MSF, il dott. Mohammed Obeid, è detenuto da Israele da ottobre 2024.

In totale a Gaza sono stati uccisi più di 1.500 operatori sanitari. Una perdita enorme per le loro famiglie e per il sistema sanitario di Gaza.

Le autorità israeliane stanno soffocando Gaza attraverso un assedio totale che impedisce deliberatamente alla popolazione di accedere a carburante, cibo, acqua e forniture mediche. 

La carestia è già stata dichiarata nel governatorato di Gaza e le persone stanno morendo di fame.

I pochi aiuti alimentari concessi dalle autorità israeliane sono stati crudelmente utilizzati come arma. La Gaza Humanitarian Foundation (GHF), gestita da Israele e finanziata dagli Stati Uniti, è responsabile della morte di 1.400 persone e del ferimento di altre 4.000.

La mancanza di acqua potabile sta causando ulteriori sofferenze e malattie. 

Solo lo scorso mese, i team di MSF hanno curato 4.000 casi di diarrea, una condizione potenzialmente fatale per i bambini già indeboliti dalla malnutrizione. 

I nostri team vengono regolarmente ostacolate dalle autorità israeliane nel portare attrezzature per la desalinizzazione e altre forniture che potrebbero aumentare l’accesso all’acqua potabile.

La campagna internazionale è stata lanciata su Instagram, X, Facebook e Linkedin.
(fonte: Medici Senza Frontiere Italia 15/09/2025)


martedì 16 settembre 2025

Fratel Biagio Conte, il ricordo di Riccardo Rossi: “Un amico, un fratello e una guida spirituale”


Fratel Biagio Conte, il ricordo di Riccardo Rossi: “Un amico, un fratello e una guida spirituale”

Biagio Conte e Riccardo Rossi

“Un amico, un fratello, una guida spirituale, questo e tanto altro è stato per me Fratel Biagio – parla Riccardo Rossi ex portavoce del missionario – il 16 settembre festeggiamo la data di nascita di un grande uomo Fratel Biagio, volato in cielo il 12 gennaio del 2023.”

Riccardo Rossi
“Lo conobbi circa 15 anni fa e trovai in lui una comunione di anime mai sentita prima; diventammo amici e nacque il giornale “La Speranza”, organo ufficiale della Missione di Speranza e Carità di Palermo, da lui fondata. Circa 13 anni fa mi aiutò –continua Riccardo Rossi– a riconciliarmi con la mia famiglia a Verona, partimmo insieme per Vicenza e vivemmo insieme giorni di testimonianze e preghiera. Grazie a questo tempo, quando andai dalla mia famiglia a Verona fui mansueto e ci fu la riconciliazione con i miei familiari.”

Fratel Biagio Conte
“Anche nel mio matrimonio con Barbara c’è la presenza di Fratel Biagio; la conobbi grazie ad un articolo che feci sul giornale della Missione circa 11 anni fa “La Speranza” in cui mettevo in rilievo due gesti simbolo che avevano fatto tornare Fratel Biagio in Missione, uno di questi gesti era di Barbara Occhipinti. La volli conoscere e ci innamorammo e, una volta sposati, anche Barbara intraprese la vita missionaria. All’inizio del 2018 ero in crisi – dichiara Riccardo Rossi– e feci una preghiera a Dio per avere una svolta nella vita, arrivai a Palermo da Catania e seppi che Fratel Biagio aveva appena iniziato un digiuno- preghiera; capii che il segno era arrivato e rimasi accanto al missionario che si era abbandonato sotto i portici delle Poste Centrali di Via Roma, chiedendo a tutti di non lasciare nessuno indietro.”

“Rimasi giorno e notte con lui e feci il suo comunicatore sociale dando notizia a tutti i media; quei giorni furono trasformanti, tanto che con Barbara decidemmo di trasferirci da Catania a Palermo e stare accanto a lui e alla Missione; io divenni il suo portavoce sui media fino alla fine dei suoi giorni, il 12 gennaio del 2023. Il giorno prima della sua morte, avevo letto il Libro di Cielo (volume 11- vergati da Luisa Picarreta, serva di Dio) e mi ero completamente fuso in Gesù. La mattina presto, dopo la notizia della sua dipartita, non venni travolto dallo sconforto, – aggiunge Riccardo Rossi– ma ero pieno di gioia per la dipartita del mio caro amico che era sicuramente in Cielo tra le braccia di Gesù e noi sulla terra stavamo vivendo tanti segni di provvidenza, tra cui giorni e giorni di buone notizie sui media siciliani”.

“Caro Fratel Biagio mi hai insegnato tanto – conclude Rossi– speriamo un giorno di riabbracciarci lassù”.
(fonte: il Sicilia 15/09/2025)

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Vedi anche il post (all'interno altri link):


Atto finale a Gaza, i tank di Israele invadono la Striscia

Atto finale a Gaza,
i tank di Israele invadono la Striscia


L’orribile affermazione del ministro della Difesa israeliano Israel Katz, felice di annunciare con un tweet su X che “Gaza sta bruciando”, non è soltanto una provocazione insensata, ma la rivendicazione oscena della scelta di sprofondare l’umanità nel baratro dell’odio e della distruzione.

L’occupazione di Gaza non è un atto militare come tanti altri, ma l’ennesimo crimine, l’ultima violazione del diritto internazionale di Israele, che mette a nudo la responsabilità collettiva nel permettere le atrocità degli ultimi 23 mesi.
Le bombe dei raid aerei, prima, e i tank, oggi, hanno concentrato sempre più la forza di fuoco israeliana su Gaza city, segnando un inasprimento del conflitto: la totale occupazione militare della regione.

Questa escalation si compie mentre altri tre giornalisti, tra cui il fotoreporter Mohammed al-Kouifi, ucciso ieri in un attacco nel quartiere Nassr di Gaza City, e la collega Iman al-Zamili, si aggiungono all’elenco degli operatori dell’informazione ufficio a Gaza. Della terza vittima, Ayman Haniyeh, avevamo scritto già nei giorni scorsi.
La loro morte evidenzia non solo la brutalità del conflitto, ma anche le difficoltà di chi cerca di documentare le atrocità in un territorio ormai sull’orlo del collasso.

L’offensiva israeliana, alimentata da mesi di escalation e dai crescenti scontri tra Hamas e le forze israeliane, ha portato all’approccio di una vera e propria occupazione di Gaza. Con i carri armati schierati alle porte della regione, le autorità israeliane sembrano prepararsi a un intervento di vasta portata, che mira a consolidare il controllo e interrompere ogni insurrezione o resistenza.
Il quadro sul terreno è drammatico. I raid aerei sono diventati più intensi, e i bombardamenti colpiscono non solo postazioni militari, ma anche aree civili, creando un clima di devastazione diffusa. Le immagini di distruzione e di civili sfollati si moltiplicano sui media internazionali, mentre le notizie di nuovi morti si fanno sempre più frequenti. La presenza dei tank, pronti ad avanzare, rappresenta un segnale chiaro di un’occupazione che potrebbe trasformare un conflitto temporaneo in un’occupazione di lunga durata.

Per i giornalisti presenti sul campo, questa situazione è altamente pericolosa. L’uccisione di Mohammed al-Kouifi e di Iman al-Zamili è l’ennesima conferma del rischio nel raccontare la verità sotto le bombe. Entrambi erano impegnati a documentare le sofferenze di civili e gli attacchi militari quando sono stati colpiti. La loro perdita si aggiunge alla lunga lista di professionisti dell’informazione, ad oggi 179, uccisi o feriti nelle zone di conflitto, sottolineando quanto sia rischioso il ruolo di chi cerca di informare il mondo in contesti di guerra.

La prospettiva di un’occupazione completa di Gaza solleva molte preoccupazioni internazionali. Organizzazioni umanitarie e diplomazie chiamano alla calma e tentano di negoziare un freno alle ostilità, ma la determinazione israeliana di consolidare il controllo sembra ogni giorno più forte. La popolazione civile, già duramente provata, si trova intrappolata tra le fiamme, senza possibilità di fuga o di assistenza adeguata.

L’occupazione di Gaza si configura come uno dei capitoli più cupi di questo conflitto, con un prezzo umano altissimo e la morte di giornalisti che avevano il compito di raccontare la verità. Il futuro della regione rimane estremamente incerto, mentre la comunità internazionale osserva con preoccupazione l’evolversi della crisi. La speranza che si possa trovare una via per la pace è definitamente morta.

Gaza, quella città, quella terra, che è stata per millenni un crocevia di civiltà, un luogo di incontro tra popoli e culture, un simbolo di resistenza, non esiste più.
Lo stato di Israele, schierato nella sua presunta moralità, ha distrutto con inaudita ferocia una delle più antiche città del Mediterraneo, cancellando case, scuole, monumenti, spazi di socialità, fino all’ultimo respiro di un popolo già stanco e sfinito.

Non è solo il genocidio di Gaza”: è un assalto a tutto ciò che ci rende umani. La ferocia israeliana, che si proclama “morale” e “democratica”, si unisce alla silente complicità di chi, a livello internazionale, osserva senza intervenire, senza alzare la voce. In questo modo, il mondo si consegna ancora una volta alla barbarie, alla logica del più forte.
Una ferita profonda nell’anima collettiva dell’umanità.
Tra chi ricopre posizioni di vertice – nella politica, nelle istituzioni, nel mondo accademico e religioso – continua a prevalere un silenzio assordante.

E allora, nel silenzio pauroso di chi non vuole vedere, e nell’indifferenza di chi preferisce voltare lo sguardo, dobbiamo ricordarci che Gaza brucia anche perché chi poteva evitarlo ha invece permesso che accadesse.
La storia li giudicherà, ma soprattutto chiederà conto di cosa sia stato fatto – o di cosa sia stato lasciato fare – in nome di una guerra causata da un atto terroristico che si è trasfeormata in un genocidio.
(fonte: Articolo 21, articolo di Antonella Napoli 16/09/2025)

Severino Dianich - Ai vescovi: smascherate e denunciate la “frenesia bellica”

Severino Dianich*
Ai vescovi:
smascherate e denunciate la “frenesia bellica”


Si può pensare alla pace come a una situazione valoriale autoreferenziale. Il termine contiene, ed è capace di esprimerla, una ricchezza enorme di significati. Pace è relazione, intreccio di persone, colloquio, convergenza di interessi, creazione continua di nuovi equilibri nel cedimento del forte al più debole, gioia del vedersi, è allegria del parlarsi, conforto e medicina per la sofferenza, è spazio per Dio, segno del suo regno, adorazione dell’Altissimo.

Chi ha vissuto la guerra gridi: pace!

Pace è una parola che è già di suo, in se stessa, pienezza di senso. Se ne potranno tessere all’infinito gli elogi, senza doverla mettere a confronto con le tenebre della guerra per farne brillare l’ammirabile luce.

L’esperienza traumatica della guerra, poi, ne rende il perseguimento un drammatico imperativo che pesa su ogni coscienza. Il cristiano dovrà specchiarsi nel Discorso della montagna e avere il coraggio di prendere posizione nella conversazione pubblica, andando molto spesso controcorrente.

Il magistero della Chiesa, del resto, è pervenuto ormai da tempo alla categorica condanna della guerra, attestandosi su non pochi «se» e «ma» anche a riguardo della guerra di difesa.

Conosciamo la guerra dalla storia. Ne seguiamo le vicende dalla cronaca nelle diverse parti del mondo: c’è chi, in questi nostri anni, ne ha elencate una sessantina.

Ormai bisogna aver già superato gli 85 anni di vita, per poter raccontare esperienze di guerra vissute in prima persona. Parlare di pace non è la stessa cosa per chi ha provato la guerra o per chi ne ha sentito solo raccontare le sciagure. Papa Giovanni Paolo II a Hiroshima nel 1989 aveva detto con forza: «Coloro che hanno vissuto la guerra hanno il dovere sacro di gridare: mai più la guerra!».

Cosa sia la guerra, quale cumulo di nefandezze, scatenamento degli istinti più schifosi dell’uomo, quale obnubilamento dell’intelligenza costretta nel vicolo cieco dell’escogitare le forme più efficaci della violenza, ritorno alla fionda di David e retrocessione alle rabbie dei bambini che si picchiano, tutti più o meno lo sappiamo.

Perché le guerre

Dovendo, però, propagandare la pace, quella che evita o pone fine alla guerra, sarebbe anche utile andare a imparare, da coloro che se ne intendono, cosa sia davvero la guerra e perché scoppino le guerre.

Fabio Mini, l’autore presso Einaudi di un agile libro, La guerra spiegata a… è un generale di corpo d’armata ed è stato Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa. Egli vede la guerra come un fermento che agita costantemente le relazioni umane, al livello di «bande di potere» in perenne lotta fra di loro «per l’acquisizione del potere (legale o illegale) che consente di partecipare alla grande abbuffata della gestione del mondo».

Le guerre guerreggiate, con le bombe che piovono dal cielo e «le bande» dei soldati che avanzano e prendono possesso di un territorio sono le emergenze più truci di uno dei fenomeni più continui nel tempo e più esteso sulle plaghe del pianeta. Fa parte abituale dei programmi di sviluppo dei potentati economici ed è costantemente supportato dai media che, inconsciamente o intenzionalmente, inculcano nel cittadino la sensazione di avere sempre un nemico in agguato.

Le grandi serie televisive americane che vengono diffuse in tutto il mondo sono esplicitamente destinate a creare e a conservare un clima in cui l’eventualità di una guerra non sia pensata come una minaccia lontana, bensì capace di scoppiare da un momento all’altro. Secondo Fabio Mini, ci sono serie televisive promosse direttamente dal Pentagono per mantenere in fibrillazione le popolazioni e favorire tutto il complesso processo e l’immenso business della produzione e del commercio delle armi. La guerra economica dichiarata al mondo dagli Stati Uniti con la ripresa della vecchia politica economica dei dazi ne è la più recente clamorosa manifestazione.

Fare opposizione alla cultura della guerra è, quindi, un compito che non si esaurisce in interventi occasionali, per quanto efficaci e sempre doverosi. È facile lasciarsi prendere da un certo senso di frustrazione nel considerare quanto tutti i papi, da Benedetto XV in poi, hanno condannato la guerra e predicato la pace e quale sia stato il loro insuccesso.

Ma, quanto è costante e onnipresente la cultura della guerra, tanto deve esserlo la predicazione della pace. A suo tempo, molti giudicarono insensato quel discorso di papa Francesco su «l’abbaiare della NATO alla porta della Russia». Oggi possiamo leggere in libreria la denuncia della «frenesia bellica» dell’Alleanza Atlantica, impressa sulla copertina a titolo del libro del già citato generale di corpo d’armata, Fabio Mini (La NATO in guerra. Dal patto di difesa alla frenesia bellica, Dedalo 2025).

Dovremmo anche chiederci come mai e da chi sia stata scartata la proposta avanzata più volte e da più parti di rendere l’Ucraina neutrale.

Non tocca solo al papa

Papa Leone bolla, senza mezzi termini, come «falsa propaganda» la pubblicistica diffusa sulla necessità del riarmo: «Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?».

Sembra sia giunto il momento, ai livelli più alti delle responsabilità pubbliche, di dover smascherare l’asservimento ai «signori della guerra» dei nostri Governi.

Per la Chiesa questo non è un compito che gli episcopati possono permettersi di demandare al papa. Ogni episcopato, avendo come suo interlocutore il Governo del proprio Paese, non può esonerarsi dal dire il suo giudizio sulla politica della guerra e della pace di coloro che governano il suo popolo.

Non deve essere il Vaticano, ma gli uffici competenti della CEI a raccogliere la documentazione sul riarmo in atto nel nostro Paese, sull’aumento significativo che si sta verificando delle autorizzazioni all’export militare italiano, anche verso paesi in guerra, e anche in favore di governi che non rispettano la Carta dei diritti dell’uomo, nonché sull’invio di armi a Israele perdurante, secondo attendibili inchieste giornalistiche e nonostante le contrastanti dichiarazioni ufficiali, anche dopo l’escalation della guerra a Gaza.

Non dovrà essere, quindi, il papa ma l’episcopato italiano a protestare a nome dei cattolici italiani contro una simile politica.
(fonte: Settimana News 12/09/2025)

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Severino Dianich Nato nel 1934, è un presbitero, saggista e tra i più noti teologi italiani.
Prete della diocesi di Pisa, si è laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, è stato professore ordinario di ecclesiologia e cristologia alla Facoltà di Teologia di Firenze, dove ha diretto un Master in Teologia e Architettura di Chiese. Ha dedicato tutta la sua ricerca al tema della Chiesa e, più di recente, a quello dei rapporti fra teologia e arte. Nel 1967 è stato tra i fondatori dell’ATI, la Associazione teologica italiana, diventandone presidente dal 1989 al 1995; dal 2011 è anche vicario episcopale per la pastorale della cultura e dell’università nella diocesi di Pisa, nonché direttore spirituale nel seminario arcivescovile.

Simboli di una speranza disarmata lievito di un’umanità pacifica


A San Paolo fuori le Mura l’omelia di Leone XIV per la Commemorazione dei nuovi martiri e testimoni della fede

Simboli di una speranza disarmata lievito
di un’umanità pacifica


Hanno vissuto la fede abbracciando la debole e mite forza del Vangelo

I nuovi martiri sono il simbolo di «una speranza disarmata» e lo sprone per «essere insieme lievito di un’umanità pacifica e fraterna». Lo ha detto Leone XIV presiedendo nella basilica di San Paolo fuori le Mura, ieri pomeriggio, la Commemorazione dei nuovi martiri e testimoni della fede, insieme con i rappresentanti delle altre Chiese e Comunioni cristiane.

Quanti pagano con la vita «la fedeltà al Vangelo, l’impegno per la giustizia, la lotta per la libertà religiosa laddove è ancora violata, la solidarietà con i più poveri», non sono sconfitti — ha detto il Pontefice all’omelia — bensì testimoni di una speranza «piena d’immortalità». Perché il loro martirio continua a diffondere la Buona Novella «in un mondo segnato dall’odio, dalla violenza e dalla guerra» e, pur essendo stati uccisi nel corpo, «nessuno potrà spegnere la loro voce o cancellare l’amore che hanno donato». La loro testimonianza, quindi, «rimane come profezia della vittoria del bene sul male».

Nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce, celebrata da molti cristiani d’Oriente e d’Occidente, il Papa ha ricordato in particolare il sacrificio di suor Dorothy Stang, del sacerdote caldeo Ragheed Ganni e dell’anglicano Francis Tofi, nonché il sogno di un mondo migliore espresso dal piccolo Abish Masih, un bambino pakistano ucciso a Lahore in un attentato contro la Chiesa cattolica.

Al termine del rito, nella sala della Pinacoteca della basilica ostiense, il vescovo di Roma si è trattenuto con i cardinali e le altre personalità presenti per festeggiare il suo 70° compleanno che ricorreva proprio ieri. Al riguardo, Leone XIV si è detto felice di festeggiare il genetliaco con una celebrazione dal carattere ecumenico e ha invitato a proseguire insieme, «testimoni di unità, carità e speranza».


(fonte: L'Osservatore Romano 15/09/2025)


lunedì 15 settembre 2025

Leone XIV: "Oggi la Chiesa celebra la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce... Ma cosa vuol dire per noi, oggi, celebrare questa Festa?..." Angelus 14/09/2925 (testo e video)



PAPA LEONE XIV

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 14 settembre 2025



Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi la Chiesa celebra la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, in cui ricorda il ritrovamento del legno della Croce da parte di Sant’Elena, a Gerusalemme, nel IV secolo, e la restituzione della preziosa Reliquia alla Città santa, ad opera dell’Imperatore Eraclio.

Ma cosa vuol dire per noi, oggi, celebrare questa Festa? Ci aiuta a comprenderlo il Vangelo che la liturgia ci propone (cfr Gv 3,13-17). La scena si svolge di notte: Nicodemo, uno dei capi dei Giudei, persona retta e dalla mente aperta (cfr Gv 7,50-51), viene a incontrare Gesù. Ha bisogno di luce, di guida: cerca Dio e chiede aiuto al Maestro di Nazaret, perché in Lui riconosce un profeta, un uomo che compie segni straordinari.

Il Signore lo accoglie, lo ascolta, e alla fine gli rivela che il Figlio dell’uomo dev’essere innalzato, «perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,15), e aggiunge: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (cfr v. 16). Nicodemo, che forse al momento non comprende appieno il senso di queste parole, lo potrà fare certamente quando, dopo la crocifissione, aiuterà a seppellire il corpo del Salvatore (cfr Gv 19,39): capirà che Dio, per redimere gli uomini, si è fatto uomo ed è morto sulla croce.

Gesù parla di questo a Nicodemo, richiamando un episodio dell’Antico Testamento (cfr Nm 21,4-9), quando nel deserto gli Israeliti, assaliti da serpenti velenosi, si salvavano guardando il serpente di bronzo che Mosè, obbedendo al comando di Dio, aveva fatto e posto sopra un’asta.

Dio ci ha salvati mostrandosi a noi, offrendosi come nostro compagno, maestro, medico, amico, fino a farsi per noi Pane spezzato nell’Eucaristia. E per compiere quest’opera si è servito di uno degli strumenti di morte più crudeli che l’uomo abbia mai inventato: la croce.

Per questo oggi noi ne celebriamo l’“esaltazione”: per l’amore immenso con cui Dio, abbracciandola per la nostra salvezza, l’ha trasformata da mezzo di morte a strumento di vita, insegnandoci che niente può separarci da Lui (cfr Rm 8,35-39) e che la sua carità è più grande del nostro stesso peccato (cfr Francesco, Catechesi, 30 marzo 2016).

Chiediamo allora, per intercessione di Maria, la Madre presente al Calvario vicino al suo Figlio, che anche in noi si radichi e cresca il suo amore che salva, e che anche noi sappiamo donarci gli uni agli altri, come Lui si è donato tutto a tutti.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Domani ricorre il 60° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, un’intuizione profetica di San Paolo VI, affinché i Vescovi potessero ancora di più e meglio esercitare la comunione con il Successore di Pietro. Auspico che questa ricorrenza susciti un rinnovato impegno per l’unità, per la sinodalità e per la missione della Chiesa.

Rivolgo con affetto il mio saluto a tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini dall’Italia e da vari Paesi, in particolare quelli di Villa Alemana e Valparaíso, in Cile, from the Archdiocese of Mwanza in Tanzania, e di Humpolec, nella Repubblica Ceca; i peruviani dell’Associazione religiosa Jesús Nazareno Cautivo. Saluto poi i fedeli di Chiaiamari, Anitrella, Uboldo, Faeto, Lesmo, Trani, Faenza, Pistoia, San Martino in Sergnano, Guardia di Acireale, San Martino delle Scale in Palermo e Alghero.

Saluto inoltre le Bande musicali di Borno e di Sonico in Val Camonica, la Cooperativa “La Nuova Famiglia” di Monza, il Comitato Regionale Pro Loco del Lazio, l’Unione dell’Apostolato Cattolico, i giovani del Don Bosco Youth-Net e la comunità di Comunione e Liberazione di Roma; come pure l’Associazione Arti e Mestieri di Sant’Agata di Militello, i motociclisti venuti da Ravenna e i ciclisti giunti da Rovigo.

Carissimi, sembra che sappiate, oggi compio settant’anni. Rendo grazie al Signore e ai miei genitori; e ringrazio quanti hanno avuto un ricordo nella preghiera. Tante grazie a tutti! Grazie! Buona domenica!

Guarda il video


domenica 14 settembre 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE 
14 Settembre 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, come popolo liberato e redento da ogni forma di schiavitù e idolatria, invochiamo Dio nostro Padre, che nell’Albero della Croce ci ridona il frutto della vita nuova in Cristo Gesù suo Figlio. Preghiamo insieme e diciamo:


R/   Per il mistero della Croce, salvaci, Signore

  

Lettore


‑ Per la santa Chiesa, perché in ogni suo gesto, parola e opera annunzi l’immenso amore del Padre, che ha il segno più eloquente nella Croce del suo Figlio. / Preghiamo.

‑ Per i vescovi, i presbiteri e i diaconi, perché siano servi e testimoni della sapienza dello Spirito che scaturisce dall’evento pasquale della Croce. / Preghiamo.

‑ Per tutti i membri del Popolo di Dio, perché nella vita di ogni giorno esprimano la realtà della eucaristia, progetto di dono, di condivisione e di solidarietà nel Signore. / Preghiamo.

‑ Per i perseguitati a causa della fede e della giustizia, perché dall’evento pasquale della Croce di Cristo attingano la certezza della vittoria del bene sul male, dell'amore sull'odio e della pace sulla guerra. / Preghiamo.

‑ Per le sorelle e i fratelli sofferenti nella carne e nello spirito, perché sentano nella vicinanza chi sta loro accanto la presenza consolante di Cristo, che ci educa a vivere con maturità di fede l’esperienza umana del dolore. / Preghiamo.

- Davanti al Crocifisso Risorto ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [breve pausa di silenzio]; ci ricordiamo delle vittime delle guerre sparse in varie parti del mondo e in particolare in Ucraina, e delle vittime del genocidio in atto nella terra di Gaza. Tutti accolga il Signore Crocifisso Risorto nella sua infinita misericordia. / Preghiamo



Per chi presiede

Padre ricco di misericordia, che hai innalzato nella Gloria della Risurrezione il tuo Figlio fatto obbediente fino alla morte, infondi in noi la forza dello Spirito, perché ogni giorno sappiamo vivere in maniera conforme allo stile di vita di Gesù: nell’amore, nel dono di sé e nella compassione. Te lo chiediamo perché Lui è Dio e vive in comunione con Te e lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli.

AMEN.