Vittime dell’avidità
di Andrea Monda
Dalle indagini sulla tragedia della funivia di Mottarone emerge una realtà sconvolgente: 14 persone sono morte perché il freno d’emergenza sarebbe stato deliberatamente disattivato per non fermare l’attività e perdere soldi. Una vicenda che suscita indignazione, rabbia, e la ribellione di raccontare storie di bene
La foto che vedete racconta la solita vecchia storia. L’avidità che diventa, inevitabilmente, “sfrenata”, in questo caso nel senso letterale del termine. Di queste vecchie storie, che sono storie vecchie, si riempiono le pagine dei giornali, perché è doveroso denunciare e indignarsi. Come per questa terribile tragedia della funivia Stresa-Mottarone, soprattutto dopo le rivelazioni emerse dalle indagini, ovvero che il freno di emergenza — quello che avrebbe potuto evitare l’incidente e la morte di 14 persone — sarebbe stato deliberatamente disattivato, nonostante si fosse a conoscenza di alcuni malfunzionamenti: manomesso per non fermare l’attività e perdere soldi.
Ecco, oggi ci limitiamo a riportare questa agghiacciante rivelazione perché è talmente abominevole da non aver bisogno di ulteriori commenti. Lo facciamo non per non stigmatizzare il male, ma per allargare lo sguardo. E se allarghiamo lo sguardo, un processo più del cuore che degli occhi, allora vediamo che ci sono anche altre storie, storie nuove. E non c’è altra novità, vera, significativa, al di fuori dell’amore. Le storie che raccontiamo oggi sono storie nuove. Che aprono vie nuove, strade inedite alla creatività generosa e generativa propria degli esseri umani.
Le vogliamo raccontare qui, in prima pagina, con la storia del dispensario di Santa Marta, da 99 anni “ospedale da campo” in Vaticano, e, all’interno, con la storia di quattro detenuti del carcere di Sollicciano che preparano il pranzo ai senzatetto — gli ultimi al servizio degli ultimissimi (chi è nella prova ha il cuore più pronto al soccorso) — e quelle della croce di Lampedusa, che sta girando per la Gran Bretagna a sensibilizzare i cuori dell’Europa, e della nave RescQ, la nave del salvataggio, nata da un gruppo di amici stanchi di vedere morire le persone nel Mediterraneo. L’avidità e l’indifferenza non sono il vero volto del mondo, ma solo le rughe della stanchezza di quel volto. Ma c’è molto più, vale la pena raccontarlo.
(fonte: L'Osservatore Romano 27 maggio 2021)
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Buon compleanno, Dispensario Santa Marta! Con la consapevolezza che i veri “festeggiati” sono i 500 bambini accolti e assistiti con le loro famiglie che vivono in situazioni di povertà e, in molti casi, senza tessera del servizio sanitario italiano. ...
Da buoni “vicini di casa” di Papa Francesco — la sede in Vaticano è “unita” a Casa Santa Marta dallo stretto vicolo del Perugino — l’obiettivo è sempre lo stesso, ogni giorno: accogliere le famiglie povere con bambini piccoli, rispondendo alle loro esigenze pratiche, senza naturalmente guardare a provenienze e religioni. “Fratelli tutti”, per davvero. Nessuno escluso.
È questo, del resto, lo “stile aperto” del Dispensario, «cuore pulsante di carità all’interno delle mura vaticane» conferma suor Antonietta. E «proprio come ci insegna Papa Francesco — spiega Valentina Giacometti, volontaria — continueremo sempre più, e speriamo anche sempre meglio, a offrire gratuitamente assistenza medica a quanti hanno bisogno e non se lo possono permettere. E andremo avanti anche a distribuire prodotti per l’infanzia e beni di prima necessità alle famiglie, e sono sempre di più, che non hanno i soldi per acquistarli». ...
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Buon compleanno Dispensario Santa Marta!
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Chi ha il coraggio di affermare che una persona dal passato burrascoso con precedenti penali non abbia la possibilità di redimersi e possa contribuire ad aiutare chi è in difficoltà? Un bel progetto di solidarietà coinvolge alcuni detenuti del carcere di Sollicciano a Firenze. Ospiti di Casa Caciolle, una struttura dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa dove stanno scontando la pena alternativa, Michele, siciliano, Giuseppe, toscano, Francesco, calabrese, e Leonardo, albanese, preparano ogni giorno un pasto per i senza fissa dimora della zona.
Gli “ultimi”, i detenuti, si occupano e si preoccupano degli “ultimissimi”, i senza tetto. Una solidarietà che non ti aspetti! ...
«Ogni volta che cuciniamo per i senzatetto — racconta uno dei detenuti — è come se fosse una terapia di redenzione che in qualche modo ci ricorda il nostro passato marginale e randagio, dove anche noi avremmo avuto bisogno di un pasto caldo».
Ogni sera, quindi, intorno alle 20, il cibo preparato dai detenuti viene prelevato dalla Protezione Civile, dalle Misericordie e dalla Croce Rossa, per essere distribuito sul territorio fiorentino. Una rete di solidarietà che coinvolge numerose persone. «Pensare che attraverso il nostro lavoro di volontariato possiamo aiutare i più bisognosi — sottolineano Michele, Giuseppe, Leonardo e Francesco — per noi è una rinascita. In questo momento di sofferenza collettiva essere partecipi di questo movimento di solidarietà è importante per noi».
E don Vincenzo non ha dubbi. «I detenuti che escono da un istituto di pena, spesso si trovano in condizioni peggiori di quando sono entrati perché durante la permanenza in cella non sono stati realizzati progetti di recupero socio professionali. A Casa Caciolle — conclude il sacerdote — ospitiamo i detenuti a fine pena e li seguiamo in un percorso di reinserimento. Li aiutiamo a dare un senso alla loro vita. Qui, con loro faccio comunità, una comunità cristiana, viviamo come se fossimo un’unica famiglia, dove ciascuno si sente coinvolto dalle esigenze degli altri e cerca di dare una mano in qualsiasi modo».
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Senso di comunità e di rifugio, simbolo di identità e di condivisione, sentimento di appartenenza e di accoglienza: sono molteplici e profondi i significati che trasmette quella conosciuta in tutto il mondo come la Croce di Lampedusa, che per la prima volta è la protagonista di una mostra itinerante. L’opera è stata realizzata otto anni fa dall’artista-falegname Francesco Tuccio, che nell’isola vive e lavora, in seguito al terribile naufragio del 3 ottobre 2013 in cui morirono oltre trecento migranti, soprattutto eritrei e somali, in una delle più grandi tragedie del mare. La croce è composta da due travi di legno provenienti proprio dall’imbarcazione affondata, che trasportava più di cinquecento persone, e da allora è la testimonianza del dramma di coloro che sono in fuga da guerre, carestie e persecuzioni. ...
Francesco Tuccio ha messo a disposizione il proprio talento in quella che è diventata la sua missione di vita. Dodici anni fa, era il 9 aprile 2009, non aprì la bottega per andare a salvare, assieme con i suoi compaesani, le vittime dell’ennesimo naufragio. Da allora realizza croci con il legno delle imbarcazioni che trasportano i migranti in fuga a bordo di quelle che ormai vengono chiamate carrette del mare e che molto spesso si trasformano in tombe. Come lui stesso ha più volte dichiarato ogni croce è una persona che perde la vita nella speranza di una migliore. Toccante l’incontro con Papa Francesco: il Santo Padre stringeva una delle sue croci durante la santa messa a Lampedusa l’8 luglio 2013, nel suo primo viaggio fuori dalla città di Roma dalla sua salita al soglio pontificio. In tour con la croce di Lampedusa è possibile ammirare l’opera dell’artista siriano Issam Kourbaj. Nato ad As-Suwayda, città montana a maggioranza drusa, dagli anni Novanta vive nel Regno Unito. Sua è l’installazione Dark Water, Burning World (“Acqua scura, mondo in fiamme”): composta da dodici piccole barchette realizzate con materiale di riciclo, come parafanghi di biciclette e fiammiferi, a testimoniare la fragilità delle imbarcazioni utilizzate dai migranti in fuga, la paura e la spossatezza della traversata e l’incertezza, una volta sopravvissuti, verso la nuova vita tanto sognata. Anche la decisione di utilizzare materiale di riciclo ha un significato ben preciso: il migrante porta con sé, senza sprecarlo, quel poco che riesce a salvare dal proprio Paese di origine. Nella maggior parte dei casi non si tratta di beni materiali, bensì di sogni e conoscenze che i migranti portano con loro a bordo delle carrette del mare, senza occupare spazio ma dando forza e speranza durante la traversata.
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Una nave battente bandiera italiana per sostenere donne, uomini e bambini costretti a fuggire da situazioni drammatiche. È il progetto dell’associazione ResQ – People saving People nato da un piccolo gruppo di amici che, stanchi di vedere morire migliaia di migranti nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo, hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza e di mettersi in gioco. «Gli Sos di chi naufraga si perdono tra le onde e la gente muore», dice Lu-ciano Scalettari, inviato speciale di «Famiglia cristiana» e presidente di ResQ. «Il Mediterraneo, per secoli culla di civiltà e patrimonio di culture e visioni, oggi è diventato un cimitero di persone alla ricerca di un futuro migliore. Noi vogliamo bloccare questo sterminio. Vogliamo salvare la vita di coloro che migrano verso il nostro continente, a prescindere dalla nazionalità, dalla religione e dai motivi che li spingono a farlo. Vogliamo che la bandiera italiana diventi emblema di accoglienza, riparo, salvezza. Una nave efficiente che risponda unicamente alle leggi del mare e al diritto internazionale, secondo i principi imprescindibili e non negoziabili di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità». ...