Al sinodo… aprite le finestre!
Inizia oggi l’assemblea sinodale italiana: il rischio, reale, è che sia per pochi. L’augurio è, invece, che sia un movimento concreto della chiesa, vincendo pessimismi e paure, per giungere a molti.
Se escludo gli ‘addetti ai lavori’ (sacerdoti, laici con responsabilità ecclesiali, consacrate, giornalisti), nessuno delle persone che conosco sa che oggi comincia la prima assemblea sinodale della Chiesa italiana. E non parlo tanto di uomini e donne che all’apparenza non hanno una vita di fede, che non alimentano un cammino spirituale o mancano di interesse verso il Vangelo; mi riferisco, invece, a (pochi) giovani e (tanti) anziani, coppie o single, con varie ‘temperature’ di adesione e appartenenza ecclesiale, che magari frequentano con regolarità le liturgie domenicali, che sono impegnati in servizi preziosi (caritas, missionarietà, interventi culturali). Ebbene, nessuno di quelli a cui ho domandato nei giorni scorsi sapeva che la chiesa italiana è in cammino per un ‘cantiere sinodale’ che ne rilegga la vita, aprendola al futuro.
Forse, qualcuno, ha sentito che ‘c’è un sinodo’: ma cosa esso sia, che differenza è riscontrabile tra quello generale appena concluso e quello italiano, quali metodi e obiettivi la chiesa italiana vorrebbe darsi… beh, su tutto questo c’è una fitta nebbia. Non se ne parla, se non dentro certe ‘bolle’; qualcuno confonde questionari, interviste, azioni…
Tutto ciò, mi pare, è un grosso problema; perché se la chiesa italiana — ossia le comunità formate dai fedeli battezzati — non ha consapevolezza di ciò che accade al suo interno, quali sono i punti nodali del dialogo, cosa realmente si muove nel tessuto che la costituisce, difficilmente vi potrà essere radicamento reale, concreto; e, ugualmente, difficilmente vi potrà essere contributo, apporto, nutrimento del dialogo e delle sue conclusioni. Il rischio, ancora una volta, è che si metta in moto un grande meccanismo, che tuttavia non supera i confini ristretti di coloro che sono stati coinvolti — per motivi professionali, per convinzioni personali, per competenze di studio e di esperienza. Ma al ‘popolo di Dio’ che stamattina ha preso un treno, è salito in un’auto, è entrato in una scuola o in un’università, in una fabbrica o in ufficio, che ha acceso un trattore o ha gettato una rete in mare… ebbene, a questo popolo di Dio, che cosa arriverà? Che cosa è arrivato? Tra posizionamenti e sensibilità differenti, tra speranze di mutamento e timori, che cosa giunge a uomini e donne che stamattina si sono alzati per vivere la loro giornata? Non si può ignorare la questione: che cosa del Sinodo ha toccato e tocca l’umanità che attraversa la penisola?
Se sapremo porci il problema, allora sapremo anche tentare di immaginare qualche via maggiore di comunicazione, di coinvolgimento, di partecipazione. Certo, il contesto è postcristiano; certo, la gran parte delle persone si arrabatta nel proprio quotidiano tra luci e ombre, tra preoccupazioni legittime, pesi da portare, fughe consolatorie, vite da costruire. Eppure, il rischio è quello che si passi, anche dentro il ‘recinto ecclesiale’, dalla preoccupazione perché la molteplicità non crei fratture (ognuno ha la sua ricetta per rimettere in cammino la fede) all’indifferenza, che è sorella del pessimismo: tanto non cambia niente, tanto sarà sempre tutto come prima; solo il tempo passa, e noi siamo semplicemente più ridotti di numero, più stanchi, più sfiduciati. Dunque, inutile custodire speranze, inutile pensare a nuovi orizzonti, inutile credere che qualcosa nella vita comunitaria particolare possa realmente mutare. Fra due anni saremo ancora qui a dire: occasione sprecata. E così, tra chi non sa, chi non si interessa, chi è indifferente, chi ha smarrito le attese, il Sinodo rischia di non toccare le esistenze che di pochissimi. E questo rischio, che c’è, palpabile e manifesto, sarebbe un ulteriore spreco, sarebbe un talento sotterrato per paura.
L’augurio, invece, è che, seppur lentamente, la Chiesa italiana si muova; non per prodursi in enunciati retorici, in appelli inconcludenti, in castelli di parole senza radice, in dichiarazioni di fedeltà al Vangelo che poi, all’atto pratico, sono pennellate di buoni sentimenti.
Care amiche e cari amici che stamattina aprite le vostre finestre sul mondo, prima di andare all’assemblea sinodale in Roma: pensate a quanti hanno fatto lo stesso gesto, nel loro piccolo, per andare nei loro posti di lavoro e studio, di cura e di riposo… senza sapere cosa vi conduce a san Paolo fuori le Mura.
Fratelli e sorelle: aprite le finestre anche della Chiesa che abitiamo: per guardare fuori, per farci guardare dentro, per aiutarci a capire dove ci aspetta, oggi, il Risorto.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Sergio Di Benedetto 15/11/2024)