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lunedì 1 settembre 2025

Almeno 800 morti e 2.500 feriti nell’est del Paese - Un boato e la terra trema: distruzione e morte in Afghanistan


Almeno 800 morti e 2.500 feriti nell’est del Paese

Un boato e la terra trema: distruzione e morte
in Afghanistan


All’inizio un forte boato, come fosse quello di una tempesta imminente. Poi la terra ha iniziato a tremare: una prima, potente, scossa di terremoto seguita da altre repliche di assestamento, più di una decina quelle che si sono riuscite a contare.

La notte di domenica 31 agosto, nell’est dell’Afghanistan, è stata un’ecatombe. Decine di città e villaggi rasi al suolo, almeno 800 morti e 2.500 feriti: ma questi numeri saranno inesorabilmente destinati a salire, quando i soccorritori riusciranno ad arrivare in tutte le zone colpite, molte delle quali ancora isolate.

La virulenza del sisma di magnitudo 6 ha distrutto parte della provincia di Kunar, al confine con il Pakistan, e quella di Nangahar. Prima che si facesse giorno, gli abitanti, disperati ed in preda al panico, hanno iniziato a scavare a mani nude nel tentativo di poter salvare i propri cari sepolti tra le macerie. Un testimone di un villaggio dell’entroterra di una delle zone più devastate, quella vicina alla città di Jalalabad, ha raccontato che molte delle abitazioni, costruite con fango e legno, si sono ripiegate su loro stesse come fossero fuscelli senza alcuna consistenza: «I bambini sono ancora sotto le macerie, i giovani sono ancora sotto le macerie, gli anziani sono ancora sotto le macerie. Vi prego, qualcuno ci aiuti!».

Un altro sopravvissuto della zona del distretto di Nurgal ha ancora negli occhi la tragedia: «Dopo la prima scossa, sono riuscito a salvare tre dei miei figli. Ma quando sono tornato indietro per portare in salvo il resto della famiglia il tetto di una stanza è crollato uccidendo mia moglie, gli altri due miei figli e ferendo me e mio padre. Sembrava che tutto intorno a noi stesse franando, comprese le montagne».

Il portavoce del governo talebano ha fatto sapere che tutti i mezzi di soccorso disponibili «sono stati inviati nelle aree del sisma» anche se molte vie di comunicazione, per ora, risultano completamente inaccessibili.

Sul fronte delle reazioni internazionali, immediata è stata la presa di posizione del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres: «Sono pienamente solidale con il popolo afghano dopo il devastante terremoto che ha colpito il Paese. Esprimo le mie più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime e auguro una pronta guarigione ai feriti» ha scritto in un messaggio su X sottolineando che il team dell’Onu presente nel Paese si è già «mobilitato e non risparmierà sforzi per assistere le persone in difficoltà nelle zone colpite».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Unione europea che ha fatto sapere che la sua squadra di protezione civile per le emergenze «si trova già sul campo e i nostri partner sono pronti ad offrire assistenza immediata».

La Cina, tramite il. portavoce del ministero degli esteri, Guo Jiakun, ha inviato le condoglianze ufficiali del governo di Pechino a tutto il popolo afghano e offerto di sostenere, in ogni modo, le operazioni di soccorso per recuperare cadaveri e feriti.

Una forte e determinata volontà di sostegno è stata inoltre espressa da alcune nazioni confinati come il Pakistan e l’Iran. Il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, si è detto profondamente rattristato e pronto ad inviare squadre di soccorso mentre il ministro degli esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha offerto beni di prima necessità e forniture mediche.

Come purtroppo avviene in simili tragedie, i più vulnerabili risultano sempre essere i bambini: per questo l’Unicef ha avviato un coordinamento locale per determinare la risposta necessaria alle esigenze dei più piccoli. «La nostra attenzione — ha spiegato in un comunicato l’agenzia dell’Onu — è rivolta all’identificazione delle priorità urgenti in materia di salute, acqua potabile, servizi igienico-sanitari, alloggi temporanei e sostegno psicosociale per i bambini e le famiglie colpiti».

Quello della scorsa notte, è il terzo, grande, terremoto che si è verificato in Afghanistan da quando i talebani hanno conquistato il potere, nel 2021.

Da allora, con la ritirata delle forze straniere dalla nazione, gli aiuti internazionali mirati a soddisfare i bisogni urgenti ed atavici della popolazione si sono assottigliati sempre di più passando dai 3,8 miliardi del 2022 ai 767 milioni di quest’anno. Situazione che complicherà, anche questa volta, la gestione dei soccorsi e l’approvvigionamento dei beni di prima necessità.

(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Federico Piana 01/09/2025)

Leone XIV: "Gesù ci chiama alla libertà. Nel Vangelo usa la parola umiltà per descrivere la forma compiuta della libertà... chiediamo oggi che la Chiesa sia per tutti una palestra di umiltà... dove Gesù può ancora prendere la parola ed educarci alla sua umiltà, alla sua libertà." Angelus 31/08/2025


PAPA LEONE XIV

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 31 agosto 2025


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Stare a tavola insieme, specialmente nei giorni di riposo e di festa, è un segno di pace e di comunione, in ogni cultura. Nel Vangelo di questa domenica (Lc 14,1.7-14) Gesù è invitato a pranzo da uno dei capi dei farisei. Avere ospiti allarga lo spazio del cuore e farsi ospiti chiede l’umiltà di entrare nel mondo altrui. Una cultura dell’incontro si nutre di questi gesti che avvicinano.

Incontrarsi non è sempre facile. L’Evangelista nota che i commensali “stavano a osservare” Gesù, e in genere Lui era guardato con un certo sospetto dai più rigorosi interpreti della tradizione. Ciò nonostante, l’incontro avviene, perché Gesù si fa realmente vicino, non rimane esterno alla situazione. Egli si fa ospite davvero, con rispetto e autenticità. Rinuncia a quelle buone maniere che sono soltanto formalità per evitare di coinvolgersi reciprocamente. Così, nel suo stile proprio, con una parabola, descrive ciò che vede e invita chi lo osserva a pensare. Ha infatti notato che c’è una corsa a prendere i primi posti. Questo succede anche oggi, non in famiglia, ma nelle occasioni in cui conta “farsi notare”; allora lo stare insieme si trasforma in una competizione.

Sorelle e fratelli, sederci insieme alla mensa eucaristica, nel giorno del Signore, significa anche per noi lasciare a Gesù la parola. Egli si fa volentieri nostro ospite e può descriverci come Lui ci vede. È tanto importante vederci con il suo sguardo: ripensare a come spesso riduciamo la vita a una gara, a come diventiamo scomposti per ottenere qualche riconoscimento, a come ci paragoniamo inutilmente gli uni agli altri. Fermarci a riflettere, lasciarci scuotere da una Parola che mette in discussione le priorità che ci occupano il cuore: è un’esperienza di libertà. Gesù ci chiama alla libertà.

Nel Vangelo usa la parola “umiltà” per descrivere la forma compiuta della libertà (cfr Lc 14,11). L’umiltà, infatti, è la libertà da se stessi. Essa nasce quando il Regno di Dio e la sua giustizia hanno veramente preso il nostro interesse e ci possiamo permettere di guardare lontano: non la punta dei nostri piedi, ma lontano! Chi si esalta, in genere, sembra non avere trovato niente di più interessante di se stesso, e in fondo è ben poco sicuro di se stesso. Ma chi ha compreso di essere tanto prezioso agli occhi di Dio, chi sente profondamente di essere figlio o figlia di Dio, ha cose più grandi di cui esaltarsi e ha una dignità che brilla da se stessa. Essa viene in primo piano, sta al primo posto, senza sforzo e senza strategie, quando invece di servirci delle situazioni impariamo a servire.

Carissimi, chiediamo oggi che la Chiesa sia per tutti una palestra di umiltà, cioè quella casa in cui si è sempre benvenuti, dove i posti non vanno conquistati, dove Gesù può ancora prendere la parola ed educarci alla sua umiltà, alla sua libertà. Maria, che ora preghiamo, di questa casa è veramente la Madre.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

purtroppo, la guerra in Ucraina continua a seminare morte e distruzione. Anche in questi giorni i bombardamenti hanno colpito diverse città, compresa la capitale Kyiv, causando numerose vittime. Rinnovo la mia vicinanza al popolo ucraino e a tutte le famiglie ferite. Invito tutti a non cedere all’indifferenza, ma a farsi prossimi con la preghiera e con gesti concreti di carità. Ribadisco con forza il mio pressante appello per un cessate il fuoco immediato e per un serio impegno nel dialogo. È tempo che i responsabili rinuncino alla logica delle armi e imbocchino la via del negoziato e della pace, con il sostegno della comunità internazionale. La voce delle armi deve tacere, mentre deve alzarsi la voce della fraternità e della giustizia.

Our prayers for the victims of the tragic shooting during a school Mass in the American State of Minnesota include the countless children killed and injured every day around the world. Let us plead God to stop the pandemic of arms, large and small, which infects our world. May our Mother Mary, the Queen of Peace, help us to fulfil the prophecy of Isaiah: «They shall beat their swords into ploughshares and their spears into pruning hooks» (Is 2:4).

I nostri cuori sono feriti anche per le più di cinquanta persone morte e circa cento ancora disperse nel naufragio di un’imbarcazione carica di migranti che tentavano il viaggio di 1100 chilometri verso le Isole Canarie, rovesciatasi presso la costa atlantica della Mauritania. Questa tragedia mortale si ripete ogni giorno ovunque nel mondo. Preghiamo perché il Signore ci insegni, come singoli e come società, a mettere in pratica pienamente la sua parola: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).

We entrust all our injured, missing and dead, everywhere, to our Saviour’s loving embrace. Affidiamo tutti i feriti, i dispersi e i morti, ovunque, all’abbraccio amorevole del nostro Salvatore.

Domani, 1° settembre, è la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato. Dieci anni fa Papa Francesco, in sintonia con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, istituì per la Chiesa cattolica tale Giornata. Essa è più che mai importante e urgente e quest’anno ha per tema “Semi di pace e di speranza”. Uniti a tutti i cristiani la celebriamo e la prolunghiamo nel “Tempo del Creato” fino al 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi. Nello spirito del Cantico di frate sole, da lui composto 800 anni fa, lodiamo Dio e rinnoviamo l’impegno a non rovinare il suo dono ma a prenderci cura della nostra casa comune.

Rivolgo con affetto il mio saluto a tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini dall’Italia e da vari Paesi. In particolare, saluto i gruppi parrocchiali di Quartu Sant’Elena, Morigerati, Venegono, Rezzato, Brescello, Boretto e Gualtieri, Val di Gresta, Valmadrera, Stiatico, Sortino e Casadio; e il gruppo di famiglie di Lucca venuto lungo la via Francigena.

Saluto inoltre la Fraternità Laicale delle Suore Dimesse di Padova, i giovani di Azione Cattolica e dell’AGESCI di Reggio Calabria, i giovani di Gorla Maggiore e i cresimandi di Castel San Pietro Terme; come pure il Movimento Shalom di San Miniato con la Filarmonica Angiolo del Bravo, l’Associazione “Note libere” di Taviano e il gruppo “Genitori Orsenigo”.

A tutti buona domenica!

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Il Dio in cui non credo


Carlo Silini*
Il Dio in cui non credo


Non credo nel Dio di Vladimir Putin e del suo tirapiedi spirituale, il patriarca di Mosca Kirill, secondo i quali l’invasione dell’Ucraina è una guerra santa, una sacra battaglia contro la decadenza morale dell’Occidente che lascia sfilare masse debosciate di LGBTQ+ e abbandona i veri valori, e che presentano piamente il conflitto contro Kiev come una crociata necessaria per la salvezza spirituale del mondo.

Non credo neppure nel Dio di Benjamin Netanyahu e dei suoi sodali ultraortodossi e teo-nazionalisti che ordinano lo sterminio dei palestinesi e al tempo stesso esentano dal servizio militare i loro studenti delle yeshivot (scuole religiose) perché devono occuparsi di un servizio divino superiore. Né in quello dei terroristi di Hamas che predicano il dovere morale dello sterminio degli israeliani facendosi scudo dei corpi dei civili palestinesi e abusano del suo nome per commettere i peggiori crimini contro le persone e contro il loro stesso Dio.

Però credo nel messaggio radicale del cristianesimo e del suo fondatore, così follemente pacifico da invitare a non distruggere mai i nemici, per pessimi che siano, ma – addirittura – ad amarli e, quando scatta l’onda cieca della violenza, a riporre la spada nel fodero. Perché «chi di spada ferisce, di spada perisce» (Matteo 26:52). Credo anche alle parole illuminate del Corano, laddove recita che «chi uccide una persona innocente, è come se avesse ucciso tutta l’umanità; e chi salva una vita, è come se avesse salvato tutta l’umanità» (Surat al-Ma’ida, 5:32). Stesso messaggio: «Chi salva una vita, è come se avesse salvato il mondo intero», leggo nel Talmud (testo rabbinico), Sanhedrin 37a.

Non credo nel Dio di Donald Trump, seguace della teologia della prosperità, che – anche se non lo dice – detesta i poveri, perché se son poveri è colpa loro: non hanno abbastanza fede o non hanno «seminato» abbastanza (cioè donato denaro alla Chiesa), e quindi meritano l’indigenza, mentre la ricchezza materiale è il segno distintivo del vero credente. Non credo neppure nel Dio di J.D. Vance, vicepresidente Usa, che reinterpreta il concetto teologico di S. Agostino dell’ordo amoris, sostenendo che l’amore e l’aiuto debbano seguire una precisa scaletta: prima i più vicini – la famiglia, la comunità, la Nazione – poi, ma anche no, gli stranieri e i migranti.

Però credo nel Dio del capitolo 25 del Vangelo di Matteo che non ha in uggia i poveri Cristi, al contrario. E non stabilisce alcuna gerarchia tra chi merita la salvezza e chi no, il criterio è la vulnerabilità, e dice: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Una visione in cui sono gli ultimi i più vicini a Dio, non il contrario.

Non credo, infine, nei rosari del leader italiano Matteo Salvini, che li bacia nell’aula laica del Senato a Roma, e li brandisce come un’arma contro la decadenza identitaria dell’Europa cristiana (toh, mi ricorda il patriarca Kirill e il presidente Putin) e contro i migranti provenienti dal sud di religione islamica. Ma credo al dolore di quella madre di duemila anni fa, invocata come un mantra nei rosari, che piangeva sotto la croce di un figlio innocente, condannato, torturato e ucciso e a tutte le madri israeliane, palestinesi e di ogni parte del mondo che oggi versano silenziose lacrime per i propri cari spariti per guerra, per fame o per annegamento in un mare d’acqua o di ostilità in nome di Dio.
(fonte: Azione 18/08/2025) 

*Carlo Silini Giornalista e scrittore, nato a Mendrisio nel 1965. Laureato in teologia a Friburgo nel 1989 è sposato e ha un figlio. Editorialista e caporedattore al Corriere del Ticino e dal 2023 dirige Azione, settimanale di cronaca e cultura della Cooperativa Migros Ticino. Ha vinto lo Swiss Press Award, il più importante premio svizzero di giornalismo, nel 2015 per la categoria carta stampata e nel 2017 per la categoria local. Uscito nel 2015, Il ladro di ragazze, sua prima prova narrativa, è stato per mesi ai primi posti delle classifiche della Svizzera italiana. Stessa sorte per il sequel del 2019 Latte e sangue. Con Le ammaliatrici del 2021 chiude la trilogia.