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giovedì 25 aprile 2024

25 aprile Festa della Liberazione - DAVIDE MARIA TUROLDO: COME RICORDARE - PERCHÈ RICORDARE - CHE COSA RICORDARE

25 aprile Festa della Liberazione
DAVIDE MARIA TUROLDO
COME RICORDARE
PERCHÈ RICORDARE
CHE COSA RICORDARE


Il testo che qui pubblichiamo è un estratto dell'intervento di Padre Davide Maria Turoldo, tenuto il 31 maggio 1985 presso l'Istituto Tecnico Industriale Statale "Benedetto Castelli" di Brescia, in occasione di un ciclo di conferenze organizzato dalla Fondazione Clementina Calzari Trebeschi sul tema La lotta di liberazione in Italia: la vicenda storica e l'eredità etico-civile.

Nel ventesimo anniversario della scomparsa di Padre Turoldo, abbiamo ritenuto opportuno far conoscere il suo messaggio: un'appassionata testimonianza, nutrita di una schietta colloquialità, il cui esito più accattivante è certamente quello di mettere in luce con estrema chiarezza, sottraendolo a ogni rischio di oblio o di troppo facile retorica, quale sia stato, e continui ad essere, il senso e il valore dell'evento storico che chiamiamo Resistenza, con la decisa assunzione del termine "Resistenza" a categoria della vita morale.

Il testo è del 1985, ma come sempre, quando le parole si caricano di autenticità di significati, è denso di attualità.

...essere solo
un segno di speranza
(D.M. Turoldo, Testamento breve)

Cari giovani,

uso sempre cominciare con un saluto, che vorrebbe essere una stretta di mano, perché, per quanto sia un uomo rotto a molte esperienze, per quanto parli tutti i giorni, e da anni e anni - sono purtroppo abbastanza anziano, sono già quarantacinque anni che sono sacerdote, frate, dunque pensate voi, nessuno di voi era nato ancora quando mi toccava predicare nel Duomo di Milano - quindi, rotto a molte esperienze, però credo di non aver mai parlato dalle cattedre. Idealmente, spiritualmente mi sono sempre sentito uno in cammino, uno sulla strada, uno che cerca, perciò do la mano a tutti quelli che incontro, per camminare insieme, e tanto più, la do volentieri a voi che siete venuti dopo.

Io oggi accompagno una scuola, l'Istituto Tecnico Industriale, dove le materie sono una più severa dell'altra; bene, mi ricordo il principio agostiniano, che non esiste maestro, ma siamo tutti discepoli; tutt'al più, uno è venuto prima, l'altro dopo, e magari quello che è venuto prima mette la propria esperienza a disposizione dell'altro. Vorrei in questo clima parlare con voi di cose molto, molto, molto serie; vorrei che passassimo proprio un'ora e mezza insieme, questo squarcio di mattinata, in maniera veramente raccolta, perché ho paura, ho paura per voi.

E vi dico subito il mio stato d'animo... Vi dirò proprio che io, rispetto a voi, ho due stati d'animo, uno uguale, uno contrario all'altro: non so mai se invidiarvi, oppure se compiangervi; e vi dirò proprio perché: sono portato a invidiarvi, per la ragione stessa della vita -voi siete nella giovinezza e io sono nel declino- ma, più che per questo, per la storia che io ho vissuto, e mi auguro molto diversa dalla storia che, dovreste, almeno spererei, vivere voi. Ecco, io sono nato, notate, nella guerra mondiale; i miei hanno dovuto essere profughi di Caporetto - io sono friulano; sono nato nella fuga di Caporetto - disastro! - sono cresciuto in tempi di guerra. I miei vecchi erano della prima guerra mondiale. Mio fratello - io ero già ormai chierico, sacerdote nel 1940- mio fratello fa sette anni di guerra, senza mai neanche sperare di ritornare.

Ecco incominciano i periodi dell'invidia, e le ragioni dell'invidia; invidiarvi, perché almeno voi, io spero, non vivrete quello che noi abbiamo vissuto: una guerra interminabile!

Pensate ...
Cinquantasette milioni di morti! Anni interminabili! ...
Ma capite? Dico, certo voi giovani cantate, perché queste esperienze non le avete vissute. ...

Per dire, qualche ragione, qualche elemento di stato d'animo, per cui io veramente vi invidio. Però vi compiango! non so appunto se invidiarvi o compiangervi, perché non avendo avuto queste esperienze, non vorrei che aveste la tentazione di fare quello che abbiamo fatto noi, di commettere gli stessi orribili errori, che abbiam commesso noi! Perché questo bisogna dirlo, e questo nella formazione, altrimenti che coscienza formeremo?

Mi viene in mente una frase di Einstein, che io ho messo su un libro, che ho scritto sulla pace, e ho proprio messo sulla fascetta un pensiero di La Pira e un pensiero di Einstein, e Einstein dice questo: “E tuttavia, io stimo tanto l'umanità da pensare che questi orribili fantasmi dell'odio e della guerra sarebbero da tempo scomparsi se il buon senso dei popoli, (cioè la coscienza) non fosse sistematicamente corrotto (notate: sistematicamente corrotto), per mezzo della scuola e della stampa, dagli intriganti del mondo della politica e degli affari".

Per questo ringrazio Iddio - appena mi invitano nelle scuole vado subito, perché sono i semenzai della coscienza, sono le oasi dove si forma o deforma la coscienza.

Perciò, sentite, cari giovani, fatemi un favore, perché io veramente patisco enormemente, e mi sembra di rendermi colpevole se dovessi sciupare una mattinata come questa. Perciò vi prego, ci metto l'anima, il sangue, voi metteteci almeno l'attenzione, anche se vi costa, perché lo so benissimo che costa! Ma lo faccio per voi, non per me: io son pronto a far le consegne: ma a chi passare le consegne, a chi, se non alla generazione nuova?

Bene, vi voglio dire alcuni pensieri: come e perché ricordare. Sì, ho fatto la Resistenza. Nel '40 ero già sacerdote a Milano... mi sentite tutti? No, perché mi piace guardarvi in faccia - io non riesco a parlare, anche se so tutto a memoria, se non vedo in faccia gli uomini a cui parlo - per me il più bel libro del mondo è la faccia di un uomo, è quella che devo decifrare per tutta la vita - e così, allora, guardandoci in faccia vi dirò alcune cose molto grosse.

Vi dirò come e perché ricordare. ... E poi, ho visto qui il vostro calendario, dedicato a queste circostanze; quindi penso che per voi alcune cose che dirò non sono riferite a voi, ma sono riferite, in generale, alla generazione attuale di giovani, che rischia di essere una generazione astorica, priva di memoria.

Perché purtroppo, circa la Resistenza, anche su queste cose cosi delicate, noi abbiamo parecchie responsabilità, e molte colpe.

Sono stato invitato addirittura dalla Diocesi di Milano a scrivere le esperienze che ho vissuto. E qui ho alcune note raccolte e pubblicate su Terra ambrosiana, note che ritengo di drammatica utilità per tutti, o, almeno, per quanti siamo convinti di vivere giorni molto sbagliati, e cioè convinti di essere giunti a queste attuali situazioni anche perché non si è accolto l'insegnamento, il messaggio che ci veniva precisamente dalla Resistenza, dall'evento della Resistenza - colpa certo non vostra.

... Dio non era con Hitler - anche se i tedeschi portavano sulla pancia il "Gott mit uns", "Dio con noi" - come potrebbe non essere oggi dalla parte dei nuovi potenti. Bisogna star bene attenti, perché là dove c'è questo, c'è la storia della liberazione che si scatena.

... Io non penso che Dio - amante della vita - possa essere geloso di chi dona la vita per il fratello: nessuno ha maggior amore di colui che dona la vita per un fratello, ne abbia o non ne abbia coscienza, egli si mette nella scia di Cristo, o almeno di quanto Cristo significa. Il buddista, il bonzo che si brucia sulla piazza di Saigon, può anche non sapere di Cristo, ma già dona la vita per i fratelli: è nella scia di Cristo e di ciò che Cristo significa!

Perciò si dice: Egli è il primogenito di tutti, di quanti credono in una umanità, in una vita donata al riscatto di molti, cosa che sta avvenendo oggi in tutto il mondo. Perché poi, dovete anche pensare che non c'è mai stata nel mondo tanta gente che sa morire come oggi, in tutte le parti del mondo! Questo è tempo di moltitudini di martiri...
Sì, è vero che se c'è tanta gente che sa morire - e io ne ho conosciuta tanta - dobbiamo anche dire che c'è tanta gente assassina, che sa uccidere. Ma intanto c'è anche questo aspetto, e l'importante, allora, è da che parte stare, da che parte sentirci, nella via e nella scelta giusta.

Per questo, vedete, Resistenza può considerarsi addirittura una categoria teologale; può far parte della stessa concezione della vita.

Difatti Cristo è sempre stato in uno stato di resistenza, di contrapposizione. Difatti è scritto: "Egli sarà segno di contraddizione". E addirittura nell'ultima preghiera dice: "Padre, io non ti prego, non ti chiedo di toglierli dal mondo. Essi sono nel mondo ma non sono del mondo". Che vuol dire, tradotto in termini correnti: essi sono nel sistema, ma non sono del sistema, sono in contrapposizione al sistema. Ecco il concetto, la posizione, la scelta che dovremmo avere noi, di noi stessi, quali il Vangelo ci pensa.

... Il nostro motto era: "Non tradire più l'Uomo". Resistenza era la scelta dell'umano contro il disumano, quale presupposto di ogni ideologia e di ogni etica personale. Ciò che valeva, e che dovrebbe sempre valere, è da che parte stare; se si è, appunto, dalla parte giusta.

In certe situazioni storiche, come quelle del fascismo e della guerra, io ho sempre stimato "beati" coloro che avevano fame e sete di opposizione, giudizio che ritengo ancora valido, riscontrando il perdurare di sistemi altrettanto disumani. E perciò io mi auguro che la Resistenza come valore possa diventare l'anima ispiratrice delle nuove generazioni.

Se fossero... ecco qui: qui è il mio problema più grande, rispetto ai giovani: se fossero educate, queste nuove generazioni, al costo della libertà, ad esempio, e anche al costo di questo malvissuto benessere, non saremmo certo al punto in cui siamo.

Invece oggi abbiamo... ma non è colpa vostra, cari giovani! anzi io qui sento di dire... di sfondare porte aperte; perché quando un Istituto ha queste preoccupazioni, vuol dire che ha la coscienza, di che cosa tramandare; ma in generale - dicevo - oggi abbiamo giovani senza ricordi! Giovani astorici! Generazione rapinata del dono della Memoria, e perciò incapaci o almeno inadatti a credere perfino in un loro definitivo avvenire, perché non sanno nulla del passato - non possono prevedere il futuro. Così rischiano di essere alla mercè del cinismo, o almeno dell'indifferenza, quando, appunto, frange molto estese non si danno anche alla droga; quando molti non siano portati al disprezzo della stessa vita, appunto perché non sanno.

Voglio dirvi un pensiero di Calamandrei, quella grande figura di Calamandrei: "I ragazzi delle scuole (lui dice così) imparano chi fu Muzio Scevola, o Orazio Coclite (magari non sanno neanche quello, oggi, eh? ma comunque si suppone) ma non sanno chi furono i fratelli Cervi; non sanno chi fu ...

Non sanno nulla del primo Piazzale Loreto: in quel giorno io ho chiesto perdono di vivere - era nell'agosto 1944. Perché tutti sanno del secondo Piazzale Loreto, ma non sanno del primo ...
Gente rapinata del ricordo e della coscienza! Io mi domando: questi giovani, in che cosa potranno credere e sperare?

Se nel campo morale la Resistenza significò rivendicazione della dignità umana uguale per tutti, e rifiuto di tutte le tirannie, nel campo politico la Resistenza significò volontà di creare una società retta sulla collaborazione volontaria degli uomini liberi, nel senso di autoresponsabilità e di autodisciplina, che necessariamente si stabilisce quando tutti gli uomini si sentono ugualmente artefici del destino comune e non divisi tra padroni e servi. Ma ora siamo di nuovo divisi tra padroni e servi, tanto che per i servi non c'è più neanche la possibilità di parlare!

Tra i morti della Resistenza vi erano seguaci di tutte le fedi: questa è cosa che dovreste tramandare, voi! ognuno aveva il suo Dio, ognuno aveva il suo credo, e parlavano lingue diverse, e avevano pelle di diverso colore, eppure nella libertà e nella dignità umana si sentivano fratelli. Volevano costruire un mondo giusto, dove tutti gli uomini vivano del proprio lavoro, dove ogni uomo conti veramente per uno, e non la massa, la moltitudine, gli stadi, dove la vita umana non conta più nulla!

Capire la Resistenza può non essere facile, soprattutto quando non si vuol capire, ma ignorarla non è possibile. Ecco, io vorrei che questo fosse il vero messaggio: la Resistenza non è finita; è stata frutto di pochi precursori, che avevano seminato durante un ventennio, ma è stata anche una più vasta semente per l'avvenire. E non dobbiamo scoraggiarci. ... 
Ho detto, perciò, come e perché ricordare; ma che cosa ricordare? Ecco, vorrei che aveste ancora un po' di pazienza; e vi leggo alcune testimonianze - semplicemente - di quello che io volevo che fosse tramandato. ...

E proprio qui, mi viene in mente il giuramento dei sopravvissuti, che si sciolgono da Mauthausen, ripartono finalmente per i propri Paesi, dopo essersi stretti la mano, e fatto un patto: "Noi sopravvissuti, in nome di questi morti (perché ormai tutto era un ossario, l'Europa era solo cenere di morti, come vi dicevo all'inizio) noi, in nome dei morti, come sopravvissuti giuriamo di sentirci sempre come fratelli, di non odiarci più, di non fare più guerre. Noi giuriamo di sentire l'Europa unita, di fare l'Europa unita. Noi giuriamo di non tradire questi morti, affinché non siano morti invano. Rendiamoci grati della vita che ci è stata regalata, lavorando soltanto per la libertà e per la pace".

Vi ho riassunto il giuramento dei sopravvissuti di Mauthausen. Credo che sia quello il messaggio da accogliere - e in cui sperare. Se questo dovesse avverarsi, allora io continuerò a invidiarvi, e mai a compiangervi.

Leggi il testo integrale dell'intervento di Padre Davide Maria Turoldo


Davide Maria Turoldo nasce a Coderno (Friuli) nel 1916.
Di origini contadine, nono di dieci fratelli, a soli 13 anni entra nella Casa di Formazione dell'Ordine monastico dei Servi di Maria. Viene ordinato sacerdote nel 1940, e si trasferisce a Milano su invito del Cardinale Schuster.
Si laurea in Filosofia nel 1946 all'Università Cattolica di Milano, e a Milano, la sua città d'elezione, tiene le predicazioni domenicali nel Duomo dal 1943 al 1953, e fonda la Corsia dei Servi, centro culturale dedicato all'approfondimento dei problemi di attualità italiani e internazionali.
Partecipa attivamente alla Resistenza antifascista con il gruppo cattolico raccolto intorno al giornale clandestino "L'Uomo".
Scrittore di saggi, di libri di spiritualità, collaboratore di giornali e riviste, sceneggiatore in collaborazione con P.P. Pasolini del film "Gli ultimi" (1962), ha pubblicato diverse raccolte poetiche dal 1948 al 1992, anno della sua morte.
Con la sua opera e la sua costante presenza nella vita pubblica, occupa un importante ruolo nella chiesa e nella società, non senza incorrere in incomprensioni e scontri con le autorità ecclesiastiche, tanto da dover trascorrere vari anni fra il 1953 e il 1964 in diversi conventi del suo Ordine lontano dall'Italia.
Il Concilio Vaticano II è per lui l'avvenimento più importante della vita della Chiesa contemporanea. Tornato in Italia nel 1964, decide di andare a vivere a Sotto il Monte, il paese natale di Papa Giovanni XXIII, restaurando un'antica abbazia cluniacense, e trasformandola in centro di studi ecumenici aperto ad ogni confessione religiosa, compresa l'islamica, e anche ai non credenti.
In un rapporto più sereno con la Chiesa, e per chiamata del Cardinale Martini, negli ultimi anni torna a predicare nel Duomo di Milano.
Muore a Milano il 6 febbraio del 1992.


Enzo Bianchi: Cosa ricordo della Resistenza

Enzo Bianchi
Cosa ricordo della Resistenza

La Repubblica - 22 Aprile 2024


Inequivocabili segnali d’allarme non sono mancati in questi ultimi decenni: abbiamo denunciato la barbarie incalzante, vera minaccia alla convivenza democratica, l’involgarimento dei modi e del gusto e il dilagare della mediocrità e della rozzezza che secondo Robert Musil inducono a una prassi della stupidità. Queste situazioni non sono malesseri delle persone, sono patologie della vita sociale che rappresentano un attentato alla democrazia e innanzitutto all’esercizio della libertà. Domina ormai una cultura della forza, dell’autoritarismo, l’ostentazione della prepotenza che dilaga “tra la gente”, “nel popolo”, l’autorizzazione all’odio a tal punto da impedire che questo sia il soggetto della responsabilità, capace di condurre una vita democratica. Di fatto “il popolo” viene usato e degradato a “massa di manovra” e la volontà popolare della maggioranza può propendere per un regime che fa sognare architetture politiche di forza in cui le prime ad essere offese sono le libertà.

Appartengo all’ultima generazione vivente nata durante la Resistenza e della Resistenza abbiamo solo sbiaditi ricordi, ma è viva in noi la memoria che durante la nostra crescita ci veniva ripetuto: “Prima della caduta del Fascismo non potevamo parlare, avevamo paura... Eravamo testimoni di una violenza legalizzata... C’era la censura ovunque e ora invece abbiamo la libertà!”. Non erano i racconti delle battaglie che venivano tramandati, ma questa coscienza della decisiva importanza della libertà. E come un lascito ho ricevuto l’affermazione: “La libertà non devi mai mendicarla, ma esercitarla e basta!”.

Ma ora ci domandiamo perché è avvenuta la perdita di questa memoria morale, perché non c’è stata una trasmissione di questo messaggio della libertà che è sempre apertura a cammini di liberazione, perché da sempre nella società compaiono forze che innanzitutto contrastano la libertà? Certamente la libertà richiede responsabilità da parte degli uomini e delle donne che la sentono come il primo riconoscimento della propria dignità: responsabilità del soggetto che sa affermare l’“io” per poter affermare il “noi”, contro ogni appiattimento acritico e contro ogni tentativo di manovrare le masse; responsabilità della propria unicità e irripetibilità che rifugge il conformismo e non si lascia abbagliare dal fascismo che sotto diverse forme pretende che il potere sia imposto e non riceva critiche e opposizioni.

Fuori di questa responsabilità, che non è altro che assunzione dell’umanità e della storia come “nostro compito”, c’è la demissione di fatto che o apre al regime autoritario o lascia solo spazio alla stupidità del populismo.

Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano impiccato dai nazisti nel 1945, aveva scritto: “Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità ... In determinate circostanze gli uomini vengono resi stupidi, ovvero si lasciano rendere tali ... Sì, qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini ... La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”.

All’orizzonte della nostra polis il cielo è oscuro soprattutto in Europa e non solo per le guerre in territorio europeo e attorno al Mediterraneo, ma per gli orientamenti delle masse, talmente accecate da promesse di potenza e di forza da non saper più discernere la democrazia che si nutre di libertà.
(fonte: blog dell'autore)


mercoledì 24 aprile 2024

Papa Francesco «Il cristiano non è mai solo. ... se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede; se siamo scoraggiati, Dio risveglia in noi la speranza; e se il nostro cuore è indurito, Dio lo intenerisce col suo amore. » Udienza Generale 24/04/2024 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 24 aprile 2024


Colonna sonora particolare, oggi, per l’udienza generale di Papa Francesco in piazza San Pietro. A fare da sfondo al consueto giro tra i vari settori della piazza sono stati, infatti, i cori degli alpini. Sulla papamobile, come è ormai consuetudine, il Santo Padre ha fatto salire quattro bambini, che si sono goduti il tragitto sorridendo e salutando anche loro, insieme al Papa, che si è rivolto alla folla – anche oggi straripante, con file che dal lato del Sant’Uffizio cominciavano all’altezza di Casa Santa Marta – facendo più volte il segno dell’“ok” con la mano. Molti anche oggi i bambini che Francesco ha accarezzato e baciato lungo il percorso, grazie al solerte aiuto degli uomini della Gendarmeria Vaticana.
Papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’udienza di oggi alle tre virtù teologali: fede, speranza e carità.







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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 16. La vita di grazia secondo lo Spirito


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nelle scorse settimane abbiamo riflettuto sulle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Sono le quattro virtù cardinali. Come abbiamo sottolineato più volte, queste quattro virtù appartengono a una sapienza molto antica, che precede anche il cristianesimo. Già prima di Cristo si predicava l’onestà come dovere civile, la sapienza come regola delle azioni, il coraggio come ingrediente fondamentale per una vita che tende verso il bene, la moderazione come misura necessaria per non essere travolti dagli eccessi. Questo patrimonio tanto antico, patrimonio dell’umanità, non è stato sostituito dal cristianesimo, ma messo bene a fuoco, valorizzato, purificato e integrato nella fede.

C’è dunque nel cuore di ogni uomo e donna la capacità di ricercare il bene. Lo Spirito Santo è donato perché chi lo accoglie possa distinguere chiaramente il bene dal male, avere la forza per aderire al bene rifuggendo dal male e, così facendo, raggiungere la piena realizzazione di sé.

Ma nel cammino che tutti stiamo facendo verso la pienezza della vita, che appartiene al destino di ogni persona – il destino di ogni persona è la pienezza, essere piena di vita –, il cristiano gode di una particolare assistenza dello Spirito Santo, lo Spirito di Gesù. Essa si attua con il dono di altre tre virtù, prettamente cristiane, che spesso vengono nominate insieme negli scritti del Nuovo Testamento. Questi atteggiamenti fondamentali, che caratterizzano la vita del cristiano, sono tre virtù che noi diremo adesso insieme: la fede, la speranza e la carità. Diciamolo insieme: [insieme] la fede, la speranza… non sento niente, più forte! [insieme] La fede, la speranza e la carità. Siete stati bravi! Gli scrittori cristiani le hanno ben presto chiamate virtù “teologali”, in quanto si ricevono e si vivono nella relazione con Dio, per differenziarle dalle altre quattro chiamate “cardinali”, in quanto costituiscono il “cardine” di una vita buona. Queste tre sono ricevute nel Battesimo e vengono dallo Spirito Santo. Le une e le altre, sia le teologali sia le cardinali, accostate in tante riflessioni sistematiche, hanno così composto un meraviglioso settenario, che spesso viene contrapposto all’elenco dei sette vizi capitali. Così il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce l’azione delle virtù teologali: «Fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell’anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere umano» (n. 1813).

Mentre il rischio delle virtù cardinali è quello di generare uomini e donne eroici nel compiere il bene, ma tutto sommato soli, isolati, il grande dono delle virtù teologali è l’esistenza vissuta nello Spirito Santo. Il cristiano non è mai solo. Compie il bene non per un titanico sforzo di impegno personale, ma perché, come umile discepolo, cammina dietro al Maestro Gesù. Lui va avanti nella via. Il cristiano ha le virtù teologali che sono il grande antidoto all’autosufficienza. Quante volte certi uomini e donne moralmente ineccepibili corrono il rischio di diventare, agli occhi di chi li conosce, presuntuosi e arroganti! È un pericolo davanti al quale il Vangelo ci mette bene in guardia, là dove Gesù raccomanda ai discepoli: «Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10). La superbia è un veleno, è un veleno potente: ne basta una goccia per guastare tutta una vita improntata al bene. Una persona può avere compiuto anche una montagna di opere benefiche, può aver mietuto riconoscimenti ed encomi, ma se tutto ciò l’ha fatto solo per se stesso, per esaltare se stessa, può dirsi ancora una persona virtuosa? No!

Il bene non è solo un fine, ma anche un modo. Il bene ha bisogno di tanta discrezione, di molta gentilezza. Il bene ha bisogno soprattutto di spogliarsi di quella presenza a volte troppo ingombrante che è il nostro io. Quando il nostro “io” è al centro di tutto, si rovina tutto. Se ogni azione che compiamo nella vita la compiamo solo per noi stessi, è davvero così importante questa motivazione? Il povero “io” si impadronisce di tutto e così nasce la superbia.

Per correggere tutte queste situazioni che a volte diventano penose, le virtù teologali sono di grande aiuto. Lo sono soprattutto nei momenti di caduta, perché anche coloro che hanno buoni propositi morali a volte cadono.  Come anche chi si esercita quotidianamente nella virtù a volte sbaglia – tutti sbagliamo nella vita –: non sempre l’intelligenza è lucida, non sempre la volontà è ferma, non sempre le passioni sono governate, non sempre il coraggio sovrasta la paura. Ma se apriamo il cuore allo Spirito Santo – il Maestro interiore –, Egli ravviva in noi le virtù teologali: allora, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede – con la forza dello Spirito, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede –; se siamo scoraggiati, Dio risveglia in noi la speranza; e se il nostro cuore è indurito, Dio lo intenerisce col suo amore. Grazie.

Guarda il video della catechesi

Saluti
...

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare ...

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Domani celebreremo la festa liturgica di san Marco, l’Evangelista che ha descritto con vivacità e concretezza il mistero della persona di Gesù di Nazaret. Invito tutti voi a lasciarvi affascinare da Cristo, per collaborare con entusiasmo e fedeltà alla costruzione del Regno di Dio.

E poi il pensiero va alla martoriata Ucraina, alla Palestina, a Israele, al Myanmar che sono in guerra, e a tanti altri Paesi. La guerra sempre è una sconfitta, e quelli che guadagnano di più sono i fabbricatori di armi. Per favore, preghiamo per la pace! Preghiamo per la martoriata Ucraina: soffre tanto, tanto. I soldati giovani vanno a morire. Preghiamo. E preghiamo anche per il Medio Oriente, per Gaza: si soffre tanto lì, nella guerra. Per la pace tra Palestina e Israele, che siano due Stati, liberi e con buoni rapporti. Preghiamo per la pace.

A tutti la mia benedizione!


Guarda il video integrale


Enzo Bianchi: Il Patriarca d’Occidente

Enzo Bianchi
Il Patriarca d’Occidente


La Repubblica - 15 Aprile 2024

Nelle chiese cristiane e dunque anche nella chiesa cattolica succedono fatti, si compiono azioni che non sembrano interessare i lettori dei nostri giornali e perciò non trovano né spazio, né narrazione, né se ne intravvede il significato. E tuttavia qualche volta quasi in silenzio si compiono atti che sono molto importanti nel dialogo tra le chiese e nella possibile condivisione del loro stare nel mondo in mezzo all’umanità.

Il Vescovo di Roma, lo si sa, abbonda di titoli che ne vogliono celebrare la dignità. Questi appaiono nelle prime pagine dell’Annuario Pontificio (un organo informativo pubblicato ogni anno dalla Santa Sede) e di conseguenza nei documenti più solenni: Vicario di Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sommo Pontefice della Chiesa Universale, Patriarca d’Occidente, Primate d’Italia, Arcivescovo e Metropolita della Provincia romana, Sovrano dello Stato della città del Vaticano...

Nell’attuale Annuario vengono detti “titoli storici” per significare che sono legati alle vicende storiche e non sono originati dal Vangelo. Risuona perciò un po’ stonato che dopo tutti questi titoli storici appaia quello vero, il più appropriato, usato da Papa Gregorio Magno, che definisce il Papa “Servo dei servi si Dio”. Ma è pur vero che nella gerarchia ecclesiastica i titoli contano, soprattutto quelli che sono riconosciuti anche da altre chiese non cattoliche. Tale il titolo di Patriarca dell’Occidente perché i canali ecumenici avevano definito il Sistema di governo della chiesa cristiana come “pentarchia”, cioè governo dei cinque patriarchi che si affacciavano sul Mediterraneo: Gerusalemme, Alessandria, Antiochia, Roma, Costantinopoli.

Purtroppo Benedetto XVI nel 2006, spinto da quanti vedevano nel titolo di Patriarca d’Occidente una riduzione nei confronti del primato universale del vescovo di Roma, fece cadere questo titolo che non apparve più nell’Annuario pontificio.

Grande fu la meraviglia delle chiese ortodosse che vissero il fatto come un ulteriore distacco di Roma dalla sinfonia del primo millennio e giudicarono questa omissione antiecumenica. Purtroppo il Pontificio Consiglio dell’unità di allora giustificò questo provvedimento cercando di spiegare agli ortodossi che questo era diventato un titolo inadeguato a causa di un Occidente oggi da intendersi nel senso di unità culturale e non più geografica.

Ma Papa Francesco, che ha ascoltato i desideri delle chiese ortodosse e di quanti lavorano veramente per l’unità della chiesa, fin dall’inizio del suo papato ha messo in evidenza il titolo di Vescovo di Roma, e ora ha reintrodotto quello di Patriarca d’Occidente, dando inizio a un processo che riconfigura la chiesa latina come Patriarcato d’Occidente, in cui il primato papale, com’è esercitato nella chiesa cattolica, potrebbe essere esercitato in forma non di giurisdizione ma di comunione con le chiese ortodosse come nel primo millennio. Con questo non si risolve il problema della divisione tra le chiese, oggi diventato tragico anche all’interno della stessa Ortodossia e delle singole chiese, ma si rimuove un ostacolo al cammino verso l’unità: la chiesa cattolica sta umilmente nella sinfonia delle altre chiese senza per questo negare il primato del Vescovo di Roma.

Papa Francesco, lo sappiamo, ha ascoltato, ha fatto discernimento, ha scelto la via evangelica delle chiese sorelle tra le quali fraternità e sororità sono necessarie come nel quotidiano della vita cristiana.
Senza clamore, eppure significativi, questi gesti mostrano un’attenzione a ciò che ferisce o porta gioia ai fratelli non cattolici: perché solo se le chiese iniziano a camminare nel futuro consultandosi, comprendendosi da vere sorelle, si cammina verso l’unità a favore di tutta l’umanità.
(fonte: blog dell'autore)

martedì 23 aprile 2024

Basta guerre! Basta armi! - Comunicato stampa di Pax Christi


Basta guerre! Basta armi!

Comunicato stampa di Pax Christi al termine dell’assemblea nazionale

L’Assemblea nazionale di Pax Christi si è riunita il 20/21 aprile a Ciampino. Oltre agli adempimenti statutari c’è stata una ampia riflessione sui vari temi, drammatici, che coinvolgono l’Italia, l’Europa e il mondo intero. I lavori sono iniziati con i saluti inviati dal presidente della CEI, il card. Matteo Zuppi e con una tavola rotonda: Al cuore dell’Europa la pace.

I giorni tragici che stiamo vivendo ci hanno fatto rivivere quanto già scriveva nel 1991 don Tonino Bello, Presidente di Pax Christi, morto il 20 aprile 1993: “nell’aria c’è odore di zolfo”. E con don Tonino abbiamo ricordato anche il vescovo Luigi Bettazzi, (era la prima assemblea senza la sua presenza) profeta di pace dei nostri tempi. Era lui a ricordarci, come padre conciliare, la Gaudium et Spes al n. 80: “Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione”.

Il ricordo e la preghiera sono stati anche per il vescovo Giovanni Giudici, già presidente di Pax Christi, morto lo scorso gennaio. Per il vescovo Diego Bona, morto ad aprile 2017 e per l’amico giornalista Carlo di Cicco, scomparso in questi giorni e da sempre vicino a Pax Christi.

Nel solco della strada tracciata da chi ci ha preceduto, Pax Christi rinnova l’impegno, sempre più urgente, per la Pace e il Disarmo. Tacciano le armi. Cessate il fuoco.

Facciamo nostre le parole dei cristiani di Terra Santa: “Siamo scioccati e scoraggiati dal silenzio delle Chiese di fronte all’ecatombe di Gaza…” (L’appello è sul sito www.bocchescucite.org)

Pensiamo anche all’Ucraina e a tante guerre più o meno dimenticate.

La situazione attuale è sempre più drammatica, con scelte che vanno nella direzione della guerra:
  • La follia del riarmo con la prospettiva di arrivare in Italia al 2/% del PIL per le spese militari.
  • Il tentativo in atto da parte dei mercanti di morte di affossare la legge 185/90 sul commercio delle armi.
  • La non adesione dell’Italia al trattato per la messa al bando delle armi nucleari.
  • L’idea, furbescamente ventilata, di una legione straniera all’italiana, per concedere la cittadinanza ai migranti che si arruolano e sono disposti a combattere per l’Italia.
E l’elenco potrebbe continuare…

Rinnoviamo l’impegno per la nonviolenza, sostenendo anche percorsi formativi e didattici.

Incoraggiamo l’obiezione di coscienza di fronte alla guerra e alla catastrofe ambientale che chiede scelte radicali.

Dal mondo dei giovani, dalle università arrivano segni di speranza e di impegno per un altro modo possibile.

Riteniamo grave e assolutamente non condivisibile il disegno di legge sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, già approvato al Senato. E’ inconciliabile con una visione di giustizia, equità e fraternità.

Ricordiamo le parole di don Tonino all’Arena di Verona, 30 aprile 1989 “il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. E’ un popolo pasquale, che sta in piedi…. Davanti al ‘trono’ di Dio. Non davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo”.

Ci prepariamo ad Arena di pace, con Papa Francesco, il prossimo 18 maggio, insieme a tante donne e uomini che in rete lavorano per la pace.

Chiediamo a tutte le persone che credono nella pace, in particolare ai credenti, alle comunità cristiane di non tacere di fronte a questa situazione. Chiediamo un impegno per la pace e il disarmo, e per impedire la prevista autonomia differenziata, contro la quale ci sono già stati autorevoli interventi ecclesiali, ma purtroppo solo dal sud dell’Italia. Non possiamo tacere! Dal sud al nord, insieme.

Chiediamo a tutti i parlamentari di non approvare il ddl sull’autonomia differenziata. E di non approvare le modifiche alla 185/90. Non possiamo accettare una politica succube dei piazzisti d’armi, dei mercanti di morte.

Anche ora, in questi tempi bui, rinnoviamo l’impegno e la scelta della nonviolenza come pilastro della pace. Rifiutiamo la guerra, gridiamo la speranza.

Impruneta (FI), 22 aprile 2024
Pax Christi Italia


Addio Vincenzo Agostino, simbolo dei familiari delle vittime innocenti delle mafie - Il ricordo di don Ciotti e di mons. Lorefice

Addio Vincenzo Agostino, 
simbolo dei familiari delle vittime innocenti delle mafie

Riferimento tra i familiari delle vittime innocenti delle mafie, Vincenzo Agostino è scomparso il 21 aprile. Per tre decenni ha lottato insieme alla moglie Augusta Schiera per ottenere verità e giustizia sugli omicidi del figlio Nino e della nuora Ida Castelluccio, avvenuti il 5 agosto 1989


Chi negli ultimi anni ha partecipato, per la prima volta, alle manifestazioni nazionali in memoria delle vittime innocenti di mafia, non poteva non notarlo. Vincenzo Agostino si poteva individuare facilmente: alto, occhi azzurri e con una lunga barba bianca, lunga quanto la sua ricerca di verità sull’omicidio del figlio, l'agente di polizia Nino Agostino, e della nuora incinta, Ida Castelluccio, uccisi da Cosa nostra il 5 agosto 1989 a Carini (Palermo): a quel punto l'uomo aveva deciso che non l’avrebbe mai rasata fino a quando non avrebbe trovato verità e giustizia. Insieme alla moglie Augusta Schiera, scomparsa nel febbraio 2019, Vincenzo Agostino era diventato un rappresentante di tutti quei familiari di vittime delle mafie impegnati in una dignitosa battaglia per ottenere giustizia e verità. Non c'era nell'ultima manifestazione, quella del 21 marzo scorso a Roma, fermato dal male che l'ha portato via oggi (21/04/2024), all'età di 87 anni.

Vincenzo Agostino e Augusta Schiera, riferimenti per i familiari delle vittime della mafia

“Era un riferimento importante per tutti i familiari di vittime delle mafie per la sua compostezza e la sua rivoluzione gentile – spiega Daniela Marcone, dell’ufficio di presidenza di Libera e responsabile del settore Vittime –. Determinato, mai fuori posto, nonostante la rabbia. Se ne va un pezzo importante della nostra rete”.

“Nostro compagno di percorso, guida preziosa e unica per tutte e tutti coloro che sono in cammino per conoscere la verità su una grave ingiustizia subita – lo ricorda Libera –. Come lui e la sua amata moglie Augusta, le sue figlie e figlio, che hanno vissuto un dolore insopportabile per la perdita del figlio Nino e della nuora Ida. Eppure, Vincenzo ha trovato la forza e il coraggio di costruire un percorso di memoria e impegno verso l’obiettivo della verità , una vera e propria rivoluzione gentile che ha segnato le tappe per tante e tanti". Vincenzo Agostino, insieme alla moglie, hanno sempre portato la loro testimonianza dove necessario. Alcuni lo ricordano intervenire nelle scuole e nei campi estivi in Sicilia, a incontrare giovani arrivati da tutta Italia a cui raccontava la storia del figlio e della nuora. ...

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Vincenzo Agostino, il ricordo di don Luigi Ciotti

La sua barba segno della sua determinazione nel cercare verità e giustizia

Una barba lunga come lunga è stata la sofferenza di Vincenzo: 35 anni di lutto per un figlio ammazzato dalla mafia. Era il suo tratto distintivo, che ce lo faceva riconoscere in mezzo alla folla nelle manifestazioni e negli incontri pubblici. Lo vedevi da lontano, con la barba bianca quasi da personaggio delle fiabe, e un’espressione che sapeva trasmettere insieme tenerezza e ardore. Quella barba la vogliamo oggi ricordare come il segno della costanza di Vincenzo, della sua determinazione nel cercare verità e giustizia per suo figlio, sua nuora e il loro bambino mai nato.

Era il 5 agosto del 1989 quando Nino Agostino, sua moglie Ida Castelluccio e il piccolo o piccola che portava in grembo caddero vittime di un agguato mafioso. Subito ci fu chi provò a inquinare le acque e gettare fango sulla figura di Nino, un agente di Polizia in servizio a Palermo, coinvolto in delicate operazioni contro cosa nostra. Per Vincenzo, la moglie Augusta, le sorelle e il fratello fu un dolore che si aggiungeva al dolore: ignorare il motivo dell’omicidio, e temere che l’impegno per trovare i colpevoli venisse vanificato dall’omertà e dai depistaggi, anche all’interno di quelle stesse istituzioni che Nino aveva servito con coraggio.

Nella disperazione, maturò la volontà condivisa e incrollabile di esigere la verità – una verità storica e giudiziaria – come unico tributo possibile alla morte di Nino e Ida. Ed è a questa volontà che si è aggrappato Vincenzo, insieme ai suoi famigliari, per non naufragare. Collaborando in prima persona alle indagini e offrendo una testimonianza decisiva sui fatti che avevano portato al delitto. La scelta di non tagliarsi la barba, finché non avesse ottenuto risposte chiare dallo Stato, negli anni lo ha reso una figura simbolica agli occhi di tante altre persone nella stessa situazione. Agostino non mancava mai, agli incontri dei famigliari di Libera e alle numerose occasioni di dibattito e sensibilizzazione sulla criminalità organizzata. Lo potevi incontrare in qualunque parte d’Italia ci fosse da portare una testimonianza, uno stimolo, ma anche una parola di incoraggiamento per gli altri che soffrivano come lui.

Sempre franco nel parlare, sempre generoso nel partecipare, sempre inflessibile nel chiedere conto alle istituzioni sugli sforzi in materia di contrasto alle mafie e tutela delle vittime. Se ne è andato zitto zitto, proprio quando ormai sembrava mancare pochissimo alla meta. Non ha avuto il tempo di tagliarsi la barba, ma porterà la notizia alla sua amata Augusta, mancata cinque anni fa, che sulla propria tomba aveva fatto scrivere: “Qui giace Augusta Schiera, madre dell’agente Antonino Agostino. Una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte”.
Ecco, tutti speriamo che quella lunga, insopportabile attesa non sia stata vana. Fra poche settimane si chiuderà l’ultimo dei processi ancora in corso sul delitto Agostino, dopo che alcune condanne sono già state emesse.
Il nostro saluto a Vincenzo è reso meno amaro dalla consapevolezza che il risultato inseguito per tutti questi anni è finalmente a portata di mano. E dalla gratitudine che proviamo perché, attraverso il suo esempio, tante altre persone e famiglie hanno trovato la forza di trasformare la memoria sofferente in un impegno di speranza.
Luigi Ciotti
(fonte: Libera)

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Morte Vincenzo Agostino,
il ricordo dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

(foto di Maria Anna Giordano)
Sin dal mio arrivo a Palermo ho stretto un rapporto di amicizia e di reciproca stima con Vincenzo e Augusta Agostino, attratto dalla loro indefettibile rettitudine umana e dalla sobrietà della loro salda fede.

La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi tutti il segno di un impegno di cittadinanza responsabile e attiva. Ma soprattutto un pungolo e uno sprone alle istituzioni per giungere alla verità – non ancora arrivata nella sua interezza – sull’assassinio del figlio Nino e della moglie incinta Ida Castelluccio, uccisi nel 1989 dalla perfidia mafiosa ma anche oltraggiati dai subdoli tentativi di insabbiamento e depistaggio messi in atto dopo il tragico e drammatico evento.

La sua ricerca della verità, sospinta anche dall’amore di padre e di nonno, è stata condivisa da tutti coloro che ogni giorno si impegnano – proprio sulle orme dei tanti martiri della giustizia e della legalità – a resistere alla tracotanza e alla violenza del menzognero potere mafioso.

In una città che ha assistito al sacrificio di tanti uomini e donne delle istituzioni, della società civile e della Chiesa palermitana, possa la sua credibile e costante testimonianza continuare ad essere uno sprone nella costruzione di una città degli uomini giusta e solidale, libera dalle ‘strutture di peccato’ – come la mafia -, che generano scarti umani e seminano sofferenza, sopruso, collusioni, oppressione e morte.

Le esequie di Vincenzo Agostino saranno celebrate martedì 23 aprile 2024, alle ore 11.00 nella Chiesa Cattedrale. Il rito sarà presieduto dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice.
(fonte: Chiesa di Palermo)



lunedì 22 aprile 2024

La Giornata Mondiale della Terra - Pianeta, come possiamo aiutarlo? Dall'acqua al riciclo: il decalogo per ciascuno di noi

La Giornata Mondiale della Terra
Pianeta, come possiamo aiutarlo? 
Dall'acqua al riciclo: il decalogo per ciascuno di noi

Il 22 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Terra, un'occasione per riflettere (e mettere in pratica) cosa si può fare ogni giorno per il futuro dei nostri figli



C'è un Pianeta da salvare. Il riscaldamento globale e i cambiamenti del clima non sono una novità. Lo si sente ripetere da anni e la speranza è che il grido d’allarme lanciato da ogni angolo del mondo venga ascoltato da tutti. Certo, principalmente da chi ha in mano le sorti del futuro dei nostri figli. Ma ciascuno di noi può (e deve) fare qualcosa. Anche una piccola cosa, come seguire alcuni semplici accorgimenti è importante e ripeterlo ancora una volta può essere utile. L’occasione stavolta viene dalla prossima Giornata Mondiale della Terra che sarà celebrata lunedì 22 aprile. Voluta dalle Nazioni Unite, la 54ª edizione sarà dedicata al tema «Planet vs Plastic» con il preciso scopo di porre l’accento sull’abuso dei materiali platici nella nostra vita quotidiana. L’obiettivo: una riduzione della plastica del 60 per cento entro il 2040. Ma vediamo i dieci consigli per dare il nostro contributo

Limitare il consumo di acqua

L’oro blu è un bene prezioso naturale, ma è una risorsa non infinita.
È quindi importante ridurre il consumo di acqua nell’uso quotidiano. Come? Chiudere il rubinetto quando non è indispensabile (ad esempio mentre laviamo i denti o le stoviglie), al posto della vasca da bagno preferire la doccia, magari con tempi ridotti

Mobilità sostenibile

Uno dei mali dell’ambiente sono le polveri sottili. 
Per spostarsi soprattutto in città sarebbe utile lasciare l’auto a casa e spostarsi a piedi e in bici (se possibile) oppure utilizzare i mezzi pubblici

Ridurre i consumi energetici

Buona parte dell’energia che consumiamo ogni giorno è prodotta da fonti non rinnovabili. 
Ecco perché va fatta attenzione soprattutto a evitare gli sprechi, anche per ridurre le spese delle bollette. Prima di tutto è consigliabile acquistare elettrodomestici a ridotto consumo energetico, ma poi basta soltanto spegnere la luce quando si esce da una stanza, non lasciare tv e radio accese anche quando non serve e staccare la spina quando abbiamo ricaricato smartphone o pc

Limitare il consumo di carne e pesce

Un'alimentazione sana e mirata non fa bene solo alla salute ma anche all’ambiente. 
Si calcola le produzioni alimentari incidono su un terzo dei gas serra. Quindi molto meglio portare a tavola verdura, legumi, frutta: anche il vostro corpo vi ringrazierà

Benedetto riciclo

Sapete la regola delle tre «erre»: riduzione, riutilizzo, riciclo. 
Una formula che serve a evitare sprechi, risparmiare e aiutare il Pianeta. A che cosa pensiamo? A tutto: dalla carta alla plastica, dal cibo ai vestiti, dal vetro agli elettrodomestici. E stavolta a ringraziarci sarà anche il nostro portafogli

Acquisti in modo intelligente

Prima di tutto pensiamo ad acquistare prodotti a km 0, e non solo per il cibo. 
Si risparmia sull’inquinamento dei trasporti. E poi facciamo attenzione alle aziende con una maggiore attenzione al green. Così si può incentivare i business eco friendly

Non abusare con l’uso di carta

Siete «stampanti dipendenti»? 
O abusate di scrivere appunti sulla carta, come la lista della spesa? Fate attenzione quando si stampano i documenti e le mail, non sempre è necessario. E magari scrivere la lista sul cellulare non è una cattiva idea

Fare investimenti mirati

Non tutti se lo possono permettere… 
Ma l’installazione di pannelli fotovoltaici, ad esempio, o di mini generatori eolici permette alla lunga di risparmiare soldi e ambiente. E se cambiate auto, dimenticate quelle a gasolio e benzina

Scegliere prodotti biologici

Volete sostenere una produzione naturale? 
Allora scegliete prodotti biologici, per lo più del vostro territorio. Tutto questo fa bene alle coltivazioni e contribuisce a ridurre l’impatto ambientale

Occhio a condizionatori e termosifoni

È vero il freddo è ormai alle spalle, ma sta arrivando l’estate (e che caldo ci aspetta secondo le previsioni). Usate con moderazione i condizionatori e utilizzate apparecchi compatibili con l’ambiente. E anche se è ancora presto ... cominciate a pesare a verificate se la vostra caldaia è davvero efficiente

(fonte: Corriere della Sera - Buone notizie 14/04/2024)

Altro che “taxi del mare” o “amici dei trafficanti”: il Tribunale di Trapani assolve le Ong

Migranti. 
Altro che “taxi del mare” o “amici dei trafficanti”: 
il Tribunale di Trapani assolve le Ong

Cade la maxi-inchiesta avviata dalla procura di Trapani nel 2016: il giudice ha chiuso definitivamente il caso decretando l’infondatezza delle accuse. Msf: “Sette anni di slogan infamanti e una plateale campagna di criminalizzazione delle organizzazioni impegnate nel soccorso in mare. Adesso basta criminalizzare la solidarietà!”. Save the Children: “Riconosciuta la verità sull’impegno umanitario”. Amnesty: “Le Ong hanno subito un danno grave”

Ochek, uno dei naufraghi sulla Geo Barents/Msf

Cade la maxi-inchiesta avviata dalla procura di Trapani nel 2016. Il Giudice per l’Udienza preliminare del Tribunale di Trapani, infatti, ha disposto il non luogo a procedere nei confronti di tutti gli imputati e ha chiuso definitivamente il caso decretando l’infondatezza delle accuse e spazzando via qualunque sospetto di collaborazione con i trafficanti da parte delle organizzazioni umanitarie impegnate nel soccorso in mare.
La decisione è stata subito commentata su Twitter da Meditteranea Saving Humans, che scrive: "Dopo 7 anni di indagini, la nave civile #Iuventa sequestrata e lasciata marcire, 24 vite in ostaggio, a Trapani la maxi montatura giudiziaria contro il soccorso civile in mare finisce nell'ennesima bolla di sapone: TUTTE PROSCIOLTE perché 'il fatto non sussiste'".

L’indagine ha coinvolto diverse Ong, tra cui Medici senza Frontiere (Msf). Organizzazione che, subito dopo la decisione dei giudici, ha affermato: “Dopo sette anni di false accuse, slogan infamanti e una plateale campagna di criminalizzazione delle organizzazioni impegnate nel soccorso in mare, cade la maxi-inchiesta avviata dalla procura di Trapani nell’autunno del 2016, la prima della triste epoca di propaganda che ha trasformato i soccorritori in ‘taxi del mare’ e ‘amici dei trafficanti’”.

L’indagine, continua Msf, ha coinvolto le Ong con “l’irricevibile accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha visto un mastodontico impianto accusatorio basato su illazioni, intercettazioni, testimonianze fallaci e un’interpretazione volutamente distorta dei meccanismi del soccorso per presentarli come atti criminali. Ma dopo un’approfondita udienza preliminare durata due anni e dopo che la stessa procura che aveva aperto l’indagine ha chiesto il non luogo a procedere, il giudice ha chiuso definitivamente il caso decretando l’infondatezza delle accuse e spazzando via qualunque sospetto di collaborazione con i trafficanti”.

“Crolla il castello di accuse infondate che per oltre sette anni hanno deliberatamente infangato il lavoro e la credibilità delle navi umanitarie per allontanarle dal Mediterraneo e fermare la loro azione di soccorso e denuncia - dichiara Christos Christou, presidente internazionale di Msf -. Ma gli attacchi alla solidarietà continuano attraverso uno stillicidio di altre azioni: decreti restrittivi, detenzione delle navi civili, supporto alla guardia costiera libica che ostacola pericolosamente i soccorsi e alimenta sofferenze e violazioni, mentre le morti in mare continuano ad aumentare”.

Secondo l’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Ue sono almeno 63 i procedimenti legali o amministrativi avviati da Stati europei contro organizzazioni impegnate in mare (dati giugno 2023).
Nell’ultimo anno le autorità italiane hanno emesso 21 fermi amministrativi contro navi umanitarie, impedendo la loro azione salvavita per 460 giorni complessivi. La Geo Barents di Msf ha appena ripreso il mare dopo 20 giorni di detenzione, “con l’ipocrita accusa di avere messo in pericolo la vita delle persone, dopo che una motovedetta libica aveva interrotto violentemente un soccorso già avviato. Oltretutto, alle navi civili vengono ormai assegnati porti lontani per sbarcare i sopravvissuti, per tenerle lontane dalla zona dei soccorsi”.

“Tutto questo – continua Msf -, insieme a ciniche politiche di esternalizzazione delle frontiere avviate dalle autorità italiane ed europee, ha delegittimato il principio del soccorso e l’idea stessa di solidarietà, cancellato l’imperativo umanitario sotto le logiche della difesa dei confini, e ridotto drasticamente la possibilità di soccorrere. Le conseguenze sono mortali: il 2023 è stato l’anno con il più alto numero di morti in mare dall’epoca delle accuse”.

“In questi anni, tutti i governi che si sono avvicendati hanno investito enormi risorse sul boicottaggio dell’azione umanitaria e su politiche di morte, ma non hanno fatto nulla per fermare i naufragi e fornire vie legali e sicure a chi fugge attraverso il Mediterraneo - dichiara Tommaso Fabbri, capomissione di Msf all’epoca dei fatti, coinvolto nel caso -. Salvare vite non è un reato, è un obbligo morale e legale, un atto fondamentale di umanità che semplicemente va compiuto. Basta criminalizzare la solidarietà! Tutti gli sforzi devono andare nel fermare le inaccettabili morti e sofferenze e garantire il diritto al soccorso, riportando l’umanità e il diritto alla vita nel nostro mare”.

Msf è un’organizzazione medico-umanitaria internazionale indipendente che fornisce assistenza a persone colpite da guerre, epidemie, catastrofi naturali e situazioni di crisi in oltre 70 paesi, compresa l’Italia. Ha iniziato le operazioni di soccorso in mare nel 2015 per supplire al vuoto lasciato dalla chiusura di Mare Nostrum e con otto navi ha contribuito a soccorrere oltre 92.000 persone senza mai fermare le attività. Tuttora i team di Msf sono impegnati in operazioni di soccorso con la nave Geo Barents.

“Il nostro pensiero va ai colleghi di MSF e delle altre organizzazioni che hanno vissuto sotto il peso delle accuse per aver svolto legittimamente il proprio lavoro: soccorrere persone in pericolo, in piena trasparenza e nel rispetto delle leggi - conclude Monica Minardi, presidente di MSsf in Italia -. I nostri operatori non hanno mai smesso di operare negli interventi di MSF in tutto il mondo, così come le nostre navi non hanno mai smesso di salvare vite in mare. Questa è stata la nostra migliore risposta a tutte le accuse”.

Save the Children: “Riconosciuta la verità sull’impegno umanitario”

“Questa decisione, che arriva a conclusione di una vicenda giudiziaria durata quasi sette anni, riconosce la verità sul nostro operato e sull’impegno umanitario per salvare vite in mare”, ha dichiarato Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children, commentando la decisione del Giudice.
“Save the Children – continua - è sempre stata fiduciosa nella conclusione positiva di questa vicenda, nella piena coscienza che i membri dell’Organizzazione hanno sempre operato nella legalità, al fine di salvare vite in mare, rispondendo al proprio mandato umanitario e con il primario obiettivo di proteggere i soggetti vulnerabili, quali ad esempio minori non accompagnati e donne potenzialmente vittime di tratta e sfruttamento”.

L’esito di questa udienza preliminare arriva dopo anni, nel corso dei quali, Save the Children ha continuato a confidare nell’operato della magistratura, mettendosi a disposizione per fornire ogni elemento utile per la ricostruzione dei fatti, affinché la verità potesse emergere. Al contempo l’Organizzazione ha rafforzato il proprio impegno sul territorio italiano nell’accoglienza ed inclusione dei minori migranti. I legali dell’Organizzazione, l’avv. Jean Paule Castagno e l’avv. Andrea Alfonso Stigliano dello Studio Orrick di Milano, hanno svolto una proattiva e minuziosa attività difensiva, evidenziando una serie di elementi determinanti affinché la stessa Procura potesse rivalutare la propria posizione, tanto da richiedere essa stessa una sentenza di non luogo a procedere.
L’attività di Save the Children è stata svolta, da sempre, nel pieno rispetto della legge italiana, di concerto con IMRCC, attraverso un continuo supporto e coordinamento con tutti gli attori istituzionali coinvolti, le prefetture territoriali e le autorità di polizia presenti nei porti di sbarco e in continuità con le molteplici attività svolte dall’Organizzazione a tutela dei diritti dei minori migranti, anche in collaborazione e supporto alle Autorità, sin dal 2008. “Negli anni in cui la missione di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale è stata attiva, il 2016 e 2017, Save the Children ha salvato quasi 10.000 persone che erano esposte al rischio di annegamento in mare. Tra di loro c’erano circa 1.500 bambini, molti dei quali erano separati dalle loro famiglie, che abbiamo tenuto al sicuro e protetto fino a quando hanno raggiunto un porto sicuro. Di tutto questo siamo estremamente orgogliosi. Siamo molto soddisfatti dell’esito dell’udienza preliminare e ringraziamo tutti i nostri sostenitori che, anche durante questi anni, hanno continuato a credere nei valori della nostra Organizzazione”, ha concluso Daniela Fatarella.
“Nel corso dell’udienza, è stato possibile illustrare e portare all’attenzione del Giudice tutti gli elementi di prova che hanno smentito categoricamente ogni accusa, come acclarato dalla richiesta di non luogo a procedere formulata dai pubblici ministeri. Sono inoltre emerse l’encomiabile professionalità e dedizione con le quali tutto il personale dell’Organizzazione, ed in particolare il team leader responsabile per la missione, ha operato per l’intera durata della stessa”, ha dichiarato l’avv. Jean-Paule Castagno.

Amnesty International: “Salvare vite non è un reato. E le organizzazioni hanno subito un danno grave”

Commentando la sentenza di non luogo a procedere per gli equipaggi delle navi delle Ong Jugend Rettet, Save The Children e Medici Senza Frontiere, Elisa De Pieri, ricercatrice regionale di Amnesty International, ha affermato: “L’indagine e l’azione penale sono state un chiaro esempio di violazione da parte dell’Italia del dovere di proteggere i difensori dei diritti umani e assicurare che possano svolgere il proprio ruolo senza temere rappresaglie. Ne è prova l’attenzione che anche la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani ha dedicato all’udienza preliminare. Siamo quindi molto soddisfatti che il giudice abbia deciso per il non luogo a procedere nei confronti di tutti gli indagati. Quest’indagine si è inserita nel quadro della criminalizzazione della solidarietà, che molti stati europei hanno deliberatamente perseguito per ostacolare, anche attraverso l’uso del diritto penale, chi in questi anni ha prestato assistenza e offerto solidarietà a rifugiati e migranti. Si è trattato della prima, più lunga e più costosa azione penale contro le Ong di salvataggio. Per questo, il proscioglimento di oggi rappresenta una vittoria di particolare significato e va ad aggiungersi alle numerose pronunce di altre corti in Italia e all’estero che hanno concluso che le accuse contro individui e ong che hanno assistito rifugiati e migranti fossero infondate”.

“È stato assai preoccupante il tentativo dell’accusa di reinterpretare quanto accadeva nel Mediterraneo centrale nel 2016/2017 – continua -, come se le migliaia di persone a bordo di imbarcazioni fatiscenti non fossero realmente in pericolo. La nave ‘Iuventa’ ha salvato oltre 14.000 persone, sotto il coordinamento e nel quadro di operazioni gestite dalle autorità italiane”.

Aggiunge Elisa De Pieri: “Fortunatamente la corte ha respinto la pericolosa interpretazione dell’accusa. Tuttavia, l’indagine stessa, con il sequestro della nave ‘Iuventa’, ha contribuito ad aggravare la situazione di pericolo per migranti e rifugiati nel Mediterraneo centrale, in cui nel 2023 sono morte o scomparse in mare quasi 2500 persone. Inoltre, mettendo in discussione la situazione di pericolo delle persone che viaggiavano su imbarcazioni fatiscenti e fuggivano dagli orrori della Libia, l’indagine ed azione penale hanno contribuito a minare l’integrità del sistema di ricerca e soccorso in mare. Le persone e organizzazioni coinvolte hanno comunque subito un danno grave e in larga misura irrimediabile. L’Ong Jugend Rettet si è dovuta sciogliere, la sua nave ‘Iuventa’ è inutilizzabile, le persone coinvolte hanno vissuto in un limbo per anni e si è minata la reputazione di Ong il cui lavoro si fonda sulla fiducia del pubblico”.

E conclude: “Alla luce di questa sentenza, la necessità di modificare a livello nazionale ed europeo la normativa sulla facilitazione dell’immigrazione irregolare risulta ancora più evidente, ed Amnesty International continuerà a lavorare perché ciò avvenga. Infine, non va dimenticato inoltre come la criminalizzazione più recente del salvataggio in mare stia passando attraverso norme e pratiche formalmente amministrative, ma in realtà gravemente punitive, specie dopo il decreto Cutro. Siamo particolarmente soddisfatti di aver potuto contribuire a sostenere le persone imputate, non solo attraverso la ricerca e la campagna fatte sul caso sin dal sequestro della nave nel 2017, ma anche attraverso l’osservazione delle udienze preliminari. L’accesso alle udienze che la corte ha consentito agli osservatori internazionali e al rappresentante della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani è stato un precedente importante che ci auguriamo venga seguito in altri casi. Ciò ha garantito trasparenza, soprattutto quando è diventato evidente quanto debole fosse l’impianto accusatorio”.
E Serena Chiodo, campaigner di Amnesty International Italia presente oggi al tribunale di Trapani, ha chiosato: "Partecipiamo alla felicità dell'equipaggio Iuventa, che abbiamo sostenuto dall'inizio delle indagini e in tutte le udienze preliminari, più di 40, cui abbiamo preso parte come osservatori internazionali. Oggi il giudice ha espresso con chiarezza che il fatto non sussiste: resta la consapevolezza che in questi sette anni le vite degli imputati sono state stravolte, la nave resa inutilizzabile, ed è stato alimentato il clima di sospetto contro chi opera solo in difesa dei diritti e della solidarietà umana. Ora serve lavorare affinché soccorrere vite sia visto universalmente come un valore da difendere".
(fonte: Redattore Sociale 19/04/2024)