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sabato 23 agosto 2025

LA PORTA DEI MARGINI “Se potessimo sostituire l’indifferenza verso l’altro con l’inchino davanti ad ogni figlio di Dio, ad ogni vita ogni angolo del mondo diventerebbe casa." - XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

LA PORTA DEI MARGINI


Se potessimo sostituire l’indifferenza verso l’altro 
con l’inchino davanti ad ogni figlio di Dio, ad ogni vita 
ogni angolo del mondo diventerebbe casa.



In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».  Luca 13,22-30

 
LA PORTA DEI MARGINI
 
Se potessimo sostituire l’indifferenza verso l’altro con l’inchino davanti ad ogni figlio di Dio, ad ogni vita ogni angolo del mondo diventerebbe casa.


Una sottile angoscia ci coglie davanti a quella porta stretta, angoscia che cresce quando la porta da stretta diventa chiusa, e quella voce da dentro risponde: «Non vi conosco».

Tutta la vita a cercarti, e ora sei Tu che ci allontani?

Il vangelo inizia con una porta piccola e una folla che le si accalca davanti.

Poi come in una dissolvenza appare una scena multicolore e allegra: verranno da oriente e da occidente, da nord e da sud e siederanno a mensa.

Ai credenti che si affollano davanti a porte sbagliate che non conducono da nessuna parte, la parabola dice: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Il testo originale dice: “lottate per passare, combattete”, ma non contro chi fa ressa o contro le misure della porta. Contro qualcosa d’altro.

La porta stretta disegna i miei contorni precisi, i miei limiti, i confini del mio io. Sono i margini che mi restituiscono la mia immagine più autentica, liberata da tutto il superfluo.

Allora accetta serenamente i “no” che la vita ti dice.

E accogli i tuoi limiti, non i tuoi vanti.

David Turoldo raccontava: per anni ho abitato nella vecchia torre di un’abbazia millenaria. Ogni mattina uscivo da una porticina appena sufficiente per passare. Dovevo abbassare la testa, e mi pareva così di fare il mio inchino al mondo, alla pianura, alle case, alla creazione tutta.

La vita contiene misteri immensi, ma per entrarci devi lottare con la tua statura illusoria, con il complesso di superiorità, devi inchinarti.

Se potessimo sostituire l’indifferenza verso l’altro con l’inchino davanti ad ogni figlio di Dio, ad ogni vita, come il poeta da quella torre, ogni angolo del mondo diventerebbe casa.

La porta stretta l’ha passata anche Dio, quando si è chinato sull’umanità passando per la porta piccola dell’incarnazione. Una porta di umiltà, che non vuol dire abbassare la testa ma alzare gli occhi, distoglierli da sé e guardare verso il cielo, il mondo, le persone. Umiltà è tornare all’essenza delle nostre relazioni, a non possedere cose ma a sentirsi responsabili di tutto.

La porta della parabola è stretta ma è aperta; stretta ma bella, perché apre su uno spazio festoso, la mensa imbandita, un turbinìo di arrivi, dove Dio non è un dovere ma un vino di festa.

Stretta ma sufficiente. Infatti la sala è piena, vengono i lontani che forse non sono migliori di noi che siamo i vicini, ma hanno operato giustizia più di noi, magari senza saperlo. Sono i sorpresi, quelli che al giudizio universale dicono: ma quando mai Signore ti abbiamo visto povero! Lui li riconoscerà come suoi e spalancherà la porta.

Un paradosso non facile: entrano nella sala quelli che non hanno mai ascoltato e mai visto, e fuori restano quelli che hanno mangiato e bevuto con il Signore. È possibile stare a un millimetro da Lui, tra riti e formule, incensi e indulgenze, ma non conoscerlo davvero e rimanergli estranei, freddi al fuoco che è venuto a portare.

Dalla porta limitata, una storia di salvezza.



La fame di Gaza è la nostra vergogna globale, ma il mondo preferisce stare a guardare di Binaifer Nowrojee

La fame di Gaza 
è la nostra vergogna globale, 
ma il mondo preferisce 
stare a guardare 
di Binaifer Nowrojee **


Gli esperti stimano che migliaia di bambini gazawi siano ormai troppo deboli per mangiare: «Sono arrivati a quello stadio di grave malnutrizione acuta in cui il loro corpo non riesce a digerire il cibo». Il diritto internazionale proibisce l’uso della fame come arma di guerra, ma finora la comunità internazionale ha distolto lo sguardo. Si può solo sperare che si agisca subito per salvare almeno una parte della nostra umanità

La fame è il lento e silenzioso disfacimento del corpo. Privato del nutrimento di base, il corpo brucia prima le riserve di zucchero nel fegato. Poi scioglie i muscoli e il grasso, rompendo i tessuti per mantenere in vita il cervello e altri organi vitali. Man mano che queste riserve si esauriscono, il cuore perde forza, il sistema immunitario si arrende e la mente inizia a spegnersi. La pelle si stringe sulle ossa e il respiro diventa debole. Gli organi iniziano a cedere in successione, la vista viene meno e il corpo, ormai vuoto, scivola via. È un modo prolungato e straziante di morire.

Assedio totale
Tutti noi abbiamo visto le immagini di neonati e bambini palestinesi emaciati che muoiono di fame tra le braccia delle loro madri. Ma ora che Israele sta intensificando la sua guerra – intraprendendo una nuova campagna per “conquistare” Gaza City – altre migliaia di civili palestinesi potrebbero essere uccisi, dalle bombe o dalla fame.

«Non si tratta più di una crisi alimentare incombente», ha dichiarato il 10 agosto Ramesh Rajasingham, un alto funzionario umanitario delle Nazioni Unite, al Consiglio di Sicurezza. «Questa è fame pura e semplice». Alex de Waal, esperto di carestie, stima che migliaia di bambini gazawi siano ormai troppo deboli per mangiare, anche se avessero accesso al cibo. «Sono arrivati a quello stadio di grave malnutrizione acuta in cui il loro corpo non riesce a digerire il cibo».

C’è un crescente consenso sul fatto che a Gaza Israele stia commettendo i crimini più gravi, compreso l’uso della fame come metodo di guerra. I gruppi palestinesi e internazionali per i diritti umani hanno lanciato l’allarme su questo rischio a pochi mesi dall’inizio della guerra e da allora è stato ripreso da Stati di ogni continente e da molti in Israele. L’ex primo ministro Ehud Olmert, ad esempio, ha denunciato quelli che descrive come crimini di guerra a Gaza e i principali gruppi israeliani per i diritti umani affermano che le azioni di Israele nel territorio equivalgono a un genocidio.

Il 9 ottobre 2023, due giorni dopo che Hamas aveva ucciso più di 1.200 israeliani e preso più di 200 ostaggi – di per sé un grave crimine di guerra – l’allora ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant annunciò: «Ho ordinato un assedio totale della Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto è chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza». La popolazione di Gaza è stata disumanizzata e non è stata fatta alcuna distinzione tra civili e combattenti – una violazione di una regola fondamentale del diritto internazionale umanitario. L’assedio ha bloccato tutti i rifornimenti a Gaza per 70 giorni, imponendo una punizione collettiva.

Questo primo assedio fu alleggerito solo in modo lieve quando Israele permise ai rifornimenti di entrare a Gaza all’inizio del 2024. In quell’aprile, Samantha Power, allora capo dell’Usaid, avvertiva già della carestia in alcune zone di Gaza. Il mese successivo, Cindy McCain, direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale, annunciò «una vera e propria carestia» nel nord di Il diritto internazionale proibisce l’uso della fame come arma di guerra. In qualità di potenza occupante a Gaza, Israele deve garantire che la popolazione civile riceva cibo adeguato, acqua, forniture mediche e altri elementi essenziali. Se tali forniture non possono essere reperite all’interno della stessa Gaza, devono essere reperite all’esterno, anche da Israele.

Negli ultimi 21 mesi, diversi governi e agenzie umanitarie hanno pregato Israele di permettere loro di consegnare gli aiuti. Concedere tale permesso è anche un obbligo legale: Israele ha il dovere di facilitare i piani di soccorso altrui «con tutti i mezzi a sua disposizione». Ma Israele ha continuamente ostacolato questi sforzi. In questo momento, sta impedendo alle organizzazioni umanitarie di consegnare gli aiuti.

Il sistema umanitario
Nel gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia, attraverso decisioni giuridicamente vincolanti, ha ordinato a Israele di adottare «misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari». Due mesi dopo, ha riaffermato quell’ordine e ha richiesto che le misure fossero prese «in piena cooperazione con le Nazioni Unite». Il sistema umanitario guidato dall’Onu era l’unico in grado di prevenire una carestia diffusa a Gaza. Durante il cessate il fuoco tra gennaio e marzo di quest’anno, le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie hanno gestito ben 400 siti di distribuzione di aiuti. Ma dopo che Israele ha rotto il cessate il fuoco a marzo, questi sono stati chiusi e un altro assedio è stato imposto illegalmente.

Israele ha giustificato il nuovo assedio dicendo che stava tagliando gli aiuti per esercitare una maggiore pressione su Hamas, riconoscendo così l’uso della fame come arma. Quando gli aiuti sono ripresi a maggio, l’Onu è stata sostituita dalla Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), un’organizzazione privata di distribuzione di cibo organizzata da Israele. Da allora, però, quasi 1.400 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane mentre cercavano di ottenere cibo nei quattro siti di distribuzione della Ghf.

Peggio ancora, lo schema del Ghf non avrebbe mai funzionato. Secondo un rapporto del Famine Review Committee del mese scorso: «la nostra analisi dei pacchi di cibo forniti dal Ghf mostra che il loro piano di distribuzione porterebbe alla fame di massa, anche se fosse in grado di funzionare senza gli spaventosi livelli di violenza».

Secondo il diritto internazionale, il crimine di guerra della fame inizia al momento della privazione. Quando diventa una politica più estesa intrapresa con l’intento di «distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso», diventa genocidio. Diversi alti funzionari israeliani hanno espresso apertamente tale intento – tra cui Gallant nell’ottobre 2023, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che nell’agosto 2024 ha osservato che «potrebbe essere giustificato e morale» far «morire di fame due milioni di civili», e Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, che ha twittato che «i depositi di cibo e di aiuti dovrebbero essere bombardati».

Chi ha distolto lo sguardo
I palestinesi vengono fatti morire di fame intenzionalmente. Sebbene i segni degli orrori in arrivo fossero chiari a pochi mesi dall’inizio della guerra, molti governi hanno distolto lo sguardo. Hanno giustificato le restrizioni agli aiuti sostenendo che questi sarebbero finiti nelle mani di Hamas – un’affermazione che Israele ora dichiara di non poter provare – e hanno trasferito più tonnellate di armi a Israele di quante ne abbiano consegnato in aiuti a Gaza. Ora, stanno venendo meno al loro dovere di prevenire e fermare un genocidio.

La storia registrerà per sempre questo momento di vergogna globale. Archivierà le immagini di bambini scheletrici insieme a quelle di episodi passati in cui il mondo non ha fatto nulla. Si può solo sperare che il mondo agisca subito per salvare almeno una parte della nostra umanità, prima che muoiano altri bambini.

(Fonte: “Domani” - 21 agosto 2025)

** Binaifer Nowrojee è presidente di Open Society Foundations

Onu: a Gaza è carestia, mezzo milione di denutriti nella Striscia

Onu: a Gaza è carestia, mezzo milione di denutriti nella Striscia


Dopo mesi di avvertimenti, le Nazioni Unite hanno ufficializzato lo stato di quasi totale penuria di cibo nella Striscia di Gaza. L’Ipc, organismo con sede a Roma che ha ufficializzato le condizioni estreme in cui vivono i gazawi, prevede un peggioramento entro settembre. Israele respinge le accuse parlando di «menzogne di Hamas»

La copertina di Famiglia Cristiana
dedicata alla tragedia di Gaza.
Oggi le Nazioni Unite hanno dichiarato ufficialmente la carestia a Gaza, la prima a colpire il Medio Oriente. Come ha spiegato il sottosegretario generale agli Affari Umanitari Tom Fletcher a Ginevra in un briefing con i giornalisti, gli esperti hanno stimato che 500.000 abitanti del territorio vivono in una condizione «catastrofica», il livello più grave della scala internazionale dell’insicurezza alimentare. Usare la fame come metodo di guerra «è un crimine». Lo ha dichiarato il capo per i diritti umani del Palazzo di Vetro Volker Turk, pochi minuti dopo la dichiarazione di carestia nella Striscia. Turk ha aggiunto che le morti che ne sono derivate «possono anche costituire un crimine di guerra di omicidio volontario». La carestia è «interamente provocata dall'uomo» e le vite di 132.000 bimbi sotto i cinque anni sono a rischio a causa della malnutrizione. Lo si legge dettagliatamente nel rapporto dell'Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), sistema globale di monitoraggio della fame. L'agenzia dell'Onu che ha sede a Roma ha certificato con numeri e statistiche lo stato di carestia nella Striscia a causa del blocco degli aiuti da parte di Israele. «Il tempo del dibattito e dell'esitazione è passato, la fame è presente e si sta diffondendo rapidamente», afferma il rapporto.

La malnutrizione è già in corso nel governatorato di Gaza e potrebbe estendersi entro la fine di settembre a Deir Al-Balah e Khan Younis. Complessivamente, questi tre governatorati coprono circa i due terzi della Striscia, un territorio poverissimo di 365 km² con oltre due milioni di abitanti. A Ginevra Fletcher ha denunciato le responsabilità di Israele: «Questa carestia avrebbe potuto essere evitata senza l’ostruzionismo sistematico. Ci perseguiterà tutti», ha dichiarato. L’annuncio ha immediatamente suscitato la reazione di Tel Aviv, che ha definito «faziosa» la decisione, sostenendo che «non c’è carestia a Gaza» e accusando le Nazioni Unite di basarsi su «menzogne di Hamas». Secondo gli esperti il numero dei gazawi (uomini, donne e soprattutto bambini) che si trovano in condizioni estreme potrebbe salire a 641.000 entro fine settembre. L’IPC ricorda che una carestia si verifica quando almeno il 20% delle famiglie non ha accesso al cibo, il 30% dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione acuta e almeno due persone ogni 10.000 muoiono di fame ogni giorno.

La crisi è il risultato dell’escalation del conflitto degli ultimi mesi, che ha provocato spostamenti di massa e restrizioni severe agli approvvigionamenti. A marzo Israele ha bloccato completamente l’ingresso degli aiuti umanitari, permettendone solo in minima parte la ripresa a fine maggio. Carenze di alimenti, farmaci e carburante hanno aggravato la situazione. Tel Aviv accusa Hamas di appropriarsi degli aiuti e le ong di non distribuirli correttamente. Le organizzazioni umanitarie replicano che Israele impone restrizioni eccessive e che la distribuzione degli aiuti, in un contesto di guerra, è diventata estremamente pericolosa.
(fonte: Famiglia Cristiana 22/08/2025)


venerdì 22 agosto 2025

Ma gli adulti che esempi sono per i bambini di oggi ? di Dacia Maraini

Ma gli adulti che esempi sono 
per i bambini di oggi ? 
di Dacia Maraini


Quattro bambini prendono possesso di una macchina, ma essendo inesperti, mettono sotto una passante. La donna muore, i bambini scappano. Ma vengono presi dopo poco. Quando si scopre che sono figli di Rom, si scatena la tempesta. C’è chi vuole mandarli in prigione. Ma la legge lo vieta. Allora, portiamoli via dalle famiglie e chiudiamoli in qualche istituto, gridano. C’è chi addirittura vorrebbe radere al suolo l’accampamento dove vivono i colpevoli coi genitori.

Premetto che ho avuto una esperienza simile. Una banda di bambini, il più piccolo 9 anni e il più grande 14, sono entrati in casa mia dalla finestra. Non hanno rubato niente, ma hanno spaccato tutto quello che potevano, spargendo il vino e l’olio sul pavimento, gettando i piatti dalla finestra, rompendo a bastonate il televisore. E non è successo solo a me, ma alle case vicine e alla farmacia che si è trovata tutti i medicinali aperti e sparsi sul suolo. Sono stati trovati subito naturalmente perché non erano ladri organizzati ma ragazzini che volevano fare gli eroi. Nessuno di loro era Rom, ma figli di bravi cittadini italiani.

Ci si domanda : come dovremmo interpretare questi atti compiuti da ragazzi sempre più piccoli e spesso non spinti da bisogno, né da scopi di furto, ma solo per divertirsi e «fare casino»? . Casino che finisce spesso in maniera crudele e funesta.

Naturalmente si possono proporre tante interpretazioni. Io parto dall’idea che i piccoli amano emulare i grandi. I bambini agiscono seguendo un’istintiva mimesi cinetica che li porta a plagiare il comportamento degli adulti anche quando li contestano.

E qui viene da chiedersi: ma come si stanno comportando le persone mature in questo triste momento storico? Cosa fanno molti capi di Stato che si dicono democratici e civili ma usano il linguaggio dell’odio e della vendetta? Persone mature che mentono, inneggiano alla violenza e dimostrano una assoluta incapacità di giudizio e di responsabilità. Insomma cosa stanno insegnando gli adulti ai bambini del mondo? Che le regole sono buone per gli scemi? Che il rispetto dell’altro è un sentimento da perdenti? Che chi le spara più grosse è applaudito? Che bisogna colpire vilmente l’avversario per ottenere qualcosa? I piccoli sono bravissimi a capire il linguaggio dei grandi. E se questo è il mondo, sembrano dirci, dimostreremo che sappiamo essere più crudeli e più spregiudicati di chi pretende di governarci.

(Fonte: “Corriere della Sera” - 19 agosto 2025)

giovedì 21 agosto 2025

22 agosto: digiuno e preghiera. La Chiesa italiana aderisce all’invito del Papa


22 agosto: digiuno e preghiera. 
La Chiesa italiana aderisce all’invito del Papa


Il 20 agosto, al termine dell’Udienza Generale, Papa Leone XIV ha invitato “tutti i fedeli a vivere la giornata del 22 agosto in digiuno e preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti in corso”. La Chiesa in Italia aderisce a questo invito, chiedendo alle comunità ecclesiali di invocare il dono della riconciliazione per la nostra Terra che, ha sottolineato il Pontefice, “continua ad essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina, e in molte altre regioni del mondo”.

“Ci uniamo al pressante appello del Santo Padre: il perdurare di situazioni di violenza, odio e morte ci impegna a intensificare la preghiera per una pace disarmata e disarmante, supplicando la Beata Vergine Maria Regina della Pace di allontanare da ogni popolo l’orrore della guerra e di illuminare le menti di quanti hanno responsabilità politiche e diplomatiche”, afferma il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI ricordando che “la pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa (Leone XIV, Udienza ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025).
(fonte:CEI)


Resistenti alla Guerra - Raniero La Valle e Gianni Vacchelli. Modera Francesco Comina.


Bolzano 14 agosto 2025:
Resistenti alla Guerra
Raniero La Valle e Gianni Vacchelli. 
Modera Francesco Comina.



Raniero La Valle: "... A Gaza non è a rischio solo il popolo palestinese, ma ci siamo tutti; questa è una guerra in qualche modo diversa da tutte le altre... quella di Gaza rischia di essere una guerra 'ultima', perché qui c'è una rottura della storia... è rotto il diritto internazionale, è rotta qualsiasi etica, è rotta qualsiasi apparenza di buonsenso, di ragionevolezza, di eticità e quindi qualunque cosa può succedere da ora in poi se questa cosa non si arresta quindi... Gaza siamo noi, siamo in pericolo anche noi!...."
Per la soluzione l'unica strada percorribile è quella del 'perdono'.



Guarda il video

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Vedi anche il post precedente:



Papa Leone XIV: Il perdono non aspetta il pentimento, è dono gratuito che impedisce altro male

Il perdono non aspetta il pentimento,
è dono gratuito che impedisce altro male
Papa Leone XIV


Amare fino alla fine: ecco la chiave per comprendere il cuore di Cristo. 
Un amore che non si arresta davanti al rifiuto, 
alla delusione, neppure all’ingratitudine.

Udienza Generale

del 20 agosto 2025

Aula Paolo VI



Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. 
Gesù Cristo nostra speranza. 
III. La Pasqua di Gesù. 
3. Il perdono. «Li amò sino alla fine» (Gv 13,2)

Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su uno dei gesti più sconvolgenti e luminosi del Vangelo: il momento in cui Gesù, durante l’ultima cena, porge il boccone a colui che sta per tradirlo. Non è solo un gesto di condivisione, è molto di più: è l’ultimo tentativo dell’amore di non arrendersi.

San Giovanni, con la sua profonda sensibilità spirituale, ci racconta così quell’istante: «Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo […] Gesù, sapendo che era venuta la sua ora […] li amò fino alla fine» (Gv 13,1-2). Amare fino alla fine: ecco la chiave per comprendere il cuore di Cristo. Un amore che non si arresta davanti al rifiuto, alla delusione, neppure all’ingratitudine.

Gesù conosce l’ora, ma non la subisce: la sceglie. È Lui che riconosce il momento in cui il suo amore dovrà passare attraverso la ferita più dolorosa, quella del tradimento. E invece di ritrarsi, di accusare, di difendersi… continua ad amare: lava i piedi, intinge il pane e lo porge.

«È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò» (Gv 13,26). Con questo gesto semplice e umile, Gesù porta avanti e a fondo il suo amore. Non perché ignori ciò che accade, ma proprio perché vede con chiarezza. Ha compreso che la libertà dell’altro, anche quando si smarrisce nel male, può ancora essere raggiunta dalla luce di un gesto mite. Perché sa che il vero perdono non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito, ancor prima di essere accolto.

Giuda, purtroppo, non comprende. Dopo il boccone – dice il Vangelo – «Satana entrò in lui» (v. 27). Questo passaggio ci colpisce: come se il male, fino a quel momento nascosto, si manifestasse dopo che l’amore ha mostrato il suo volto più disarmato. E proprio per questo, fratelli e sorelle, quel boccone è la nostra salvezza: perché ci dice che Dio fa di tutto – proprio tutto – per raggiungerci, anche nell’ora in cui noi lo respingiamo.

È qui che il perdono si rivela in tutta la sua potenza e manifesta il volto concreto della speranza. Non è dimenticanza, non è debolezza. È la capacità di lasciare libero l’altro, pur amandolo fino alla fine. L’amore di Gesù non nega la verità del dolore, ma non permette che il male sia l’ultima parola. Questo è il mistero che Gesù compie per noi, al quale anche noi, a volte, siamo chiamati a partecipare.

Quante relazioni si spezzano, quante storie si complicano, quante parole non dette restano sospese. Eppure, il Vangelo ci mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare, anche quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso. Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro.

Quando Giuda esce dalla stanza, «era notte» (v. 30). Ma subito dopo Gesù dice: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato» (v. 31). La notte è ancora lì, ma una luce ha già cominciato a brillare. E brilla perché Cristo rimane fedele fino alla fine, e così il suo amore è più forte dell’odio.

Cari fratelli e sorelle, anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito. In quei momenti, la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste, esiste sempre un’altra via. Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore.

Chiediamo oggi la grazia di saper perdonare, anche quando non ci sentiamo compresi, anche quando ci sentiamo abbandonati. Perché è proprio in quelle ore che l’amore può giungere al suo vertice. Come ci insegna Gesù, amare significa lasciare l’altro libero — anche di tradire — senza mai smettere di credere che persino quella libertà, ferita e smarrita, possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene.

Quando la luce del perdono riesce a filtrare tra le crepe più profonde del cuore, capiamo che non è mai inutile. Anche se l’altro non lo accoglie, anche se sembra vano, il perdono libera chi lo dona: scioglie il risentimento, restituisce pace, ci riconsegna a noi stessi.

Gesù, con il gesto semplice del pane offerto, mostra che ogni tradimento può diventare occasione di salvezza, se scelto come spazio per un amore più grande. Non cede al male, ma lo vince con il bene, impedendogli di spegnere ciò che in noi è più vero: la capacità di amare.

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les groupes de pèlerins venus du Burkina Faso, de Côte d’Ivoire, du Sénégal et de France. Demandons aujourd'hui, à la ressemblance de Jésus, la grâce de savoir pardonner, même lorsque nous ne nous sentons pas compris, même lorsque nous nous sentons abandonnés. C'est précisément dans ces moments-là que l'amour peut atteindre son sommet. Que Dieu vous bénisse !

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i gruppi provenienti dal Burkina Faso, dalla Costa d'Avorio, dal Senegal e dalla Francia. Chiediamo oggi, a somiglianza di Gesù, la grazia di saper perdonare, anche quando non ci sentiamo compresi, anche quando ci sentiamo abbandonati. È proprio in questi momenti che l'amore può raggiungere il suo apice. Dio vi benedica!]

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, particularly the groups from England, Finland, Malta, Senegal, Australia, Japan, South Korea, Vietnam and the United States of America. I pray that this Jubilee of Hope will be a time of healing and spiritual renewal for all men and women everywhere. Upon you and your families, I invoke God’s strength, love and peace. God bless you.

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, bitten wir in dem Bewusstsein, dass wir alle immer wieder der Vergebung Gottes und unserer Mitmenschen bedürfen, um die Gnade, vergeben zu können. Durch die Vergebung durchbricht die Liebe den Teufelskreis der Vergeltung und schenkt unseren Herzen Freiheit und Frieden. Ich wünsche euch, dass ihr diese wunderbare Erfahrung oft machen dürft!

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, chiediamo la grazia di saper perdonare, nella consapevolezza che tutti abbiamo sempre di nuovo bisogno del perdono di Dio e degli altri. Attraverso il perdono, l’amore spezza il circolo vizioso della vendetta e dona ai nostri cuori libertà e pace. Vi auguro di poter vivere spesso questa meravigliosa esperienza!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Saludo a las monjas benedictinas del Monasterio Nuestra Señora de la Expectación, de Cuenca. Pidamos al Señor la gracia de saber amar y perdonar a la medida de su Corazón. Que no cedamos al mal ni al resentimiento, sino que abramos nuestros corazones a la salvación que Él nos ofrece. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以亲切的问候。亲爱的弟兄姐妹,你们要忠于天主,从而向邻人见证祂的爱与美善。我降福大家!

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese. Cari fratelli e sorelle, siate fedeli a Dio per testimoniare al prossimo il suo amore e la sua bontà. A tutti la mia benedizione!]

Queridos fiéis de língua portuguesa: sede bem-vindos! Saúdo de modo especial os peregrinos vindos de Portugal e do Brasil, bem como os membros da Associação de Professores Católicos de Santiago, em Cabo Verde. A vossa presença em Roma, neste ano jubilar, faz com que possais passar pela Porta Santa, aproximando-vos ainda mais de Cristo, de quem obtemos o perdão para o partilhar com todos. Sem perdão nunca haverá paz! O Senhor vos abenço!

[Cari fedeli di lingua portoghese: benvenuti! Un saluto particolare ai pellegrini arrivati dal Portogallo e dal Brasile e ai membri dell’Associazione dei professori cattolici di Santiago, in Capo Verde. La vostra presenza a Roma, in quest’anno giubilare, vi permette di varcare la Porta Santa, avvicinandovi ancora di più a Cristo, da cui attingiamo il perdono per condividerlo con tutti. Senza il perdono non ci sarà mai la pace! Il Signore vi benedica.]

أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة. المسيحيُّ مَدعُوٌّ إلى أنْ يُحِبَّ ويَغفِرَ على مِثالِ المسيح، لكي يَتَحَرَّرَ قَلبُهُ مِن كلِّ ضَغِينَةٍ وكراهية، ويَصيرَ رسولَ سلامٍ في العالم. بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Il cristiano è chiamato ad amare e perdonare sull’esempio di Cristo, affinché il suo cuore si liberi da ogni risentimento e odio, diventando un messaggero di pace nel mondo. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Serdecznie pozdrawiam Polaków obecnych w Rzymie, a także pielgrzymujących do Sanktuarium Matki Bożej na Jasnej Górze. Proszę was, aby wśród waszych intencji, znalazły się błagania o dar pokoju – nieuzbrojonego i rozbrajającego – dla całego świata, zwłaszcza dla Ukrainy i Bliskiego Wschodu. Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi presenti a Roma e quelli in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Jasna Góra. Vi chiedo di includere nelle vostre intenzioni la supplica per il dono della pace – disarmata e disarmante – per tutto il mondo, in particolare per l'Ucraina e il Medio Oriente. Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Venerdì prossimo, 22 agosto, celebreremo la memoria della Beata Vergine Maria Regina. Maria è Madre dei credenti qui sulla terra ed è invocata anche come Regina della pace. Mentre la nostra terra continua ad essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina e in molte altre regioni del mondo, invito tutti i fedeli a vivere la giornata del 22 agosto in digiuno e in preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti armati in corso.

Maria, Regina della pace, interceda perché i popoli trovino la via della pace.

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Udienza generale


mercoledì 20 agosto 2025

Enzo Bianchi L’umano sperare sostenuto dalla fede

Enzo Bianchi
L’umano sperare sostenuto dalla fede 

Solo l’uomo può giungere a tanto ardire di chiedere a Dio, nella preghiera, di essere orientati a un’esistenza generativa e resiliente

Famiglia Cristiana - 10 Agosto 2025
Rubrica: Cristiano, chi sei?


Il cristiano che vive di fede, adesione al Signore, metterà nel Signore la sua speranza. Fede e speranza sono strettamente collegate tra loro perché solo chi conosce la saldezza di un fondamento in cui credere può sperare e solo chi spera continua a confermare ciò che crede. Al cristiano la speranza fornisce l’orientamento indispensabile per un’esistenza creativa e resiliente. L’umano è un essere forzatamente resiliente ed è la speranza che gli permette di restare in piedi nelle notti che attraversa. Giustamente Filone osservava che “solo l’essere umano conosce ed esercita la speranza”.

La speranza genera l’invocazione, la preghiera, e ci inizia a una “fede che spera”. Non è forse la preghiera eloquenza della fede e linguaggio della speranza? Chi ha fede spera ciò di cui ha bisogno: spera ciò che non vede ancora, eppure attende, ciò che non sa quando giungerà, eppure si fa già testimone di quella venuta. E la speranza è sempre attesa, fiducia, aspettativa, desiderio, brama verso il Signore.

Noi umani viviamo di tante speranze piccole, quotidiane e legittime: anche avere il pane quotidiano, che chiediamo nel Padre nostro, è una di queste. Ma la vera speranza cristiana è lo stesso Gesù Cristo, speranza nostra, unica speranza della gloria. È lui che ci attira innalzato sulla croce e noi guardiamo a lui con speranza, perché abbiamo fede in lui, perché lo amiamo senza averlo visto e desideriamo essere con lui per sempre. Per questo camminiamo cantando, non tristi ma gioiosi nella speranza.
(fonte: blog dell'autore)



In Israele “la svolta autoritaria è già realtà” - ETGAR KERET, intervistato da Francesca Paci

In Israele “la svolta autoritaria
 è già realtà” 
ETGAR KERET, 
intervistato da Francesca Paci


Etgar Keret è uno scrittore, uno dei migliori della letteratura israeliana. Ma è anche un attivista che sin dalle proteste contro la riforma della giustizia ha messo la faccia sul muro eretto dalla società civile israeliana contro la fuga in avanti del governo Netanyahu. Ieri, però, non ha partecipato allo sciopero generale, l’ha fatto suo fratello, «the Duracell bunny brother», per finire picchiato dalla polizia. Il punto, dice Keret, non è partecipare: «Partecipo da sempre, da quando bambino, nel 1973, aspettavo con mio padre che la radio militare facesse il suo nome, richiamato nella guerra del Kippur. Da allora sono riservista dentro, un riservista dell’intelletto che convive permanentemente con un senso di emergenza, come se ad allontanarsi dal Paese si rischiasse sempre di mancare nel momento cruciale». Il punto, continua, è sentirsi come chi «cerca di restare integro mentre tutto si spezza ma per quanto chieda aiuto non arriva mai ad essere ascoltato».

Che peso ha lo sciopero generale di ieri e, soprattutto, crede che la società civile israeliana possa fermare la corsa della macchina da guerra?

«Al di là della sua importanza simbolica lo sciopero è un atto di frustrazione per la situazione in cui, da quasi due anni, le famiglie dei rapiti e l’intero Paese vengono manipolati dal governo. Ogni volta c’è una scusa nuova: dobbiamo prendere Rafah, dobbiamo mantenere il controllo del corridoio Philadelphia, non possiamo ritirarci. Le ragioni cambiano, ma c’è sempre qualcosa che impedisce l’accordo da cui dipende la vita di israeliani e palestinesi nonché la fine della guerra, due richieste su cui la grande maggioranza degli israeliani concorda. Riguardo alla società israeliana ci sono tante narrative quante sono le sue anime, c’è chi sposa la visione di Netanyahu e chi, come me, si oppone. Ma anche noi siamo divisi tra quanti credono nella piazza e quanti, più passivamente, si sfilano sfiduciati perché dopo due anni di sit-in la guerra continua: è una divisione ontologica più che ideologica»

Israele è ancora una democrazia dove, nonostante la contrarietà di una buona fetta del Paese, il governo va avanti fino alle prossime elezioni. Ha paura di una potenziale svolta autoritaria prima delle voto chiarificatore?

«Paura? Molto di più. Dopo le proteste per la riforma della giustizia gli israeliani hanno chiesto conto al governo delle sue responsabilità politiche ma è arrivato il 7 ottobre e tutte le riforme sono state rinviate alla fine della guerra… in realtà, nel frattempo, la maggioranza ha seguito i temi che aveva a cuore, ha fatto nomine, ha usato Gaza per andare avanti e la svolta autorità è già avvenuta. Continuando a smantellare pezzo a pezzo l’architettura democratica, quando questa guerra senza scopo sarà finita il sistema democratico non ci sarà più e avrà vinto il totalitarismo».

Potrebbero funzionare le minacciate sanzioni europee contro la armi per Israele?

«Non conosco i dettagli geopolitici ma credo che queste misure funzionino tra Paesi che condividono analoghi valori. Il governo israeliano ha una forte componente messianica mediorientale che non guarda al modello europeo ma allo Yemen, un orizzonte per cui i fatti non esistono, le sanzioni economiche possono essere combattute a pietrate, l’occidente è il demonio. L’aspetto folle delle sanzioni è che potenzialmente farebbero contenti i Ben Gvir e colpirebbero chi ne condivide il senso. Temo che quelle imposte alla Russia abbiano reso la vita più facile a Putin consentendogli di additare la presunta immoralità dei suoi nemici».

Vede similitudini tra Vladimir Putin e Netanyahu?

«Ne vedo piuttosto tra Netanyahu e Trump, entrambi fanno leva su una narrativa incoerente a cui gli avversari non riescono a rispondere, entrambi spiazzano e impongono la loro visione dei fatti: è la loro leva. Credo che Putin invece sia un tipo di autocrate diverso, ha una narrativa coerente, uno visione chiara, una strategia. Poi c’è altro: tanto Putin quanto Netanyahu sono stati capaci di stravolgere i rispettivi Paesi in pochi anni, in Russia come in Israele i liberali fuggono e ci vorranno anni per tornare indietro».

La morte, la fame, la vergogna di Gaza hanno isolato Israele sul piano internazionale. Le è capitato di essere attaccato in quanto israeliano o escluso da qualche evento?

«Mi è capitato, ma la mia storia non è la Storia. Viviamo in un’epoca narcisistica in cui anche chi boicotta per una giusta causa è portato a enfatizzare le proprie battaglie in modo da ignorare il fatto che non per forza aiutano quella causa: manifestare per i palestinesi nel nome di “dal fiume al mare” può per esempio alimentare l’islamofobia. Io cerco di orientare il mio attivismo per aiutare gli altri e non per danneggiarli. Insomma, negare i beni a un Paese può essere discutibile ma è legittimo, negarli invece a una persona in quanto ebreo o israeliano è discriminatorio. E qual è l’effetto? Netanyahu, come fa Putin, lo spiega ai suoi connazionali dicendo che il mondo è contro di loro e loro non vanno in vacanza per paura, richiudendosi».

Netanyahu dice che la “soluzione politica” a Gaza, quella auspicata dall’opposizione, sarebbe la sconfitta d’Israele. Sente questa dicotomia tra l’archiviazione degli ultimi due terribili anni e la vittoria militare contro Hamas?

«È una grossa questione che tira in ballo cosa sia la vittoria e cosa la sconfitta. Credo che Israele abbia già perso la sua essenza, il modo in cui le persone percepivano il Paese, la narrativa comune che legava mondi sociali e culturali diversissimi in un reciproco impegno. Netanyhau ha distrutto quell’essenza, la società assomiglia oggi a un parcheggio».

Ha sentito che si lavora a un piano per trasferire i palestinesi in Sud Sudan?

«Non ci credo, è un altro modo per distogliere da Gaza». Riconoscere la Palestina come molti Paesi stanno facendo, contribuisce alla soluzione o è uno schiaffo a Israele? «Ai Paesi che riconoscono la Palestina Netanyahu obietta che è un regalo per il 7 ottobre, io credo che sia una necessità, un obbligo con cui emancipare un popolo oppresso. Ma la reazione dell’Europa mi pare apatica, come a voler fare senza sapere cosa».

(Fonte:  “La Stampa” - 18 agosto 2025)

martedì 19 agosto 2025

#Legami o catene? di Gianfranco Ravasi

#Legami o catene?  
di Gianfranco Ravasi


Non legare il cuore a nessuna dimora, perché soffrirai quando ti strapperanno via.

Lo invocava solo col pronome di terza persona Hû, “Lui”, e lo sentiva come una presenza intima totale: «Nel mio cuore, dentro e fuori: solo Lui. Nel corpo, nella vita, vene e sangue: solo Lui. La mia esistenza è senza perché. Il tutto è solo Lui». Quel “Lui” assoluto è Dio e Rûmî, il grande poeta mistico sufi, di poco anteriore a Dante (era nato nel 1207 in Persia e morirà nel 1273), lo canta nel suo mirabile poema Mathnawî di quasi 30mila versi, testo capitale dei dervisci, la confraternita spirituale musulmana che ha la sua espressione rituale nella danza in cui essi volteggiano freneticamente su sé stessi. Al suo “monastero” a Konya, nell’attuale Turchia, approdavano uomini in ricerca, credenti e dubbiosi, consapevoli di quanto egli insegnava: «La verità è uno specchio che, cadendo, si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e, vedendovi riflessa la propria immagine, credette di possedere l’intera verità».

Noi abbiamo sopra scelto uno tra i tanti versi del suo poema, tutti intrisi di bellezza e di fede. Il messaggio è semplice: ogni legame può trasformarsi in una catena, e la legge spirituale fondamentale è il distacco. Anche a Gesù è attribuito questo detto apocrifo: «Il mondo è un ponte. Attraversalo, ma non fermarti lì!». La tentazione del possesso è forte e quando subentra la perdita, si piomba nella disperazione. Anche il Gesù dei Vangeli ripete che è «necessario perdere per trovare» e la Lettera neotestamentaria agli Ebrei ammonisce: «Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (13,14).

Questa lezione attraversa tutte le religioni, come insegna questo apologo su un rabbì ottocentesco dei Chassidîm, i mistici giudaici mitteleuropei. «Un visitatore venne da lontano a consultarlo e si stupì della sua casa quasi vuota. Gli chiese: Dove sono i tuoi mobili? Il rabbì replicò: E i tuoi dove sono? Il visitatore reagì: Ma io qui sono di passaggio! E il maestro: Anch’io!».

(Fonte: “Il Sole 24 Ore - Domenica”  - 17 agosto 2025) 

lunedì 18 agosto 2025

Papa Leone XIV: non rispondere alla prepotenza con la vendetta ma rimanere fedeli alla verità nella carità Angelus 17/08/2025 (cronaca/commento, testo e video)


Papa Leone XIV: non rispondere alla prepotenza con la vendetta ma rimanere fedeli alla verità nella carità

L’Angelus di papa Leone XIV da piazza della Libertà a Castel Gandolfo


Papa Leone XIV all'Angelus di oggi | Papa Leone XIV all'Angelus di oggi | Credit Vatican Media

Giornata impegnativa, quella di oggi, per papa Leone XIV. Dopo aver celebrato stamane la Santa Messa (con e per i poveri assistiti dalla Diocesi di Albano e con gli operatori della Caritas Dicoesana) nel santuario Santa Maria della Rotonda , il pontefice ha fatto ritorno a Castel Gandolfo. Qui, in piazza della Libertà, la consueta preghiera dell'Angelus a mezzogiorno. E poi, sarà con i poveri, a pranzo, nel Borgo Laudato Laudato si', sempre nella località del Lazio.

Il pensiero del pontefice nella meditazione prima della famosa preghiera mariana, si è concentrato - prima di tutto - sul Vangelo di oggi. Lo definisce “un testo impegnativo”, papa Leone XIV . Un testo “in cui Gesù, con immagini forti e grande franchezza, dice ai discepoli che la sua missione, e anche quella di chi lo segue, non è tutta “rose e fiori”, ma è “segno di contraddizione””, così ai fedeli radunati in piazza della Libertà a Castel Gandolfo. E continua: “Così dicendo, il Signore anticipa ciò che dovrà affrontare quando a Gerusalemme sarà osteggiato, ucciso, insultato, percosso, crocifisso; quando il suo messaggio, pur parlando d'amore e di giustizia, sarà rifiutato; quando i capi del popolo reagiranno con ferocia alla sua predicazione”.

Poi, il papa spiega che proprio in quel periodo, "tante delle comunità a cui l'evangelista Luca si rivolgeva con i suoi scritti, vivevano la stessa esperienza. Erano, come ci dicono gli Atti degli Apostoli, comunità pacifiche che, pur con i loro limiti, cercavano di vivere al meglio il messaggio di carità del Maestro". Eppure, allo stesso tempo, furono oggetto di persecuzioni. Da questo, papa Leone trae un insegnamento: "Tutto questo ci ricorda che non sempre il bene trova, attorno a sé, una risposta positiva. Anzi a volte, proprio perché la sua bellezza infastidisce quelli che non lo accolgono, chi lo compie finisce coll'incontrare dure opposizioni, fino a subito prepotenze e soprusi". Sottolinea, inoltre, che “agire nella verità costa, perché nel mondo c'è chi sceglie la menzogna, e perché il diavolo, approfittandone, spesso cerca di ostacolare l'agire dei buoni”.

Ma non bisogna smarrirsi perché "Gesù ci invita, con il suo aiuto, a non arrenderci ea non omologarci a questa mentalità, ma a continuare ad agire per il bene nostro e di tutti, anche di chi ci fa soffrire. Ci invita a non rispondere alla prepotenza con la vendetta, ma a rimanere fedeli alla verità nella carità". Rocrda, in merito, la testimonianza dei martiri cristiani che “anche noi, in circostanze e con modalità diverse, possiamo imitarli”. Prende un esempio dalla vita di tutti i giorni: “Pensiamo, ad esempio, al prezzo che deve pagare un buon genitore, se vuole educare bene i suoi figli, secondo principi sani: prima o poi dovrà saper dire qualche “no”, fare qualche correzione, e questo gli costerà sofferenza”. Dopo, ricorda la testimonianza che danno gli insegnanti: loro, hanno desiderio di “formare correttamente i suoi alunni”. E continua ancora con gli esempi: cita i professionisti, i religiosi, i politici. Cita sant'Ignazio di Antiochia che, mentre era in viaggio verso Roma, il luogo dove avrebbe subito il martirio, scriveva ai cristiani di questa città: “Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio”. Cita, poi, un'altra frase: “È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra”.

Infine, una preghiera alla Vergine Maria, “Regina dei Martiri”, questo il titolo che papa Leone XIV ricorda alla folla di fedeli. Una preghiera alla Vergine, affinché possa “aiutarci ad essere, in ogni circostanza, testimoni fedeli e coraggiosi del suo Figlio, e di sostenere i fratelli e le sorelle che oggi soffrono per la fede”.

Finita la recita della preghiera dell'Angelus, papa Leone ha voluto esprimere la sua vicinanza "alle popolazioni del Pakistan, dell'India e del Nepal, colpite da violente alluvioni. Prego per le vittime ei loro familiari e per quanto malati a causa di questa calamità". Poi, il pensiero - sempre presente - alla pace: "Preghiamo perché vadano al buon fine gli sforzi per far cessare le guerre e promuovere la pace. Affinché nelle trattative si imponga sempre al primo posto il bene comune dei popoli". Infine, un ricordo alle “iniziative di animazione culturale e di evangelizzazione organizzate spesso nei luoghi di vacanza”: cita, ad esempio, la missione giovanile che si è svolta in questi giorni a Riccione. Saluta cordialmente il gruppo di Aido e dei donatori di sangue Avis, e poi ancora i giovani di Casarano e le religiose francescane di Sant'Antonio. Ricorda i pellegrini al santuario mariano di Piekary.

Papa Leone XIV, in ultimo, saluta i pellegrini convenuti a Castel Gandolfo, andando incontro a loro nella piazza. Grande entusiasmo: strette di mano, sorrisi, benedizioni ai bambini. E' grande festa a Castel Gandolfo
(Fonte: ACI Stampa, articolo di Antonio Tarallo 17/08/2025)

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PAPA LEONE XIV

ANGELUS

Piazza della Libertà (Castel Gandolfo)
Domenica, 17 agosto 2025


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi il Vangelo ci presenta un testo impegnativo (cfr Lc 12,49-53), in cui Gesù, con immagini forti e grande franchezza, dice ai discepoli che la sua missione, e anche quella di chi lo segue, non è tutta “rose e fiori”, ma è “segno di contraddizione” (cfr Lc 2,34).

Così dicendo, il Signore anticipa ciò che dovrà affrontare quando a Gerusalemme sarà osteggiato, arrestato, insultato, percosso, crocifisso; quando il suo messaggio, pur parlando d’amore e di giustizia, sarà rifiutato; quando i capi del popolo reagiranno con ferocia alla sua predicazione. Del resto, tante delle comunità a cui l’evangelista Luca si rivolgeva con i suoi scritti, vivevano la stessa esperienza. Erano, come ci dicono gli Atti degli Apostoli, comunità pacifiche che, pur con i loro limiti, cercavano di vivere al meglio il messaggio di carità del Maestro (cfr At 4,32-33). Eppure subivano persecuzioni.

Tutto questo ci ricorda che non sempre il bene trova, attorno a sé, una risposta positiva. Anzi a volte, proprio perché la sua bellezza infastidisce quelli che non lo accolgono, chi lo compie finisce coll’incontrare dure opposizioni, fino a subire prepotenze e soprusi. Agire nella verità costa, perché nel mondo c’è chi sceglie la menzogna, e perché il diavolo, approfittandone, spesso cerca di ostacolare l’agire dei buoni.

Gesù, però, ci invita, con il suo aiuto, a non arrenderci e a non omologarci a questa mentalità, ma a continuare ad agire per il bene nostro e di tutti, anche di chi ci fa soffrire. Ci invita a non rispondere alla prepotenza con la vendetta, ma a rimanere fedeli alla verità nella carità. I martiri ne danno testimonianza spargendo il sangue per la fede, ma anche noi, in circostanze e con modalità diverse, possiamo imitarli.

Pensiamo, ad esempio, al prezzo che deve pagare un buon genitore, se vuole educare bene i suoi figli, secondo principi sani: prima o poi dovrà saper dire qualche “no”, fare qualche correzione, e questo gli costerà sofferenza. Lo stesso vale per un insegnante che desideri formare correttamente i suoi alunni, per un professionista, un religioso, un politico, che si propongano di svolgere onestamente la loro missione, e per chiunque si sforzi di esercitare con coerenza, secondo gli insegnamenti del Vangelo, le proprie responsabilità.

Sant’Ignazio di Antiochia, in proposito, mentre era in viaggio verso Roma, dove avrebbe subito il martirio, scriveva ai cristiani di questa città: «Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio» (Lettera ai Romani, 2,1), e aggiungeva: «È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra» (ibid., 6,1).

Fratelli e sorelle, chiediamo insieme a Maria, Regina dei Martiri, di aiutarci ad essere, in ogni circostanza, testimoni fedeli e coraggiosi del suo Figlio, e di sostenere i fratelli e le sorelle che oggi soffrono per la fede.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

sono vicino alle popolazioni del Pakistan, dell’India e del Nepal colpite da violente alluvioni. Prego per le vittime e i loro familiari e per quanti soffrono a causa di questa calamità.

Preghiamo perché vadano a buon fine gli sforzi per far cessare le guerre e promuovere la pace; affinché, nelle trattative, si ponga sempre al primo posto il bene comune dei popoli.

In questo tempo estivo ricevo notizie di tante e svariate iniziative di animazione culturale e di evangelizzazione, organizzate spesso nei luoghi di vacanza. È bello vedere come la passione per il Vangelo stimola la creatività e l’impegno di gruppi e associazioni di ogni età. Penso, ad esempio, alla missione giovanile che si è svolta in questi giorni a Riccione. Ringrazio i promotori e quanti in diversi modi partecipano a tali eventi.

Saluto con affetto tutti voi presenti oggi qui a Castel Gandolfo.

In particolare, sono lieto di accogliere il gruppo AIDO di Coccaglio, che celebra 50 anni di impegno per la vita, i donatori di sangue AVIS venuti in bicicletta da Gavardo (Brescia), i giovani di Casarano e le religiose francescane di Sant’Antonio.

Benedico inoltre il grande pellegrinaggio al Santuario mariano di Piekary, in Polonia.

Auguro a tutti una buona domenica!

Guarda il video


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Leone XIV: "portiamo nel mondo il fuoco dell’amore che rinnova, non quello delle armi" Omelia 17/08/2025 (cronaca/sintesi, foto, video e testo integrale)




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Il Papa:
portiamo nel mondo il fuoco dell’amore che rinnova,
 non quello delle armi

Nella Messa celebrata da Leone XIV al santuario di Santa Maria della Rotonda di Albano, dedicata ai bisognosi assistiti dalla Caritas diocesana, il Papa esorta ad essere “una Chiesa madre", che rigenera "non in virtù di una potenza mondana", ma con la carità e l'accoglienza. Una "Chiesa di poveri" che oppone “all’indifferenza la cura”. E incoraggia a non distinguere "tra chi appare povero e chi sente di offrire tempo, competenze, aiuto”, tutti siamo preziosi


Arriva a piedi Leone XIV al santuario di Santa Maria della Rotonda di Albano, dove, insieme a sacerdoti, parrocchiani e operatori della Caritas, lo attendono per la celebrazione della Messa domenicale i poveri del territorio, gli utenti dei centri di ascolto, i senza fissa dimora e gli ospiti di strutture di accoglienza e di case famiglia della diocesi.

Leone XIV accolto dal vescovo di Albano monsignor Viva e dal sindaco Borelli (@VATICAN MEDIA)

Per le strade di Albano

Pochi i chilometri percorsi dal Papa in automobile da Castel Gandolfo alla cittadina limitrofa. Accolto dal vescovo della diocesi di Albano, monsignor Vincenzo Viva, e dal sindaco, Massimiliano Borelli, il Pontefice, giunge all’antico luogo di culto percorrendo via della Rotonda, fra tanta gente assiepata ai bordi della strada.

Il Papa mentre saluta alcune persone durante il percorso a piedi verso il Santuario di Santa Maria della Rotonda (@Vatican Media)

Sul sagrato del santuario, che consacrato nell’XI secolo custodisce un’icona mariana di epoca anteriore portata da alcune monache greche nel periodo delle persecuzioni iconoclaste, ad accogliere il Pontefice è il rettore, monsignor Adriano Gibellini. Con lui anche il direttore della Caritas della diocesi di Albano, Alessio Rossi, che guida il Papa sotto il portico per illustragli la mostra fotografica itinerante allestita dalla Caritas diocesana “Segni di speranza”, 13 pannelli che raccontano storie vere, emozioni, numeri, impegno quotidiano al fianco di ultimi e bisognosi, per far capire che ciascuno può offrire aiuto, attenzione e amore agli altri. Tra i pannelli anche uno dedicato al messaggio di Leone XIV per la Giornata Mondiale dei Poveri che si celebrerà il 16 novembre prossimo.

Il Papa mentre visita la mostra allestita dalla Caritas (@Vatican Media)

Leone entra nel santuario poco dopo e, prima di prepararsi per la Messa, si raccoglie per un breve momento in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Oltre un centinaio quanti siedono ai banchi, mentre fuori altri seguono la liturgia da un maxischermo.

Nella Chiesa si è Corpo di Cristo

Nell’omelia sono un abbraccio aperto a tutti le parole del Pontefice. “È una gioia trovarci insieme – dice, riconoscendo, però, che ognuno va “in chiesa con qualche stanchezza e paura – a volte più piccole, a volte più grandi”, ma subito si è “meno soli” stando “insieme” agli altri e trovando “la Parola e il Corpo di Cristo”. Perché se “all’esterno la Chiesa, come ogni realtà umana, può apparirci spigolosa”, quando se ne varca “la soglia” e si riceve “accoglienza” emerge “la sua realtà divina”, spiega Leone. Le personali “povertà” e “vulnerabilità e soprattutto i fallimenti per cui possiamo venire disprezzati e giudicati” vengono “accolti nella dolce forza di Dio, un amore senza spigoli e incondizionato” e in Maria “diventiamo una Chiesa madre, che genera e rigenera”, ma “non in virtù di una potenza mondana”, bensì “con la virtù della carità”.

Leone XIV mentre pronuncia l'omelia (@Vatican Media)

Il fuoco dell’amore si abbassa e serve

Commentando, poi, il Vangelo del giorno in cui Gesù avverte che la sua venuta porterà “divisione”, il Pontefice ricorda che nell’ultima cena Cristo dà ai suoi discepoli la sua “pace” ma “non come la dà il mondo” e chiarisce che se “il mondo ci abitua a scambiare la pace con la comodità, il bene con la tranquillità”, il Messia ci dice: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso”. E mentre qualcuno ci raccomanda “di non rischiare, di risparmiarci, perché importa stare tranquilli e gli altri non meritano di essere amati”, Gesù “si è immerso nella nostra umanità con coraggio” e ci parla del “battesimo della croce, un’immersione totale nei rischi che l’amore comporta”. Noi “ci alimentiamo di questo suo dono audace” nel momento in cui “facciamo la comunione”, evidenzia il Papa.

La Messa nutre questa decisione. È la decisione di non vivere più per noi stessi, di portare il fuoco nel mondo. Non il fuoco delle armi, e nemmeno quello delle parole che inceneriscono gli altri. Questo no. Ma il fuoco dell’amore, che si abbassa e serve, che oppone all’indifferenza la cura e alla prepotenza la mitezza; il fuoco della bontà, che non costa come gli armamenti, ma gratuitamente rinnova il mondo. Può costare incomprensione, scherno, persino persecuzione, ma non c’è pace più grande di avere in sé la sua fiamma.

Abbattere muri ed essere dono per gli altri

E la fiamma di Cristo è nelle opere di carità della diocesi di Albano, fa notare il Papa, che ringrazia il vescovo Vincenzo Viva e quanti si impegnano nelle 78 parrocchie e negli 8 vicariati del territorio in svariate iniziative e sprona a coltivare la fraternità.

Vi incoraggio a non distinguere tra chi assiste e chi è assistito, tra chi sembra dare e chi sembra ricevere, tra chi appare povero e chi sente di offrire tempo, competenze, aiuto. Siamo la Chiesa del Signore, una Chiesa di poveri, tutti preziosi, tutti soggetti, ognuno portatore di una Parola singolare di Dio. Ognuno è un dono per gli altri. Abbattiamo i muri.

Un momento della Messa nel Santuario di Santa Maria della Rotonda ad Albano (ANSA)

Non lasciare Dio fuori dalla propria vita

Il grazie di Leone si estende, poi, anche a “chi opera in ogni comunità cristiana per facilitare l’incontro fra persone diverse per provenienza, per situazione economica, psichica, affettiva”. “Siamo il Corpo di Cristo, la Chiesa di Dio” soltanto insieme, spiega il Papa, “solo diventando un unico Corpo in cui anche il più fragile partecipa in piena dignità”, e ciò accade “quando il fuoco che Gesù è venuto a portare brucia i pregiudizi, le prudenze e le paure che emarginano ancora chi porta scritta la povertà di Cristo nella propria storia”.

Non lasciamo fuori il Signore dalle nostre chiese, dalle nostre case e dalla nostra vita. Nei poveri, invece, lasciamolo entrare e allora faremo pace anche con la nostra povertà, quella che temiamo e neghiamo quando cerchiamo a ogni costo tranquillità e sicurezza.

L'incontro del Papa con alcuni assistiti dalla Caritas di Albano (@Vatican Media)

L'incontro con i poveri nel santuario

All’offertorio, a portare al Papa i doni liturgici alcuni ospiti delle case famiglia della diocesi di Albano, tra cui una famiglia di origine peruviana, e operatori della Caritas. Al termine della celebrazione il saluto di Leone ai poveri e ai volontari presenti alla Messa, poi per il Pontefice un nuovo bagno di folla lungo via della Rotonda prima di raggiungere l’automobile e fare rientro a Castel Gandolfo per la recita dell’Angelus a piazza della Libertà, davanti al Palazzo Apostolico.
(fonte: Vatican News, articolo di Tiziana Campisi 17/08/2025)


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SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Santuario di Santa Maria della Rotonda (Albano)
XX domenica del Tempo Ordinario, 17 agosto 2025


Cari fratelli e sorelle,

è una gioia trovarci insieme a celebrare l’Eucaristia domenicale, che ci regala una gioia ancora più profonda. Se, infatti, è già un dono essere oggi vicini e vincere la distanza guardandoci negli occhi, come veri fratelli e sorelle, un dono più grande è vincere nel Signore la morte. Gesù ha vinto la morte – la domenica è il suo giorno, il giorno della Risurrezione – e noi iniziamo già a vincerla con Lui. È così: ognuno di noi viene in chiesa con qualche stanchezza e paura – a volte più piccole, a volte più grandi – e subito siamo meno soli, siamo insieme e troviamo la Parola e il Corpo di Cristo. Così il nostro cuore riceve una vita che va oltre la morte. È lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto, a fare questo fra di noi e in noi, silenziosamente, domenica dopo domenica, giorno dopo giorno.

Ci troviamo in un antico Santuario le cui mura ci abbracciano. Si chiama “Rotonda” e la forma circolare, come a Piazza San Pietro e come in altre chiese antiche e nuove, ci fa sentire accolti nel grembo di Dio. All’esterno la Chiesa, come ogni realtà umana, può apparirci spigolosa. La sua realtà divina, però, si manifesta quando ne varchiamo la soglia e troviamo accoglienza. Allora la nostra povertà, la nostra vulnerabilità e soprattutto i fallimenti per cui possiamo venire disprezzati e giudicati – e a volte noi stessi ci disprezziamo e ci giudichiamo – sono finalmente accolti nella dolce forza di Dio, un amore senza spigoli, un amore incondizionato. Maria, la madre di Gesù, per noi è segno e anticipazione della maternità di Dio. In lei diventiamo una Chiesa madre, che genera e rigenera non in virtù di una potenza mondana, ma con la virtù della carità.

Può forse averci sorpreso, nel Vangelo appena letto, quello che dice Gesù. Noi cerchiamo la pace, ma abbiamo ascoltato: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» (Lc 12,51). E quasi gli risponderemmo: «Ma come, Signore? Anche tu? Abbiamo già troppe divisioni. Non sei proprio tu che hai detto nell’ultima cena: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”?». «Sì – ci potrebbe rispondere il Signore – sono io. Ricordate però che quella sera, la mia ultima sera, aggiunsi subito a proposito della pace: «Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (cfr Gv 14,27).

Cari amici, il mondo ci abitua a scambiare la pace con la comodità, il bene con la tranquillità. Per questo, affinché in mezzo a noi venga la sua pace, lo shalom di Dio, Gesù deve dirci: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Forse i nostri stessi familiari, come preannuncia il Vangelo, e persino gli amici si divideranno su questo. E qualcuno ci raccomanderà di non rischiare, di risparmiarci, perché importa stare tranquilli e gli altri non meritano di essere amati. Gesù invece si è immerso nella nostra umanità con coraggio. Ecco il «battesimo» di cui parla (v. 50): è il battesimo della croce, un’immersione totale nei rischi che l’amore comporta. E noi quando, come si dice, “facciamo la comunione”, ci alimentiamo di questo suo dono audace. La Messa nutre questa decisione. È la decisione di non vivere più per noi stessi, di portare il fuoco nel mondo. Non il fuoco delle armi, e nemmeno quello delle parole che inceneriscono gli altri. Questo no. Ma il fuoco dell’amore, che si abbassa e serve, che oppone all’indifferenza la cura e alla prepotenza la mitezza; il fuoco della bontà, che non costa come gli armamenti, ma gratuitamente rinnova il mondo. Può costare incomprensione, scherno, persino persecuzione, ma non c’è pace più grande di avere in sé la sua fiamma.

Per questo oggi vorrei ringraziare, insieme al vostro vescovo Vincenzo, tutti voi, che nella diocesi di Albano vi impegnate a portare il fuoco della carità. E vi incoraggio a non distinguere tra chi assiste e chi è assistito, tra chi sembra dare e chi sembra ricevere, tra chi appare povero e chi sente di offrire tempo, competenze, aiuto. Siamo la Chiesa del Signore, una Chiesa di poveri, tutti preziosi, tutti soggetti, ognuno portatore di una Parola singolare di Dio. Ognuno è un dono per gli altri. Abbattiamo i muri. Ringrazio chi opera in ogni comunità cristiana per facilitare l’incontro fra persone diverse per provenienza, per situazione economica, psichica, affettiva: solo insieme, solo diventando un unico Corpo in cui anche il più fragile partecipa in piena dignità, siamo il Corpo di Cristo, la Chiesa di Dio. Questo avviene quando il fuoco che Gesù è venuto a portare brucia i pregiudizi, le prudenze e le paure che emarginano ancora chi porta scritta la povertà di Cristo nella propria storia. Non lasciamo fuori il Signore dalle nostre chiese, dalle nostre case e dalla nostra vita. Nei poveri, invece, lasciamolo entrare e allora faremo pace anche con la nostra povertà, quella che temiamo e neghiamo quando cerchiamo a ogni costo tranquillità e sicurezza.

Interceda per noi la Vergine Maria, che si sentì indicare dal santo vecchio Simeone il figlio Gesù come «segno di contraddizione» (Lc 2,34). Siano svelati i pensieri dei nostri cuori, e possa il fuoco dello Spirito Santo renderli non più cuori di pietra, ma cuori di carne.

Santa Maria della Rotonda, prega per noi!

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