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mercoledì 31 marzo 2021

Omelia di p. Aurelio Antista (VIDEO) - 28.03.2021 - Domenica delle Palme (B)


Omelia di p. Aurelio Antista

Domenica delle Palme (B) -
28.03.2021

Fraternità Carmelitana 
di Barcellona Pozzo di Gotto


Abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore e abbiamo fatto alcuni momenti di silenzio. Il commento più proficuo all'ascolto di questa narrazione del Signore dovrebbe essere un silenzio prolungato per dare tempo e luogo a questa Parola proclamata di entrare nel cuore di ciascuno di noi perché diventi un seme che germogli e porti frutto, un frutto di risurrezione per la partecipazione emotiva e soprattutto spirituale, esistenziale a questo evento che ci è stato narrato. Eppure un piccolo e breve commento va fatto perché la liturgia lo prevede… 
Abbiamo ascoltato la Passione del Signore; a questa parola 'passione' noi diamo un immediato significato che è quello delle sofferenze, dei maltrattamenti, delle ingiurie a cui Gesù si è sottomesso con paziente attesa, con partecipazione silenziosa ed eloquente; eppure questa parola 'passione' ha anche un altro significato a cui tante volte non prestiamo attenzione e l'altro significato di questo termine è la passione d'amore di cui Gesù è animato, un amore appassionato quello che Gesù si porta dentro, che lo ha condotto e accompagnato in tutta la sua vita, in modo particolare nel suo ministero e che nella Passione Egli vivifica e la vive e la testimonia in un modo eloquente. Ed è proprio alla luce di questa passione d'amore (un amore senza misura, un amore che si fa dono, un amore a perdere quello che Gesù vive) proprio alla luce di questa chiave interpretativa dell'evento della Passione vogliamo brevemente cogliere alcuni elementi ...

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IL PROCESSO CONTRO LUCANO Testimoniano i preti di strada: «Capacità profetica del modello Riace»

IL PROCESSO CONTRO LUCANO

Testimoniano i preti di strada: 
«Capacità profetica del modello Riace»

Sul banco dei testimoni monsignor Giancarlo Bregantini e padre Alex Zanotelli, missionario comboniano per anni nelle periferie di Nairobi. «Lucano ha anticipato quello che il governo dovrebbe fare in materia di accoglienza e immigrazione», ha detto Zanotelli. Il dibattimento alla battute finali, e le prove si sgonfiano

LaPresse

«Ho letto l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti. Ecco, molte delle iniziative che ho visto realizzarsi a Riace, vanno proprio in quella direzione». Processo Lucano, sul banco dei testimoni monsignor Giancarlo Bregantini. Oggi vescovo di Campobasso, dal 1994 al 2008, vescovo della diocesi di Locri Gerace. Bregantini è un “prete di strada”, ha vissuto anni caldissimi in quella parte della Calabria.

Ha organizzato cooperative agricole di altissimo livello per disoccupati e persone in difficoltà, si è occupato dei migranti, ha lottato contro la ‘ndrangheta. I boss della zona non gradirono tanto attivismo e un giorno piazzarono un finto ordigno sotto il palco dove doveva parlare alla sua gente. «Sono stato presente al primo sbarco dei curdi», ricorda monsignor Bregantini. Era il 1 luglio del 1997, quando un veliero proveniente dalla Turchia si arenò sulla spiaggia di Riace con centinaia di profughi. Da quello sbarco iniziò tutto. «Tante volte ho accompagnato Lucano, ho sempre notato e apprezzato la positività del suo impegno, e anche una certa capacità profetica del modello Riace. La diocesi in quel periodo ha fornito aiuti e sostegno, ma la cosa che mi colpiva era il consenso che c’era attorno a Mimmo Lucano».

Il vescovo riannoda i ricordi, le lunghe discussioni, le emergenze continue con l’arrivo di centinaia di migranti sbarcati e portati a Riace. Dove non si badava solo all’accoglienza immediata. «Il verbo che mi piace – sottolinea Bregantini – è accompagnare». Costruire un percorso di vita per chi arriva dal mare. «Ho visitato le case, ho visto i migranti diventare energia vitale per il paese. Ricordo il laboratorio di tessitura, quando ho toccato con mano che l’antica arte calabrese veniva recuperata da uomini e donne dell’Etiopia e della Siria, allora ho capito che stava nascendo un qualcosa, un modello mondiale. Questa è l’iniziativa più importante del modello Riace».

Parole importanti quelle di Monsignor Bregantini, che toccano il cuore di un processo che ormai va avanti da più di un anno. Chi c’è sul banco degli imputati nell’aula di Locri, un sindaco e rappresentanti di cooperative che in questi anni si sono occupati di accoglienza, accusati a vario titolo di aver violato leggi, norme e regolamenti, oppure c’è altro? Un modello, una visione, uno sguardo “profetico” su come affrontare il grande tema delle migrazioni?

Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano per anni nelle periferie di Nairobi, è arrivato da Napoli per testimoniare. «Lucano ha anticipato quello che il governo dovrebbe fare in materia di accoglienza e immigrazione». L’inchiesta ha fatto saltare tutto. Anche i finanziamenti. «La prima volta sono stato a Riace nel 2004, ci sono tornato spesso. Come comboniani abbiamo tentato di dare una mano con donazioni e campi di lavoro. I migranti erano contenti di essere lì, Riace è stato un modello che dovrebbe essere adottato in tutta Italia. Ringrazio Lucano per le sue scelte, per quello che ha fatto. L’inchiesta, l’arresto, la sospensione dei finanziamenti, ecco, tutto ciò è stato un brutto colpo per Riace. Mimmo ha continuato ad andare avanti in maniera eroica, senza fondi pubblici, fidando sulla solidarietà di tanti. Riace deve continuare, il suo modello non può finire».

VERSO LA FINE DEL PROCESSO

Si avvia alla conclusione, la camera di consiglio per la sentenza è prevista per il 27 settembre, un processo che fino a questo momento ha visto sgretolarsi la parte fondamentale delle accuse. È crollato il supertestimone Ruga, un commerciante che aveva dichiarato di aver firmato fatture false e gonfiate sotto l’imposizione di Lucano.

Sono venute alla luce le contraddizioni delle decine di ispezioni fatte a Riace dalla prefettura e dal sistema Sprar. Anche sull’ultima, quella redatta dal viceprefetto Francesco Campolo. Una relazione “positiva”, che coglieva gli aspetti più dinamici dell’esperienza Riace, i laboratori, le borse lavoro, il turismo solidale. Quelle pagine furono giudicate una “favoletta” nei corridoi della prefettura di Reggio Calabria. La relazione venne tenuta chiusa nei cassetti per un anno, al punto che Lucano e i suoi avvocati furono costretti a rivolgersi alla procura della Repubblica. «Non toccava a me rilasciarne una copia, la competenza era del prefetto», dice in udienza il funzionario Campolo.

Elisabetta Madafferi, consulente della difesa e dirigente generale della Provincia di Reggio Calabria, ha offerto una serie di chiarimenti su punti essenziali dell’accusa. Non ci sono irregolarità o violazioni di legge sulla costituzione della cooperativa per la raccolta differenziata dei rifiuti (quella fatta con gli asinelli), sulle carte di identità senza la riscossione dei diritti di segreteria, e su quelle concesse a una migrante e a suo figlio nato in Italia da pochi mesi.

Volge al termine un processo nato da una inchiesta e da una serie di ispezioni governative, che sempre più acquistano il sapore amaro dell’intervento politico. Lo “scandalo” Riace esplode quattro anni fa, dopo le grandi inchieste siciliane sulle navi delle Ong nel Mediterraneo. Tutte finite in una enorme bolla di sapone. Ma con effetti devastanti sull’immagine e sul ruolo delle organizzazioni umanitarie. Furono mobilitati un comitato e una commissione del parlamento, i giornali scrissero fiumi di parole sui “taxi del mare”. Definizione fatta propria e sbandierata nei talk politici, sia da Matteo Salvini che dall’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Dopo le Ong toccava a Riace, al suo “modello” eversivo, che dimostrava la possibilità di politiche per l’accoglienza diverse, costruite sulla solidarietà e non sulla paura. L’inchiesta è costata il taglio dei finanziamenti pubblici, l’arresto di Lucano e il suo esilio. Un processo. Eppure nel corso dei mesi altri organismi si sono pronunciati, giudicando il quadro indiziario «inconsistente» (Tribunale del Riesame di Reggio Calabria), rilevando che sulla costituzione della cooperativa per la gestione della raccolta differenziata «non c’era stata azione fraudolenta» (Cassazione sulla revoca degli arresti domiciliari a Lucano), dando una lettura positiva del “modello Riace”, «encomiabile negli intenti e anche negli esiti del processo di integrazione» (Tar e Consiglio di Stato). Dopo decine di udienze, una marea di intercettazioni telefoniche e controlli bancari fatti sui conti di Mimmo Lucano e dei suoi familiari, nessuno è riuscito a dimostrare l’esistenza di un solo euro sottratto ai migranti, rubato.


martedì 30 marzo 2021

LITURGIA DOMESTICA - SABATO SANTO VEGLIA PASQUALE (B) - I TRE GIORNI PASQUALI Nella Pasqua del Signore rinasciamo come nuova umanità e come Popolo di Dio

LITURGIA DOMESTICA


I TRE GIORNI PASQUALI



Nella Pasqua del Signore
rinasciamo come nuova umanità
e come Popolo di Dio


SABATO SANTO
VEGLIA PASQUALE - B


Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
a cura di fr. Egidio Palumbo




Preparare in casa
l’“angolo della preghiera”
 

Con il Triduo Pasquale entriamo nel vertice della Grande Settimana, dove il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e il Sabato Santo con la Veglia della Notte di Pasqua e il Giorno di Pasqua, saremo coinvolti in quel grande “passaggio” o “salto di qualità” esistenziale (“Pasqua” significa sia “passaggio” che “salto-danza”) che ci rinnova interiormente e ci rende tutti Popolo di Dio, poiché a Pasqua nasce la Chiesa Popolo di Dio, a Pasqua rinasciamo come figli e fratelli e sorelle in Cristo Gesù, nostro Fratello e Signore.



   Anche nei giorni del Triduo Pasquale è importante perseverare nella preghiera in famiglia, facendo della preghiera un ascolto dialogico con Dio e con la sua Parola. Lo sappiamo: non esiste solo la chiesa parrocchiale o la chiesa santuario per pregare. Per i cristiani ognuno – a motivo del battesimo e della cresima – è sacerdote in Cristo e quindi chiamato a pregare per sé e per gli altri, e ogni famiglia cristiana è chiamata per vocazione ad essere chiesa domestica.

   Per cui ogni famiglia può approntare in casa l’“angolo della preghiera”, quello che i nostri fratelli cristiani della chiesa orientale chiamano “l’angolo della bellezza”.

    In un luogo della casa, su un tavolo o su un mobile o su una mensola si possono collocare una icona del Cristo, una lampada (da accendere per la preghiera), una Bibbia aperta e un fiore. Ecco l’angolo bello, l’angolo da cui, attraverso l’icona, lo sguardo di Dio veglia sulla famiglia. Non siamo noi a guardare l’icona, ma è l’icona a guardare noi e ad aprirci alla realtà del mondo di Dio.

 

Per il Triduo Pasquale nell’“angolo della preghiera”, alla Bibbia, il libro che contiene la Parola di Dio, e al cero che ci richiama il cero pasquale, simbolo di Cristo Luce del mondo, che illumina il cammino della nostra vita, si può aggiungere il Giovedì Santo un pane spezzato e un calice, il Venerdì Santo sul Crocifisso porre (all’altezza del capo di Gesù) una corona di alloro in segno di vittoria, il Sabato Santo una immagine di Maria, la madre di Gesù, che nel silenzio orante attese la Risurrezione del Figlio.



    In questo angolo la famiglia si riunisce per pregare in un’ora del giorno compatibile con i ritmi di lavoro.

     Si può pregare seguendo varie modalità:

    - Prima modalità. Leggere il brano del vangelo della liturgia del giorno, breve pausa di silenzio, poi recitare con calma il salmo responsoriale corrispondente e concludere con la preghiera del Padre Nostro, la preghiera dei figli di Dio e dei fratelli in Cristo Gesù (per le indicazioni del vangelo e del salmo del giorno utilizzare il calendarietto liturgico).

   - Seconda modalità. Per chi sa utilizzare il libro della Liturgia delle Ore, alle Lodi e ai Vespri invece della lettura breve, leggere il vangelo del giorno alle Lodi e la prima lettura del giorno ai Vespri.

   - Terza modalità. Si può utilizzare un libretto ben fatto, acquistabile nelle librerie che vendono oggetti religiosi. Si intitola “Amen. La Parola che salva” delle edizioni San Paolo, costa € 3,90 ed esce ogni mese.

   Di ogni mese contiene: la preghiera delle Lodi del mattino, le letture bibliche della celebrazione eucaristica dei giorni feriali e della domenica con una breve riflessione, la preghiera dei Vespri della sera, la preghiera di Compieta prima del riposo notturno e altre preghiere.

    Scrive papa Francesco in Amoris Laetitia al n. 318, dando altri suggerimenti per la preghiera:

   «Si possono trovare alcuni minuti al giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia».

   Sì, la preghiera in famiglia rafforza la nostra fede in Cristo Gesù e rende saldo il vincolo d’amore tra marito e moglie, tra i genitori e i figli, tra la famiglia e il territorio in cui abita e il mondo intero.

    In questa proposta di Liturgia Domestica seguiamo la prima modalità.



SABATO SANTO

Con Maria in attesa

della Risurrezione del Signore



I. Apertura della Liturgia domestica

Solista: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti: Amen.

(Accensione del cero)


«Ecco il silenzio riempire il cielo
da quando il sangue cessò di fluire;
ora anche il figlio, pur vivo, taceva,
la madre invece da sempre taceva. […]

Quando su tutto si infranse il suo urlo,
ecco si infranse il velo del tempio
da cima a fondo, la terra fu scossa:
mai si è udito un simile urlo. […]

E tutto dentro la notte avveniva,
la grande notte discesa nel giorno:
è sempre notte l’assenza di Dio,
la nostra notte che ancora ci avvolge!

Finita, madre, anche tu nella notte?
Ma tu credevi per tutti da sola:
invece noi non abbiamo mai scampo,
sempre a scegliere o fede o paura.

Ti giunga almeno fra tanta rovina
il grido raro di quanti confessano
che il vero figlio di Dio era lui,
e che ogni vittima è sempre tuo figlio.
               (Davide M. Turoldo)



 

II. Con Maria nel silenzio orante del Sabato Santo
1. Il Sabato Santo – terzo giorno del Triduo Pasquale – è considerato giorno “aliturgico”, poiché non si celebra né la Liturgia della Parola, né la celebrazione dell’Eucaristia. In realtà, in questo giorno si prega con la Liturgia delle Ore, che è la preghiera della Chiesa. Si prega in un clima di silenzio contemplativo in attesa della Risurrezione del Signore e della nostra Risurrezione. Perciò il giorno del Sabato Santo è il giorno dell’Attesa e della Speranza.

2. Nella tradizione cristiana c’è chi ha voluto conferire a questo giorno di preghiera, di silenzio, di attesa e di speranza una tonalità mariana. Si tratta di vivere il Sabato Santo con Maria, nostra Madre e Sorella, in attesa della Risurrezione del Signore, così come con Maria, la vigilia della Pentecoste (cf. At 1,14), si vive l’attesa del dono dello Spirito Santo.

    I vangeli non ci testimoniano la presenza di Maria al sepolcro di Gesù. Il vangelo di Giovanni, come abbiamo ascoltato ieri nella narrazione della Passione, è il solo che ci testimonia la presenza di Maria accanto alla Croce, assieme al discepolo amato (cf. Gv 19,25-27).

    Quella di Maria accanto alla Croce nel Venerdì Santo – evento pasquale del Signore – è una presenza significativa. Qui ella sta in piedi, con fede salda, accanto a colui che è stato ingiustamente crocifisso. Senza banalizzare il dramma e il dolore, ella, l’Addolorata, sta in piedi come Madre e come Discepola, vivendo il dramma, con maturità umana e fede salda, facendosi partecipe del mistero della passione del Figlio, che è rivelazione dell’amore appassionato di Dio per l’umanità.

     Accanto alla Croce c’è anche il “discepolo che Gesù amava”, figura tipico-rappresentativa di tutti i discepoli amati da Gesù e dal Padre suo, perché che vivono in conformità alla parola del vangelo (cf. Gv 14.21) e seguono Gesù sulla vita della Croce (cf. Lc 9,23).

     Dall’alto della Croce, Gesù consegna alla madre il discepolo amato, come Madre spirituale di tutti i credenti. Ella, chiamata «Donna», è costituita, per volontà di Gesù, Madre della Chiesa, con la missione di radunare nell’unità in Cristo i figli dispersi (cf. Gv 10,16; 12,32) e diventare per loro un modello esemplare di vita cristiana, com’è compito di ogni padre e madre spirituale (cf. 1Cor 4,15-16; 1Ts 2,7-8). Inoltre, Gesù consegna al discepolo amato la madre, che l’accoglie «con sé», nella sua casa e nella sua esistenza umana e cristiana, come un tesoro prezioso da custodire, come il valore di una testimonianza di fede da interiorizzare.

3. Se Maria sta nell’Ora della Croce, nel Venerdì Santo, certamente sta – anche se non fisicamente – nell’Ora della Sepoltura del Signore, nel Sabato Santo.



       Vivere il Sabato Santo con Maria, vuol dire viverlo alla luce della sua fede salda. È come se in questo giorno tutta fede della Chiesa si raccoglie in Maria. Mentre i discepoli sono fuggiti e vivono nella tristezza, nello smarrimento e nell’incertezza del futuro (cf. Lc 24,17.19-21), è Maria che mantiene salda e viva la fede e la speranza nella Risurrezione di Gesù, conservando e meditando nel suo cuore gli eventi del Figlio e la sua parola che preannunciava (cf. Lc 9,22 e par.) il suo patire, la sua morte e la sua risurrezione al “terzo giorno” (il “giorno della salvezza”: cf. Os 6,1-2).

III. Contempliamo l’icona della Discesa agli Inferi
1. Qual è il significato peculiare del Sabato Santo? Normalmente ci sfugge, perché di solito questo giorno, vigilia di Pasqua, è dedicato alla preparazione frenetica della Veglia Pasquale della Notte e alla spesa al supermercato... Quest’anno la quarantena forzata può diventare per noi cristiani – se lo vogliamo – l’occasione per riflettere e vivere il tempo della preghiera, dell’attesa e della speranza del Sabato Santo, in vista della liturgia domestica della Veglia Pasquale della sera (la proposta è più avanti).

    Il Sabato Santo, allora, è il giorno in cui Cristo si riposa nella terra, come il chicco di grano seminato nel terreno in attesa di germogliare (cf. Gv 12,24); ma è anche il giorno in cui egli discende agli inferi, ovvero negli abissi più profondi della terra, prende per mano, lui il giusto, tutti coloro che sono in attesa della salvezza e tutti gli ingiusti che sono prigionieri nelle tenebre del non-senso, li fa risalire e li riconduce a Dio Padre. È quanto leggiamo nella seconda Lettera di Pietro 3,18-19. È questa una verità di fede che viene affermata anche nel Credo: «… fu crocifisso, morì e fu sepolto: discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte».

     Contempliamo, allora, l’icona della Discesa agli Inferi.

2. Le pagine del NT non ci informano sul modo con cui Gesù è risorto; gli evangelisti, l’apostolo Paolo e gli altri apostoli non sono attratti da questo tipo di interesse o di curiosità. Al riguardo essi attestano soltanto che «questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,32-33); «voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l’autore della vita. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni» (At 3,14-15); «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitato il terzo giorno. Ed esse [le donne mirofore] si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,5-8; cfr. 24,26-28.44-48); «Vi ho trasmesso, dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5).

     L’interesse prevalente degli autori del NT riguarda gli effetti della risurrezione del Signore sulla vita dei credenti, ovvero: perdono, riconciliazione, pace, comunione ecclesiale e fraterna, rinnovamento spirituale, capacità di testimoniare e di evangelizzare, trasmissione di doni e carismi per l’edificazione della chiesa... (cf. Mt 28,16-20; Mc 16,15-20; Lc 24,13-49; Gv 20,1-22,23; At 3,6-8.13-16; 1Ts 1,9-10; 1Cor 15,6-53; Ef 4,7-10; Eb 2,16-18; 1Pt 3,18-19).

     Tra le pagine del NT riguardanti la Risurrezione del Signore, l’iconografo ha scelto di “trascrivere” quella di 1Pt 3,18-19, letta, meditata e pregata con Ef 4,7-10; Eb 2,16-18 e con le pagine evangeliche dove Gesù “prende per mano” e “rialza” gli infermi (cfr. Mc 1,31; 5,41; anche At 3,6-8). In riferimento a 1Pt 3,18-19, l’icona oltre alla denominazione di “icona della Risurrezione” porta anche quella di “Discesa agli inferi”. Ascoltiamo quanto scrive Pietro nella sua lettera: «Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1Pt 3,18-19).

    Di “discesa agli inferi” parla la tradizione patristica e lo attesta per tutta la Chiesa il Simbolo Apostolico: «... patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò dai morti...».

      Infine, la Liturgia bizantina del Santo e Grande Sabato così canta:


«Quando discendesti nella morte, o vita immortale, allora mettesti a morte l’ade con la folgore della tua divinità; e quando risuscitasti i morti dalle regioni sotterranee, tutte le schiere delle regioni celesti gridavano: o Cristo datore di vita, Dio nostro, gloria a te»;

«In alto in trono e in basso nella tomba, tale ti contemplarono, o mio Signore, gli esseri ipercosmici e quelli sotterranei, sconvolti dalla tua morte: poiché tu, oltre ogni comprensione, ti mostravi morto e suprema origine di vita [...] Per riempire della tua gloria tutte le cose, sei disceso nelle profondità della terra; a te infatti non era nascosta la mia persona in Adamo: sepolto e corrotto tu mi rinnovi, o amico degli uomini»;

«Quando tu vincesti col vigore del più forte, allora la tua anima si divise dalla carne: entrambe infatti spezzano le catene della morte e dell’ade, virtù del tuo potere, o Verbo»;

«Nel santo e grande sabato festeggiamo la sepoltura del corpo divino e la discesa all’ade del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, per le quali la nostra stirpe è stata richiamata dalla corruzione e trasferita alla vita eterna».

«È stato distrutto il tempio immacolato, ma risuscita con sé la tenda caduta: il secondo Adamo, infatti, che dimora nel più alto dei cieli, è disceso verso il primo, fino alle stanze segrete dell’ade»; «Tu che di tua mano hai plasmato Adamo dalla terra, per lui hai assunto natura d’uomo, e per tuo volere sei stato crocifisso. / Sulla terra sei disceso per salvare Adamo, e non avendolo trovato sulla terra, o Sovrano, sino all’ade sei disceso per cercarlo. / Apparso nella carne come nuovo Adamo, o Salvatore, con la tua morte riporti alla vita Adamo, un tempo per invidia messo a morte». 



3. Dalla tradizione biblica, patristica, liturgica e dogmatica, l’iconografo raccoglie, medita e prega i temi teologico-esistenziali fondamentali che “trascrive” sull’icona.

Infatti, al centro pone la figura del Risorto con le vesti bianco-oro lucente, in movimento discendente (si osservi il movimento ondeggiante delle vesti) verso gli inferi o l’ade, simbolo della morte, non solo fisica, ma, molto di più, esistenziale, cioè simbolo del “nulla”, del non-senso della vita. Ai piedi del Risorto si trova la caverna nera degli inferi, le porte, scardinate, e messe l’una sull’altra a forma di croce, le sbarre, i chiodi, i pungiglioni, i chiavistelli e i catenacci rotti, smontati e dispersi un po’ dappertutto («Ringrazino il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini; perché ha infranto le porte di bronzo e ha spezzato le sbarre di ferro»: Sal 107,15-16; cf. Is 45,2).





     Vincitore sulla morte (cf. 1Cor 15,54-57), il Risorto prende per mano Adamo, cioè l’Umanità, e lo rialza, gli ridona il senso autentico della vita (cfr. Mt 14,31); così farà per Eva, la madre dei viventi, che si trova alla sua sinistra (cf. Mc 1,31). Con Adamo, attendono la risurrezione tutti i giusti: il re Davide, il re Salomone, il precursore e amico dello Sposo Giovanni Battista, il profeta Daniele. Con Eva, attendono Mosè con le tavole della Torah, Isaia e altri profeti.

     Altre icone collocano nel basso, da un lato una schiera di santi vestiti di bianco, dall’altro le guardie del sepolcro tramortite.

     Nella mano sinistra il Signore risorto porta con sé un rotolo: per alcuni indica il documento del nostro peccato, per altri l’evangelo della salvezza che annunzia ai “prigionieri” (cf. Ef 4,19), per altri ancora il documento del “prezzo” del nostro riscatto, ovvero il perdono gratuito e incondizionato (cf. Rm 3,24; 1Cor 6,20; 7,23). In altre icone il Risorto nella mano sinistra porta con sé la croce: forse una maniera diversa per comunicare la stessa verità salvifica.

     Alle spalle del Risorto ritroviamo il diagramma a cerchio, e a volte a “mandorla” – già visto nell’icona della Trasfigurazione –, formato da cerchi concentrici, che rappresentano le sfere dei cieli, l’ultimo cerchio, il più oscuro, indica la presenza di Dio dalla quale escono i raggi dorati della luce divina.

     Sullo sfondo la luce dorata che illumina le rocce “scosse” e “aperte” (cf. Mt 27,51), sempre disegnate secondo la “prospettiva inversa”.
 
      Dunque, l’icona della Risurrezione o della Discesa agli inferi, ci aiuta a contemplare il valore salvifico del perdono gratuito del Signore che anticipa la nostra conversione e nel quale risiede l’unica ragion d’essere che la motiva (cf. Rm 3,24; 5,6-11; 1Gv 4,9-10). Come afferma Melitone di Sardi:

«Dio prese le vesti di uomo e soffrì come il sofferente, fu legato come il vinto, fu giudicato come il condannato; risuscitò dai morti e grida ora queste parole: Chi vuol parlare contro di me, venga avanti! Io ho salvato il condannato, ho ridato vita al morto, ho risuscitato il sepolto. Chi mi contrasta? Io, dice il Cristo, ho abolito la morte, ho vinto il nemico, ho calpestato l’inferno, ho legato il forte, ho rapito l’uomo nel più alto dei cieli. Venite, dunque voi popoli tutti, che siete invischiati del male, riceverete il perdono dei vostri peccati. Io sono il vostro perdono, la pasqua della vostra salvezza, l’agnello sgozzato per voi, la vostra acqua lustrale, la vostra luce, il vostro salvatore, la vostra risurrezione; il sono il vostro re».



      Inoltre, l’icona ci aiuta a contemplare il valore pasquale intrinseco della morte del Signore: con la sua morte egli ha sconfitto la nostra morte. La scelta solidale di una vita donata gratuitamente per l’altro, e che di propria iniziativa e per amore si abbassa fino a raggiungere l’abisso del non-senso in cui l’altro si è imprigionato, questa scelta “debole” si manifesta vincente su tutte le altre scelte “forti” che vanno nella direzione opposta, ovvero, scelte che tutto trattengono per sé, tutto pretendono di possedere e dominare, che amano “amarsi solo per sé” e odiano gli altri, in particolar modo i più deboli e i più impoveriti, considerandoli come gli scarti della storia…

      La vita cristiana è testimone di persone spiritualmente sensibili che sono diventati simili al Signore discendendo “negli inferi della storia”: come, ad esempio, Teresa di Lisieux, per stare alla “mensa dei peccatori” e vivere con loro quella solidarietà che si fa piccolo gesto di amore e di salvezza per l’altro; o come Silvano del Monte Atos, per imparare umilmente a portare dentro di sé Dio e l’umanità intera. Essi stanno agli inferi affinché l’inferno della storia sia svuotato e tutti abbiano un motivo per sperare nella vita.

Silenzio di adorazione per alcuni minuti

IV. Verso la Risurrezione del Signore: Vangelo secondo Marco 16,1-8.
     È il Vangelo che ascolteremo nella Veglia Pasquale, dove le donne ricevono per prime dall’angelo – da Dio – il mandato di annunciare agli apostoli la Risurrezione del Signore, e per questo sono state chiamate “Apostole degli Apostoli”. La reazione delle donne è caratterizzata dal timore, cioè dalla consapevolezza di essere state coinvolte nella rivelazione stessa di Dio che mostra loro la potenza salvifica della Risurrezione all’interno della vicenda umana.

    Con la Domenica di Pasqua si apre il Tempo Pasquale di cinquanta giorni fino alla solennità della Pentecoste: sono giorni dedicati alla mistagogia, vale a dire a far riflettere sull’evento pasquale celebrato e le sue implicanzioni per il nostro stile di vita, per il nostro modo di essere e di agire.

       Leggiamo ora attentamente e con calma Marco 16,1-8.

 

1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?».

4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.



Dopo quel sabato, al farsi dell’alba,
lungo la strada chiedevan le donne:
«Chi mai potrà rovesciare la pietra?»,
e dentro il cuore ancora la notte.

Ancora notte, per tutti i discepoli,
tristi, smarriti, inghiottiti dal buio:
tranne la Madre che stava in silenzio,
non uno di essi gli aveva creduto.

È ancora notte per tutta la terra?
Senza il Risorto è Notte dovunque,
sono una favola pur le Scritture,
non ha un futuro la storia dell’uomo.

           (Davide Turoldo)

 




      Vorrei parlarvi a lungo di tombe vuote, come grembi vuoti dopo il parto. Di macigni che rotolano dall'imboccature dei sepolcri, liberandone la preda. Di pianti accesi di donne che cercano tra i morti il vivente.

     Vorrei parlarvi a lungo di primavere che irrompono e di segni di tempi interiori o di stagioni spirituali fiorenti sotto l'urto della grazia. Di albe incantate che mutano il lamento degli uomini.

      Vorrei parlarvi a lungo di Lui, risorto con le stigmate del dolore. Di schiavitù sconfitte. Di catene rotte. Di abissi inebrianti di libertà.

        Ma come tradurrò in termini nuovi l'annuncio di liberazione, io successore degli apostoli? Ecco, forse solo con una preghiera.

Aiutaci, Signore,
a portare avanti nel mondo e dentro di noi
la tua Risurrezione.
Dacci la forza di frantumare tutte le tombe
in cui la prepotenza, l'ingiustizia, la ricchezza, l'egoismo,
il peccato, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza
hanno murato gli uomini vivi.
E mettici una grande speranza nel cuore.
       (Don Tonino Bello)

Breve pausa di silenzio


Solista: Come popolo di Dio, chiamato ad essere testimone della forza creativa della Risurrezione del Signore, diciamo insieme:

Tutti: Padre nostro che sei nei cieli, 
sia santificato il tuo nome.
venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà
come in cielo, così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male. Amen.


- Concludere con la Preghiera:
Tutti: Signore Risorto, fa’ che diventiamo noi stessi la tua novità nel mondo, il lieto annuncio che tu sei veramente risorto, e risorti anche noi con te, testimoni della speranza che non muore. Te lo chiediamo perché tu sei nostro Fratello e Signore, vivente nei secoli dei secoli. AMEN.

Solista: Benediciamo il Signore.

Tutti: Rendiamo grazie a Dio.



V. Proposta di preghiera per il pranzo

Tutti: Sii benedetto, Signore Dio nostro,
che ci colmi dei tuoi beni
nel tuo Figlio Gesù, Luce del mondo.
Donaci un’anima di poveri,
per partecipare a questo pasto con cuore grato,
nella serena attesa della risurrezione
di Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
       (da Preghiere per una tavola fraterna)


Per il giorno di Pasqua

Tutti: Sii benedetto, Signore Dio nostro,
per Gesù tuo Figlio risorto dai morti.
Per confermare la fede dei discepoli,
mangiò con loro dopo la sua risurrezione.
Concedi anche a noi la conoscenza della verità,
affinché, partecipi della stessa gioia,
prendiamo questo pasto con riconoscenza.
Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
    (da Preghiere per una tavola fraterna)

LITURGIA DOMESTICA - VENERDI' SANTO - I TRE GIORNI PASQUALI Nella Pasqua del Signore rinasciamo come nuova umanità e come Popolo di Dio

LITURGIA DOMESTICA


I TRE GIORNI PASQUALI


Nella Pasqua del Signore
rinasciamo come nuova umanità
e come Popolo di Dio

VENERDI' SANTO


Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
a cura di fr. Egidio Palumbo




Preparare in casa
l’“angolo della preghiera”

 

Con il Triduo Pasquale entriamo nel vertice della Grande Settimana, dove il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e il Sabato Santo con la Veglia della Notte di Pasqua e il Giorno di Pasqua, saremo coinvolti in quel grande “passaggio” o “salto di qualità” esistenziale (“Pasqua” significa sia “passaggio” che “salto-danza”) che ci rinnova interiormente e ci rende tutti Popolo di Dio, poiché a Pasqua nasce la Chiesa Popolo di Dio, a Pasqua rinasciamo come figli e fratelli e sorelle in Cristo Gesù, nostro Fratello e Signore.



   Anche nei giorni del Triduo Pasquale è importante perseverare nella preghiera in famiglia, facendo della preghiera un ascolto dialogico con Dio e con la sua Parola. Lo sappiamo: non esiste solo la chiesa parrocchiale o la chiesa santuario per pregare. Per i cristiani ognuno – a motivo del battesimo e della cresima – è sacerdote in Cristo e quindi chiamato a pregare per sé e per gli altri, e ogni famiglia cristiana è chiamata per vocazione ad essere chiesa domestica.

  Per cui ogni famiglia può approntare in casa l’“angolo della preghiera”, quello che i nostri fratelli cristiani della chiesa orientale chiamano “l’angolo della bellezza”.

   In un luogo della casa, su un tavolo o su un mobile o su una mensola si possono collocare una icona del Cristo, una lampada (da accendere per la preghiera), una Bibbia aperta e un fiore. Ecco l’angolo bello, l’angolo da cui, attraverso l’icona, lo sguardo di Dio veglia sulla famiglia. Non siamo noi a guardare l’icona, ma è l’icona a guardare noi e ad aprirci alla realtà del mondo di Dio.

 

Per il Triduo Pasquale nell’“angolo della preghiera”, alla Bibbia, il libro che contiene la Parola di Dio, e al cero che ci richiama il cero pasquale, simbolo di Cristo Luce del mondo, che illumina il cammino della nostra vita, si può aggiungere il Giovedì Santo un pane spezzato e un calice, il Venerdì Santo sul Crocifisso porre (all’altezza del capo di Gesù) una corona di alloro in segno di vittoria, il Sabato Santo una immagine di Maria, la madre di Gesù, che nel silenzio orante attese la Risurrezione del Figlio.



    In questo angolo la famiglia si riunisce per pregare in un’ora del giorno compatibile con i ritmi di lavoro.

Si può pregare seguendo varie modalità:

- Prima modalità. Leggere il brano del vangelo della liturgia del giorno, breve pausa di silenzio, poi recitare con calma il salmo responsoriale corrispondente e concludere con la preghiera del Padre Nostro, la preghiera dei figli di Dio e dei fratelli in Cristo Gesù (per le indicazioni del vangelo e del salmo del giorno utilizzare il calendarietto liturgico).

- Seconda modalità. Per chi sa utilizzare il libro della Liturgia delle Ore, alle Lodi e ai Vespri invece della lettura breve, leggere il vangelo del giorno alle Lodi e la prima lettura del giorno ai Vespri.

- Terza modalità. Si può utilizzare un libretto ben fatto, acquistabile nelle librerie che vendono oggetti religiosi. Si intitola “Amen. La Parola che salva” delle edizioni San Paolo, costa € 3,90 ed esce ogni mese.

Di ogni mese contiene: la preghiera delle Lodi del mattino, le letture bibliche della celebrazione eucaristica dei giorni feriali e della domenica con una breve riflessione, la preghiera dei Vespri della sera, la preghiera di Compieta prima del riposo notturno e altre preghiere.

Scrive papa Francesco in Amoris Laetitia al n. 318, dando altri suggerimenti per la preghiera:

«Si possono trovare alcuni minuti al giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia».

Sì, la preghiera in famiglia rafforza la nostra fede in Cristo Gesù e rende saldo il vincolo d’amore tra marito e moglie, tra i genitori e i figli, tra la famiglia e il territorio in cui abita e il mondo intero.

In questa proposta di Liturgia Domestica seguiamo la prima modalità.



Venerdì Santo


Attirati dal Padre

che nel suo Figlio si dona all’umanità





I. Apertura della Liturgia domestica

Solista: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti: Amen.


(Accensione del cero)



Tutti:

Ecco il vessillo della croce,
mistero di morte e di gloria:
l'artefice di tutto il creato
è appeso ad un patibolo.

Un colpo di lancia trafigge
il cuore del Figlio di Dio:
sgorga acqua e sangue, un torrente
che lava i peccati del mondo.

O albero fecondo e glorioso,
ornato d'un manto regale,
talamo, trono ed altare
al corpo di Cristo Signore.

O croce beata che apristi
le braccia a Gesù redentore,
bilancia del grande riscatto
che tolse la preda all'inferno.

Ave, o croce, unica speranza,
in questo tempo di passione,
accresci ai fedeli la grazia,
ottieni alle genti la pace. Amen.
                (dalla Liturgia)


II. Ascolto orante del vangelo di Giovanni 19,25-37.

     Facciamo una breve pausa di silenzio, e poi chiediamo allo Spirito Santo che ci apra alla comprensione di questi scritti che contengono la Parola di Dio per noi oggi.

Tutti: Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

Leggiamo attentamente e con calma Giovanni 19,25-37.

 

25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. 28Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.

30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo,

consegnò lo spirito.

31Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. 32Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui.

33Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

35Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.



Breve pausa di silenzio


Ai nostri peccati non guardare, Signore,
siamo tutti ugualmente colpevoli:
per l’umanità di tuo Figlio perdonaci.

Sappiamo che la tua passione, Gesù,
deve compiersi in noi, nella chiesa tuo corpo,
ma non sempre abbiamo la forza, Signore.
Sappiamo che è legge all’innocente soffrire
e piangere come se non fosse pianto
e sperare anche contro speranza.

Uno è infermo e non riesce a guarire,
uno è tradito e non sa perdonare,
uno è perseguitato e non sa accettare.

Fanciulli a milioni muoiono di fame,
donne e madri a milioni piangono
i loro figli e fratelli in guerre assurde.

Terremoti e pestilenze e alluvioni
ci colpiscono ad ogni stagione
e uscire di case è come andare alla guerra.

Il denaro vale più del sangue fraterno,
i beni contesi come fossimo nemici
e il potente vuole sempre maggiore potenza.

Il negro non è neppure un uomo;
i figli in rivolta sempre numerosi;
continenti interi rifiutano ogni fede.

E la chiesa tentata come te nel deserto,
la chiesa segnata come te dalle piaghe,
questa tua chiesa come te non creduta.

Signore, insegnaci ad essere beati nel pianto,
aiutaci a essere miti e liberi,
donaci un cuore puto e pacifico.

Signore, risali con noi nella barca,
non lasciarci soli nella grande bufera,
comanda al mare di placarsi ancora.

Ascendiamo a Gerusalemme a dire
tutti insieme la preghiera dell’orto:
unica speranza la tua e nostra Pasqua, Signore.

Ai nostri peccati non guardare, Signore,
ma guarda alla fede della tua Chiesa,
abbi pietà del tuo popolo di poveri, o Dio.
(Davide Turoldo)


III. Contempliamo l’icona della Crocifissione del Signore




    Gesù l’aveva già previsto e annunciato: «Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, l’hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà patire per opera loro» (Matteo 17,12).

     L’icona della Crocifissione “trascrive” la pagina evangelica di Giovanni 19,25-30, ma tiene presente anche i brani paralleli degli altri evangelisti.

   Il Cristo sulla Croce è il dolente, ma anche l’orante: vedi le braccia stese in atteggiamento di preghiera. È, inoltre, il Cristo Sommo Sacerdote, perché dona la sua vita per i falliti della storia in obbedienza all’amore del Padre. È il Cristo danzante la vita che nasce dalla morte: vedi il movimento sinuoso del corpo del Signore. È ancora il Cristo Re e Pastore, il cui trono è la croce: infatti i suoi piedi poggiano sullo “sgabello” del trono regale (cf. Salmo 110,1; Atti degli Apostoli 2,35); a volte lo sgabello è posto inclinato a destra verso l’alto, ovvero verso il ladrone di destra o verso i giusti che stanno alla sua destra ai quali è promesso di entrare nel Regno; invece il lato inclinato a sinistra verso il basso, è orientato verso il ladrone di sinistra o verso i malvagi destinati ad essere purificati dal fuoco eterno del suo amore appassionato (cf. Luca 23,39-43; Matteo 25,34.41).

     Infine, sulla Croce contempliamo la nascita di Cristo Uomo Nuovo: infatti è raffigurato con il “pancione”, come a dire che quel grido e quella consegna del suo Spirito sono il grido della “partoriente” che nel travaglio del parto sta generando al mondo una vita nuova, cioè la nostra in Lui (cf. Romani 8,19-23; 6,3-11; Giovanni 16,16-23; Efesini 4,20-24). Al riguardo non va trascurato il particolare che osserviamo sotto la Croce: la collinetta del Golgota (cf. Giovanni 19,17), dove nella caverna oscura e tenebrosa l’iconografo ha disegnato il teschio di Adamo, seguendo un’antica leggenda che dice che lì sia stato sepolto Adamo (da qui il nome “Golgota” = “luogo del cranio”). Si sa che “Adamo” non è nome proprio di persona, ma nome collettivo che significa “Umanità”. Dunque l’asse verticale della Croce, conficcato nel Golgota, è l’“Albero della Vita” – come affermano i padri della chiesa – che, piantato sul Calvario, discende nelle profondità della morte e raggiunge la nostra Umanità, il nostro Uomo Vecchio, al fine di ridonargli la Vita vera che ha perduta, il senso autentico dell’esistenza.

      In alto, sono raffigurati gli angeli che adorano il Cristo Re e Pastore.

    Ai lati della croce vi è la Madre, collocata sempre a sinistra di chi guarda, e il discepolo che Gesù amava, simbolo di ogni discepolo che lo segue fino all’Ora della Pasqua, collocato sempre a destra di chi guarda. La Madre è rivolta al Figlio, lo indica con la mano che dice anche atteggiamento orante. Il discepolo, invece, è in atteggiamento “pensante” e contemplativo. L’evangelo di Giovanni, infatti, dirà esplicitamente che l’Ora della Croce è nello stesso tempo l’Ora della Pasqua, l’Ora dove si manifesta la Gloria, l’Amore di Dio per l’umanità, Amore che ci attira a sé (cf. Giovanni 12,32).

   Altre icone della Crocifissione, seguendo lo stesso modulo, collocano ai lati della Croce altri personaggi. A sinistra di chi guarda, accanto alla Madre del Signore, posta in primo piano, vengono collocate Maria di Cleofa e Maria di Magdala (cf. Giovanni 19,25). Sono le donne che hanno seguito Gesù fino alla Croce e hanno contemplato tutti gli eventi. A destra di chi guarda, dietro al discepolo che Gesù amava, viene collocato il centurione romano pagano, colui che la tradizione ha poi chiamato Longino; questi – attestano i vangeli – contemplando la morte di Gesù esprime la sua professione di fede: «Davvero costui era Figlio di Dio» (Matteo 27,54; cf. Marco 15,38); «veramente quest’uomo era giusto» (Luca 23,47).

    Sullo sfondo dell’icona si notano le mura di Gerusalemme, in ricordo del fatto che Cristo è morto fuori della città (cf. Ebrei 13,11-15), lui, l’Escluso e lo Scartato, in compagnia con tutti gli esclusi e gli scartati della storia (si ricordi che fuori della città dovevano stare i lebbrosi: cf. Levitico 13,45-46).

     Contemplare, allora, l’icona della Crocifissione, significa accogliere la separazione/discernimento che il Figlio dell’Uomo, seduto sul trono della sua gloria, cioè la Croce, opera nella vita dei cristiani: ovvero, se con Lui, “senza vederlo”, si sa stare dalla parte degli esclusi e degli scartati di questo mondo, riconoscendo nel loro bisogno l’appello alla giustizia, ai diritti fondamentali dell’esistenza, e se si è capaci di agire di conseguenza (cf. Matteo 25,31-46).


       Silenzio di adorazione per alcuni minuti

Solista: Come popolo di Dio, chiamato a crescere nell’amore appassionato di Dio per l’umanità, diciamo insieme:

Tutti: Padre nostro che sei nei cieli, 
sia santificato il tuo nome.
venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà
come in cielo, così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male. Amen.

- Concludere con la Preghiera:

Tutti: Noi ti rendiamo grazie, Cristo Gesù: tu, inviato dal Padre, sei venuto in mezzo a noi per aprirci alla comunione con il Padre; ti sei fatto fratello di tutti perché nessuno più offenda nessuno e tutti, anche i più scoraggiati, ritornino a sperare in te. Benedetto sei tu, Cristo Gesù, nostro Maestro e Signore. AMEN.

Solista: Benediciamo il Signore.

Tutti: Rendiamo grazie a Dio.


IV. Proposta di preghiera per il pranzo

Tutti: Signore Dio nostro,
oggi il tuo Figlio Gesù stese le braccia
per riunire con la sua croce vivificante
i dispersi popoli della terra.
Concedi a noi di prendere questo pasto
nell’unità del tuo amore.
Sii benedetto, Padre,
generoso nei tuoi doni,
per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
            (da Preghiere per una tavola fraterna)

LITURGIA DOMESTICA - GIOVEDÌ SANTO - I TRE GIORNI PASQUALI Nella Pasqua del Signore rinasciamo come nuova umanità e come Popolo di Dio

LITURGIA DOMESTICA
I TRE GIORNI PASQUALI


Nella Pasqua del Signore
rinasciamo come nuova umanità
e come Popolo di Dio
GIOVEDÌ SANTO

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
a cura di fr. Egidio Palumbo




Preparare in casa
l’“angolo della preghiera”
 

Con il Triduo Pasquale entriamo nel vertice della Grande Settimana, dove il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e il Sabato Santo con la Veglia della Notte di Pasqua e il Giorno di Pasqua, saremo coinvolti in quel grande “passaggio” o “salto di qualità” esistenziale (“Pasqua” significa sia “passaggio” che “salto-danza”) che ci rinnova interiormente e ci rende tutti Popolo di Dio, poiché a Pasqua nasce la Chiesa Popolo di Dio, a Pasqua rinasciamo come figli e fratelli e sorelle in Cristo Gesù, nostro Fratello e Signore.



     Anche nei giorni del Triduo Pasquale è importante perseverare nella preghiera in famiglia, facendo della preghiera un ascolto dialogico con Dio e con la sua Parola. Lo sappiamo: non esiste solo la chiesa parrocchiale o la chiesa santuario per pregare. Per i cristiani ognuno – a motivo del battesimo e della cresima – è sacerdote in Cristo e quindi chiamato a pregare per sé e per gli altri, e ogni famiglia cristiana è chiamata per vocazione ad essere chiesa domestica.

    Per cui ogni famiglia può approntare in casa l’“angolo della preghiera”, quello che i nostri fratelli cristiani della chiesa orientale chiamano “l’angolo della bellezza”.

  In un luogo della casa, su un tavolo o su un mobile o su una mensola si possono collocare una icona del Cristo, una lampada (da accendere per la preghiera), una Bibbia aperta e un fiore. Ecco l’angolo bello, l’angolo da cui, attraverso l’icona, lo sguardo di Dio veglia sulla famiglia. Non siamo noi a guardare l’icona, ma è l’icona a guardare noi e ad aprirci alla realtà del mondo di Dio.

 

Per il Triduo Pasquale nell’“angolo della preghiera”, alla Bibbia, il libro che contiene la Parola di Dio, e al cero che ci richiama il cero pasquale, simbolo di Cristo Luce del mondo, che illumina il cammino della nostra vita, si può aggiungere il Giovedì Santo un pane spezzato e un calice, il Venerdì Santo sul Crocifisso porre (all’altezza del capo di Gesù) una corona di alloro in segno di vittoria, il Sabato Santo una immagine di Maria, la madre di Gesù, che nel silenzio orante attese la Risurrezione del Figlio.



     In questo angolo la famiglia si riunisce per pregare in un’ora del giorno compatibile con i ritmi di lavoro.

      Si può pregare seguendo varie modalità:

- Prima modalità. Leggere il brano del vangelo della liturgia del giorno, breve pausa di silenzio, poi recitare con calma il salmo responsoriale corrispondente e concludere con la preghiera del Padre Nostro, la preghiera dei figli di Dio e dei fratelli in Cristo Gesù (per le indicazioni del vangelo e del salmo del giorno utilizzare il calendarietto liturgico).

- Seconda modalità. Per chi sa utilizzare il libro della Liturgia delle Ore, alle Lodi e ai Vespri invece della lettura breve, leggere il vangelo del giorno alle Lodi e la prima lettura del giorno ai Vespri.

- Terza modalità. Si può utilizzare un libretto ben fatto, acquistabile nelle librerie che vendono oggetti religiosi. Si intitola “Amen. La Parola che salva” delle edizioni San Paolo, costa € 3,90 ed esce ogni mese.

  Di ogni mese contiene: la preghiera delle Lodi del mattino, le letture bibliche della celebrazione eucaristica dei giorni feriali e della domenica con una breve riflessione, la preghiera dei Vespri della sera, la preghiera di Compieta prima del riposo notturno e altre preghiere.

Scrive papa Francesco in Amoris Laetitia al n. 318, dando altri suggerimenti per la preghiera:

«Si possono trovare alcuni minuti al giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia».

Sì, la preghiera in famiglia rafforza la nostra fede in Cristo Gesù e rende saldo il vincolo d’amore tra marito e moglie, tra i genitori e i figli, tra la famiglia e il territorio in cui abita e il mondo intero.

In questa proposta di Liturgia Domestica seguiamo la prima modalità.


GIOVEDI' SANTO

Attorno alla mensa del Signore
rinasciamo come fratelli e sorelle


I. Apertura della Liturgia domestica
Solista: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti: Amen.

(Accensione del cero)


Solista: Sii benedetto, o Padre, per il tuo Figlio pane spezzato e condiviso.
Tutti: ETERNO E' IL TUO AMORE PER NOI!
Solista: Sii benedetto, o Gesù Figlio di Dio, calice versato.
Tutti: ETERNO E' IL TUO AMORE PER NOI!
Solista: Sii benedetto, o Spirito Santo, che ci rinnovi come Chiesa, Corpo del Signore.
Tutti: ETERNO E' IL TUO AMORE PER NOI!


Solista: Pietoso e giusto è il Signore,
   il nostro Dio è misericordioso. […]
   Che cosa renderò al Signore ,
   per tutti i benefici che mi ha fatto?.
  Alzerò il calice della salvezza
  e invocherò il nome del Signore. […]

Tutti: A te offrirò un sacrifici di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
                       (dal Salmo 116)


II. Ascolto orante del vangelo di Giovanni 13,1-15.
Facciamo una breve pausa di silenzio, e poi chiediamo allo Spirito Santo che ci apra alla comprensione di questi scritti che contengono la Parola di Dio per noi oggi.

Tutti: Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

Leggiamo attentamente e con calma GIOVANNI 13,1-15.

 

1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.

2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!».

Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.


   C’è, nel vangelo di Giovanni, una triade di verbi scarni, essenziali, pregnantissimi, che basterebbero da soli a sostenere il peso di tutta la teologia del servizio, e che illustrano la complementarietà della stola e del grembiule. I tre verbi sono: “si alzò da tavola”, “depose le vesti”, “si cinse un asciugatoio”.

“Si alzò da tavola”
  Significa due cose. Prima di tutto che l’eucarestia non sopporta la sedentarietà. Non tollera la siesta. Non permette l’assopimento della digestione. Ci obbliga a un certo punto ad abbandonare la mensa. Ci sollecita all’azione. Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche e missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto.
  Questo è il guaio: le nostre eucaristie si snervano spesso in dilettazioni morose, languiscono nei tepori del cenacolo, si sciupano nel narcisismo contemplativo e si concludono con tanta sonnolenza lusingatrice, che le membra si intorpidiscono, gli occhi tendono a chiudersi, e l’impegno si isterilisce.
   Se non ci si alza da tavola, l’eucarestia rimane un sacramento incompiuto.
  La spinta all’azione è così radicata nella sua natura, che obbliga a lasciare la mensa anche quando viene accolta con l’anima sacrilega, come quella di Giuda: «Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte».
  Ma “si alzò da tavola” significa un’altra cosa molto importante. Significa che gli altri due verbi “depose le vesti” e “si cinse i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucarestia.
  Se prima non si è stati “a tavola”, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo.
    […] Ogni impegno vitale, ogni battaglia per la giustizia, ogni lotta a favore dei poveri, ogni sforzo di liberazione, ogni sollecitudine per il trionfo della verità devono partire dalla “tavola”, dalla consuetudine con Cristo, dalla familiarità con lui, dall’aver bevuto al calice suo con tutte le valenze del suo martirio. Da una intensa vita di preghiera, insomma.
    Solo così il nostro svuotamento si riempirà di frutti, le nostre spoliazioni si rivestiranno di vittorie, e l’acqua tiepida che verseremo sui piedi dei nostri fratelli li abiliterà a percorrere fino in fondo le strade della libertà.

Depose le vesti”
    Non so se sto forzando il testo. Ma a me pare che con questa espressione del vangelo venga offerto il paradigma dei nostri comportamenti sacerdotali, se vogliono collocarsi sul filo della logica eucaristica.
    Chi sta alla tavola dell’eucarestia deve “deporre le vesti”.
    Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione.
    Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza.
  Le vesti del dominio, dell’arroganza, dell’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà, ben sapendo che “pauper” non si oppone tanto a “dives” quanto a “potens”.
    Dobbiamo abbandonare i segni del potere, per conservare il potere dei segni.
    Non possiamo amoreggiare col potere.
   Non possiamo coltivare intese sottobanco, offendendo la giustizia, anche se col pretesto di aiutare la gente.
  Gli allacciamenti adulterini con chi manipola il danaro pubblico ci devono terrorizzare. Dovremmo rimanere amareggiati ogni qualvolta ci sentiamo dire che le nostre raccomandazioni contano. Che la nostra parola fa vincere un concorso. Che le nostre spinte sono privilegiate.

“Si cinse un asciugatoio”
   Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la Chiesa del grembiule”. Sembra un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa. Di quelle che non si espongono nelle vetrine per non far mormorare la gente e per evitare commenti pettegoli, ma che tutt’al più si confinano in un album di famiglia, a disposizione di pochi intimi, magari delle signore che prendono il tè, con le quali soltanto è permesso sorridere su certe leggerezze di abbigliamento o su certe poso scattate in momenti di abbandono.

    La Chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso.
  Nell’“hit parade” delle preferenze, il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il legionario tra le mani, o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi, con quel catino nella destra e con quella brocca nella sinistra, con quel piglio vagamente ancillare, viene fuori proprio un’immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca.
                                                                                 (Don Tonino Bello)

Breve pausa di silenzio

Padre, giunta l’ora di morire,
il tuo Figlio ci ha lasciato
un segno di eterna memoria:
il pane spezzato
e il vino della nuova alleanza;
fa’ che quanti si cibano del suo corpo
e del suo sangue
diventino essi stessi per i fratelli
un pane che dà vita
e un calice di vino
che effonde la gioia. Amen.
                          (Davide Turoldo)





III. Contempliamo l’icona della Cena del Signore

[Per la contemplazione dell’icona della “Cena del Signore”, proponiamo la meditazione della nostra amica e iconografa Pia Giannetto, che ha “scritto” (si dice così, e non dipingere, perché l’icona è trascrizione di una o più pagine bibliche attraverso immagini, colori e figure geometriche) questa icona, che è collocata nella cappella del SS. Sacramento del nostro Santuario della Madonna del Carmine di Barcellona P.G. (ME)]

 

     Siamo posti dinnanzi al mistero della Cena Domini, della Cena del Signore: banchetto mistico – spirituale e sacramentale al tempo stesso – in cui Gesù Cristo, nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Colossesi 2,9), diventa, come dice Gregorio Palamas, «con-corporeo a noi», per essere trasformati in Lui.


1. La struttura portante dell’icona
    Essa è cruciforme, cioè a forma di croce.
    La linea verticale, partendo dall’alto e percorrendo l’icona centralmente, unisce il volto “Acheropita” (che significa “non fatto da mani d’uomo”), collocato sul bordo in alto dell’icona, con il fuoco, posto sull’architettura che fa da sfondo “alla scena”, e con la coppa che contiene “il pesce”, simbolo del Cristo.

   La linea orizzontale, invece, sostiene le due architetture delle due case, che sono unite da un drappo rosso. Esso intende avvertire che l’evento della Cena del Signore si svolge all’interno della “camera alta” del Cenacolo e, nello stesso tempo, tale evento vuole trasmette un senso di calore, di intimità e di pace a colui/colei che contempla l’icona.

   I personaggi della Cena appaiono in primo piano, attorno ad una tavola ovale che, a motivo della “prospettiva inversa” (elemento tipico delle icone), si raddrizza, affinché chi contempla la possa vedere nella sua intera estensione. La tavola ovale, infatti, è il centro focale di tutta l’icona, il cui fulcro coincide con il Calice offerto alla vista di tutti.

   Attorno alla tavola siedono i commensali, ovvero i discepoli; mentre Gesù, l’unico ad avere il capo con il nimbo, è seduto a lato, quasi ad evocare quanto è scritto in Apocalisse 3,20: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me».


2. Il dono accolto e il dono rifiutato: Giovanni, il discepolo amato, e Giuda, il traditore
    Accanto a Gesù, riverso sul suo petto, sta il discepolo amato che, col suo movimento di consegna (leggibile dal movimento delle mani, poste in forma concava in segno di ricezione), è visibilmente in contrasto con il movimento (apparentemente simile) di Giuda, che sta sulla stessa traiettoria, riverso anch’esso, ma su se stesso; movimento, quello di Giuda, reso leggibile dalle mani: una impegnata a carpire, a possedere il contenuto del Calice, l’altra chiusa, segno di una vita trattenuta, concentrata solo sul proprio ego.




  Quindi, diversità e contrapposizione tra le figure del Discepolo amato e Giuda, ovvero tra l’accoglienza del Dono e la cieca supponenza di appropriazione di esso (non riconoscendo il Dono è offerto da sempre e per sempre). Tale diversità è messa in evidenza anche dal colore della veste: il mantello del Discepolo che si lascia amare, è reso con riflessi simili a quelli della veste di Gesù. Il suo gesto ricettivo indica, attraverso l’accettazione del Dono d’amore, l’essere unito al Signore Gesù, e così poter ricevere dal suo petto l’Amore.

   Questo gesto recettivo rende il Discepolo amato somigliante a Colui che si dona. Infatti il suo mantello, dal colore rossiccio con riflessi blu-lapis, assomiglia alla tunica di Gesù, il quale è Dio (il rosso porpora indica regalità divina nel servizio) che si è rivestito della carne umana (il colore blu-lapis del suo mantello indica l’incarnazione, ovvero il cielo ripiegato sulla terra), al fine di donare la sua regalità all’essere umano, come da sempre – affermano i padri della Chiesa – aveva decretato il “Divino Consiglio” della Trinità: «…in Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Efesini 1,3-14); «[Dio] li ha anche predestinati ad essere con-formi all’immagine del Figlio suo» (Romani 8,28-30).

     Diversa è la figura di Giuda. Pur avendo apparentemente gli stessi colori, la sua veste essa è divisa, contrapposta a se stessa: indica un’esistenza lacerata e ambigua. La sua ambiguità è indicata anche dal suo volto reso di profilo: il volto reso frontale o a 3/4 rende visibile l’identità della persona nella sua interezza e trasparenza, di profilo invece della sua identità se ne vede soltanto una parte, l’altra rimane nascosta, rimane nell’ombra della sua ambiguità e contraddizione…).

     Inoltre, il rifiuto di Giuda, nell’esercitare il dono della sua libera scelta, è reso evidente dalle orecchie nascoste dalle ciocche dei capelli: egli è l’uomo chiuso all’ascolto, i suoi occhi sono chiusi, cioè “ciechi”, poiché guardano solo a se stesso. Qui si sente l’eco di quanto narra Giovanni 12,37-40: «Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui, perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: “Signore, chi ha creduto alla nostra parola? E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?”. Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: “Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore e non si convertano, e io li guarisca!”».

     E così Il tradimento di Giuda, che sembra il fallimento dell’opera di Gesù, rappresenta invece il compimento delle S. Scritture.

      Rileggendo il Salmo 41 alla luce del Volto di Gesù, esso rivela che Egli è turbato profondamente, e il traditore (in questo caso Giuda) è chiamato “l’amico in cui confidavo”, cioè amico nel quale si pone piena fiducia. In Giuda Iscariota, che rappresenta ogni persona umana, inclusi i Giudei e i discepoli: non a caso il suo nome richiama i Giudei, e il nome di suo padre Simone, richiama quello di Pietro...

      E allora, veramente ognuno può dire “sono forse io?” (cf. Giovanni 13,21-22; Marco 14,18-19).

     La figura di Giuda ci impressiona, perché rappresenta quell’ombra profonda presente in noi e che non vogliamo ammettere, ma, in realtà, è la nostra condizione umana, da Adamo in poi: «Poiché tutti siamo peccatori, privi della gloria di Dio, giustificati gratuitamente per grazia» (Romani 3,23).

    L’amore di Dio, rivelatosi nel Volto del Figlio, come debolezza di Dio (cf. 1Coronzi 1,18-25), è l’unica forza capace di liberare la libertà dell’uomo e riscattarlo dalla morte.

     Giuda è collocato nell’icona nella stessa linea del discepolo amato, rimanendo così sotto lo sguardo di Gesù, che desidera ardentemente farlo riposare sul suo petto. Gesù stesso gli dà il pane: gli dona se stesso.

   Ma è notte (cf. Giovanni 13,30): è la notte in cui è entrata la luce del mondo, è l’ora della glorificazione del Figlio. L’ora in cui si squarcia il cielo, in cui all’’uomo, liberato dalle tenebre del peccato, è reso possibile il cammino di uscita da se stesso verso il petto squarciato: “cielo” di ogni uomo, in cui poter finalmente riposare nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

   Ma in quella notte anche Gesù esce (cf. Giovanni 13,31), per farsi avvolgere dalla notte, per consegnarsi, perché il Regno di Dio, segretamente manifestato durante l’ultima cena, entri in questo mondo: perché è così che Gesù distrugge il potere del peccato e della morte per riportare la sua creatura amata a sé. In Giuda è rappresentato l’apice del mistero del male, tragedia dell’uomo e di Dio che lo ama. Rifiutare l’amore del Figlio e del Padre significa perdere la propria essenza di figli e di fratelli.

   Il tradimento di Giuda fa pensare all’impotenza di Dio per amore, dinnanzi alla libertà donata all’uomo. Ma la luce vince le tenebre e da esse non si lascia oscurare (cf. Giovanni 1,5).


3. Unico evento: lavanda dei piedi e Ultima Cena

     Spesso le due scene sono rappresentate in modo consequenziale, così come nella tradizione liturgica si intrecciano i momenti in cui si contempla e si celebra la misericordia del Signore verso le sue creature (il santo lavacro, la mistica cena, la preghiera di Gesù, il tradimento…).

    Il gesto profetico della lavanda dei piedi ha un valore sacramentale eucaristico; gesto profetico che annuncia la vita donata, l’amore.

    Nelle famiglie ebree, il servizio della lavanda ai piedi, era prestato non soltanto dagli schiavi non israeliti, ma anche dalle mogli, dalle figlie e dai discepoli, come segno di amore profondo.

   Gesù in quel gesto, oltre a essere un rituale per gli ospiti, indica la purificazione del cuore dall’incredulità e dal peccato: infatti, il verbo “lavare” e il sostantivo “lavacro” sono riferiti alla purificazione del battesimo (cf. Efesini 5,26; Tito 3,5; Ebrei 10,22).

    Gesù, il Servo sofferente (cf. Isaia 52,13-53,12), nella lavanda dei piedi ci offre un’icona visibile della sua identità divina. Il suo servizio non è solo una funzione umile per lui e utile per noi, ma rivela la sua natura di Figlio di Dio, il suo gesto rivela l’essenza di Dio.

    Nell’icona la tavola, resa dal colore giallo oro, che richiama la luce – in contrapposizione alla luce vesperale, suggerita dalle tonalità dei palazzi –, è bordata dal drappo bianco, che rievoca la lavanda dei piedi. Tale drappo coinvolge tutti gli apostoli e, scorrendo verso il fondo dell’icona, lascia uno spazio nella tavola: uno squarcio che si apre a colui/colei che contempla l’icona e lo invita lasciarsi coinvolgere.


    Nei testi liturgici bizantini è scritto: «la santa lavanda non è intesa a lavare le macchie del corpo, ma a santificare misticamente l’anima» (Ufficio del Mattino).

   Inoltre, sia nella liturgia, sia nei Padri, si pone in parallelo la lavanda con il battesimo, considerandola come “illuminazione degli apostoli, prima della Cena”, poiché illumina gli apostoli con luce e gloria battesimale. Anticamente, infatti, i battezzati venivano chiamati gli “illuminati” e la veste bianca che indossavano veniva chiamata “veste di luce”, perché riflesso della luce del Cristo Risorto. Nel battesimo muore l’“uomo vecchio” e risorge l’“uomo nuovo”: questa è condizione essenziale per partecipare all’eucaristia.

  Pertanto Gesù lava i piedi ai discepoli “per aver parte con lui” (di fronte al rifiuto di Pietro, Gesù risponde: «Se non ti laverò, non avrai parte con me»: Giovanni 13,8).

   Scrive Romano il Melode: «Pietro trattenne l’Unigenito, quando questi si presentava per la lavanda dei piedi e disse: “Signore, Signore, non mi laverai i piedi!”. Il catino era a terra già riempito, il Salvatore stava in piedi, portava attorno ai reni un telo, come uno schiavo. Le schiere degli angeli guardavano dall’alto del cielo e gettavano grida di stupore, invece Giuda non fu commosso, si rivoltò contro di lui […]. Gabriele diceva: “Guardate la grande benevolenza del creatore e il contegno del plasmatore nei confronti delle proprie creature: essi siedono a tavola ed Egli sta in piedi, essi si lasciano nutrire ed Egli li serve, si lasciano asciugare, e i piedi fatti di polvere non restano dissolti tra le mani di fuoco!”»

   Tutto questo avviene nei discepoli. Invece Giuda non ascolta, non vede, non accoglie, non è aperto ai misteri che si realizzano sotto i suoi occhi, egli è entrato nell’abisso senza luce. Il suo gesto è di monito per ognuno perché si vegli e ci si lasciarsi guidare dalla Luce. Così canta la Liturgia orientale in un inno prima della comunione: «Del tuo mistico convito, o Figlio di Dio, rendimi oggi partecipe, giacché […] non ti darò lo stesso bacio di Giuda, ma, come il ladrone, io ti invoco: ricordati di me nel tuo Regno!».

   La Santa Cena Eucaristica è per l’uomo il culmine della partecipazione alla vita di Gesù e di unione con Dio: «per mezzo di essa l’uomo è iniziato al mistero della vita divina» (Cosma il monaco).

    Il banchetto eucaristico rappresenta la suprema energia vivificante sia della comunità apostolica della Chiesa, Corpo di Cristo, sia del creato di cui l’uomo è capo e sacerdote, sia di tutti gli elementi cosmici. Esso è un banchetto nuziale, al quale il credente è invitato, a condizione che si presenti in veste adeguata (la veste battesimale e nuziale): «Vedo il tuo talamo già adorno, o mio Salvatore, e non ho la veste per presentarmi: fai splendere Tu la veste dell’anima mia, a cui tu doni la luce, e salvami!» (Liturgia orientale).

    Giuda, invitato al banchetto, non ha veste per presentarsi, e rifiuta di indossarla. Nella parabola del banchetto nuziale di Matteo (22,1-14), colui che non ha l’abito nuziale viene legato e gettato fuori nelle tenebre. Qui, invece, terminata la Cena, è Gesù che si lascia incatenare, che si lascia crocifiggere, perché la veste del cuore di ciascuno sia resa luminosa. Egli si immerge nelle tenebre, per tirarci fuori alla sua Luce.

      L’eucarestia, dunque, è primizia della nostra risurrezione e pegno della nostra gloria futura.

4. Il fuoco e l’amore 
     Le fiamme di fuoco dentro un braciere, presenti sulle mura, al centro della scena dell’icona, indicano sia il fuoco divino dell’amore («sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!»: Luca 12,49), sia la condizione notturna: «era notte» (Giovanni 13,30)



   Dalle prime parole di Gesù all’inizio della Cena («ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi»: Luca 22,14), fino all’uscita nell’orto dei Getsemani, tutto ciò che è accaduto durante la Cena Pasquale: la lavanda dei piedi, la distribuzione del pane e del vino ai discepoli – simbolo della sua vita spezzata e consegnata –, non è semplicemente frutto dell’amore, ma l’Amore stesso.

     La mistica Cena Pasquale è il telòs, il fine, il compimento dell’Amore, è l’attuazione e lo svelamento dell’amore di Dio, nel Figlio: «li amò fino alla fine» (Giovanni 13,1). È la manifestazione della volontà di amore, scaturita dal “Divino Consiglio” della Trinità, per il quale il mondo è stato creato, e per amore non è stato abbandonato alla sua caduta mortale. Per amore il Figlio si è incarnato, e in quel momento, a quella tavola, Egli ha manifestato e accordato questo amore come suo Regno, e il suo Regno come un “dimorare nell’amore”: «Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Giovanni 15,9).

    Durante l’Ultima Cena Gesù ha istituito la Chiesa, lasciando ai suoi discepoli e a tutti coloro che credono alla loro parola questo comandamento: «che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Giovanni 15,12). Nel comandamento quello che ci viene consegnato è Cristo stesso, l’amore stesso di Dio, affinché per suo tramite noi ci amiamo gli uni gli altri: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Giovanni 15,17).


5. La notte luminosa
    Nella liturgia della Settimana Santa, la Mistica Cena viene costantemente ricollegata con la notte, che la circonda da ogni parte e nella quale la luce (il fuoco) della festa dell’amore s’irradia quando, nella camera alta (cf. Luca 22,12), Cristo celebra con i discepoli.

   È la notte del peccato, l’essenza di questo mondo: «Si sollevarono i re della terra e i principi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo» (Atti degli Apostoli 4,26; cf. Salmo 2,1-2). Gesù sa, che la mano di chi lo consegna è con lui sulla tavola: Giuda preso il boccone, esce in quella notte terribile, seguito subito da Cristo.

    Nella liturgia orientale del Giovedì Santo si intrecciano gioia e afflizione, si fa memoria della luce e delle tenebre che l’hanno oscurata, ma non soffocata. L’uscita di Giuda, ovvero il suo rifiuto all’Amore, alla Veste nuziale, al ri-vestirsi di Cristo (cf. Galati 3,27), il suo rifiuto di lasciarsi spogliare dell’uomo vecchio, per rivestirsi di sentimenti di bontà (cf. Efesini 4,20-24; Colossesi 3,9-12), è sovrapponibile al rifiuto di Adamo nell’Eden. Come Adamo, così Giuda abbandona Dio e sceglie se stesso, il proprio ego.

  In quel momento, con l’uscita di Giuda nella notte, la storia del peccato, dell’amore accecato, pervertito, caduto e divenuto rapina – poiché accaparra per sé la vita che è stata donata per essere in comunione con Dio –, quella storia giunge al termine.

    In Giuda è rappresentato l’apice del mistero del male, tragedia dell’uomo e di Dio che lo ama, fattosi impotente per amore. Rifiutare l’amore del Figlio e del Padre significa perdere la propria essenza di figli e di fratelli.

  Come Adamo, Giuda stende la mano per rapire ciò che era stato donato. Il senso profondo dell’inquietante uscita, consiste precisamente nel fatto che Giuda esce in realtà dal paradiso. I suoi piedi erano stati lavati da Cristo, nelle sue mani aveva ricevuto il pane dell’amore di Cristo, cioè Cristo stesso! Il Signore si era donato a lui in quel pane (nell’icona questo è evidenziato dalla mano di Gesù col pane). Giuda aveva visto, sentito, toccato con le sue mani il Regno di Dio, ma, come Adamo, non volle saperne di quel Regno. Dopo l’Ultima Cena, Giuda non ha più dove andare se non incontro alle tenebre del Nulla. Ma la luce vince le tenebre lasciandosi prendere da essa. Giuda e Gesù vanno incontro alla stessa notte.

    E infatti, in quella notte anche Gesù esce, per farsi avvolgere dalla notte, per consegnarsi, perché il Regno di Dio, manifestato durante l’Ultima Cena, entri in questo mondo: perché è così che Gesù distrugge il potere del peccato e la morte, al fine di riportare a sè la sua creatura amata.

   Egli è il Buon Pastore che depone la vita (cf. Giovanni 10,11.15), è lo Sposo che lava con il suo sangue, purificando dal peccato (cf. Efesini 5,25-27; Apocalisse 19,7-8), sangue e acqua che sgorgano dal suo fianco squarciato sulla Croce.

    Egli è il Servo sofferente che ci guarisce con le sue piaghe (cf. 1Pietro 2,24; Is 53,5-6)).

   È il Fratello che non si vergogna di chiamarci fratelli (cf. Ebrei 2,12-13), dove ritroviamo la nostra vocazione di figli e fratelli.


Silenzio di adorazione per alcuni minuti

Solista: Come popolo di Dio, chiamato a crescere nella comunione con Dio e nella fraternità con tutti gli uomini, diciamo insieme:

Tutti: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome.
venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà
come in cielo, così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male. Amen.

- Concludere con la Preghiera:
Tutti: Dio nostro Padre, la Cena Pasquale del tuo Figlio Gesù ci trasformi nel suo Corpo vivente, affinché impariamo a fare della nostra vita un dono per gli altri. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. AMEN.

Solista: Benediciamo il Signore.

Tutti: Rendiamo grazie a Dio.



IV. Proposta di preghiera per il pranzo

Tutti: Dio Padre nostro,
Gesù tuo Figlio è vissuto tra noi,
come colui che serve,
lui, Signore e Maestro.
Rendici attivi nel servizio del fratelli,
per camminare con lui verso la risurrezione,
in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.
  (da Preghiere per una tavola fraterna)