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sabato 31 ottobre 2020

NUVOLA DI CANTO - Fra quelle nove parole ce n’è una scritta per me... - Commento al Vangelo - XXXI domenica del Tempo Ordinario (A) a cura di P. Ermes Ronchi

NUVOLA DI CANTO
Fra quelle nove parole ce n’è una scritta per me...

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio[…] Mt 5, 1-12a

per i social


Fra quelle nove parole ce n’è una scritta per me, mio cielo da individuare per farmi più uomo, misura che contiene la mia missione di vita.

NUVOLA DI CANTO

Non ci stancheremo mai di assaporare le nove beatitudini, da Gandhi definite “le parole più alte che l’umanità abbia ascoltato”.

Collante tra le feste dei santi e dei defunti, esse dipingono nove tratti del volto di Cristo e dell’uomo, disegnando creature amanti del cielo e custodi della terra, sedotte dall’eterno eppure innamorate di questo tempo bello e difficile: i santi.

La storia si aggrappa ai santi per non ritornare indietro, e si stringe alle beatitudini, che ogni volta ci disarmano nello stupore.

Non c’è prova o garanzia per queste affermazioni, sono una nuvola di canto che seduce e riaccende una nostalgia prepotente di bontà, di sincerità, di limpidezza e di giustizia. Un tutt’altro modo di essere vivi.

Le beatitudini ci assicurano che i misteriosi legislatori del mondo sono i giusti, che i tessitori segreti del meglio sono i poveri. Se le accogli, la loro logica ti cambia il cuore, sull’onda di Dio che ha un debole per i deboli, che incomincia dalle periferie fragili, nella storia di ogni tempo.

Per capire qualcosa della parola “beati” osservo come essa ricorra già nel primo dei 150 salmi, aprendo l’intero salterio: “Beato l’uomo che non resta nella via dei peccatori, che cammina sulla via giusta”. E nel salmo dei pellegrini: “Beato l’uomo che ha la strada nel cuore” (Sl 84,6).

Dire beati è dichiarare: “In piedi voi che piangete; avanti voi, i poveri! I vostri diritti non sono diritti poveri, Dio cammina con voi, fascia il vostro cuore, asciuga le lacrime e le raccoglie nei suoi otri”. Dio conosce solo uomini in cammino.

Nelle beatitudini la santità evoca vicende nostre, tesse trame su situazioni comuni, fatiche, speranze, lacrime e gioie. Il nostro pane quotidiano.

Sono detti beati i poveri, non la povertà. Beati gli uomini, non le situazioni. Beati quelli che sono nel pianto, perché hanno Dio dalla loro parte. Sempre.

È la beatitudine più paradossale: felice chi non è felice. Ma non perché la felicità sia nel piangere, ma perché un angelo misterioso annuncia: “Il Signore è con te”, nel riflesso più profondo delle tue lacrime.

Beati i misericordiosi: sono gli unici che troveranno ciò che hanno già, la misericordia. Essa è qualcosa da portare con sé, bagaglio per il viaggio eterno, sigillo d’eternità posto su tutta la lunghezza del tempo.

Fra quelle nove parole ce n’è una scritta, proclamata proprio per me, il mio cielo da individuare e realizzare per farmi più uomo, una misura che contiene la mia missione nella vita. Su di essa sono chiamato a fare il mio percorso, per un mondo che ha bisogno di stelle e di storie di bene che contrastino le storie di male; di cuori puri e liberi che si occupino della felicità di qualcuno; nella mitezza, nella misericordia, nella giustizia, nella pace. E Dio si occuperà della loro: “Beati voi!”

per Avvenire

Beato l’uomo, prima parola del primo salmo. Cui fa eco la prima parola del primo discorso di Gesù, sulla montagna: Beati i poveri (…)


"Dio è accanto a noi nella sventura" di p. Alberto Neglia, carmelitano (VIDEO INTEGRALE)

"Dio è accanto a noi 
nella sventura" 
di p. Alberto Neglia, 
carmelitano 
(VIDEO INTEGRALE)


Incontro del 21 ottobre 2020 
inserito nell'ambito dei 
"I Mercoledì di Spiritualità 2020" 
promossi dalla 
Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto


DIVENTEREMO MIGLIORI? Post-covid 19 
“Per una nuova immaginazione del possibile” 
(Papa Francesco)



1. In Dio non c’è desiderio di punirci, ma di salvarci

A volte pensiamo e, alcuni lo dicono, che questa pandemia è castigo di Dio, e, a volte, davanti ad una malattia, una sofferenza, una disgrazia, ci lamentiamo: “perché Dio mi ha trattato così …” “cosa ho fatto di male …”. C’è sotto l’idea che Dio ci abbia voluto punire. Così pensavano anche al tempo di Gesù. Se uno era colpito da una sofferenza, una malattia, una disgrazia, voleva dire che era stato castigato da Dio per i suoi peccati. Anche gli apostoli la pensavano così, ma sentiamo cosa dice Gesù: «In quel momento si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”» (Lc 13, 1-5). 

C’era stato un fatto di crudeltà da parte di Pilato: aveva fatto uccidere alcuni ebrei della Galilea proprio mentre offrivano dei sacrifici a Dio. La gente pensava che quegli uomini dovevano essere dei grandi peccatori, se avevano subito una morte simile. Ma Gesù dice “no” e lo ripete anche riguardo quelle 18 persone che erano rimaste uccise nel crollo di una torre… “no” Dio non agisce così! 

Dio, il Padre di Gesù Cristo e Padre nostro, non è un Dio che vuol punire, ma un Dio che vuol salvare. Gesù lo manifesta esplicitamente a Nicodemo, un fariseo che era andato a trovarlo di nascosto: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 16-17). 

Un’altra risposta chiara, Gesù l’ha data, il giorno che, con i suoi discepoli, incontra un uomo che era cieco dalla nascita. I discepoli, presi dalla mentalità del loro tempo chiedono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori» (Gv 9, 2-3). La risposta di Gesù è ancora una volta netta: “no” Dio non castiga, anzi è un Dio che vuol perdonare e che vuol salvare (e di fatto poi fa il miracolo), ma per far questo Dio ha bisogno della nostra collaborazione.
...

3. In questa pandemia, come in altre sventure, “Dio è accanto a noi”

«Dio è amore» (1Gv 4,8). Così Egli si manifesta in tutta la Scrittura santa, e Giovanni, dopo averne fatto esperienza, ce lo ricorda esplicitamente. Proprio perché Dio è Padre e Madre, è Amore-Misericordioso, così si rivela a Mosè: «JHWH, JHWH, Dio di misericordia (rahum) e di grazia (hannun), lento all’ira e ricco di amore (hesed) e fedeltà (emet)» (Es 34,6). 

Dt 32 (il famoso cantico di Mosè che ha rilevanza profetica) è un testo in cui il tema della paternità misericordiosa risuona per ben cinque volte nell'inno e sottolinea la permanenza e la costanza, dell'amore-misericordia divino che non si arresta neppure di fronte alla costanza nel male di Israele. L'avvio è, infatti, amaro: «Peccarono contro di lui i figli degeneri, generazione tortuosa e perversa» (v 5). Eppure alla sorgente della loro stessa esistenza e della loro costituzione in popolo c'era un atto di amore di Dio: «Non è JHWH il padre che ti ha creato (qnh), ti ha fatto e ti ha costituito?» (v. 6). 

Quest'inno evidenzia la tensione che sempre intercorre tra la paternità fedele (è l’amore misericordioso) di JHWH e la filiazione ribelle di Israele: «sono una generazione perfida, sono figli infedeli» (vv. 19.20). Questa dell'infedeltà e del tradimento è un topos teologico della relazione padre figli secondo la visione profetica. Malgrado l'infedeltà, ai vv. 10-11, attingendo alle premure del padre/madre nei confronti dei figli, è detto: «Egli lo trovò in terra deserta… Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio… Egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali». 

Sono questi tutti gesti di una tenerezza straordinaria che esprimono l’amore di Dio Padre e Madre. È questo il linguaggio tipico dei profeti, soprattutto di Osea il quale pur usando principalmente la simbolica nuziale, attraverso la quale rilegge l'evento dell'alleanza, non disdegna anche la simbolica paterna per descrivere il rapporto tra Dio e Israele. 

Entra in vigore il Trattato di proibizione delle armi nucleari (non firmato dall'Italia) - Tonio Dell'Olio: Quando manca il coraggio

Entra in vigore il Trattato di proibizione delle armi nucleari 


Sono state raggiunte negli ultimi giorni le 50 ratifiche al Trattato di proibizione delle armi nucleari, grazie ad Honduras, Giamaica e Nauru. Il Trattato rende illegale per i paesi che lo firmano permettere qualsiasi violazione nella loro giurisdizione e rafforza la posizione internazionale contro le armi nucleari perché si tratta del primo strumento legale che le vieta esplicitamente.

E a parlare di pace riportiamo il contributo di don Renato Sacco di Pax Christi Italia che, in preparazione alla Giornata Mondiale della Pace 2021, ricorda i messaggi per questa giornata lanciati da Papa Francesco a partire da quello del 2014, suo primo anno di pontificato, "Fraternità, fondamento e via per la Pace".

Guarda il video


Il TPNW entrerà in vigore il 22 gennaio 2021 e impedirà specificamente l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari. Proprio in occasione della 75ª Giornata delle Nazioni Unite, che segna l’inizio della Settimana Internazionale per il Disarmo, una importante e storica notizia ha rallegrato la comunità internazionale per il controllo degli armamenti e per la pace. Con il deposito della ratifica dell’Honduras si sono infatti raggiunte 50 adesioni al Trattato di Proibizione delle armi nucleari (TPNW) che così entrerà in vigore tra 90 giorni, il 22 gennaio 2021. Una tappa cruciale per la norma internazionale che ha l’obiettivo di mettere le armi nucleari fuori legge fortemente voluta dalla società civile internazionale a seguito di una forte “iniziativa umanitaria” (sostenuta da molti Paesi ed organizzazioni, tra cui la Croce Rossa Internazionale) e ottenuta con il voto alle Nazioni Unite del luglio 2017.

La Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica (membri italiani della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) si rallegrano e gioiscono per il risultato ottenuto anche grazie allo sforzo della società civile italiana e internazionale e si impegneranno fin da subito affinché il numero degli Stati aderenti al Trattato possa aumentare, a partire dall’Italia.

Ultimo aggiornamento 26 ottobre 2020
(fonte: Pax Christi)


Quando manca il coraggio
Tonio Dell'Olio

La firma dell'Honduras ha messo in moto il meccanismo per l'entrata in vigore del Trattato Onu (Tpnw) che proibisce ricerca, produzione, possesso, acquisizione, uso, minaccia… di ogni arma nucleare. Penso a quelle nove nazioni "armonucleariste" che spendono milioni e milioni per poter essere annoverati tra i padroni della paura e che non hanno firmato. Penso ai loro cittadini che di certo si rendono conto di come quei milioni - che sono loro proprietà - vengano sottratti ogni giorno a istruzione, ricerca, sanità, sostegno a chi no ce la fa. Penso al silenzio e all'ignoranza che circonda questa materia. Penso all'Italia che non ha firmato il Trattato senza nemmeno pronunciarsi ma semplicemente voltandosi dell'altra parte. Chissà se a spiegare questa situazione mondiale sia sufficiente l'esistenza di una potentissima lobby che ancora una volta specula sulla paura e si divide floridissimi utili. Ci sarà tra tutti questi (cittadini, governanti, lobbisti…) qualcuno a cui venga sottratto il sonno da un senso di colpa, uno scrupolo, un incubo che riguarda magari i propri figli? Possibile che di fronte a una questione macroscopica e tanto evidente si scelga di tacere, di continuare a scegliere la pianificazione della distruzione totale, a programmare la morte? Forse manca il coraggio del primo passo e ciascuno spia le mosse dell'altro. Non ci resta che fare il tifo per il coraggio.

venerdì 30 ottobre 2020

Papa Francesco all'AdnKronos: "Covid, corruzione, Benedetto..."


Papa Francesco all'AdnKronos:
"Covid, corruzione, Benedetto..."

di Gian Marco Chiocci


Un filo di voce accompagnato dal sorriso. "Buongiorno, benvenuto…". Il Santo Padre mi accoglie così nelle stanze vaticane dove ha acconsentito a rispondere agli interrogativi che tanto stanno scuotendo la Chiesa, preoccupando le porpore, angustiando i fedeli, dividendo gli addetti ai lavori che lo osannano o lo criticano a seconda della parrocchia d’appartenenza. Incontrare un Papa non è cosa di tutti giorni, regala emozioni rare, intense, fortissime anche se il padrone di casa fa di tutto per mettere l'ospite non solo a proprio agio ma – ed è davvero paradossale - sullo stesso piano. Parlare con Lui in una stanza spoglia, due sedie, un tavolo e un crocifisso, mentre fuori tracima l'apprensione per la pandemia, accresce quel desiderio di speranza e di fede difronte all'ignoto, fede che per alcuni starebbe venendo meno a causa degli scandali, degli sprechi, delle continue rivoluzioni di Francesco e financo del virus, e di questi temi il Papa parlerà nel colloquio con l’Adnkronos.

L'occasione è utile innanzitutto per mettere un punto e tirare la riga sull'annosa questione morale fra le mura al di là del Tevere che il Papa stesso non fatica a definire un "male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli", ma che ogni predecessore, chi più chi meno, ha cercato di debellare coi mezzi e le persone sulle quali in quel momento poteva contare. "Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione".

Certo, nella vita millenaria della Chiesa non si ricorda un Papa così, tanto coraggioso quanto incurante di inimicarsi la potente curia romana con il mondo affaristico che le scodinzola intorno: Francesco è deciso a fare piazza pulita di ecclesiastici propensi a mettere il denaro ("i primi padri lo chiamavano lo sterco del diavolo e pure San Francesco" dice) prima della Croce.

Coerente col suo dettame francescano il Vicario di Cristo fa quel che nessuno ha mai avuto la forza di fare per una Chiesa che sia davvero una casa di vetro, trasparente, com'era quella delle origini, votata agli ultimi, al popolo. In una Chiesa per i poveri, più missionaria, però – ed è questo il credo di Francesco - non c'è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l'abito talare.

"La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All'inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: "Qui dentro c'è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te". Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera". Già, Benedetto XVI. Una narrazione tradizionalista e conservatrice racconta di un papa emerito perennemente in guerra con quello regnante, e viceversa: dissidi, dissapori, spigolosità, diversità di vedute su tutto e tutti, trame sotterranee e pettegolezzi.

C'è del vero? Il Santo Padre si prende qualche secondo e poi sorride: "Benedetto per me è un padre e un fratello, per lettera gli scrivo "filialmente e fraternamente". Lo vado a trovare spesso lassù (con il dito indica la direzione del monastero Mater Ecclesiae proprio alle spalle di San Pietro, nda) e se recentemente lo vedo un po' meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole. Pensi che sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui".

Il Pontefice riannoda le fila del discorso partito da lontano, ripensa a quando arrivò al soglio di Pietro e di cosa pensava allora dei mali materiali della Chiesa, nulla rispetto a quel che poi ritroverà affondando le mani nella gestione opaca delle finanze vaticane, l'obolo di San Pietro, l'imprudenza di certi investimenti all'estero, l'attivismo poco caritatevole di pastori d'anime trasformatisi in lupi di rendite.

Bergoglio si rifà a Sant'Ambrogio, vescovo, teologo e santo romano, per sintetizzare la sua linea guida: "La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. A me colpisce il Vangelo quando il Signore chiede di scegliere: o segui Dio o segui il denaro. Lo ha detto Gesù, non è possibile andare dietro a entrambi".

Da Sant'Ambrogio il Papa passa alla nonna dispensatrice di buoni consigli: "Lei, che certo non era una teologa, a noi bambini diceva sempre che il diavolo entra dalle tasche. Aveva ragione". Come aveva ragione quella vecchina incontrata in una sterminata baraccopoli di Buenos Aires il giorno in cui morì Giovanni Paolo II: "Mi trovavo in un autobus – ricorda Francesco - stavo andando in una favela, quando venni raggiunto dalla notizia che stava facendo il giro del mondo. Durante la messa, chiesi di pregare per il papa defunto. Finita la celebrazione mi si avvicinò una donna poverissima, chiese informazioni su come si eleggeva il papa, le raccontai della fumata bianca, dei cardinali, del conclave. Al che lei mi interruppe e disse: senta Bergoglio, quando diventerà papa per prima cosa si ricordi di comprare un cagnolino. Le risposi che difficilmente lo sarei diventato, e se nel caso perché avrei dovuto prendere il cane. "Perché ogni volta che si troverà a mangiare – fu la sua risposta - ne dia un pezzettino prima a lui, se lui sta bene allora continui pure a mangiare".

Questo pensa la gente del Vaticano? Che la situazione è fuori controllo che può succedere di tutto? "Era ovviamente una esagerazione" taglia corto il Santo Padre. "Ma dava conto dell'idea che il popolo di Dio, i poveri fra i più poveri al mondo, aveva della Casa del Signore attraversata da ferite profonde, lotte intestine e malversazioni".

La lotta pubblica e senza sconti al malaffare vaticano di questi tempi regala l'immagine di un pontefice molto concreto, deciso, risoluto, un eroe solitario osannato dalle folle ma osteggiato da un nemico invisibile. Un Papa che appare solo nei palazzi del piccolo stato, ma che solo non è avendo dalla sua la quasi totalità degli osservanti e dei devoti. Francesco inarca le sopracciglia, allarga lentamente le braccia cercando al contempo lo sguardo del suo ospite. Sono secondi interminabili.

"Sarà quel che il Signore vuole che sia. Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c'è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura".

Sua Santità ammette di non sapere se vincerà o meno la battaglia. Ma con amorevole risolutezza si dice certo di una cosa: "So che devo farla, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista (sorride, ndr) però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio.

...

Sul toto-papa che impazza nei passaparola, Bergoglio la prende con ironia: "Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo. Recentemente, nello stesso giorno, mi sono sottoposto a degli esami medici di routine, i medici mi hanno detto che uno di questi si poteva fare ogni cinque anni oppure ogni anno, loro propendevano per il quinquennio io ho detto facciamolo anno per anno, non si sa mai (il sorriso stavolta si fa più generoso, nda)".

Papa Bergoglio ascolta con attenzione l'elenco delle critiche che gli sono state rivolte nel tempo, non fa trasparire insofferenza sulla sortita del cardinal Ruini ("criticare il Papa non significa essergli contro") sembra segnarsele a mente una per una le contestazioni, dalle unioni civili all'accordo con la Cina. Ci pensa su una decina di secondi e infine consegna un pensiero a tutto tondo: "Non direi il vero, e farei torto alla sua intelligenza se le dicessi che le critiche ti lasciano bene. A nessuno piacciono, specie quando sono schiaffi in faccia, quando fanno male se dette in malafede e con malignità. Con altrettanta convinzione però dico che le critiche possono essere costruttive, e allora io me le prendo tutte perché la critica porta a esaminarmi, a fare un esame di coscienza, a chiedermi se ho sbagliato, dove e perché ho sbagliato, se ho fatto bene, se ho fatto male, se potevo fare meglio. Il Papa le critiche le ascolta tutte dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui – continua Papa Francesco – sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all'interno della Chiesa. E' vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa".

Il tempo di elaborare la domanda successiva e il Santo Padre anticipa ancor di più la risposta: "Non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione. Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno".

Fatta salva la presunzione di innocenza per chiunque sia finito o finirà nel mirino della magistratura vaticana, è sotto gli occhi di tutti quanto di buono stia facendo Francesco camminando sul filo del dirupo dell'immoralità diffusa in settori precisi della Chiesa. Ci chiediamo, e con un po' di timidezza chiediamo al Santo Padre: ma il Papa ha paura? La replica stavolta è più ponderata. Il silenzio sembra non finire mai, sembra in attesa di trovare le parole giuste. Sembra. "E perché dovrei averne?" si domanda e ci domanda il Santo Padre. "Non temo conseguenze contro di me, non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po' di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l'istinto e lo Spirito Santo, mi guida l'amore del mio meraviglioso popolo che segue Gesù Cristo. E poi prego, prego tanto, tutti noi in questo momento difficile dobbiamo pregare tanto per quanto sta accadendo nel mondo".

Il coronavirus è tornato fra noi, si trascina dietro inquietudine, morti e paura. Il Sommo Pontefice si prende la parola e non la lascia più, e parla quasi tenendoti per mano, come non ti aspetteresti mai dal pastore in terra della chiesa universale. "Sono giorni di grande incertezza, prego tanto, sono tanto, tanto, tanto vicino a chi soffre, sono con la preghiera a chi aiuta le persone che soffrono per motivi di salute e non solo".

...

L'incontro termina qui, il commiato è semplice e commovente più del benvenuto. Diceva San Francesco che un solo raggio di sole è sufficiente a cancellare milioni di ombre. Nella stanza improvvisamente vuota la luce di speranza dell'unico papa che ha preso il nome dal fraticello d'Assisi resta incredibilmente accesa. E per un istante con l'oscurità del virus si spegne anche il buio del peccato dei consacrati del Signore.



Omelia p. Alberto Neglia (VIDEO) - XXX domenica del Tempo Ordinario (A) - 25/10/2020

Omelia p. Alberto Neglia

 XXX domenica del Tempo Ordinario (A) - 
25/10/2020


Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto



... A Dio sta a cuore ogni uomo, ogni volto umano di uomo e di donna perché siamo figli suoi. Gesù è preoccupato di riallacciare questo rapporto tra Dio e l'uomo amato da Dio e quindi al centro di tutto mette questa dignità dell'uomo che deve salvare, che deve essere comunque recuperato; questo è il grande desiderio di Dio come è il desiderio di un padre e di una madre...
Gesù ci invita a riconsiderare questa grande identità di essere figli amati da Dio e quindi di rapportarci con Lui non con paura... Dio non ci vuole punire, Dio ci vuole solo riaccogliere, abbracciare... perché diventiamo capaci di amare come Lui ci ha amato e ci ama continuamente...

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"L’esperienza dello sradicamento" di p. Felice Scalia, gesuita (VIDEO INTEGRALE)

"L’esperienza dello sradicamento" 
di p. Felice Scalia, 
gesuita
(VIDEO INTEGRALE)


Incontro del 21 ottobre 2020 
inserito nell'ambito dei 
"I Mercoledì di Spiritualità 2020" 
promossi dalla 
Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

 DIVENTEREMO MIGLIORI?  Post-covid 19 
“Per una nuova immaginazione del possibile” (Papa Francesco)




Nessuno ha ancora scritto la storia della tremenda esperienza del Covid-19 sulla specie umana. Né sappiamo – date le prospettive apocalittiche – se questa storia sarà mai scritta. Abbiamo chiacchierato tanto sul “The Day After” del disastro atomico, ma se la vita sulla Terra è tanto minacciata come si dimostra, non ci sarà un Day After del fenomeno coronavirus, perché non ci sarà semplicemente vita. Dico questo estremizzando il pericolo, tuttavia nella piena coscienza che prevenzione, vaccino e cure mediche, pur necessari, non bastano per ascoltare fattivamente e responsabilmente il segnale di allarme che ci è stato dato dalla pandemia. 

Sui fatti però, sui nudi fatti e sulla ripercussioni che quei fatti hanno avuto sull’umanità, possiamo dire qualcosa. Perché qualcosa ci ha semplicemente cambiati[1]. I mutamenti che abbiamo già subito sono enormi, e sono diventati essi stessi un “fatto” di cui non possiamo non tenere conto. Dà un’idea la parola “sradicamento”? Credo di sì e lo sa ogni bambino che ha perso una madre, un padre, che resta solo al mondo. Lo sa ciascuno di noi perché, in una manciata di mesi, ogni sicurezza è andata perduta. Quei valori che erano stati la stella polare del nostro umanesimo (cristiano e no), volatilizzati d’un tratto. Si pensi a conquiste come diritti umani, solidarietà, corresponsabilità, pietas, libertà… Impossibile oramai guardare la realtà con senso critico, perché semplicemente non conosciamo questa realtà. I potenti non dicono la verità su quanto accade, sulle sue cause, ma solo spezzoni confusi e incomprensibili per la massa dei non-iniziati. Non ci resta che affidarci alle opinioni degli influenzer di professione, pur mostrandosi più confusi di noi, meno affidabili di noi, a volte sconcertanti. 

Come vivere in mezzo a stordimento, sbalordimento e sradicamento? È possibile un nuovo “radicamento”? 

Di questo ci occupiamo questa sera. 

- Siamo passati dal “dovere” di vivere di paura alla inaffidabilità di quelle istituzioni che pure erano legittimate dal compito assunto di provvedere alla nostra sicurezza 

- Un ventaglio di reazioni umane al fenomeno inedito 

- Siamo sradicati, ma da cosa? Dalla radici dell’umano, da certa religiosità o perfino dalla stessa fede? 

- Infine una traccia per qualche conclusione

...


...  

E noi comuni mortali come abbiamo reagito?

Noi restammo sconcertati, basiti, senza parole, di fronte ad un “potere” che scoprimmo ignorante, cinico, testardo nel non volere ammettere che al Covid-19, tutto il sistema mondiale (quello del “pensiero unico” neoliberista globalizzato) aveva preparato una strada maestra per la capillare distruzione della vita[1].

Sulla bocca del Presidente di una grande Nazione sudamericana fiorì una bestemmia che fa il paio con la bushiana “guerra infinita”: “Compito del mio governo non è salvare vite umane ma l’economia”.

Possiamo dire che un beneficio il coronavirus lo ha portato all’umanità, oltre all’ovvio rimetterci coi piedi per terra e dirci che siamo “povere foglie frali” – come canta Leopardi[2]che non siamo onnipotenti. La pandemia ha svelato quei “segreti dei cuori”, che poi tanto segreti non erano: la governance mondiale non ha come scopo la vita da custodire e salvaguardare ma il trasferimento delle ricchezze del Pianeta nella mani dell’1% della popolazione mondiale. In vista di questo fine ben circoscritto, il Potere ha conoscenze scientifiche tecniche, militari a non finire. Ha armi di ogni tipo (convenzionali, nucleari, batteriologiche, chimiche…), ma non ha nessuna risposta alla richiesta di ogni nato di donna di avere diritto alla vita, sua e di ogni abitante del Pianeta.

Non è piacevole scoprirsi sradicati, appunto, senza radici, pedine di una infame partita a dama. Se prima si comprendeva che l’ordine sociale era assicurato dalla sottomissione al potere legittimo, ora ci si accorge che questo dogma è caduto, che “il re è nudo[3] ed è anche assassino.

Siamo oggi a questo punto. 

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Certo una comunità ecclesiale centrata sui riti e poi privata delle chiese, dei sacramenti, del “convenire”, se voleva conservare se stessa doveva preoccuparsi di sostituire i riti pubblici con riti privati, l’azione sacerdotale con l’azione laicale, l’ingresso in chiesa con la connessione internet. Ma non era il tempo di leggere “profeticamente” gli avvenimenti, di “giudicare la storia alla luce della Parola di Dio”, di “leggere i segni dei tempi”, di dire una parola chiara sulla deriva autoritaria, xenofoba e razzista di masse cristiane, di dare un parere di fede sulla globalizzazione neoliberista in atto che con la violenza delle armi ha imposto la creazione di un impero mondiale su popoli complici, succubi, o inermi? Non si doveva ricordare – come quasi in modo solitario ed abbastanza irriso anche nella chiesa andava facendo Papa Francesco – che esistevano altre pandemie (fame, malattie, guerre, migrazioni, analfabetismo, violenza urbana, assenza di speranza…) oltre quella del coronavirus? Non era il tempo di purificare tanta preghiera da concezioni errate di un Dio quasi autore del Covid-19 mandato da Lui per castigo, e mai sazio di centinaia di migliaia di morti, anzi oggi di oltre un milione di morti, prima di intervenire? Non era tempo di proclamare la necessità di un ritorno al Vangelo perché il mondo stava morendo per avere dimenticato l’annunzio che l’uomo è essenziale chiamata all’amore e non all’accumulo, alla vita e non all’industria della morte, a donarsi e non a chiudersi nel suo narcisismo, a vivere da figlio di Dio e non da figlio di lupi, a diventare umano e non a imbestialirsi nella crudeltà[1]?

Sì, era tempo per tutto questo, perché se qualcosa distingue un uomo di fede cristiana da ogni altro uomo è che nel suo cuore insorgono le “grida dello Spirito che urlano Abbà” con tutto quello che ciò significa, e con queste “urla” nasce la nostalgia, la necessità di trovare un senso, un appello ad aprire gli occhi e ad accorgersi di ciò che capita a fratelli meno fortunati, di denunziare l’ingiustizia, di spendersi perché il mondo sia più luminoso e sensato. Un cristiano “sa” che i gesti religiosi o animano una fede che inquieta, spinge all’oltre, al meglio, al di più di amore e umanità, oppure non nascono da una radice di fede cristiana. Come non è cristiana quella fede che difende il diritto dei pochi a vivere sacrificando i molti.

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Chiudiamo le Rsa, ma per sempre di Enzo Bianchi

Chiudiamo le Rsa, ma per sempre
di Enzo Bianchi

La Repubblica
Altrimenti - 26 ottobre 2020


In questi giorni di recrudescenza della pandemia non si può tacere un dramma vissuto da molti, benché sia il più possibile occultato.

Un dramma carico di dolore e sofferenza, di fronte al quale è nostra responsabilità reagire, per quanto possibile, in modo da contrastare il male che colpisce persone, famiglie e convivenze. Un dramma che non osservo dall'esterno ma nel quale mi sono trovato coinvolto in prima persona.

Una persona a me familiare, vedova e senza figli, verso gli ottant'anni è stata colpita da demenza senile.

Fino ad allora autonoma e piena di forze, seppur in una vita solitaria in casa, riusciva a vivere in pienezza relazioni con i vicini e i compaesani. Siccome nessuno poteva ospitarla, le si è provveduta una badante, ma la malattia, con manifestazioni anche violente, non permetteva questo tipo di assistenza. Così la si è dovuta per forza portare in una Rsa, dove però è peggiorata, sempre più estranea a questo mondo e, pur visitata da parenti, ha deciso di rifiutare il cibo fino a morire.

«Non si poteva far altro», abbiamo detto tutti, con l'esperienza di aver accettato nei decenni precedenti
questo cammino per molti dei nostri vecchi. Gli anziani sono ritenute persone che stanno per uscire dalla vita, e ad essi non solo non si riconosce più la saggezza dell'esperienza ma vengono considerati unicamente dal punto di vista demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla società a livello medico; quale impegno comporta la loro assistenza; quale costo rappresentano per la società.

Molti sono soli, abbandonati, senza nessuno che li cerchi o li riconosca, invisibili e quasi senza nome, visto che nessuno più li chiama. In quest'ora di pandemia vivono la clausura e, nonostante quanto si è vissuto in primavera e la previsione della seconda ondata, nulla è stato approntato affinché l'isolamento potesse essere alleviato da possibili visite, in strutture apposite che permettano, senza il pericolo del contagio, di incontrarsi, vedersi, sorridersi e parlarsi.

E così la solitudine imposta diventa desolazione e ben presto disperazione. Sono queste le parole che ascolto più spesso da quegli anziani che mi telefonano dalle Rsa per sentire una voce amica. Forse perché ho molto ascoltato il grande teologo e visionario Ivan Illich, mio amico, ho sempre diffidato della "istituzione della carità": non solo perché è una carità "presbite", che demanda ad altri di stare vicino a chi noi teniamo lontano, ma perché istituzionalizzare orfani, malati e anziani significa ritenerli scarti, fuori dal giro della vita.

Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanotrofi: cerchiamo di chiudere presto anche le Rsa! Contrastiamo la follia che ci conduce a una vecchiaia artificiale di solitudine e di non vita, impegnandoci a percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini protetti, comunità, domiciliarità.

Altrimenti succederà sempre più ciò che molti vecchi mi hanno confidato: chiedono di non venire più curati e di essere lasciati morire al più presto. Povera umanità!

Pubblicato su: La Repubblica


giovedì 29 ottobre 2020

La sorella di padre Hamel: «Il Dio che chiede di uccidere non esiste»

La sorella di padre Hamel:
«Il Dio che chiede di uccidere non esiste»


Roseline Hamel, la sorella del sacerdote sgozzato dai fondamentalisti islamici nel 2016, con un messaggio scritto insieme all’arcivescovo di Rouen interviene sul nuovo barbaro eccidio di oggi a Nizza: «Dio è amore e fonte dell’amore. Padre Jacques l’ha vissuto, insegnato, come tanti credenti di tutte le fedi. Noi ci crediamo, anche se oggi piangiamo»

Dalla Francia nuovamente scossa dalle vittime del fanatismo islamico nella cattedrale di Nizza rilanciamo questo messaggio diffuso oggi da Roseline Hamel, la sorella del sacerdote sgozzato in chiesa a Saint-Etienne-du-Rouvray il 26 luglio 2016 in un atto tremendamente simile alla barbarie di oggi. Parole importanti su come guardare alla luce della fede e della testimonianza di padre Jacques a quanto accaduto.

Riuniti questa mattina, il nostro cuore si volge alle famiglie delle vittime dell’attentato perpetrato nuovamente a Nizza. Non abbiamo parole ma vogliamo dire loro quanto pensiamo a loro e alla comunità della basilica di Notre Dame.

«Se Dio esiste, dovrebbe vergognarsi», stava scritto su un cartello in un omaggio a Samuel Paty (il professore assassinato a Conflans-Sainte-Honorine il 16 ottobre per aver mostrato in classe le vignette di Maometto pubblicate dal settimanale satirico Charlie Hebdo ndr). Il Dio che chiede di uccidere non esiste. È un’esca, peggio un idolo che incarna lo spirito del Male. E genera intolleranza, senza quel minimo di dubbio che costituisce l’umanità dell’uomo. Con l’aiuto dei non credenti, noi dobbiamo abbattere questo idolo.

Dio è amore e fonte dell’amore. Padre Jacques l’ha vissuto, insegnato, come tanti credenti di tutte le fedi. Dio esiste e ci dice ancora attraverso Gesù crocifisso: “Perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Ma poi Gesù è risorto. E allora preghiamo con tutto il nostro cuore per chi è tentato dalla violenza, dall’intolleranza, dall’onnipotenza. La giustizia, la pace, l’amore vinceranno. Noi ci crediamo, anche se oggi piangiamo.

Roseline Hamel, sorella di padre Jacques Hamel
Mons. Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen



«Gesù prega con noi. Mettiamo questo nella testa e nel cuore: Gesù prega con noi.» Papa Francesco Udienza Generale 28/10/2020 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 28 ottobre 2020


Papa Francesco arriva in anticipo in Aula Paolo VI per la consueta udienza del mercoledì. Non stringe mani e non passa nel corridoio centrale e inizia dicendo di rammaricarsi di non poter scendere a "salutare ognuno" come vorrebbe, ma in questo momento è necessario 
per evitare assembramenti... fa parte delle "precauzioni che dobbiamo avere davanti a questa 'signora' che si chiama Covid e che ci fa tanto male". 
Quindi passa a commentare subito i Vangeli di Marco e di Matteo nei brani che parlano del battesimo di Gesù nel fiume Giordano.

 




Catechesi sulla preghiera - 12. Gesù uomo di preghiera

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, in questa udienza, come abbiamo fatto nelle udienze precedenti, io rimarrò qui. A me piacerebbe tanto scendere, salutare ognuno, ma dobbiamo mantenere le distanze, perché se io scendo subito si fa un assembramento per salutare, e questo è contro le cure, le precauzioni che dobbiamo avere davanti a questa “signora” che si chiama Covid e che ci fa tanto male. Per questo, scusatemi se io non scendo a salutarvi: vi saluto da qui ma vi porto tutti nel cuore. E voi, portate nel cuore me e pregate per me. A distanza, si può pregare uno per l’altro; grazie della comprensione.

Nel nostro itinerario di catechesi sulla preghiera, dopo aver percorso l’Antico Testamento, arriviamo ora a Gesù. E Gesù pregava. L’esordio della sua missione pubblica avviene con il battesimo nel fiume Giordano. Gli Evangelisti concordano nell’attribuire importanza fondamentale a questo episodio. Narrano di come tutto il popolo si fosse raccolto in preghiera, e specificano come questo radunarsi avesse un chiaro carattere penitenziale (cfr Mc 1,5; Mt 3,8). Il popolo andava da Giovanni a farsi battezzare per il perdono dei peccati: c’è un carattere penitenziale, di conversione.

Il primo atto pubblico di Gesù è dunque la partecipazione a una preghiera corale del popolo, una preghiera del popolo che va a farsi battezzare, una preghiera penitenziale, dove tutti si riconoscevano peccatori. Per questo il Battista vorrebbe opporsi, e dice: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14). Il Battista capisce chi era Gesù. Ma Gesù insiste: il suo è un atto che obbedisce alla volontà del Padre (v. 15), un atto di solidarietà con la nostra condizione umana. Egli prega con i peccatori del popolo di Dio. Questo mettiamolo in testa: Gesù è il Giusto, non è peccatore. Ma Lui ha voluto scendere fino a noi, peccatori, e Lui prega con noi, e quando noi preghiamo Lui è con noi pregando; Lui è con noi perché è in cielo pregando per noi. Gesù sempre prega con il suo popolo, sempre prega con noi: sempre. Mai preghiamo da soli, sempre preghiamo con Gesù. Non rimane sulla sponda opposta del fiume - “Io sono giusto, voi peccatori” - per marcare la sua diversità e distanza dal popolo disobbediente, ma immerge i suoi piedi nelle stesse acque di purificazione. Si fa come un peccatore. E questa è la grandezza di Dio che inviò il suo Figlio che annientò se stesso e apparve come un peccatore.

Gesù non è un Dio lontano, e non può esserlo. L’incarnazione lo ha rivelato in modo compiuto e umanamente impensabile. Così, inaugurando la sua missione, Gesù si mette a capofila di un popolo di penitenti, come incaricandosi di aprire una breccia attraverso la quale tutti quanti noi, dopo di Lui, dobbiamo avere il coraggio di passare. Ma la strada, il cammino, è difficile; ma Lui va, aprendo il cammino. Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che questa è la novità della pienezza dei tempi. Dice: «La preghiera filiale, che il Padre aspettava dai suoi figli, è finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini» (n. 2599). Gesù prega con noi. Mettiamo questo nella testa e nel cuore: Gesù prega con noi.

In quel giorno, sulle sponde del fiume Giordano, c’è dunque tutta l’umanità, con i suoi aneliti inespressi di preghiera. C’è soprattutto il popolo dei peccatori: quelli che pensavano di non poter essere amati da Dio, quelli che non osavano andare al di là della soglia del tempio, quelli che non pregavano perché non se ne sentivano degni. Gesù è venuto per tutti, anche per loro, e comincia proprio unendosi a loro, capofila.

Soprattutto il Vangelo di Luca mette in evidenza il clima di preghiera in cui è avvenuto il battesimo di Gesù: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì» (3,21). Pregando, Gesù apre la porta dei cieli, e da quella breccia discende lo Spirito Santo. E dall’alto una voce proclama la verità stupenda: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 22). Questa semplice frase racchiude un immenso tesoro: ci fa intuire qualcosa del mistero di Gesù e del suo cuore sempre rivolto al Padre. Nel turbinio della vita e del mondo che arriverà a condannarlo, anche nelle esperienze più dure e tristi che dovrà sopportare, anche quando sperimenta di non avere un posto dove posare il capo (cfr Mt 8,20), anche quando attorno a Lui si scatenano l’odio e la persecuzione, Gesù non è mai senza il rifugio di una dimora: abita eternamente nel Padre.

Ecco la grandezza unica della preghiera di Gesù: lo Spirito Santo prende possesso della sua persona e la voce del Padre attesta che Lui è l’amato, il Figlio in cui Egli pienamente si rispecchia.

Questa preghiera di Gesù, che sulle sponde del fiume Giordano è totalmente personale – e così sarà per tutta la sua vita terrena –, nella Pentecoste diventerà per grazia la preghiera di tutti i battezzati in Cristo. Egli stesso ci ha ottenuto questo dono, e ci invita a pregare così come Lui pregava.

Per questo, se in una sera di orazione ci sentiamo fiacchi e vuoti, se ci sembra che la vita sia stata del tutto inutile, dobbiamo in quell’istante supplicare che la preghiera di Gesù diventi anche la nostra. “Io non posso pregare oggi, non so cosa fare: non me la sento, sono indegno, indegna”. In quel momento, occorre affidarsi a Lui perché preghi per noi. Lui in questo momento è davanti al Padre pregando per noi, è l’intercessore; fa vedere al Padre le piaghe, per noi. Abbiamo fiducia in questo! Se noi abbiamo fiducia, udremo allora una voce dal cielo, più forte di quella che sale dai bassifondi di noi stessi, e sentiremo questa voce bisbigliare parole di tenerezza: “Tu sei l’amato di Dio, tu sei figlio, tu sei la gioia del Padre dei cieli”. Proprio per noi, per ciascuno di noi echeggia la parola del Padre: anche se fossimo respinti da tutti, peccatori della peggior specie. Gesù non scese nelle acque del Giordano per se stesso, ma per tutti noi. Era tutto il popolo di Dio che si avvicinava al Giordano per pregare, per chiedere perdono, per fare quel battesimo di penitenza. E come dice quel teologo, si avvicinavano al Giordano “nuda l’anima e nudi i piedi”. Così è l’umiltà. Per pregare ci vuole umiltà. Ha aperto i cieli, come Mosè aveva aperto le acque del mar Rosso, perché tutti noi potessimo transitare dietro di Lui. Gesù ci ha regalato la sua stessa preghiera, che è il suo dialogo d’amore con il Padre. Ce lo ha donato come un seme della Trinità, che vuole attecchire nel nostro cuore. Accogliamolo! Accogliamo questo dono, il dono della preghiera. Sempre con Lui. E non sbaglieremo.

Guarda il video della catechesi


Saluti
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APPELLO

Mi unisco al dolore delle famiglie dei giovani studenti barbaramente uccisi sabato scorso a Kumba, in Camerun. Provo grande sconcerto per un atto tanto crudele e insensato, che ha strappato alla vita i piccoli innocenti mentre seguivano le lezioni a scuola. Che Dio illumini i cuori, perché gesti simili non siano mai più ripetuti e perché le martoriate regioni del Nord-Ovest e Sud-Ovest del Paese possano finalmente ritrovare la pace! Auspico che le armi tacciano e che possa essere garantita la sicurezza di tutti e il diritto di ciascun giovane all’educazione e al futuro. Esprimo alle famiglie, alla città di Kumba e a tutto il Camerun il mio affetto e invoco il conforto che solo Dio può dare.

* * *

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Oggi la Chiesa celebra la festa dei Santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo. Vi esorto a seguire il loro esempio nel mettere sempre Cristo al centro della vostra vita, per essere veri testimoni del suo Vangelo nella nostra società.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Auguro a ciascuno di crescere ogni giorno nella contemplazione della bontà e della tenerezza che irradia dalla persona del Cristo. Grazie.


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mercoledì 28 ottobre 2020

La sfida dell’enciclica “Fratelli tutti” di Giuseppe Savagnone

La sfida dell’enciclica “Fratelli tutti”
di Giuseppe Savagnone
 

La novità di «Fratelli tutti»

Probabilmente la novità dell’ultima enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, va cercata più nella sua forma che nei contenuti. Non perché questi ultimi siano irrilevanti , o almeno scontati, come qualche critico ha sostenuto, ma perché la loro carica – che non esiterei a definire “rivoluzionaria” – si sprigiona in tutta la sua forza dirompente precisamente a causa delle modalità nuove in cui viene comunicata.

La forma tradizionale delle encicliche

Finora per “enciclica” si è intesa una lettera pastorale del Papa ai vescovi della Chiesa cattolica e, attraverso di loro, a tutti i fedeli. Ancora nella Lumen fidei (2013) – la prima enciclica dell’attuale pontefice (dichiaratamente ispirata, però, a un testo già elaborato dal suo predecessore) – questa impostazione era stata mantenuta. Il documento si rivolgeva «ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, e a tutti i fedeli laici» e partiva dai testi della Rivelazione. Benedetto XVI, nella sua enciclica sociale Caritas in veritate (2009), aveva aggiunto, ai suddetti destinatari, anche «tutti gli uomini di buona volontà».

In ogni caso il punto di partenza era la fede che accomunava i membri della Chiesa. Perciò le encicliche normalmente si aprivano con una esposizione dei fondamenti biblici e magisteriali del messaggio che volevano comunicare, passando poi alle applicazioni ai problemi della comunità cristiana e della società.

La svolta della «Laudato si’»

Già con la Laudato si’ (2015) papa Francesco ha cambiato questo struttura tradizionale. L’enciclica sulla crisi ecologica si apre con un capitolo dedicato alla rassegna dei fenomeni negativi che contrassegnano il nostro rapporto con la terra. E ne spiega il motivo: «Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità» (n.17).

Perché la voce della Rivelazione?

Solo nel secondo capitolo, intitolato «Il vangelo della creazione» e aperto da una sezione dedicata a «La luce che la fede ci offre», entrano in gioco la Rivelazione e il suo insegnamento. E che questo non sia scontato lo evidenzia l’interrogativo con cui questa sezione si apre: «Perché inserire in questo documento, rivolto a tutte le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?» (n.62).

Il Vangelo come contributo alla riflessione umana

Due le risposte date a questa domanda. La prima, che «se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio» (n.63); la seconda, che «anche se questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cammini di liberazione, voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili (…). Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni» (n.64).

Dove è chiaro che il discorso deve parlare a tutti gli uomini, anche al di fuori della Chiesa, non prescindendo dalla prospettiva cristiana, ma tenendola presente come un «forma di saggezza», dunque nelle sue implicazioni umane; e ai credenti fornendo loro «motivazioni alte», legate alla fede, che dovrebbero renderli più direttamente protagonisti nella lotta per la salvaguardia del creato.



Il dialogo aperto di «Fratelli tutti»

Nella nuova enciclica di Francesco questa intenzione di parlare a tutti gli uomini e le donne del pianeta, e non solo ai cristiani è ancora più evidente. Il papa la dichiara, del resto, espressamente, all’inizio: «Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà» (n.6).

Il primato della trascendenza

Non è un caso che in Fratelli tutti il riferimento esplicito alla prospettiva religiosa e a quella più specificamente evangelica compaia solo nell’ottavo capitolo, l’ultimo. Dove Francesco sottolinea che «quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce se stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati» (n.274). Una rivendicazione del primato della trascendenza, comune a molte religioni, che ha il suo ulteriore sviluppo nella precisazione che per il cristiano la «sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo» (n.277).

È coerente con questa apertura alle altre religioni il reiterato richiamo al documento firmato ad Abu Dabi col Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Mentre, come lo stesso Francesco ricorda, ad ispirarlo nella redazione della Laudato si’ era stato il Patriarca ortodosso Bartolomeo – non cattolico, ma comunque cristiano, ora il punto di riferimento è il suo dialogo con un autorevole rappresentante dell’islam (cfr. n.5).

Un manifesto illuminista?

Non stupisce che l’enciclica sia apparsa, agli occhi di una parte del mondo cattolico che da tempo accusa l’attuale pontefice di eresia e di sincretismo, «il manifesto ideologico del bergoglismo». Lo ha scritto sul quotidiano «La Verità» (6 ottobre 2020) un noto intellettuale di destra, Marcello Veneziani, sostenendo che «la fratellanza a cui allude Papa Francesco è il terzo principio della Rivoluzione Francese, dopo liberté ed égalité» e che, con questa enciclica, l’ideologia di Bergoglio cerca un posto alla Chiesa postcristiana nella modernità laica in nome della fratellanza (…) inserendo la Chiesa dentro il mondo moderno, ateo e laicista, disceso dalla Rivoluzione francese e cercando ispirazione anche da altre religioni come l’Islam».

Una Chiesa che vuole uscire dal tempio

In realtà, se proviamo a decrittare questo messaggio, scopriamo che in fondo Veneziani coglie abbastanza bene l’intenzione fondamentale del papa: fare uscire la Chiesa e il suo annuncio del Vangelo dal ghetto in cui la cultura del mondo moderno li hanno da tempo relegati e puntare sui valori che questa stessa cultura ha accolto e celebrato, per mostrare le loro radici cristiane e denunciare l’incoerenza della società attuale rispetto ad essi.

Che questo diventi un’accusa lo si comprende alla luce della pressante e ricorrente richiesta, da parte di esponenti politici della destra, che i pastori della Chiesa “si facciano gli affari loro”, se ne restino, cioè, ben chiusi fra le mura dei loro templi a parlare di una fede senza il minimo riscontro nella vita reale degli uomini, a cominciare dagli stessi fedeli.

Una fede che pretende di parlare anche alla ragione umana

È interessante, però, che questa sia anche la pretesa di intellettuali di segno opposto, come Paolo Flores d’Arcais, il quale, in uno scritto di alcuni anni fa, sottolineava la necessità di combattere «l’idea, criticamente insostenibile, che abbia qualche fondamento la pretesa della “fides” di essere anche “ratio”, la pretesa del magistero della Chiesa, con le proprie dottrine morali, di essere anche la custode della natura umana in quanto ragione».

Perché, «se la “fides” di cui si tratta è (…) “follia per la ragione” (…), nessuna Chiesa potrà pretendere che questa sua “follia”, che pure chiederà ai suoi fedeli di praticare, diventi regola della civile convivenza». Invece, avvertiva Flores d’Arcais, «una religione che pretende di fare tutt’uno con la ragione, anzi di essere il compimento della ragione, inevitabilmente torna (…) alla richiesta di far valere erga omnes, credenti e non credenti (…) i propri precetti morali». Infatti, se si accettasse questa logica, «ogni norma in contrasto con la “legge naturale” di ragione, inglobata nella fede, sarebbe irragionevole e disumana, e nessuno può volere che la convivenza civile si autodistrugga con leggi positive disumane» («Micromega» 3/2007, pp.14-215).

La sfida di Francesco

Ora, è proprio questo che papa Francesco ha cercato di fare, già nella Laudato si’, più decisamente in Fratelli tutti: mostrare che la Chiesa ha qualcosa da dire al mondo contemporaneo, non in termini confessionali, ma per rispondere a un problema che sta davanti agli occhi di tutti, credenti e non credenti, evidenziando che la fraternità, centrale nel messaggio cristiano, è anche un valore umano e che un mondo che la misconosce – come il nostro – è disumano.

È una sfida. La parabola del buon Samaritano – a lungo analizzata nell’enciclica come modello di fraternità, ma che nel Vangelo è il racconto dell’umano fatto da Dio –, ci rassicura che a porre questa sfida non è solo l’ideologia di Bergoglio.