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lunedì 13 ottobre 2025

GIUBILEO DELLA SPIRITUALITÀ MARIANA SANTA MESSA Piazza San Pietro 12/10/2025 Leone XIV Omelia e Angelus “Dalla Terra Santa una scintilla di speranza, ma serve il coraggio della pace”. (commento/cronaca, testi e video)

GIUBILEO DELLA SPIRITUALITÀ MARIANA S. MESSA  Piazza San Pietro 12/10/2025
Leone XIV Omelia e Angelus

“Dalla Terra Santa una scintilla di speranza, ma serve il coraggio della pace”. 
Poi un appello per l’Ucraina: basta missili, droni e bombe


In piazza San Pietro, Papa Leone XIV ha levato oggi un nuovo e intenso appello per la pace. Dopo la messa celebrata per il Giubileo della Spiritualità mariana, il Pontefice ha rivolto lo sguardo ai popoli segnati dalle guerre, parlando di “scintille di speranza” e di “dolori senza fine”. Nelle sue parole, pronunciate durante l’Angelus, si sono intrecciati il sollievo per il cessate il fuoco a Gaza e la sofferenza per i bombardamenti che ancora devastano l’Ucraina.

“Pace” è stata la parola centrale, ribadita con forza e accompagnata da un invito a ritrovare il coraggio: “Coraggio per portare avanti le aspirazioni dei popoli, coraggio per aprirsi al dialogo, coraggio per mettere da parte le armi”, ha detto Leone XIV, riprendendo il tema del Rosario per la pace da lui presieduto sabato sera, quando aveva chiesto ai potenti del mondo “l’audacia del disarmo”.

Il Papa ha espresso soddisfazione per i primi passi compiuti in Medio Oriente dopo l’accordo che ha permesso l’inizio del processo di pace in Terra Santa. “Una scintilla di speranza – ha sottolineato – che va custodita e alimentata con la buona volontà e il coraggio delle parti coinvolte”. Ma non si tratta, ha precisato, di una pace effimera o illusoria: deve essere “una pace giusta, duratura e rispettosa delle legittime aspirazioni del popolo israeliano e del popolo palestinese”.

Nel ricordare le immagini dei palestinesi che tornano tra le rovine delle loro case, Leone XIV ha mostrato la sua vicinanza a quanti “hanno perso tutto: i figli, i genitori, gli amici, ogni cosa”. E ha aggiunto parole di tenerezza evangelica: “Con tutta la Chiesa sono vicino al vostro immenso dolore. Oggi soprattutto a voi è rivolta la carezza del Signore”.

Da quella stessa Piazza San Pietro, gremita da oltre cinquantamila fedeli, il Pontefice ha poi richiamato l’attenzione sull’altra grande ferita del continente europeo: “Seguo con dolore le notizie dei nuovi, violenti attacchi che hanno colpito diverse città e infrastrutture civili in Ucraina”. Poi ha denunciato l’uso di missili, droni e bombe plananti che seminano morte e distruzione: “Il mio cuore si unisce alla sofferenza della popolazione, che da anni vive nell’angoscia e nella privazione. Rinnovo l’appello – ha detto – a mettere fine alla violenza, a fermare la distruzione, ad aprirsi al dialogo e alla pace”.

Il Papa ha poi esteso il suo pensiero alla crisi politica in Perù, dove ha vissuto a lungo come missionario agostiniano e poi come vescovo e vice presidente della Conferenza Episcopale: “Prego perché il caro popolo peruviano possa proseguire sulla via della riconciliazione, del dialogo e dell’unità nazionale”.

Infine, prima di recitare l’Angelus, Leone XIV ha ricordato le vittime degli incidenti sul lavoro, in occasione della 75esima Giornata nazionale dedicata alla sicurezza nei luoghi di lavoro. “Preghiamo per loro e per la sicurezza di tutti i lavoratori”, ha detto con voce commossa, richiamando la responsabilità collettiva verso chi perde la vita per guadagnarsi il pane.

Da questo Angelus emerge ancora una volta la visione pastorale di Papa Leone XIV: una “pace disarmata e disarmante”, capace di ricucire i legami lacerati dell’umanità. E mentre il mondo continua a oscillare tra la speranza e la paura, il suo invito risuona come un monito e un conforto insieme: “Riscopriamo che l’altro non è un nemico, ma un fratello da guardare, perdonare, riconciliare”.

Leone XIV: “Spogliamoci delle medaglie dell’orgoglio, viviamo la rivoluzione della tenerezza”

Nella messa conclusiva del Giubileo della Spiritualità mariana, all’omelia, il Pontefice ha tracciato un profilo della Vergine come icona di un cristianesimo autentico e disarmato, invitando i fedeli a liberarsi delle maschere che nascondono la fragilità interiore e a riscoprire la “rivoluzione della tenerezza”, quella stessa espressione tanto cara a Papa Francesco.

“Guardiamoci da ogni strumentalizzazione della fede – ha ammonito Leone XIV – che rischia di trasformare i diversi, spesso i poveri, in nemici, in ‘lebbrosi’ da evitare e respingere”. Un monito severo contro l’uso ideologico della religione e contro quelle forme di devozione che, svuotate di carità, finiscono per anestetizzare il cuore.

Il Papa ha indicato in Maria la via per un ritorno all’essenziale: “Nel Magnificat, Ella canta un mondo nuovo”, ha detto. “Un mondo dove l’amore non ha bisogno di medaglie, dove la grazia non si misura con i titoli, dove la grandezza non passa per il disprezzo degli altri”. Maria, per Leone XIV, è la donna che svela la potenza della mitezza, la forza di chi “non ha bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importante”.

Riflettendo sul passo della seconda Lettera a Timoteo, il Papa ha insistito sul cuore della fede: “Ricordati di Gesù”, come scriveva Paolo “in catene come un malfattore”. Un invito a rimettere Cristo al centro, senza ridurlo a simbolo astratto o a semplice riferimento morale: “Ciò che noi riteniamo eccessivo e crocifiggiamo – ha spiegato Leone XIV – Dio lo risuscita, perché non può rinnegare se stesso. Gesù è la fedeltà di Dio, la fedeltà di Dio a se stesso”.

Da questa memoria viva nasce, secondo il Papa, la forza della domenica: “Ogni domenica ci rende colmi della memoria incandescente di Gesù, del suo sentire e del suo pensare”. È questo il cuore del Giubileo mariano: una spiritualità radicata nella Pasqua, non nei riti vuoti o nelle abitudini esteriori.

Il Pontefice ha poi evocato la figura di Naamàn, il generale straniero guarito dalla lebbra nel Giordano, e il racconto evangelico della sinagoga di Nazaret, dove Gesù viene rifiutato dai suoi. “La salvezza di uno straniero – ha spiegato – scandalizzò i presenti. Lo condussero fino al ciglio del monte per gettarlo giù”.

A quel punto Leone XIV si è soffermato su una meditazione toccante: la possibile presenza di Maria in quel momento. “Poteva trovarsi là, e provare ciò che le era stato annunciato dal vecchio Simeone: ‘E anche a te una spada trafiggerà l’anima’”. Nella Madre, ha aggiunto, “si compie il mistero della compassione: Ella partecipa al rifiuto del Figlio, soffre con Lui, ma continua a credere che Dio non abbandona nessuno”.

Per questo, ha concluso il Papa, il cammino dei credenti non può essere quello del giudizio o della durezza, ma quello della tenerezza che accoglie e risana: “Senza questa rivoluzione del cuore, anche la fede più ardente rischia di diventare fredda, e la preghiera un’abitudine senza vita”.

L’omelia si è chiusa con un invito a guardare a Maria come modello di una Chiesa umile e aperta, capace di farsi prossima: “In Lei – ha concluso Leone XIV – impariamo che la grandezza del credente non è nel dominare, ma nel servire; non nel mostrare medaglie, ma nel lasciare che Dio ci renda trasparenti al suo amore”.
(fonte: Faro di Roma 12/10/2025)

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Paolo come Willy, quei bravi ragazzi uccisi dal branco

Paolo come Willy, quei bravi ragazzi uccisi dal branco

Palermo sotto shock. Cerca di sedare una lite e gli sparano in testa


Dieci contro uno. Quando Paolo Taormina, secondo il racconto dei testimoni, ha visto il branco che si accaniva con pugni e calci contro un ragazzino, ha lasciato il lavoro per andare a difendere la vittima. Quando ha chiesto al gruppo di lasciare i locale uno di loro ha estratto una pistola e gli ha sparato un colpo in fronte uccidendolo. Poi tutti i coinvolti si sono dati alla fuga sugli scooter. 

È successo a Palermo, a due passi dal Teatro Massimo, nei luoghi della movida del capoluogo siciliano, Un quartiere molto ben frequentato, le serate ai pub il sabato sera, bicchieri di alcolici sui tavolini. 
Non si sa per quale motivo sia scoppiata la rissa. Colpisce però la naturalezza con cui gli adolescenti non solo portano armi con loro, ma non esitano a usarle. 

Paolo, 21 anni, figlio della titolare del pub O Scruscio davanti al quale si è consumata la tragedia, «si stava guadagnando il pane», dice uno degli amici più cari. Non ha esitato, quando ha visto il ragazzino a terra, a uscire dal locale e a intervenire. Così come era stato istintivo per Willy Monteiro Duarte, anche lui ventunenne, mettersi in mezzo per salvare un coetaneo dal pestaggio. A Willy, ucciso a Colleferro nel settembre del 2020, era stata conferita la medaglia d’oro al valor civile alla memoria.

Per Paolo i carabinieri, subito intervenuti sul posto, si sono messi a caccia, grazie alle immagini della videosorveglianza, degli autori dell’omicidio.
Intanto Palermo è sotto shock. «Ma come si fa? Qual è la motivazione? Mi hanno distrutto la vita. Come si fa a sparare in testa a un ragazzo? Come faccio a vivere ora? Mi avete tolto la speranza», ha subito gridato la madre di Paolo attorno alla quale si sono subito stretti amici e parenti.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Annachiara Valle 12/10/2025)



domenica 12 ottobre 2025

Il Papa ai potenti del mondo: abbiate l’audacia del disarmo!

Il Papa ai potenti del mondo:
abbiate l’audacia del disarmo!

Leone XIV presiede il Rosario per la pace in Piazza San Pietro e riafferma che nessuna ideologia, fede o politica può giustificare l’eliminazione del prossimo. Bisogna guardare il mondo con "lo sguardo dei piccoli", afferma, ed esorta chi ha responsabilità nel mondo a costruire "le condizioni per un futuro di pace": "Siate miti e determinati, non lasciatevi cadere le braccia. Dio cammina con voi"

Un momento dell'allocuzione del Papa (@VATICAN MEDIA)

"Metti via la spada". Le parole di Cristo a Pietro nell'Orto degli Ulivi, il Papa, che di Cristo è il vicario e di Pietro il successore, le rivolge "ai potenti del mondo, a coloro che guidano le sorti dei popoli"

“Abbiate l'audacia del disarmo!”

La pace, infatti, germoglia dalla comunione, e non dalla deterrenza. Dal dialogo, e non dall’ultimatum. È un’audacia, quella di riporre la propria arma - il disarmo, appunto - che si richiede più che mai ai potenti di oggi. Perché “per nessuna idea, o fede, o politica noi possiamo uccidere”, afferma Leone XIV nel Rosario per la pace presieduto questa sera, 11 ottobre, in Piazza San Pietro.


A vegliare sul Pontefice e sulle migliaia di fedeli raccolti in preghiera sotto un cielo inizialmente terso e gradualmente sempre più scuro è la statua originale della Madonna di Fátima, fatta giungere a Roma in occasione del Giubileo della Spiritualità mariana.

Un cuore "frammento di cosmo ospitale"

Dai raccoglimenti della “prima Chiesa” a quelli di duemila anni dopo, la presenza della Vergine è costante. Altrettanto instancabilmente, quindi, Leone XIV esorta a non smettere di pregare per la pace, “dono di Dio che deve diventare nostra conquista e nostro impegno”. Alla stregua della madre di Gesù, nelle parole di san Giovanni Paolo II, il Papa invita ciascuno a farsi “tenda umile del Verbo, mossa solo dal vento dello Spirito”: dotati di un cuore che ascolta, che muta in “frammento di cosmo ospitale”.

Attraverso di lei, donna addolorata, forte, fedele, chiediamo di ottenerci il dono della compassione verso ogni fratello e sorella che soffre e per tutte le creature

Donna che ama, madre che piange

Non solo alla Vergine, il Papa fa riferimento a tutto il gruppo di donne, “piccolo” ma coraggioso, che sostava sotto la Croce. Oggi, Gesù è “ancora crocifisso nei suoi fratelli”, e ciascuno è chiamato a portargli conforto, comunione e aiuto. Nelle parole, citate dal Pontefice, del presbitero David Maria Turoldo:

Madre, tu sei ogni donna che ama; madre, tu sei ogni madre che piange un figlio ucciso, un figlio tradito. Questi figli mai finiti di uccidere

"Qualsiasi cosa vi dica, fatela"

Ad illuminare la veglia di preghiera per il Giubileo della spiritualità mariana non sono solo le luci della sera romana, ma quella “mite e perseverante” che emana dalle parole di Maria, nei Vangeli. Tra tutte, il Papa ricorda le ultime: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Un “testamento” che deve essere “carissimo” ai figli.

Lei è certa che il Figlio parlerà, la sua Parola non è finita, crea ancora, genera, opera, riempie di primavere il mondo e di vino le anfore della festa. Maria, come un segnale indicatore, orienta oltre sé stessa, mostra che il punto di arrivo è il Signore Gesù e la sua Parola, il centro verso cui tutto converge, l’asse attorno al quale ruotano il tempo e l’eternità

"Gesto e corpo, fatica e sorriso"

La raccomandazione materna è quindi quella di incarnare il Vangelo, rendendolo “gesto e corpo, sangue e carne, fatica e sorriso”. A rimanere sarà proprio quest’ultimo: una vita che da vuota si fa piena. Da spenta, accesa.

Fate qualsiasi cosa vi dica: tutto il Vangelo, la parola esigente, la carezza consolante, il rimprovero e l’abbraccio. Ciò che capisci e anche ciò che non capisci. Maria ci esorta ad essere come i profeti: a non lasciare andare a vuoto una sola delle sue parole

"Metti via la spada"

“Metti via la spada”. Ecco la Parola di Gesù da non “lasciar cadere” oggi, rivolta all’apostolo Pietro. “Disarma la mano e prima ancora il cuore”,: riaffermare la tanto agognata “pace disarmata e disarmante”.

La pace è disarmata e disarmante. Non è deterrenza, ma fratellanza, non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono

Tale comando è, in primis, rivolto ai “potenti del mondo”, ai quali Leone XIV rivolge un’ulteriore esortazione: “abbiate l’audacia del disarmo!”. Ma l’invito si allarga a ciascuno, nella consapevolezza che non si può mai eliminare un fratello o una sorella in nome di un’idea, di una fede, di una politica.

“Se non c’è pace in noi, non daremo pace”

"Voi però non fate così"

“Voi però non fate così”. Un’altra Parola di Gesù risouna. Un monito contro i “grandi del mondo”, che costruiscono “imperi con il potere e il denaro”. Dio non opera così: non siede su troni, ma s’inginocchia ai piedi di ciascuno, cinto di un solo asciugamano, stretto in quel “poco di spazio che basta per lavare i piedi dei suoi amici e prendersi cura di loro”.

Occhi nuovi

Necessario, dunque, è un cambio di sguardo: contemplare il mondo “dal basso”, occhi negli occhi con chi soffre, con i piccoli. Con la vedova, l’orfano, lo straniero, il bambino ferito, l’esule, il fuggiasco. E ancora, con chi fa naufragio. Con Lazzaro, e non il ricco epulone – come raccontato nel Vangelo di Luca. Anche qui, la stella polare è Maria, e il suo cantico del Magnificat, in cui mette a fuoco i “punti di frattura” dell’umano, dove avviene “la distorsione del mondo”. Dove si incontrano umili e potenti, poveri e ricchi, sazi e affamati.

E sceglie i piccoli, sta dalla parte degli ultimi della storia, per insegnarci a immaginare, a sognare insieme a lei cieli nuovi e terra nuova.

"Beati voi, operatori di pace"

“Beati voi, operatori di pace”. L'ultima Parola di Gesù presa in esame invita a contemplare il dono che Dio fa a quanti “alla vittoria sul nemico, preferiscono la pace con lui”. Leone XIV si rivolge a chi oggi è chiamato a costruire la riconciliazione: li invita a essere “miti e determinati”, a non lasciarsi “cadere le braccia”. Nella sicurezza che, lungo, il cammino, Dio non abbandona, ma “crea e diffonde” pace attraverso “i suoi amici pacificati nel cuore”. Il Pontefice conclude la sua allocuzione con una preghiera rivolta proprio a Maria, “donna pacificata nel profondo”, invocandola affinché rinunciando "all'opaco egoismo", ciascuno possa "seguire Cristo, vera luce dell'uomo".

Fedeli partecipano al momento di preghiera (@VATICAN MEDIA)

Una rosa per la Madonna

Dopo il consueto giro in papamobile tra i fedeli raccolti in piazza san Pietro, il Papa ha dato inizio al momento di preghiera offrendo – alla presenza dell'arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione – alla Madonna di Fátima una rosa d’oro, che per l’occasione è stata realizzata dalla ditta “Diego Serpone” di Napoli. Ha poi introdotto la contemplazione dei Misteri gaudiosi del Rosario pregando perché ciascun fedele “in un mondo lacerato da lotte e discordie” possa divenire artigiano “di pace”.

Il Papa pone la rosa dinanzi alla Madonna (@Vatican Media)

La lettura di Lumen Gentium

Ogni decina del Rosario è stata accompagnata anche dalla lettura di un brano dell’ottavo capitolo di Lumen Gentium, documento conciliare che tratta del ruolo della Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa, per ricordare la ricorrenza dell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962. Italiano, inglese, spagnolo, francese e portoghese, sono le cinque lingue nelle quali sono stati recitati gli altrettanti Misteri.

La preghiera del Rosario in piazza san Pietro (@Vatican Media)

L'adorazione eucaristica

Dopo la recita del Salve Regina e delle Litanie lauretane, il Papa ha pronunciato la sua allocuzione. È stato poi esposto il Santissimo Sacramento, con in sottofondo il canto Adoro te devote. L’adorazione è stata invece accompagnata dalla lettura di un passaggio tratto dal libro del profeta Isaia. Sono state inoltre proclamate le invocazioni, rispettivamente in inglese, polacco, tedesco, cinese e arabo. Il rito finale è stato quello della benedizione eucaristica, succeduta dalla riposizione del Santissimo Sacramento nel tabernacolo, con il canto Madre fiducia nostra. Il Papa ha poi lasciato il sagrato dell'emiclico berniniano, facendo rientro nella basilica vaticana, dietro alla statua della Madonna di Fátima.


(fonte: Vatican News, articolo di Edoardo Giribaldi 11/10/2025)

Esortazione apostolica "Dilexi te". I poveri, un messaggio per la comunità.

Esortazione apostolica
Dilexi te. I poveri, un messaggio per la comunità

Paolo Valente*

Fin dalle prime battute dello scritto di Leone, è chiaro che i poveri non sono da identificarsi come i beneficiari delle nostre buone azioni sociali. Sono piuttosto un messaggio rivolto a ciascuno e alla società

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

L’esortazione apostolica Dilexi te è il testimone che, nella staffetta tra i successori di Pietro, passa da Francesco a Leone. Ognuno ha fatto e farà la sua parte nella corsa, ma senza mai lasciar cadere la centralità, nell’esperienza cristiana, dei poveri. Non un aspetto residuale della realtà, ma l’oggetto/soggetto di una scelta preferenziale. Contrariamente a come va il mondo,

i poveri sono una “scelta prioritaria” che “genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società”.

Purché si sia capaci di liberarsi dall’autoreferenzialità e di ascoltare il loro grido.

Fin dalle prime battute dello scritto di Leone, è chiaro che i poveri non sono da identificarsi come i beneficiari delle nostre buone azioni sociali. Sono piuttosto un messaggio rivolto a ciascuno e alla società. Nei poveri il Signore della storia “ha ancora qualcosa da dirci”. È il tema, caro a Francesco, dei poveri che evangelizzano i ricchi, resi ciechi dal benessere, al punto da pensare che la felicità possa realizzarsi soltanto se si riesce a fare a meno degli altri. “In questo, i poveri possono essere per noi come dei maestri silenziosi, riportando a una giusta umiltà il nostro orgoglio e la nostra arroganza” (108). “Nel silenzio della loro condizione, essi ci pongono di fronte alla nostra debolezza”.
Che cosa è la povertà? Dannazione o maledizione? E chi sono i poveri? Coloro che sono esclusi “dal tenore di vita minimo accettabile”, come dice l’Europa? Le vittime dell’ingiustizia, dei cambiamenti climatici, dell’economia che uccide, delle migrazioni forzate? Della cultura dello scarto e di una certa “meritocrazia” per la quale “sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita”?

C’è una cosa che mi ha colpito. In tutta l’esortazione apostolica “sull’amore verso i poveri” si cita la Caritas una sola volta, nel capitolo dedicato all’accompagnamento dei migranti (“…gli sforzi di Caritas Internationalis…”). Nel resto del documento nulla di nulla. Non suona strano, in una società nella quale ogni volta che si parla dei poveri la prima a essere interpellata è la Caritas, nelle sue espressioni nazionale, diocesana, territoriale? Una dimenticanza?

Papa Leone e Papa Francesco ci raccontano, nuovi compagni sulla strada di Emmaus, come le Scritture fin dall’inizio mettano al centro il povero. E come la stessa vita di Cristo sia stata segnata da uno stile di povertà. E come i primi cristiani abbiano spezzato con i poveri il loro pane. E così avanti, dagli antichi padri alle comunità monastiche, dagli ordini mendicanti ai profeti sociali, fino alla dottrina sociale della Chiesa, al Concilio, ai giorni nostri. “Il cuore della Chiesa, per sua stessa natura, è solidale con coloro che sono poveri, esclusi ed emarginati, con quanti sono considerati uno ‘scarto’ della società. I poveri sono nel centro stesso della Chiesa” (111).

L’attenzione ai poveri è dunque “parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa”.

La Caritas, a ogni livello, serve soprattutto per questo. Non per sostituirsi alla comunità nella testimonianza della carità, ma per ricordare a tutti che “la carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento” (91). Per questo (104) “il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una ‘questione familiare’. Sono ‘dei nostri’”. E dunque “il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa”.

La carità non si delega e i poveri sono un messaggio, un impegno per tutta la comunità cristiana, non un “compito” per la Caritas.

I poveri mettono alla prova la nostra credibilità di cristiani (Giacomo: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?”).

L’orizzonte per la comunità cristiana oggi (e sempre) è descritto con intensa e disarmante semplicità al numero 120: “L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno”.

Una Chiesa che ama, povera, per i poveri.

* vice direttore Caritas italiana
(fonte: SIR 10/10/2025)


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Leggi il testo integrale dell'Esortazione apostolica Dilexi te.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 49 - 2024/2025 - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


 XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno C

Vangelo:
Lc 17,11-19

Malattia terribile la lebbra, definita dalle Scritture «la figlia primogenita della morte» (Gb18,13) e ritenuta un vero castigo di Dio, una punizione riservata a coloro che fanno esperienza del peccato, e a motivo di ciò, divorati pezzo dopo pezzo dalla morte. I lebbrosi sono cadaveri ambulanti che rendono immondo tutto quello che toccano, morti viventi esclusi per sempre dalla comunità civile e religiosa. Samaria e Galilea sono i simboli rispettivamente dell'idolatria e dell'infedeltà, cifra di questa impurità che impedisce qualsiasi tipo di relazione con Dio, con gli uomini e con le cose. Per questa ragione Gesù attraversa queste due regioni, le taglia in mezzo, perché nessuno possa sentirsi escluso dalla prossimità e dalla misericordia del Padre, per condurre tutti dietro di sé fino a Gerusalemme. Solo Gesù, però, il Figlio amato perché obbediente al Padre, può compiere il santo viaggio, perché è l'unico che ha «mani innocenti e cuore puro perché non si rivolge agli idoli» (Sal 24). Grazie a Lui e per mezzo di Lui anche noi siamo resi degni di compiere ciò che prima non era permesso: poter stare senza vergogna davanti al volto del Padre. Lebbrosi sono i samaritani e i galilei, lebbrosa è tutta la comunità di Israele (il nr. 10 - il minian - è il simbolo dell'assemblea sinagogale), perché è incapace di vivere la misericordia (cfr. Lc 17,1-6), lebbrosi siamo noi perché facciamo esperienza della medesima morte. Accostandosi a noi, Gesù ci usa misericordia, lasciandosi toccare dalla nostra lebbra assume la nostra stessa impurità divenendo così anche Lui un inavvicinabile immondo, come noi (cfr. Lv 13). Escluso dalla comunità degli uomini, ci conduce tutti alla comunione col Padre. «La sua misericordia ha piagato Lui della nostra lebbra e guarito noi per mezzo delle sue piaghe (cfr. Is 53,5). A noi tocca solo alzare la voce, gridare la nostra impurità, invocare il suo Nome e così ottenere la salvezza insperata e, cadendo ai suoi piedi, fare il nostro Rendimento di Grazie» (cit.)


sabato 11 ottobre 2025

LA GUARIGIONE CHE NON SAI “Non è la fede che si piega alla storia, è la storia che si piega alla speranza.” - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

LA GUARIGIONE CHE NON SAI


Non è la fede che si piega alla storia,
è la storia che si piega alla speranza.


Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Lc 17, 11-19
 
LA GUARIGIONE CHE NON SAI
 
Non è la fede che si piega alla storia, è la storia che si piega alla speranza.

Dieci lebbrosi a distanza, solo occhi e voce: Gesù, abbi pietà. Davanti al dolore in Gesù scatta un'urgenza di bene: non devono soffrire neanche un secondo di più.
E infatti subito dice loro: Andate dai sacerdoti. Mettetevi in cammino.

Perché li manda via? Perché stanno già guarendo, anche se ancora non lo sanno, anche se ancora non lo vedono.
Il futuro entra in noi con il primo passo, prima ancora che accada; con il primo raggio di sole, con il primo seme che si apre.

A tutti noi Gesù dice “Kum!”. Alzati! Imperativo potente e indiscutibile.
Solo per questa scommessa di fiducia data a tutti, perfino al nemico, la nostra terra avrà un futuro e non una guerra nucleare. Io lo credo.

Il mondo intero ha bisogno della nostra piccola fede di profeti, i quali credevano alla Parola di Dio più ancora che al suo attuarsi.
Una vergine partorirà, profetizza Isaia, ma lui non la vedrà.
Avrai più figli che stelle, ha detto ad Abramo. E Lui ci crede, fino alla fine, anche se ha un figlio solo, quell’Isacco che ha pure tentato di uccidere.
E a Mosè stesso, Dio farà vedere la terra promessa soltanto da lontano, regalandogli solo una struggente nostalgia.
Un Dio esigente con i suoi profeti?
“Sulla tua parola getterò le reti!”, aveva detto Pietro; “sulla tua parola ci mettiamo in cammino”, dicono i dieci piccoli lebbrosi, spalle al muro e piaghe aperte.
E mentre andavano, furono guariti.

E’ la strada ad essere guarigione, perché fermento di speranza. La vita guarisce non perché raggiunge la meta, ma quando trova il coraggio di salpare. Lentamente, poco a poco, un piede dietro l’altro, e ad ogni passo una piccola goccia di guarigione.
La speranza è più forte dei fatti, li contesta e li attraversa. Non è la fede che si piega alla storia, è la storia che si piega alla speranza.

Ancora una volta il Vangelo propone un samaritano, un eretico, come modello di fede che salva. L'unico a cui Gesù dice: «la tua fede ti ha salvato». Ai nove che non tornano è invece sufficiente la guarigione, che li fa scomparire nel turbine della loro felicità.
Non tornano perché ubbidienti all’ordine di Gesù: andate dai sacerdoti.
E non vedono oltre.
Uno solo vede oltre le parole di Gesù.
E torna.
Ha intuito che il segreto non sta nella guarigione, ma nel Guaritore.
Non va dai sacerdoti perché ha capito che la salvezza non deriva da norme e leggi eseguite, ma dal rapporto personale con lui, Gesù di Nazaret.
È salvo perché torna alla radice, trova la fonte e vi si immerge come in un lago. Non cerca doni, cerca il Donatore.

Come usciremo da questo vangelo? Io voglio tornare indietro come quel samaritano, e fare mia la madre di tutte le parole: “grazie”.
Torniamo indietro tutti, seguiamo la bussola del cuore e “affrettiamoci ad amare: le persone se ne vanno così in fretta!” (Ian Twardowski).


VIVERE NELL’OGGI CON PROFEZIA - IL SIMBOLO DELLA FEDE- MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ 2025 DAL 22 OTTOBRE AL 26 NOVEMBRE

Fraternità Carmelitana di Barcellona P.G. (ME)

Mercoledì della Spiritualità - 2025

Di presenza nella sala del convento e online

dal 22 ottobre al 26 novembre

dalle h. 20.00 alle h. 21.00


VIVERE NELL’OGGI CON PROFEZIA
IL SIMBOLO DELLA FEDE

1700° anniversario del Concilio Ecumenico di Nicea (325)


         In occasione dell'anniversario del Concilio di Nicea (325), i Mercoledì della Spiritualità 2025 saranno dedicati alla comprensione del Credo (Simbolo della Fede). Al Concilio di Nicea, infatti, fu elaborato un testo sul Simbolo della Fede, che è stato accettato da tutte le Chiese e le confessioni cristiane.
         Pertanto, la memoria del 1700° anniversario del concilio di Nicea (325-2025) è l’occasione per rileggere il Simbolo della Fede – cioè il Credo che professiamo ogni domenica nella celebrazione eucaristica – nella prospettiva del vissuto ecclesiale-comunitario (“noi crediamo...), storico-sociale e quotidiano, oltre che personale. Di fronte alla temperie culturale, sociale e religiosa (!!) che oggi viviamo dominata (spesso in nome di Dio!) dalla cultura della legge del più forte, che nega il rispetto della dignità umana dell’altro e l’autodeterminazione dei popoli, con tutto quel che ne consegue in affermazione del primato della guerra e degli interessi economici e finanziari sul vero dialogo e la vera diplomazia, la comunità credente non può accontentarsi di semplici parole di disappunto, ma responsabilmente chiedersi, con coraggio e profezia: in quale Dio confidiamo, speriamo, viviamo ed esistiamo (At 17,28)? Forse Dio non lo stiamo “confezionando” come un idolo “a nostra immagine e somiglianza”, a nostro uso e consumo (Sal 135,15-18), a copertura del nostro cinismo e delle nostre menzogne?



Mercoledì 22 Ottobre
La fede come risposta all’iniziativa di Dio Trinità nella storia umana (Vittorio Rocca)

Mercoledì 29 Ottobre

Noi crediamo in un solo Dio Padre e Madre (Gregorio Battaglia)

Mercoledì 5 Novembre
Noi crediamo in Gesù Figlio di Dio origine e compimento della fede (Alberto Neglia)

Mercoledì 12 Novembre
Noi crediamo nello Spirito Santo, che “spinge” la storia e parla per mezzo dei profeti (Felice Scalia)

Mercoledì 19 Novembre
Per una lettura mistagogica del Simbolo della Fede nella Liturgia della Chiesa (Egidio Palumbo)

Mercoledì 26 Novembre
La fede nel vissuto quotidiano di S. Teresa di Lisieux (Alberto Neglia)


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Per informazioni: Chiesa del Carmine – Tel. 0909762800.


Enzo Bianchi - Il tempo giusto per far tacere il rumore

Enzo Bianchi
Il tempo giusto per far tacere il rumore

C’è un silenzio cattivo che porta all’isolamento e al vuoto, e uno buono, che conduce alla pienezza dell’ascolto della voce, delicata e soave, di Dio

Famiglia Cristiana - 5 Ottobre 2025
Rubrica: Cristiano, chi sei?


Conosci tu il silenzio? Il silenzio concreto e autentico, quello che non è solo assenza di rumori ma spegnimento per quanto è possibile di ogni voce, di ogni suggestione che sale dal cuore, di ogni pensiero? Perché tu lo sai: c’è nella vita di ciascuno di noi un silenzio negativo, quando non abbiamo nessuno al quale parlare e non abbiamo nessuno che si rivolge a noi. C’è anche il silenzio dell’isolamento che scaturisce dall’acedia fino a portarci al mutismo. Questi silenzi che sono accompagnati da angoscia e a volte da depressione non sono desiderabili; ad essi occorre opporre resistenza ricorrendo sempre alla dolcezza della comunità attraverso l’incontro, il dialogo, lo scambio delle nostre più nobili e sapienti parole.

Ma c’è un silenzio che va ricercato, che va deciso e fissato nel tempo, possibilmente all’interno della giornata, nel quale solitari taciamo per dare il primato all’ascolto. Sì, ascoltare il Signore che presente in noi attraverso il suo Spirito ispira, suggerisce, il desiderio di Dio, e ascoltare per chi non percepisce il tu del Dio che gli parla, la sua propria coscienza che ha una voce, che parla con voce debole ma che ben ascoltata e confrontata risulta convincente, autorevole. Nella preghiera ci deve essere questo tempo di silenzio che significa mettersi davanti al Signore in una terribile nudità: non si ha nulla da dire, solo da ascoltare: “Parla, Signore, che il tuo servo ascolta!”.
(fonte: blog dell'autore)


venerdì 10 ottobre 2025

La venezuelana Maria Corina Machado, Nobel per la Pace 2025


La venezuelana Maria Corina Machado,
Nobel per la Pace 2025


«Per il suo instancabile lavoro nel promuovere i diritti democratici per il popolo del Venezuela e per la sua lotta per realizzare una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia». Sono queste le motivazioni del Nobel alla leader dell’opposizione venezuelana



Il Comitato Norvegese per il Nobel ha assegnare il Premio Nobel per la pace a Maria Corina Machado «per il suo instancabile lavoro nel promuovere i diritti democratici per il popolo del Venezuela e per la sua lotta per realizzare una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia».

Leader delle forze democratiche, rappresenta molti venezuelani che all’interno e all’esterno del Paese lottano per ripristinare la libertà nel suo Paese. Insieme al presidente eletto Edmundo Gonzalez Urrutia, María Corina Machado era già stata insignita del premio Sakharov 2024 del Parlamento Europeo per la libertà di pensiero. E ora il Comitato di Oslo riconosce questa donna coraggiosa con il Nobel per la Pace.

Come leader del movimento democratico in Venezuela, si legge nelle motivazioni del comitato, Maria Corina Machado è uno degli esempi più straordinari di coraggio civile in America Latina negli ultimi tempi. Machado è stata una figura chiave e unificante in un’opposizione politica un tempo profondamente divisa – un’opposizione che ha trovato un terreno comune nella richiesta di elezioni libere e di un governo rappresentativo, aggiunge il comitato. Questo è precisamente ciò che sta al centro della democrazia: la nostra comune volontà di difendere i principi del governo popolare, anche se non siamo d’accordo. In un momento in cui la democrazia è minacciata, è più importante che mai difendere questo terreno comune.
(fonte: Mondo e Missione 10/10/2025)



FUOCO DELLA PACE AD ASSISI 
PER DIRE STOP ALLE GUERRE
Fiamma accesa dal 10 al 12 ottobre in piazza del Comune; 
previsti momenti di riflessione, testimonianze, condivisione e preghiera
Il vescovo Monsignor Sorrentino: “Convertiamoci alla non violenza”




ASSISI – “Davanti al disagio che tante nostre sorelle e fratelli stanno vivendo a Gaza, in Ucraina, Congo, Sud Sudan, Myanmar, Haiti… il nostro impegno di presenza è come una goccia nel mare al punto che sembra di riascoltare come un monito nel nostro cuore il rimprovero di Gesù ai dodici: ‘Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?’ (Mt. 26,40). Siamo chiamati pertanto a vegliare con ‘Cristo nostra pace’ (Ef. 2,14) affinché i cuori dei potenti si aprano al dono della pace e ciascuno di noi si converta sinceramente alla nonviolenza cristiana nei nostri comportamenti quotidiani, nelle scelte e nelle responsabilità come anche Papa Leone XIV ci ha più volte esortato”. Sono le parole del vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, per annunciare la partecipazione a “Il fuoco della pace”, in programma dal 10 al 12 ottobre in piazza del Comune ad Assisi. L’iniziativa – con il patrocinio del Comune di Assisi e della Diocesi di Assisi, Nocera Umbra, Gualdo Tadino e di Foligno – è promossa da Pro Civitate Christiana, Movimento dei Focolari, Fraternità Evangelii Gaudium e Agesci. Nello specifico in piazza del Comune verrà acceso un piccolo fuoco, alimentato 24 ore su 24, giorno e notte, attorno al quale sono previsti momenti di riflessione, testimonianze, condivisione e preghiera per invocare da Assisi la pace nel mondo. Chiunque può contribuire portando il proprio pezzo di legno da ardere e il proprio appello di pace. L’obiettivo è “rispondere al fuoco della guerra con il fuoco della pace”, accendendo la speranza.

Monsignor Sorrentino, in connessione con la Marcia della Pace Perugia – Assisi, ha promosso un coinvolgimento della diocesi, “davanti al disastro delle guerre che si va diffondendo nel mondo col suo strascico di lutti e distruzioni, odio e violenze, sofferenze e inimicizie. Sono certo – conclude – che non farete mancare la vostra adesione convinta e che solleciterete la partecipazione di tutti coloro che sono affidati alla vostra cura pastorale o con cui condividete amicizia e cammini di impegno e di fede”.


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Leggi anche il post già pubblicato:
- Tonio Dell'Olio - Il fuoco della pace

giovedì 9 ottobre 2025

Striscia di Gaza: Romanelli, “speriamo che il Calvario di Gaza stia arrivando alla fine”


Striscia di Gaza: Romanelli, “speriamo che il Calvario di Gaza stia arrivando alla fine”

(Foto ANSA/SIR)

“Ogni Via Crucis ha la sua fine e speriamo che il Calvario di Gaza stia arrivando alla fine e che presto la luce della speranza e della resurrezione si incominci a vedere”. Si continua a pregare per la pace nella parrocchia latina della Sacra Famiglia di Gaza, situata a Gaza City, nel quartiere orientale di Al Zaitoun. Sono circa 450 i cristiani che vi hanno trovato rifugio e che vengono assistiti dal parroco, padre Gabriel Romanelli, coadiuvato da padre Youssef Asaad e da padre Carlos Ferrero, insieme alle suore del Verbo Incarnato (Ive) e a quelle di Madre Teresa, che si occupano di numerosi bambini gravemente disabili e intrasportabili. 

“Le notizie che giungono non sono buone”, dichiara al Sir il parroco. Sul terreno proseguono le operazioni militari israeliane, inclusi attacchi aerei e bombardamenti, ancora in corso in diverse aree, causando ulteriori vittime civili, sfollamenti e la distruzione di infrastrutture, come denunciato dall’Onu. Il portavoce Stéphane Dujarric ha affermato che “i civili continuano a pagare il prezzo più alto delle ostilità, della distruzione e degli sfollamenti di massa, con donne e ragazze che risultano le più vulnerabili”. 
“Tuttavia – aggiunge padre Romanelli – ci sono voci qui che annunciano un possibile accordo. Speriamo in bene. E speriamo veramente che gli abitanti di Gaza possano restare a vivere qui e a ricostruire qui la loro vita. Da parte nostra stiamo bene, ma siamo stanchi ed esausti. Continuiamo a lavorare, a pregare, a fare il bene di tutti, per essere strumenti di pace”. 
Resta attuale la domanda ‘provocatoria’ del parroco, affidata ai suoi canali social: “C’è davvero qualcuno che vince in questa guerra?”. 

Oggi i premier del Qatar e una delegazione turca si uniranno in Egitto ai negoziatori di Hamas e Israele nel terzo giorno di colloqui volti a porre fine alla guerra a Gaza. Tra i partecipanti ci sarà anche l’inviato speciale del governo americano per il Medio Oriente, Steve Witkoff, insieme al genero di Trump, Jared Kushner, giunti ieri a Sharm el-Sheikh. Come noto, le trattative, iniziate lunedì, si basano sul piano in 20 punti presentato nelle scorse settimane dal presidente statunitense.

Di queste ultime ore la notizia che Israele ha intercettato una nuova Flotilla diretta a Gaza. “Un altro vano tentativo di violare il blocco navale legale ed entrare in una zona di combattimento si è concluso in un nulla di fatto”, si legge sull’account X del Ministero degli Esteri dello Stato ebraico. “Le navi e i passeggeri – continua la nota – sono stati trasferiti in un porto israeliano. Tutti sono sani e salvi e in buona salute. Si prevede che saranno espulsi tempestivamente”. “L’esercito israeliano non ha giurisdizione legale in acque internazionali – la replica della Flotilla, composta da 140 membri, giunta attraverso i social -. Trasportiamo aiuti vitali per un valore di oltre 110.000 dollari in medicinali, apparecchiature respiratorie e integratori nutrizionali destinati agli ospedali di Gaza“. La Flotilla fa capo alla “Freedom Flotilla Coalition (Ffc) e Thousand Madleens to Gaza (Tmtg).
(foto: SIR 08/10/2025)

Tonio Dell'Olio - Il fuoco della pace

Tonio Dell'Olio
 
Il fuoco della pace


PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  8 OTTOBRE 2025

Da venerdì prossimo fino a domenica 12 ottobre nella Piazza del Comune di Assisi, arderà notte e giorno un fuoco che dev’essere custodito e alimentato.

Attorno al fuoco si ritroveranno scolaresche, associazioni, parrocchie, comunità religiose, famiglie, lavoratori a pregare per la pace, riflettere, presidiare in silenzio, far volare un aquilone, ascoltare una fiaba… 

In quel fuoco vorremmo fossero consumate tutte le armi del mondo capaci solo di provocare lutti, sofferenze e distruzioni ma anche i pregiudizi che ci impediscono di ascoltare le ragioni dell’altra e dell’altro. 

Quel fuoco deve essere alimentato con la legna dell’impegno degli artigiani di pace a costruire percorsi nonviolenti – solo apparentemente insignificanti e ininfluenti – nel proprio metroquadro di storia quotidiana senza perdere di vista la conversione radicale di cui hanno bisogno la politica, l’economia, l’informazione e tutti gli altri poteri. 

Quel fuoco vuole scaldare i cuori per far trasparire quanto siano più numerose e più profonde le ragioni della pace, della riconciliazione, del dialogo e del perdono rispetto a quelle della vendetta e della violenza. Il fuoco della pace che si accende in Assisi è poca cosa rispetto a quanto avviene a Gaza, in Ucraina, nel Nord Kivu, in Myanmar, ad Haiti, in Sudan e in Sud Sudan… ma è pur sempre una luce che indica la strada, è un segno. E i segni, quando sono nonviolenti, diventano fuoco.


mercoledì 8 ottobre 2025

La Speranza a muso duro


La Speranza a muso duro

La situazione mondiale, locale, politica, sociale, religiosa… è disperata. Ma per Gesù non era meglio. E allora?


Trump in America, Putin in Russia, in Europa… lasciamo stare. Salvini e la Meloni in Italia, il vescovo Tale in diocesi, don Talatro in parrocchia, Neutro Roberts in Vaticano… E la Speranza, dove è finita? Dove la mettiamo? Dove andiamo a cercarla? È il Giubileo della Speranza! Chi se ne ricorda? Chi ci crede? Anzi: chi ci ha mai creduto?

Viene proprio da spararsi: diciamo solo «da disperarsi».

Ma pensiamo a Gesù. A Roma c’era l’imperatore, in Giudea Pilato, in Galilea Erode, a Gerusalemme i sacerdoti e i farisei: non era messo tanto meglio di noi… E poi: i suoi lo rincorrono per metterlo dentro, tra i suoi colleghi più validi c’è un certo Giuda Iscariota, Il suo braccio destro, Pietro… lasciamo perdere. Tra i preferiti Giovanni e Giacomo, quelli dello zot sui Samaritani e quelli delle poltrone in parlamento… E tuttavia non si è disperato.

Non l’ha presa sul personale, non si è offeso o dimostrato deluso. Non ha discusso per raggiungere compromessi, non ha abbassato il livello, né fatto sconti. Non è stato politically correct, né politicamente inclusivo. Ma si è schierato: ha smesso di parlare ai potenti sordi e si è rivolto agli umili disponibili, senza tralasciare nessuna singola persona. Se avesse aspettato il consenso o almeno solo un compagno, chissà dove saremmo…

Ha detto: «Non mi tiro indietro, farò da solo (solo?), pagherò io; se permettete offro io». È andato avanti, a muso duro ma senza arrabbiarsi o prendersela con gli altri, senza mormorare o lamentarsi, senza smettere di incontrare le persone, aiutarle, voler loro bene. Senza rinnegare i suoi amici, senza abbandonarli o disprezzarli.

La Speranza è una virtù, non un dono. Bisogna cercarla, vederla, volerla, lottare per averla! Se non si riesce a ritrovarla, viene in aiuto la Fede. Fede in Gesù Cristo, e basta. E magari in quegli angeli che lui ci mette vicino per consolarci e farci sperimentare il suo amore. E se pure la Fede dovesse perdere colpi, allora chiediamo la Carità e la Fedeltà: «Non ci abbandonare nella prova». Forse ritroveremmo anche la Speranza…
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Gabriele Guerzoni 07/10/2025)


Israele: 'Le parole di Parolin minacciano la pace'. Il Papa: 'La posizione del cardinale è quella della Santa Sede'

Israele: 'Le parole di Parolin minacciano la pace'.
Il Papa: 'La posizione del cardinale è quella della Santa Sede'

L'ambasciata israeliana dopo l'intervista del segretario di Stato vaticano: 'Trascura il rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi'. Il cardinale: 'Il piano di pace di Trump coinvolga i palestinesi'

Papa Leone e il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin © ANSA/EPA

"Preferisco non commentare ma il cardinale ha espresso l'opinione della Santa Sede".
Così Papa Leone, uscendo dalla sede vaticana di Castel Gandolfo, sull'attacco dell'ambasciata israeliana presso la Santa Sede alle parole del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, sul conflitto in Medio Oriente.

In un'intervista ai media vaticani, lunedì, Parolin ha parlato di una situazione a Gaza "grave e tragica", di "una guerra devastante che ha mietuto decine di migliaia di morti", e ha anche usato il termine "carneficina". Ha quindi auspicato che il piano di pace di Trump coinvolga i palestinesi e chiesto subito il rilascio degli ostaggi.

'"La recente intervista al Cardinale Parolin, sebbene sicuramente ben intenzionata, rischia di minare gli sforzi per porre fine alla guerra a Gaza e contrastare il crescente antisemitismo. Si concentra sulla critica a Israele, trascurando il continuo rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi o di porre fine alla violenza. Ciò che più preoccupa è l'uso problematico dell'equivalenza morale laddove non è pertinente", ha affermato l'ambasciata d'Israele presso la Santa Sede dopo l'intervista.

Leone: 'Gli atti di antisemitismo preoccupanti'

Sempre uscendo da Castel Gandolfo il Papa ha anche sottolineato che "l'esistenza, non so se sono in aumento, degli atti di antisemitismo, è veramente preoccupante". "Bisogna annunciare la pace, il rispetto della dignità di tutte le persone", ha aggiunto il Papa.

Leone XIV ha poi spiegato che, per il primo viaggio, ha scelto la Turchia "per i 1700 anni del Concilio di Nicea" e "in Libano per la possibilità di annunciare di nuovo il messaggio di pace in Medio Oriente in un Paese che ha sofferto tanto", "cercheremo di portare questo messaggio di pace e di speranza".
(fonte: ANSA 07/10/2025)

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martedì 7 ottobre 2025

Ricordare il 7 ottobre costruendo la pace

Ricordare il 7 ottobre costruendo la pace

Per non cedere all’abisso dell’odio occorre dare spazio a chi, dentro i conflitti sempre più disumani, testimonia la possibilità di un’altra strada da percorrere. La proposta della Fondazione Gariwo e le chiare parole del cardinal Parolin, segretario di Stato della Santa Sede

Manifestazione dei familiari degli ostaggi rapiti il 7 ottobre da Hamas EPA/ABIR SULTAN

«Come ricordare il dramma del 7 ottobre due anni dopo?»
Inizia così il comunicato della Fondazione Gariwo nata «per far conoscere e promuovere le storie di chi ha scelto il Bene, anche nei momenti più bui della storia». La realtà, nata per iniziativa dello storico saggista e storico ebreo Gabriele Nissim, è nota in particolare per aver promosso in diverse città italiane il “Giardino dei giusti”, un luogo pubblico dove matura la coscienza che resiste alla logica dell’odio e della vendetta.

Con riferimento alla ricorrenza dei due anni dell’eccidio perpetrato il 7 ottobre 2023 da Hamas e alte milizie contro la popolazione israeliana confinante con la Striscia di Gaza, Gariwo comunica che hanno deciso di farne memoria «pensando alla nonviolenza e al dialogo, dando spazio a chi in Medio Oriente lavora per la costruzione della pace. È proprio per questo che oggi proietteremo nei nostri uffici “There is Another Way”, il docufilm che racconta la storia dei Combatants for Peace, un gruppo di visionari che si rifiutano di arrendersi alla violenza e all’ingiustizia e, così facendo, dimostrano che un’altra strada è possibile: per loro, per noi e per tutta l’umanità».

In un mondo dove assistiamo alla pretesa del presidente Usa Trump di ottenere il Nobel per la pace, la Fondazione Gariwo ci ricorda, invece, che l’associazione dei Combatants for Peace è stata già candidata, a ragione, due volte a ricevere il riconoscimento del premio assegnato in questi giorni dal comitato norvegese perché «rappresenta uno straordinario gruppo binazionale di ex combattenti nemici – israeliani e palestinesi – che lavorano insieme per il dialogo e la riconciliazione».

È l’intera rete delle associazioni per la pace in Medio Oriente che ha bisogno di essere messa in luce come espressione di una diversa direzione di marcia della storia dell’umanità, destinata altrimenti all’autodistruzione se trovano spazio nella comunicazione pubblica solo i proclami che rivendicano la violenza estrema, come avviene con le dichiarazioni del governo Netanyahu che continua a seminare morte e distruzione tra la popolazione civile di Gaza ma anche con chi rivendica la strage del 7 ottobre come atto necessario di una guerra di liberazione. Una manifestazione convocata a Bologna con tale motivazione è stata giustamente vietata dal sindaco di quella città che ha dato più volte dimostrazione di una testimonianza di pace condivisa tra persone e comunità di differente credo politico e religioso.

Come dice Gad Lerner, «Il 7 ottobre non c’è proprio niente da festeggiare. Se non credete agli israeliani che due anni fa rivissero l’incubo della shoah e oggi invocano il cessate il fuoco, chiedetelo ai cinque milioni di palestinesi che sopravvivono a Gaza e in Cisgiordania: vi diranno che quel giorno non ha avuto inizio la loro riscossa, ma al contrario una catastrofe peggiore della Nakba. La pace si fa in due, sforzandosi di riconoscere le sofferenze e i diritti dell’altro popolo».

Lerner esprime una posizione minoritaria all’interno della comunità ebraica italiana, il cui pensiero sarà accessibile nella giornata del 12 ottobre quando il Cnel aprirà le porte ad un convegno dal titolo “La Storia stravolta e il futuro da costruire” promosso dall’Ucei «in occasione del secondo anniversario del pogrom del 7 ottobre 2023 e dell’avvio della guerra a Gaza. È nostra convinzione che in questi due anni l’appiattimento della storia abbia preso il posto della complessità, la superficialità dell’approfondimento, l’invettiva delle ragioni, il verosimile della verità. L’esistenza stessa dello Stato ebraico viene messa in discussione nelle piazze, nei campus e nei media; sionismo è diventato sinonimo di colonialismo, Israele di genocidio».

Il prossimo 16 ottobre rappresenta un’altra data importante perché ricorda il rastrellamento del ghetto di Roma avvenuta nel 1943 a dimostrare la carenza di una piena assunzione di responsabilità storica e politica per l’emanazione delle leggi razziali e l’alleanza con il nazismo stretta da parte dell’Italia durante il fascismo.

Ma la memoria dell’Olocausto non è affatto rimossa dalla coscienza comune degli italiani come dimostra la natura della mobilitazione popolare a sostegno della popolazione palestinese che neanche lontanamente può essere collegata all’antisemitismo anche se questo mostro è sempre in agguato e va contrastato in ogni modo. Di certo non chiudendo gli occhi verso l’iniquità e la sofferenza delle vittime.

In questo tornante della storia si rivelano chiare e puntuali le parole del segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, intervistato per i media vaticani da Andrea Tornielli con riferimento alla ricorrenza del 7 ottobre: «un massacro indegno e disumano» afferma Parolin, «compiuto da Hamas e da altre milizie contro migliaia di israeliani e di migranti residenti, molti dei quali civili». Il Vaticano ha rivolto continui appelli per la liberazione degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas e papa Francesco ha incontrato più volte i rappresentanti dei familiari delle persone rapite mettendo in evidenza la «vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra».

Quello che emerge nell’intervista che si invita a leggere integralmente è la sottolineatura, di fronte agli impedimenti posti all’Onu, della responsabilità dei «Paesi in grado di influire veramente fino ad oggi» di non essersi mossi « per fermare la carneficina in atto».

Assieme alla condanna dell’antisemitismo definito . «un cancro da combattere e da estirpare», Parolin afferma chiaramente che «la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità.. Purtroppo, la guerra che ne è scaturita ha avuto conseguenze disastrose e disumane… Mi colpisce e mi affligge il conteggio quotidiano dei morti in Palestina, decine, anzi a volte centinaia al giorno, tantissimi bambini la cui unica colpa sembra essere quella di essere nati lì: rischiamo di assuefarci a questa carneficina!».

Il segretario di Stato vaticano afferma che è ingiusto «attribuire agli ebrei in quanto tali la responsabilità per ciò che accade oggi a Gaza. Lo sappiamo che non è così: ci sono anche tante voci di forte dissenso che si levano dal mondo ebraico contro la modalità con cui l’attuale governo israeliano ha operato e sta operando a Gaza e nel resto della Palestina dove – non dimentichiamolo – l’espansionismo spesso violento dei coloni vuole rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese». «Sembra evidente – afferma Parolin- che la guerra perpetrata dall’esercito israeliano per sconfiggere i miliziani di Hamas non tiene conto che ha davanti una popolazione per lo più inerme e ridotta allo stremo delle forze, in un’area disseminata di case e di palazzi rasi al suolo: basta vedere le immagini aeree per rendersi conto di che cosa sia Gaza oggi».

Un dato di fatto di fronte al quale occorre porsi serie «domande sulla liceità del continuare a fornire armi che vengono usate a discapito della popolazione civile».

Una presa di posizione capace di entrare nel merito delle questioni più spinose rifiutando la tesi che assegna ai cristiani e alla chiesa di limitarsi a fare solo veglie di preghiere perché «la preghiera chiama ad un impegno, a una testimonianza, a scelte concrete».

L’impegno per la via del dialogo e della trattativa, afferma Parolin, è un atto di profondo realismo perché «l’alternativa alla diplomazia è la guerra perenne, è l’abisso dell’odio e dell’autodistruzione del mondo».
(Fonte: Città Nuova, articolo di Carlo Cefaloni 07/10/2025)