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lunedì 28 aprile 2025

Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Leonardo Boff: Papa Francesco non è un nome, ma un progetto della Chiesa e del mondo

Leonardo Boff
Papa Francesco non è un nome,
ma un progetto della Chiesa e del mondo


Ogni punto di vista è la visione da un punto, ho affermato una volta. Il mio punto di vista su Papa Francesco è quello di un latinoamericano. Lo stesso Papa Francesco si è presentato come «colui che viene dalla fine del mondo», cioè dall’Argentina, dall’estremo Sud del mondo. Questo fatto non è privo di rilevanza, poiché ci offre una lettura diversa da quella di altri, da altri punti di vista.

La scelta del nome Francisco, senza precedenti, non è casuale. Francesco d’Assisi rappresenta un altro progetto di Chiesa la cui centralità risiedeva nel Gesù storico, povero, amico dei disprezzati e umiliati, come i lebbrosi con i quali andò a vivere. Questa è la prospettiva adottata da Bergoglio quando è stato eletto Papa. Vuole una Chiesa povera per i poveri. Di conseguenza, si spoglia dei paramenti onorari, tradizione degli imperatori romani, ben rappresentata dalla mozzetta, quella mantellina bianca ornata di gioielli, simbolo del potere assoluto degli imperatori e incorporata nei paramenti papali. Lui la rifiuta e la dà alla segretaria come souvenir. Indossa un semplice mantello bianco con la croce di ferro che sempre usava. Visse nella più grande semplicità (il Papa non indossa Prada) e, senza cerimonie, infranse i riti per poter essere vicino ai fedeli. Ciò sicuramente ha scandalizzato molti esponenti della vecchia cristianità europea, abituati alla pompa e alla gloria dei paramenti papali e dei prelati della Chiesa in generale. Vale la pena ricordare che tali tradizioni risalgono agli imperatori romani, ma non hanno nulla a che fare con i poveri artigiani e contadini mediterranei di Nazareth.

Sorprendentemente, egli si presenta in primo luogo come vescovo locale di Roma. Poi come Papa per animare la Chiesa universale e, come lui stesso ha sottolineato, non con il diritto canonico, ma con l’amore.

Ha scelto il nome Francesco perché san Francesco d’Assisi è «l’esempio per eccellenza della cura e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità» (Laudato Sì, n. 10) e che chiamava tutti gli esseri con il dolce nome di fratello e sorella.

Non ha voluto vivere in un palazzo pontificio, ma in una foresteria, Santa Marta. Mangiava in fila come tutti gli altri e, con umorismo, commentava: così è più difficile che mi avvelenino.

La centralità della sua missione era posta sulla preferenza e la cura dei poveri, in particolare dei migranti. Disse onestamente: “Voi europei siete stati lì per primi, avete occupato le loro terre e ricchezze e siete stati ben accolti. Ora loro sono qui e non siete disposti a riceverli”. Con tristezza constata la globalizzazione dell’indifferenza.

Per la prima volta nella storia del papato, Papa Francesco ha ricevuto varie volte i movimenti sociali mondiali. Vedeva in loro la speranza di un futuro per la Terra, perché la trattano con cura, coltivano l’agro-ecologia e vivono una democrazia popolare e partecipativa. Spesso ripeteva loro i diritti che gli sono negati, le famose tre T: Terra, Teto e Trabalho. Devono iniziare da dove si trovano: dalla regione, perché è lì che si può costruire una comunità sostenibile. Con ciò ha legittimato un intero movimento mondiale, il bio-regionalismo, come via per superare lo sfruttamento e l’accumulazione da parte di pochi e garantire una maggiore partecipazione e giustizia sociale per molti.

Fu in questo contesto che ha scritto due straordinarie encicliche: “Laudato Sì: sulla cura della casa comune”, su un’ecologia integrale che coinvolge l’ambiente, la politica, l’economia, la cultura, la vita quotidiana e la spiritualità ecologica. Nell’altra, la “Fratelli tutti”, di fronte al degrado diffuso degli ecosistemi, lanciò il severo monito: «Siamo sulla stessa barca: o ci salviamo tutti o nessuno si salverà» (n. 34). Con questi testi, il Papa si pone in prima linea nel dibattito ecologico mondiale che va oltre la semplice ecologia verde e altre forme di produzione, senza mai mettere in discussione il sistema capitalista che, per sua logica, crea accumulazione da un lato al costo dello sfruttamento della grande maggioranza dall’altro.

Papa Francesco proviene dalla teologia della liberazione della corrente argentina, che sottolinea l’oppressione del popolo e l’esclusione della cultura popolare. Fu discepolo del teologo della liberazione Juan Carlos Scannone, che arrivò a citare in una nota a piè di pagina della Laudato Sì. Già come studente e ispirato da questa teologia, fece una promessa a se stesso: ogni settimana visitare, da solo, le favelas (“vilas miseria“). Entrava nelle case, si informava sui problemi dei poveri e infondeva speranza in tutti. Per anni portò avanti una polemica con il governo che, come politiche dello Stato, faceva assistenzialismo e paternalismo.

Reclamava dicendo: in questo modo i poveri non saranno mai liberati dalla dipendenza. Ciò di cui abbiamo bisogno è la giustizia sociale, radice della vera liberazione dei poveri. In solidarietà con i poveri, viveva in un piccolo appartamento, cucinava il proprio cibo, andava a prendere il suo giornale. Si rifiutava di vivere nel palazzo e di usare l’auto speciale.

Questa ispirazione liberatrice illuminò il modello di Chiesa che egli si proponeva di costruire. Non una Chiesa chiusa come un castello, immaginandola circondata da nemici da tutti i lati, proveniente dalla modernità con le sue conquiste e le sue libertà. A questa Chiesa chiusa egli contrappose una Chiesa in cammino verso i bisogni esistenziali, una Chiesa come ospedale da campo che accoglie tutti i feriti, senza chiedere loro quale sia il loro orientamento sessuale, la loro religione o ideologia: basta che siano esseri umani bisognosi.

Papa Francesco non si presenta come un dottore della fede, ma come un pastore che accompagna i fedeli. Chiede ai pastori di avere l’odore delle pecore, tale è la loro vicinanza e il loro impegno verso i fedeli, esercitando una pastorale di tenerezza e di amore.

Forse nessun papa nella storia della Chiesa ha dimostrato tanto coraggio quanto lui nel criticare il sistema attuale che uccide e produce due feroci ingiustizie: l’ingiustizia ecologica, che devasta gli ecosistemi, e l’ingiustizia sociale, che sfrutta l’umanità fino a versarne il sangue. Mai nella storia si è assistito a una tale accumulazione di ricchezza in poche mani. Otto persone possiedono individualmente più ricchezza di 4,7 miliardi di persone. È un crimine che grida al cielo, offende il Creatore e sacrifica i suoi figli e le sue figlie.

Come un pastore più che come medico, il suo messaggio è fondato soprattutto sulla figura storica di Gesù, amico dei poveri, dei malati, degli emarginati e degli oppressi. Fu assassinato sulla croce attraverso un duplice processo, uno religioso (offese alla religione del tempo per la sua pretesa di sentirsi Figlio di Dio) e l’altro politico, da parte delle forze di occupazione romane.

Non dava molta importanza alle dottrine, ai dogmi e ai riti che aveva sempre rispettato, poiché riconosceva che con tali cose non si raggiunge il cuore umano. Per questo si ha bisogno di amore, di tenerezza e misericordia. Una volta pronunciò una delle frasi più importanti del suo magistero: “Cristo è venuto per insegnarci a vivere: l’amore incondizionato, la solidarietà, la compassione e il perdono, valori che costituiscono il progetto del Padre che è il nucleo dell’annuncio di Gesù: il Regno di Dio. Lui preferiva un ateo sensibile alla giustizia sociale rispetto a un credente che frequenta la chiesa ma non ha alcun riguardo per il prossimo che soffre.

Un tema ricorrente nelle sue prediche è quello della misericordia. Per Papa Francesco la misericordia è essenziale. La condanna è solo per questo mondo. Dio non può perdere nessun figlio o figlia che ha creato nell’amore. La misericordia vince la giustizia e nessuno può porre limiti alla misericordia divina. Metteva in guardia i predicatori da ciò che era stato fatto per secoli: predicare la paura e instillare il terrore dell’inferno. Tutti, indipendentemente da quanto siano stati malvagi, sono sotto l’arcobaleno della grazia e della misericordia divina.

Logicamente, non tutto vale la pena in questo mondo. Ma coloro che hanno vissuto sacrificando altre vite, preoccupandosi poco di Dio o addirittura negandolo, attraverseranno la clinica di guarigione della grazia, dove riconosceranno le loro azioni malvagie e apprenderanno cosa sono l’amore, il perdono e la misericordia. Solo allora la clinica di Dio, che non è l’anticamera dell’inferno, ma l’anticamera del paradiso, si aprirà affinché anche loro possano partecipare alle promesse divine.

Con il suo appello all’azione a favore dei poveri, con la sua coraggiosa critica all’attuale sistema che produce morte e minaccia le basi ecologiche che sostengono la vita, con il suo amore appassionato e la sua cura per la natura e la Casa Comune, con i suoi instancabili sforzi per mediare le guerre in favore della pace, è emerso come un grande profeta che ha annunciato e denunciato, ma sempre suscitando la speranza che possiamo costruire un mondo diverso e migliore. Grazie a ciò, egli si dimostrò un leader religioso e politico rispettato e ammirato da tutti.

Indimenticabile è l’immagine di un papa che cammina da solo, sotto una leggera pioggia, in piazza San Pietro, verso la cappella della preghiera affinché Dio risparmiasse l’umanità dal coronavirus e avesse pietà dei più vulnerabili.

Papa Francesco ha onorato l’umanità e resterà nella memoria come una persona santa, gentile, premurosa ed estremamente umana. È grazie a figure come queste che Dio ha ancora pietà della nostra malvagità e follia e ci ha tenuti in vita su questo piccolo e meraviglioso pianeta.

Leonardo Boff ha scritto Francesco d’Assisi, Francesco di Roma. Una nuova primavera nella chiesa, Editrice Missionaria Italiana, 2014; La tenerezza di Dio-Abbà e di Gesù, Castelvecchi, 2024

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)
(fonte: sito dell'autore 25/04/2025)

Leonardo Boff teologo della liberazione brasiliano a cui Francesco chiese di coordinare la stesura dell’enciclica Laudato Si’.



Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Papa Francesco, un Gesuita francescano

Diana Papa
Papa Francesco, un Gesuita francescano

Con la scelta del nome, ha dato un orientamento al cammino della Chiesa sotto il suo pontificato: essere povera per i poveri. Seguendo l’esempio del Poverello, ha incarnato il suo esempio nell'accoglienza e nel dialogo


Grazie, Papa Francesco, per aver scelto di incarnare il Francescanesimo in toto nella vita. Più volte mi si è affacciata una domanda: perché lo Spirito ha voluto che un Papa Gesuita vivesse ogni giorno secondo la spiritualità francescana?

Scrive Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’ “Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. […] Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. […] Viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore. Ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione» (LS 10-11.).

Il nome che ha scelto nel momento in cui è stato eletto Papa, ha dato subito un orientamento ben preciso al cammino della Chiesa: essere povera e per i poveri, vivendo il Vangelo sine glossa come Francesco di Assisi.

É stato un invito rivolto a tutti i credenti in Cristo a ritrovare le radici della propria fede, per rendere credibile in ogni istante il proprio Battesimo attraverso una vita autenticamente evangelica.

Come Francesco di Assisi che ha seguito l’insegnamento e le orme di Gesù Cristo, il Papa ha testimoniato di vivere costantemente alla presenza del Signore, ricordandoci che solo l’incontro personale con Lui permette di vivere il Vangelo con passione.

Seguendo l’esempio del Poverello, ha incarnato il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli apostoli, cioè che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il regno di Dio e la penitenza (cfr. FF 356). Egli ha scelto di vivere in modo molto povero e semplice, per comunicare alle persone la tenerezza di Dio anche attraverso la vicinanza umana.

Papa Francesco nella lettera Enciclica Dilexit Nos scrive: “Il modo in cui Cristo ci ama è qualcosa che Egli non ha voluto troppo spiegarci. Lo ha mostrato nei suoi gesti. Guardandolo agire possiamo scoprire come tratta ciascuno di noi, anche se facciamo fatica a percepirlo. Andiamo allora a guardare lì dove la nostra fede può riconoscerlo: nel Vangelo” (n.33). Papa Francesco come Francesco di Assisi si è spogliato di tutto, per vivere come Cristo.

Aperto all’accoglienza, all’ascolto, al dialogo Papa Francesco ha incontrato il 4 febbraio del 2019 negli Emirati Arabi il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, e insieme hanno firmato la Dichiarazione di Abu Dhabi, per riscoprirsi fratelli e promuovere insieme la giustizia e la pace, sostenendo i diritti umani e la libertà religiosa.

Anche Francesco di Assisi dimostrò particolare attenzione al dialogo con i saraceni infatti inviò i frati tra di loro senza usare potere o sicurezza, ma andando tra i poveri da cristiani (cfr. FF 43). Egli stesso, in occasione della V Crociata, andò in Terra Santa per incontrare il Sultano d’Egitto:

“Stando alla sua presenza, tutto acceso dalla fiamma dello Spirito Santo, con tale forza, vivacità ed efficacia di parola gli parlò di Cristo Gesù e della sua fede evangelica che il sultano ne restò ammirato e con lui tutti i presenti. Alla forza delle parole che Cristo proferiva per lui, il sultano, mosso a mansuetudine, gli prestò ascolto volentieri, lo invitò con insistenza a fermarsi nella sua terra e diede ordine che lui e i suoi frati, liberamente, senza pagare pedaggio, potessero accedere al santo Sepolcro (FF 2154).

Papa Francesco a distanza di secoli scrive: “Come leader religiosi siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. […] Il mediatore è colui che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace, […] aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!» (FT 284).

Un evento che ha voluto richiamare l’importanza dell’accoglienza di ogni altro con il cuore sempre aperto, per costruire con tutti gli uomini e le donne di buona volontà la fratellanza universale.

Come non mettere in rilievo ancora l’impulso dato al valore e al rispetto delle donne?

Francesco di Assisi ha tenuto in grande considerazione Donna Jacopa alla quale chiese alla fine della vita di portare quei dolci che era solita preparare quando ammalato si trovava a Roma (FF 255). Ed ancora condivise profondamente con Chiara di Assisi e con le Sorelle il carisma donato dallo Spirito, anche se vissuto con modalità diverse.

Papa Francesco ha curato nella sua vita le relazioni femminili, dando grande importanza all’apporto specifico delle donne nella Chiesa e per il mondo, perché ha sempre considerato la loro prospettiva indispensabile nei processi decisionali e nell’assunzione di ruoli nelle diverse forme di pastorale e di missione.

Altro aspetto importante è l’attenzione agli ultimi. Francesco di Assisi dopo aver incontrato Cristo povero e crocifisso sceglie di essere povero con i poveri, di servire i lebbrosi, gli emarginati del suo tempo: “Visitava spesso le loro case; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione e affetto baciava loro le mani e il volto. […] Bramava spendere non solo i suoi beni, ma perfino se stesso” (FF 1036).

Anche Papa Francesco ha dimostrato particolare attenzione verso gli “scartati” del mondo. Riferendosi all’esperienza di S. Francesco scrive in Fratelli Tutti:

“San Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi” (FT 2).

Anche il Papa è venuto in soccorso delle decine di persone senzatetto dei paesi in guerra o colpiti dalla povertà, ma anche di coloro che di notte si sono riparati sotto il Colonnato di piazza San Pietro. Con l’aiuto di volontari ha distribuito viveri di prima necessità, l’occorrente per la pulizia personale, le docce, il cambio di indumenti, o donando coperte o sacchi a pelo, ha condiviso anche il pranzo con loro.

Alla fine della vita, Francesco di Assisi si fece portare a Santa Maria della Porziuncola in barella. A chi lo accompagnava chiese di orientare la lettiga in modo che tenesse il viso rivolto verso la città di Assisi per benedirla per la misericordia ricevuta dal Signore (cfr. 1546).

Anche Papa Francesco, ormai al termine della sua vita, ha voluto salutare il popolo di Dio, impartendo, nonostante la fatica, la benedizione Urbi et Orbi di Pasqua, dopo aver invocato la pace sui Paesi in guerra, ribadito la preziosità di ogni vita umana, offrendo a tutti l’indulgenza plenaria. Poi da Pastore, con l’odore delle pecore, ha voluto fare il giro della piazza per salutare i fedeli da vicino. Infine ha ringraziato chi lo ha accompagnato e servito sino al termine della sua vita.

Constatando il parallelismo tra la vita di Francesco di Assisi e quella di Papa Francesco possiamo chiederci: Quale messaggio da parte dello Spirito alla Famiglia Francescana attraverso la testimonianza di Papa Francesco, Gesuita, che ha incarnato fino in fondo il carisma ricevuto da Francesco di Assisi?
Diana Papa
Fraternità delle Sorelle Povere di Santa Chiara di Otranto

Verso il Conclave

Marcello Neri*
Verso il Conclave


Originale inglese su Appia Institute (qui). Traduzione spagnola su Revista SIC (qui).

Sui media di tutto il mondo è iniziato il gioco dei nomi possibili per il prossimo pontificato. Non si tratta solo di curiosità giornalistica, ma anche di influenzare in un qualche modo il prossimo Conclave.

Più si torna sugli stessi nomi, più la galassia mediatica sembra dire ai cardinali elettori: «guardate, il mondo si aspetta che il papa esca da questi nomi che vi abbiamo indicato».

Non nomi, ma un profilo

Certo, il Conclave non è completamente immune dalle pressioni dell’opinione pubblica – e neanche da quelle che possono venire dalle potenze del mondo odierno. Ma non è nemmeno nelle mani di queste forze. Segue le sue logiche e ha le sue dinamiche interne. Soprattutto, è il momento supremo in cui la Chiesa cattolica afferma la propria indipendenza.

Il fatto è che, per questo Conclave, non esiste un candidato al papato che possa imporsi da sé. La Chiesa cattolica oggi non ha a disposizione un cardinale che non abbia bisogno di mediazioni che possano creare un consenso all’interno del Conclave, perché ne godeva già prima che esso iniziasse (come fu il caso in occasione dell’elezione di Ratzinger).

In questo momento alla Chiesa cattolica mancano figure che, per il loro percorso, abbiano la statura del papa. Questo potrebbe essere un problema, certo; ma rappresenta anche un’opportunità. Papa Francesco fu eletto da un Conclave che si trovava in una condizione simile a questa.

La geografia complessa del Conclave

Rispetto a quel Conclave, quello che si riunirà a breve è caratterizzato però da una profonda discontinuità – voluta da papa Francesco. È cambiata la geografia di provenienza dei cardinali elettori: creando un Conclave che è specchio della Chiesa decentrata, della Chiesa globale, plasmata da papa Francesco.

La maggioranza dei cardinali che eleggeranno il prossimo papa non si conosce tra loro. Essi hanno dunque bisogno di tempo per familiarizzare, comprendere quali siano le aspettative e le preoccupazioni reciproche che portano in Conclave e investono sulla figura del prossimo papa.

Per questo il papa che verrà non uscirà solo da quanto sta alle nostre spalle (come induce a credere il gioco mediatico dei papabili), ma anche e soprattutto dalle prossime settimane. Il profilo del prossimo papa, ben prima dei nomi possibili, uscirà dalle Congregazioni Generali dei cardinali che precedono l’ingresso in Conclave dei cardinali elettori.

Queste Congregazioni saranno il luogo democratico nel quale verranno discussi i criteri e gli orientamenti della Chiesa cattolica per il prossimo decennio. Saranno questi criteri e orientamenti a definire il profilo del papa che meglio può corrispondere a essi. Da qui, in Conclave, inizierà il lavoro sui nomi concreti.

Un primo tema riguarderà certamente quanta e quale continuità/discontinuità dare al pontificato di Francesco. Ma non sarà l’unica questione decisiva discussa nel corso delle Congregazioni Generali.

Uno stile di governo sinodale per la Chiesa universale

Oggi la Chiesa cattolica che immagina il futuro papa non può non prendere in considerazione lo stravolgimento dell’ordine mondiale e lo spettro di guerre diffuse che possono rapidamente trasformarsi in un conflitto, non solo bellico, su scala globale. Il mondo è a due passi da questo baratro – e papa Francesco, con il lavoro della diplomazia vaticana, è stato non solo un punto di riferimento, ma ha anche fatto della Chiesa cattolica l’unica istituzione globale che si è impegnata a dialogare con tutti i soggetti in conflitto tra loro. Su questo punto, la condizione odierna del mondo, le crescenti tensioni geopolitiche, le guerre in atto, chiedono alla Chiesa cattolica una marcata continuità col pontificato di papa Francesco.

Se oggi la Chiesa cattolica non può più pensare solo a se stessa nell’elezione del papa, ossia limitarsi a questioni di dottrina o di pastorale, ma deve continuare a giocare un ruolo decisivo a livello di relazioni diplomatiche e di istituzione morale che vuole creare relazioni fraterne e di pace tra le persone e le nazioni, un altro aspetto decisivo è quello dello stile di governo della Chiesa che dovrà caratterizzare il prossimo pontificato.

Uno stile di governo che dovrà tenere insieme tre dimensioni non facili da coordinare tra di loro: la leadership del papa, il decentramento della Chiesa cattolica che fa crescere l’importanza e la responsabilità delle Chiesa continentali, e la funzione della Curia romana. In questo senso, se papa Francesco ha avviato un processo di sinodalizzazione interna della Chiesa cattolica, il prossimo papa dovrebbe dare forma a uno stile sinodale, concertato, e multilaterale, di governo della Chiesa stessa (cosa che non era nelle corde di Francesco).

In questa prospettiva di governo sinodale della Chiesa, l’Asia rappresenta un vero e proprio banco di prova. È possibile che le sfide che provengono da questo immenso continente, estremamente diversificato al suo interno, entrino a far parte dei criteri che costruiranno il profilo del prossimo papa.

In Asia la Chiesa cattolica è interpellata soprattutto a livello di dialogo con le religioni, da un lato, e sul piano del rapporto con le culture, dall’altro. È quindi chiamata a immaginare un cattolicesimo di minoranza creativo e costruttivo nella sua interlocuzione con le religioni e le culture. E, per quanto riguarda la Cina, a fare tutto questo tenendo conto del ruolo decisivo a livello geopolitico della diplomazia vaticana proprio nell’organizzazione delle sue pratiche pastorali.

Il caso serio dell’Asia

Se, a livello dogmatico, il papa può governare la Chiesa cattolica da solo, è proprio l’Asia a ricordare a quest’ultima che, sul piano della realtà, un papato assoluto e monarchico non è oggi più possibile. La Chiesa potrà essere minoranza creativa e costruttiva in Asia, e altrove nel mondo, solo se il prossimo papa saprà adottare uno stile di governo efficacemente sinodale – facendo del papato il punto di sintesi tra il lavoro di concertazione della Curia romana e quello sul campo delle Chiese locali.

Guardare all’Asia in sede di Conclave vuol dire guardare non solo al papa ma anche ai suoi collaboratori. Qui entrano in gioco, in particolare, la Segreteria di Stato, il Dicastero per il dialogo interreligioso, il Dicastero per le Chiese orientali, e Propaganda Fide (integrata oggi all’interno del Dicastero per l’evangelizzazione).

Gente comune

Fin qui la grande storia del prossimo Conclave. Può essere che in esso e nelle sue dinamiche entrino anche tutte quelle piccole storie di cattolici e non-cattolici, non-credenti, fedeli di altre religioni, che hanno trovato in papa Francesco una figura di riferimento e ispirazione ad agire nelle culture per una convivenza pacifica e riconciliata.

C’è una grande folla anonima che sente oggi il venire meno di un papa che si è messo dalla parte degli ultimi e dei dimenticati, che ha fatto in modo che nessun luogo e dramma del mondo finisse nell’oblio, che non ha tentennato a opporsi alle logiche e agli interessi che governano il nostro mondo.

Il prossimo Conclave potrebbe tenere conto anche di questo. Scegliere un papa che fa della Chiesa cattolica un’istituzione che si spende a favore di quell’umanità che è comune a tutti noi – a prescindere dalla religione, dal genere, dalle convinzioni politiche di ogni persona.

Un papa non solo per la Chiesa che governa, ma per l’umanità globale – che è poi il senso stesso di ciò che quella Chiesa dice di sé: ossia, di essere Cattolica.
(fonte: Settimana News 25/04/2025)


domenica 27 aprile 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - II DOMENICA DI PASQUA - ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


II DOMENICA DI PASQUA - ANNO C
27 aprile 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, Gesù risorto è il Vivente ed è presente in mezzo a noi. Per mezzo di lui innalziamo al Padre le nostre preghiere e con fiducia diciamo:

R/   Aprici a progetti di pace, o Padre

  

Lettore

- O Padre, Tu ci hai convocati attorno al tuo altare, segno della tua presenza e della tua Alleanza con tutta l’umanità. Per noi, che formiamo la tua Chiesa, torni a riempire i nostri polmoni del soffio dello Spirito del tuo Figlio Gesù, perché possiamo essere in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo segno concreto di riconciliazione e di pace. Preghiamo.

- Fa’ crescere nella tua Chiesa, o Padre, il senso vero dell’essere comunità cristiana nata dalla presenza stabile e fedele del tuo Figlio Risorto. Sostieni e accompagna, con la potenza creatrice del tuo Spirito, il cammino di crescita umano e di fede delle parrocchie, delle comunità religiose e delle famiglie cristiane, chiese domestiche di Cristo Sposo, affinché diventino testimoni credibili dell’Ottavo Giorno, il Giorno della Risurrezione del tuo Figlio Gesù, che dona senso e significato agli altri giorni della settimana. Preghiamo.

- La luce della Pasqua del tuo Figlio Gesù, o Padre, illumini le tenebre di questo mondo, così dominato dalla logica del diritto della forza e della sopraffazione. Disperdi i superbi, gli ipocriti e tutti i potenti nei pensieri perversi del loro cuore, ed ascolta il grido dei tanti poveri, ridotti a merce di scambio o considerati come semplice scarto da gettare via. Preghiamo.

- Abbi ancora pietà, o Padre, di questo nostro mondo smarrito e inquieto. Facci dono della tua sapienza, perché riusciamo a renderci conto della gravità delle “chiusure” di questo nostro tempo: della guerra considerata come strumento normale per risolvere i conflitti, dell’incapacità dei governanti di elaborare veri ed efficaci progetti di pace, della disonestà nel privato e nel pubblico sempre più radicata e diffusa. Tu, che nel Figlio Gesù hai aperto le porte del Cenacolo, apri la nostra mente e il nostro cuore all’esperienza della fraternità, della compassione e della misericordia. Preghiamo.

- Davanti al Signore Crocifisso Risorto ricordiamo i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ricordiamo papa Francesco, il suo essere dalla parte degli ultimi e il suo magistero quotidiano di pace e di speranza; ricordiamo anche tutte le vittime dimenticate delle guerre sparse nel mondo, come pure le vittime della corruzione e del sopruso. Verso tutti, o Padre, mostra il tuo volto di Bontà e di Misericordia. Preghiamo.


Per chi presiede

Dio nostro Padre, ascolta la voce della tua Chiesa in preghiera: aiutala a diventare sempre di più spazio umano abitato dalla tua Presenza di Pace, luogo di incontro della tua Parola e del Corpo del tuo Figlio Gesù, donato per amore. Te lo chiediamo perché Egli è nostro Signore e Fratello, vivente nei secoli dei secoli.
AMEN.


Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Papa Francesco e la “fine del mondo”

Giorgio Bernardelli
Papa Francesco e la “fine del mondo”

Ci ha insegnato che "il mondo si vede meglio dalle periferie". Lasciandoci in eredità i dimenticati della Terra


Quando il 13 marzo 2013 si affacciò per la prima volta su piazza San Pietro, disse che i cardinali in conclave l’avevano scelto “dalla fine del mondo”. Tante volte, in questi anni, abbiamo ripetuto che quelle parole non indicavano solo una collocazione fisica: Francesco è il Papa che ci ha insegnato che “il mondo si vede meglio dalle periferie”. E forse dovremmo ricordarcelo un po’ di più anche ora, mentre continuiamo a raccontare la sua morte – e oggi anche i suoi funerali – con lo sguardo fisso solo sul cuore di Roma.

In piazza San Pietro stamattina (ndr 26/04/2025), accanto al feretro, il mondo entrerà attraverso i volti dei suoi uomini apparentemente più potenti. Non c’è nulla di strano e nemmeno di ipocrita: succede spesso ai funerali delle grandi personalità. Non potrebbe non accadere per il pastore di 1,4 miliardi di cattolici nel mondo. Saranno lì in rappresentanza dei loro popoli, niente di più ma anche niente di meno. Per questo è stucchevole la corsa a stilare classifiche su chi abbia ascoltato di più o di meno le sue parole; come è illusorio pensare che i rappresentanti dei Paesi in guerra che non hanno ascoltato gli appelli di papa Francesco da vivo, da domani cambieranno strada. Sappiamo bene che non succederà.

Il mondo in piazza San Pietro, nell’ultimo saluto a Francesco, sarà lì con tutte le sue contraddizioni. Quelle che – appunto – si vedono meglio dalle periferie, dalle zone d’ombra, dai posti che nessuno cita mai quando si parla di geopolitica. Ed è da lì che in questi giorni sono arrivati i ricordi più interessanti di papa Francesco. Dal parroco di Gaza ai Rohingya, dai popoli dell’Amazzonia a quelli che è andato a visitare in sedia a rotelle nel caldo e nella polvere della Repubblica democratica del Congo, tutti hanno detto la stessa cosa: “È stato l’unico a non dimenticarci”. Anche il suo ultimo messaggio urbi et orbi di domenica scorsa è esemplare da questo punto di vista: nel giorno della sua Pasqua, non ha tralasciato proprio nessuno. Quasi a volerci affidare di nuovo i dimenticati della Terra.

Non è stato uno statista papa Francesco. Non ha scritto trattati di geopolitica. Nel suo parlare a braccio, a volte, c’è stata anche approssimazione: più di una volta ha confuso un Paese con un altro. Ma questa Terra lui l’ha comunque conosciuta come nessun altro. Perché alla “fine del mondo” non si analizzano i big-data; si impara che aprire il cuore porta lo sguardo lontano.

Si chiude un cerchio con il rito di oggi. L’uomo che i cardinali dodici anni fa scelsero dalla “fine del mondo” ci saluta chiedendo di non dimenticare le periferie della Terra. Lo dice alle teste coronate e ai capi di governo, riuniti intorno al suo feretro; ma lo dice soprattutto al nostro cuore. Proprio mentre il mondo discute sui dazi e la fine della globalizzazione, ci lascia con una Chiesa dove per la prima volta in un conclave entreranno cardinali provenienti da Paesi come Timor Est, Haiti e il Burkina Faso. Con un’indicazione chiara: “Fratelli tutti”. Gli ultimi lo hanno già capito, adesso tocca a noi.
(fonte: vino Nuovo 26/04/2025)

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"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 25 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


 II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia  ANNO C

Vangelo:
Gv 20,19-31

Mani forate e fianco squarciato: questi i segni particolari che caratterizzano il documento di identità di Gesù Crocifisso e Risorto, la carne vivente dalla quale ogni credente è generato, le sorgenti dello Shalom effuso su ogni discepolo. Sono le piaghe che risanano i nostri cuori (cfr. Is 53,5), la manifestazione visibile del suo amore per noi, «feritoie aperte anche dopo la resurrezione, squarci d'amore attraverso i quali Dio esce verso di noi e noi entriamo in Lui» (cit). Siamo nel giorno primo e ottavo, quello che non tramonta mai, l'oggi eterno in cui anche noi siamo immersi e viviamo. Celebrando il Memoriale mortis Domini, la comunità fa memoria dell'amore del Signore, riceve lo Spirito Santo ed è inviata al mondo a portare la gioia della riconciliazione. E' una gioia che nessuno mai ci potrà togliere (16,23), perché ha la sua fonte in Colui che ha resistito alle porte degli inferi. Tommaso - che significa gemello - non essendo presente insieme agli altri, non incontra Gesù: paradossalmente proprio lui, il cui nome implica l'essere-con, non si trova con gli altri, non è solidale con loro, non ne condivide la fragilità e la paura, si esclude dal resto degli apostoli tagliando ogni relazione con loro. Ma «otto giorni dopo» (oggi diremmo : la Domenica successiva), Tommaso è presente nel cenacolo con tutti gli altri. Solo ora ogni dubbio è fugato e il voler vedere e toccare il Signore lasciano il posto ad una indicibile gioia. Gesù è Kyrios! Gesù è Dio! Quel Dio che nessuno ha mai visto, ora si rivela attraverso le sue ferite d'amore. Al cospetto di un cuore tanto grande, ad un mistero che ci sovrasta e che non siamo in grado di comprendere ma solo di accogliere e adorare, insieme a Tommaso - il gemello nostro - possiamo finalmente esclamare: «Signore mio e Dio mio!»


sabato 26 aprile 2025

QUEL CORAGGIO DI PACE CONTROCORRENTE In nessun testo è scritto che sia meglio la fede granitica, tutta d’un pezzo, piuttosto che quella intrecciata ai dubbi. - II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

QUEL CORAGGIO DI PACE CONTROCORRENTE


In nessun testo è scritto che sia meglio la fede granitica, tutta d’un pezzo, piuttosto che quella intrecciata ai dubbi.


La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco (...). Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» (...). Giovanni 20,19-31

 
QUEL CORAGGIO DI PACE CONTROCORRENTE
 
In nessun testo è scritto che sia meglio la fede granitica, tutta d’un pezzo, piuttosto che quella intrecciata ai dubbi.

Otto giorni dopo venne di nuovo Gesù, a posare la sua pace sulle paure di Tommaso, a posare la sua carezza sui suoi dubbi.

In nessun testo è scritto che sia meglio la fede granitica, tutta d’un pezzo, piuttosto che quella intrecciata ai dubbi.

Tommaso è il solo coraggioso, l’unico che se la sente di uscire da quella stanza e da quella paura soffocanti. L’unico che guarda in faccia i propri dubbi e li chiama per nome: “non ci credo”!

Venne Gesù è stette in mezzo a loro. Otto giorni dopo Gesù è ancora lì. Li ha inviati per le strade e li ritrova ancora chiusi in quella stanza, ma non chiede loro di essere perfetti, ma di essere veri.

Pace a voi, annuncia, come carezza sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulla tristezza che scolora i giorni.

Pace: parola viva che oggi muore nelle ipocrisie, nelle case distrutte, negli ospedali bombardati, nelle file infinite per l’acqua sporca nella tanica, nelle pozzanghere di fango dove i bambini riescono ancora a vedere il cielo.

Quel cielo sulle pozzanghere è il nome della speranza.


Ma noi preferiamo la vittoria sul nemico, alla pace con lui. Il dialogo costa fatica, papa Francesco lo ha ripetuto fino allo sfinimento. Noi preferiamo il subito della forza, alla pazienza della giustizia e del perdono.

La pace di Gesù va oltre, è disarmante: metti via la spada. La pace comincia dentro, nel disarmare le parole, per disarmare la terra.


Poi Gesù si rivolge a Tommaso, detto “didimo”, cioè nostro gemello di dubbi e di fede, che lui aveva educato alla libertà interiore e, quando necessario, a dissentire dal gruppo; l’aveva fatto rigoroso e coraggioso.

Gesù si propone alle sue mani: Metti, guarda; tendi la mano, rispettando la fatica di ciascuno e i dubbi di tutti; onora i tempi e “la complessità del vivere, che ci fa tutti diversi e perciò necessari” (papa Francesco).

Gesù le piaghe non le nasconde, quasi le esibisce. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, che restano il punto più alto del suo amore, la sua gloria, e per questo resteranno aperte per l’eternità.


Metti qui la tua mano... qualche volta mi perdo a immaginare che forse un giorno anch’io sentirò quelle parole: toccami, e lascerò che la sua mano guidi la mia nel cuore di Dio. Nel crepacuore di Dio.

Il vangelo non dice che Tommaso l’abbia fatto. Che bisogno c’era? Si fida: mio Signore e mio Dio. Che inganno c’è in chi è si è lasciato spaccare il cuore per te?

La fede se non integra l’aggettivo “mio”, non è vera fede: sarà religione, catechismo, paura, teoria, ma la fede vera è ciò che arde (Ch. Bobin): mani, parole, occhi, cuore che ardono

Mio Signore, mio dev’essere, con la certezza dell’amata del Cantico, mio non di possesso ma di appartenenza: il mio amato è per me e io sono per lui. Tu parte di me, e io parte di te.


Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Grazie Francesco! - “Tutti, tutti, tutti” a dare l’ultimo saluto al Papa di tutti

In piazza San Pietro l’ultimo abbraccio del mondo al Pontefice.
Poi il corteo fino a Santa Maria Maggiore per la sepoltura

Grazie Francesco!


«Ora chiediamo a te di pregare per noi e che dal cielo tu benedica la Chiesa»

«E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese». Quell’invito pronunciato da Francesco la sera dell’elezione il 13 marzo 2013 dalla Loggia della Benedizione della basilica Vaticana è la didascalia più eloquente alle immagini della vettura funebre bianca che stamane ha trasportato il feretro del Papa lungo le strade del centro cittadino, tra due ali di folla assiepata dietro le transenne lungo il tragitto da San Pietro a Santa Maria Maggiore.

Vescovo e popolo in cammino insieme

Alla fine, come all’inizio del pontificato, ha preso forma visibile quell’auspicato «cammino Vescovo e popolo», il santo Popolo di Dio, come amava chiamarlo il Papa “venuto dalla fine del mondo”, compiuto insieme nei dodici anni del ministero petrino di Bergoglio.

Centocinquantamila tra romani, fedeli giunti da ogni dove, ma anche turisti di passaggio nell’Urbe in questo tempo pasquale, unitisi ai duecentocinquantamila che avevano pregato davanti alla bara nei tre giorni dell’esposizione del corpo del Pontefice defunto nella basilica Vaticana, e soprattutto ai duecentocinquantamila che stamane, sabato 26 aprile, hanno partecipato commossi ai funerali, presieduti dal cardinale decano in una piazza San Pietro illuminata da un caldo sole primaverile.

L’incontro tra Trump e Zelensky

Tra i presenti gente umile e semplice, e delegazioni di alto rango di capi di Stato e di governo: tra i quali anche i presidenti di Stati Uniti d’America e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, incontratisi all’interno della basilica prima dell’inizio del rito, aprendo a una speranza di pace.

Come avvenuto nei 47 viaggi internazionali di Francesco, tantissime persone si sono posizionate lungo i sei chilometri dell’itinerario percorso dal veicolo con a bordo il feretro, fino a raggiungere piazza Santa Maria Maggiore. Qui, all’interno della basilica Liberiana, la bara del vescovo di Roma ha sostato davanti all’icona della Salus populi romani, come per un ultimo saluto di Bergoglio alla Vergine, prima della sepoltura proprio nel più antico tempio mariano dell’occidente cristiano.
(fonte: L'Osservatore Romano 26/04/2025)

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“Tutti, tutti, tutti”
a dare l’ultimo saluto al Papa di tutti

In Piazza San Pietro i funerali di Francesco con la partecipazione di 250 mila persone da tutto il mondo, tra cui diversi capi di Stato e di governo. Celebrazione solenne intervallata dagli applausi della gente dispiegata fino a Castel Sant'Angelo. Il cardinale Re: "Incessante l'impegno per la pace di fronte all'infuriare delle guerre. Ha ricordato con forza che siamo tutti fratelli". Il lungo pellegrinaggio del feretro tra le vie di Roma verso Santa Maria Maggiore


Con chi gli era più vicino scherzava sul fatto di aver detto a Dio che era disponibile ad arrivare “fino a cento anni”, ma poi aggiungeva di non vedere l’ora di incontrare Cristo e la Madonna, la madre, e che in questo giorno del distacco dalla vita terrena avrebbe voluto una “festa”. Ed è stata una festa, intrisa di tutta la sua solennità, la Messa esequiale di Papa Francesco che si è celebrata questa mattina, 26 aprile, in Piazza San Pietro con oltre 250 mila persone venute da ogni parte del mondo, tra cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, ambasciatori, rappresentanti di ebraismo e islam, famiglie, poveri, migranti, giovani e bambini, capi di Stato e di Governo (tra loro anche i presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, incontratisi prima dei funerali nella Basilica vaticana tra loro e poi con Emmanuel Macron e Keir Starmer).

La processione dei sediari con il feretro del Pontefice (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

Immagini e suoni

“Tutti, tutti, tutti” venuti a dare l’ultimo saluto a un Papa sempre “in mezzo alla gente” e “con il cuore aperto a tutti”, come ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, durante l’omelia della Messa. Di questa festa restano le immagini, come le tante che hanno costellato questo pontificato. A cominciare dalle mani poggiate sulla bara dei membri di quella che è stata finora la sua “famiglia”: i segretari argentini don Daniel Pellizzon e don Juan Cruz Villalón, quasi due “figli” conosciuti dalla giovinezza a Buenos Aires, e il fedele segretario italiano, il diplomatico don Fabio Salerno; poi gli aiutanti di camera, Piergiorgio Zanetti e Daniele Cherubini e, infine, Massimiliano Strappetti, l’assistente sanitario personale, al suo fianco in tutto il difficile tempo della malattia fino all’ultimo respiro, che ha dato un bacio al feretro prima della uscita sul sagrato.

E poi, ancora, tra le immagini: il sole che sorge da dietro l’obelisco e che illumina la bara poggiata su una pedana nel centro della piazza, con sopra il Vangelo sfogliato dal vento come avvenne al funerale del predecessore, Giovanni Paolo II, vent’anni fa; le lacrime della gente e dei parenti di sangue; la lunga fila che da San Pietro si è snodata fino a Castel Sant’Angelo, dove molti hanno atteso l'evento dalla notte prima; la bandiera dei ragazzi con la scritta: “Adios padre, maestro y poeta”.

Restano i colori: la porpora dei cardinali, le mitre dorate dei patriarchi delle Chiese orientali, le velette nere delle consorti di sovrani e diplomatici, il copricapo piumato bianco e rosso degli indigeni del Canada. Restano i suoni: il vagito di una neonata nella delegazione argentina, il garrito dei gabbiani mischiato al ronzio dei droni, il Requiem della Schola Cantorum e l’Ora pro eo intonato dalla moltitudine di gente in risposta alle litanie in latino; il “W il Papa”, gridato sommessamente da un uomo tra le prime file.

I presenti sul sagrato della Basilica di San Pietro (Vatican Media)

Gli applausi all'uscita del feretro e durante l'omelia

Ma restano soprattutto gli applausi. Tanti applausi, partiti dal fondo della folla e arrivati come una risacca fino all’altare all’uscita della bara dalla Basilica di San Pietro, alle 10.08, portata in spalla dai sediari pontifici in una processione silenziosa. Applausi andati ad interrompere alcuni passaggi dell’omelia del cardinale Re. Quelli in cui il decano ha ricordato il desiderio di Jorge Mario Bergoglio di una Chiesa che fosse “casa aperta a tutti”, il suo primissimo viaggio a Lampedusa per regalare sollievo in mezzo ad una delle più tremende tragedie migratorie, il suo richiamo a doveri e responsabilità per la Casa comune; l’incessante appello tra la pandemia di Covid e il dramma della guerra: “Nessuno si salva da solo”, implorando pace, pace, pace contro una guerra che – ha detto tante volte – “è sempre una sconfitta”.

Il cardinale Re: un intenso pontificato

Tratti della personalità di Jorge Mario Bergoglio, del suo afflato pastorale, della sua “spiccata attenzione alle persone in difficoltà” e della capacità di spendersi “senza misura”, insieme ai momenti salienti dell’intenso pontificato, a cominciare dai viaggi, si sono intrecciate nella omelia del cardinale Re. Il decano ha ringraziato anzitutto quanti sono venuti da numerosi Paesi “ad esprimere affetto, venerazione e stima verso il Papa che ci ha lasciati”, a cominciare dalla gente accorsa numerosissima in questi tre giorni di esposizione della salma del Pontefice nella Basilica vaticana, e ancora più numerosa oggi in Piazza.

Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori

L'omelia del cardinale Re (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

La spiccata attenzione verso gli ultimi

Il cardinale ha snodato poi la sua riflessione a partire dall’ultima immagine pubblica di Francesco la domenica di Pasqua, quando, nonostante i gravi problemi di salute, ha impartito la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia di San Pietro e poi è sceso in piazza per salutare dalla papamobile la grande folla. Un segno della volontà di “percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena”.

Tra metafore e memorie, Re è tornato al 13 marzo 2013, giorno dell’elezione sul Soglio di Pietro dell’arcivescovo di Buenos Aires che si presentò con il semplice nome di Francesco. Una scelta – ha sottolineato – che da subito apparve il simbolo “di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”.

Conservò il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa, instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati.

I fedeli presenti ai funerali (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

In mezzo alla gente e col cuore aperto a tutti

“È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti” e anche un Papa “attento al nuovo che emergeva nella società ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa”, ha detto Re. Questa attenzione e questa vicinanza si sono rese visibili nel vocabolario attraverso il quale il Papa “ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i problemi del nostro tempo”. “Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa”, ha rammentato il cardinale.

Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, Papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato.

Accoglienza, ascolto, evangelizzazione

Un carisma, quello di Francesco, “dell’accoglienza e dell’ascolto”, unito “ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi”: è così che “ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali”.

“Il primato dell’evangelizzazione” è stato poi la guida del pontificato, così come “la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte”. Più volte Papa Francesco ha fatto ricorso all’immagine della “Chiesa come ospedale da campo”. Una Chiesa “desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo” e “capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”.

La bara di Papa Francesco (Vatican Media)

I viaggi

“Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”, ha evidenziato Re, elencando le visite a Lampedusa, a Lesbo, al confine tra Messico e Stati Uniti. Luoghi, tutti, feriti dal dramma delle migrazioni. Poi l’Iraq, viaggio compiuto nel 2021 “sfidando ogni rischio” e che “resterà nella storia” perché “balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis”. Un viaggio anche importante per il dialogo interreligioso, “un’altra dimensione rilevante della sua opera pastorale”.

Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci: Egli perdona sempre qualunque sia la situazione di chi chiede perdono e ritorna sulla retta via

L'invito alla fraternità

“Misericordia” e “gioia del Vangelo” altre due parole chiave di questo pontificato: “In contrasto con quella che ha definito ‘la cultura dello scarto’, ha parlato della cultura dell’incontro e della solidarietà”. Anche la “fraternità” ha attraversato tutto il pontificato con toni vibranti. La Fratelli tutti ha cristallizzato questo anelito, con il suo intento di “far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità” e ricordare che “apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana”. Un’altra enciclica rimane simbolica ed è la Laudato si’, per richiamare doveri e corresponsabilità nei riguardi della casa comune, ha detto Re. “Nessuno si salva da solo”, il messaggio centrale, e il Papa lo ha declinato anche nel dramma delle guerre infuriate in questi anni, “con orrori disumani e innumerevoli morti e distruzioni”. Davanti a questo, “Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva - è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”.

La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta

Il passaggio della vettura scoperta con la bara di Papa Francesco per le strade di Roma (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

"Ora chiediamo a te di pregare per noi"

Un’eredità enorme, dunque, quella lasciata da Papa Francesco. E oggi tutti pregano “perché Dio lo accolga nell’immensità del suo amore”.

Papa Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri dicendo: “Non dimenticatevi di pregare per me”. Caro Papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza

I riti finali

Ancora applausi a fine omelia, e anche preghiere in arabo, in cinese, portoghese, polacco. Poi il feretro cosparso di incenso e acqua benedetta, il rito della Ultima Commendatio e della Valedictio, la “Supplicatio” di patriarchi, arcivescovi maggiori e metropoliti delle Chiese orientali cattoliche accanto alla bara ma verso alla bara, con il suggestivo canto: “Concedi il riposo all’anima di questo tuo servo defunto Francesco, vescovo, in un luogo verdeggiante, in un luogo di beatitudine dove non sono più sofferenza, dolore pianto”.

Alcuni bambini portano dei fiori nella Basilica di Santa Maria Maggiore (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

La processione del feretro verso Santa Maria Maggiore

Le campane di San Pietro hanno suonato alle 12 in punto. Meno di venti minuti dopo si è conclusa la celebrazione e in tanti dalla Piazza sono corsi, mentre i sediari portavano il feretro di nuovo all’interno della Basilica, verso la Porta della Preghiera da dove la bara chiusa è uscita sopra una vettura scoperta bianca. Quasi una papamobile ad accompagnarlo nel suo ultimo giro in mezzo al popolo che lo ha atteso numeroso ai lati delle strade di Roma - 150 secondo le stime - salutando, applaudendo e lacrimando: dall’ingresso del Perugino, passando per il centro storico, fino a San Giovanni in Laterano e, infine, via Merulana e Santa Maria Maggiore. La “sua” Basilica, quella della madre, la Salus Populi Romani, la Vergine che da secoli veglia su Roma e, da oggi, su questo figlio che quando sostava dinanzi a Lei ha sempre avuto sulle labbra una sola parola: “Grazie”.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 26/04/2025)

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Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - GRAZIE papa Francesco Comunicato di Pax Christi Italia


GRAZIE papa Francesco

Comunicato di Pax Christi Italia

Il 21 aprile 2025, Lunedì dell’Angelo, chiamato da Lui, Pastore dei Pastori, anche tu ti sei incamminato verso i pascoli eterni del cielo e noi tutti di Pax Christi Italia, commossi e allo stesso tempo gioiosi, ti abbiamo seguito con i nostri occhi. Non ti sei allontanato da noi perché ti pensiamo diversamente vivente e in cammino con noi.

Ti diciamo … GRAZIE! per aver indicato a questa Chiesa, nei tuoi 12 anni di servizio come Pietro, le strade della luce della fede, della gioia del Vangelo, della lode a Dio-Creatore, della bellezza della fraternità, della gioia dell’amore nuziale, dell’amore di Cristo per noi e di aver spalancato le porte della Speranza!

Ti diciamo …GRAZIE! per aver quasi spinto questa Chiesa sulle strade non facili dell’incontro con il mondo, mettendola in guardia dal cedere alla mondanità materiale o spirituale, con uno sguardo di amore per gli ultimi, per i poveri, per gli scartati, per gli emarginati, per i sofferenti e, come ospedale da campo, ad accogliere e a prendersene cura con dolcezza e tenerezza.

Ti diciamo …GRAZIE! per aver provocato questa Chiesa ad incamminarsi “ sui sentieri di Isaia” e a scalare il monte delle Beatitudini con le vette della mitezza, della nonviolenza e dell’artigianato della pace. Hai denunciato l’ipocrisia, la stupidità e la violenza di una politica e di una economia che “aliene da razionalità” producono e vendono armi che generano guerre, morti, devastazioni e criminali profitti.

Ti diciamo …un ultimo GRAZIE! per quell’indimenticabile 12 gennaio 2019 quando ci hai accolti, incontrati, come Consiglio Nazionale di Pax Christi, e incoraggiati a continuare ad essere educatori e costruttori di pace. Ti ascoltammo con molta attenzione e ci confidasti la tua ostinazione nel condannare le armi nucleari, (‘anche se non mi ascoltano’) ricordandoci che non solo l’uso ma anche il possesso è immorale!

Ma adesso ci dobbiamo lasciare perché Lui ti sta chiamando: “Vieni servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore”!

Noi continuiamo il nostro cammino, il nostro impegno ad essere ‘artigiani di pace’ come tu ci hai indicato.

Papa Francesco, GRAZIE!

Firenze, 24 aprile 2025 Pax Christi Italia


venerdì 25 aprile 2025

Renato Sacco: 25 aprile: sì, sarò sobrio


25 aprile: sì, sarò sobrio
Scritto da Renato Sacco Pubblicato in Mosaico di Pace il 24 Aprile 2025


Sì, sarò sobrio, non mi ubriacherò il 25 aprile. E sono contento di viverlo con i giovani dell’“Associazione 21 marzo” di Verbania e con altre realtà giovanili e sociali della nostra provincia del VCO. Sono davvero contento che mi abbiano invitato alla loro giornata “25 aprile Cosa resisto a fare!? – 80 ragioni per fare la liberazione”, per parlare di pace contro le guerre.

Dirò loro che è “una pazzia” spendere il 2% del PIL per le armi. Sono parole di papa Francesco. E credo che lui sarebbe contento di sapere che questi giovani sognano un mondo di giustizia, di pace, un mondo di amore, libero dal flagello della guerra.
Racconterò alcune mie esperienze in zone di guerre, parlerò del Ri-Armo europeo: 800 miliardi in armi. E della follia dei caccia F-35, dal costo di 150 milioni l’uno. L’invito da parte del Governo a celebrare il 25 aprile, 80 anni, in modo sobrio suona davvero male in questa terra, quella della Repubblica partigiana dell'Ossola (10 settembre - 23 ottobre ’44).
Ci aspetteremmo sobrietà, dal Governo, nel bloccare le spese militari, non esultare per il raggiungimento del 2% del PIL. Nel non modificare la legge185/90 che regola l’export delle armi. Sobrietà nel non definire “carico residuale” i migranti, subito dopo la strage di Cutro. Sobrietà nel non riaccompagnare il Libia un torturatore assassino con un mandato di cattura delle Corte Internazionale. Sobrietà nel non mettere sotto controllo il telefono di chi è accanto ai migranti, come l’amico d. Mattia Ferrari, amico anche di papa Francesco. Controllare don Mattia voleva dire controllare anche papa Francesco.
È forse questa sobrietà?
È questo il modo di rispettare il papa da vivo e da morto?
Racconterò ai giovani la tenacia e la resistenza di alcuni lavoratori del porto di Genova (CALP) che si rifiutano di caricare e scaricare armi dalle navi. Non vogliono essere complici della guerra! E lo stesso papa Francesco li aveva incontrati e sostenuti. E scrivendo ai giovani nel luglio 2022 papa Francesco scriveva: “Il male per vincere ha bisogno di complici”. Parlerò loro anche del dossier della rivista Mosaico di pace, sulla Resistenza, realizzato da studenti e studentesse di un liceo di Bolzano, in Alto Adige e di un liceo di Barletta, in Puglia: ‘Resistenza tra passato e futuro’.
Credo che papa Francesco sarebbe contento di sapere che ci sono giovani che vanno controcorrente, Spesso ripeteva ai giovani “Fate chiasso, fatevi sentire!”.
Ecco domani incontrerò giovani che non vogliono essere complici con queste scelte di guerra e di odio, e se poi, verso sera, ci sarà anche musica, ben venga anche quella. Credo non sia per nulla irrispettoso nei confronti del lutto per papa Francesco, anzi…
Sarebbe meglio essere sobri e non fare rumore con le bombe, le guerre e far tacere il rombo degli F-35, prodotti a Cameri (No). Metterli a tacere, non comprane altri 25, come previsto in questi giorni! Sarebbe un modo rispettoso e sobrio per vivere il 25 aprile e il ricordo di papa Francesco.
Sui sentieri della pace e del disarmo.