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domenica 31 agosto 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
31 Agosto 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, venendo nel mondo il Signore Gesù ha scelto per sé l’ultimo posto, per poter amare e servire ogni creatura umana senza pregiudizio alcuno. Al Signore Gesù, che ha fatto della Croce il suo trono regale, innalziamo con fiducia le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Abbi pietà di noi, Signore

  

Lettore


- Signore Gesù, sii misericordioso con la tua Chiesa sempre tentata di fare proprie le logiche di questo mondo, che sono logiche di forza e di preminenza. La forza del tuo Santo Spirito e la memoria del tuo Vangelo possano spingere al largo la tua Chiesa, in modo da essere nel cuore dell’umanità un segno visibile della tua gratuità e del tuo dono di amore, soprattutto per i poveri, per i peccatori e per tutti gli esclusi da ogni possibilità di vita. Preghiamo.

- Signore Gesù, vogliamo fare nostre e presentare a Te le lacrime, i lamenti, le preghiere che salgono da Gaza e soprattutto quelle dei bambini denutriti ed in punto di morte. Fa’ che questo fiume di lacrime e di dolore possa ammorbidire il cuore indurito dell’Occidente, che continua a non voler vedere e sentire. Preghiamo.

- Ti vogliamo affidare, Signore Gesù, tutti quegli uomini e donne, che continuano a credere nel valore del volontariato. Ti affidiamo quanti operano nelle varie organizzazioni per salvare i migranti nel loro tentativo di raggiungere una patria più affidabile. Ti affidiamo, inoltre, quanti si adoperano in favore della pace e quanti continuano a tener desta l’attenzione del mondo sul disastro climatico, che si aggrava ogni giorno di più. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore Gesù, per ognuno di noi. Fa’ che la tua Parola possa trovare dimora nella nostra vita di ogni giorno. Sia essa a guidare e ad illuminare il nostro modo di rapportarci con gli altri, soprattutto con coloro che ci hai messo accanto, affinché il nostro sguardo non sia di giudizio, ma di cura e di accoglienza. Preghiamo.

- Davanti a Te, Signore Gesù, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo ancora delle vittime della guerra in Ucraina e a Gaza e delle vittime delle altre numerose guerre sparse nel mondo, come pure le vittime della violenza nelle famiglie e sulle strade e nei quartieri delle nostre città. Tutti possano contemplare il tuo Volto di luce e di pace. Preghiamo



Per chi presiede

Signore Gesù, Tu hai scelto di stare all’ultimo posto e di stare dalla parte degli ultimi e dei poveri. Donaci la tua sapienza, affinché comprendiamo che essere cristiani comporta una responsabilità verso noi stessi e verso le persone più fragili e indifese. Te lo chiediamo perché sei nostro Maestro e Signore, nei secoli dei secoli.

AMEN.



"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 43 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Vangelo:
Lc 14,1.7-14

Siamo tutti invitati a nozze, ma solo coloro che sono stati guariti dall'idropisia, da un ego smisurato che gonfia e deforma, possono entrare per la porta stretta. Con questo insegnamento Gesù ci avverte di evitare come la peste e con la massima urgenza quello spirito di protagonismo che ci trasforma in palloni gonfiati e ci invita ad assumere quello spirito di umiltà e di servizio che poi è il suo stesso Spirito. Non si tratta certamente di osservare le norme del galateo per guadagnarsi la tanto agognata poltroncina in Paradiso; si tratta invece di scoprire il segreto del lievito del Regno che rimane nascosto nella pasta dell'umanità e tutta la fa fermentare, la manifestazione del mistero d'amore rivelato a noi nella vita di Gesù di Nazareth. Solo seguendo Lui potremo contemplare come il Padre agisce nella vita di ognuno di noi, che l'umiltà e il nascondimento sono le caratteristiche di Dio così come si è manifestato in Gesù (cfr. Fil 2,7). E' urgente, allora, scegliere sempre l'ultimo posto servendo i nostri fratelli, soprattutto gli ultimi, perché «l'ultimo è il posto da scegliere e da cui scegliere», essendo ben consapevoli che «Gesù ha già occupato l'ultimo posto a tal punto che nessuno mai è riuscito a toglierglielo» (Charles de Foucauld)
 

sabato 30 agosto 2025

SPINGERE LA VITA “Solo l'amore è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio" - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

SPINGERE LA VITA


Solo l'amore è capace di riempire di speranza i viventi,
di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio



Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Luca 14,1.7-14

 
SPINGERE LA VITA
 
Solo l'amore è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio

Questo è il terzo banchetto di Gesù in casa di farisei, che pur fieri avversari del maestro, ne subivano al tempo stesso il fascino.
Il rabbi amava i banchetti, luogo perfetto dove raccontare parabole che anticipavano il Regno, per i giusti d’Israele e per la gente dei crocicchi, per donne con vasi di profumo e farisei austeri e distaccati.
La tavola di casa è il primo altare, per Gesù. L’unico: ogni casa ha un altare che raccoglie attorno a sé sorrisi, confidenze, lacrime, perdoni e progetti. E sacrifici. Quello della chiesa viene dopo.
Mangiare insieme è il rito che ci fa umani, dove il cibo è sacro e il pane è sacramento, perché custodisce la cosa più sacra che esiste: la vita.
È un dolore vedere troppe eucaristie che, invece di un banchetto di gioia e di condivisione, si trascinano come liturgie stanche che parlano solo di se stesse e a se stesse.

“Diceva loro una parabola, notando come sceglievano i primi posti”.
La gente osserva Gesù, e Gesù osserva gli invitati. Un incrociarsi di sguardi, in quella sala che è la metafora della vita, piena di illusi, convinti che vivere sia prevalere sugli altri.
Quando sei invitato va a metterti all’ultimo posto, non per falsa modestia o un basso concetto di te, ma per un rapporto diverso e creativo, dove non conta il più importante o prestigioso, ma chi spinge avanti la vita. Il nostro compito sulla terra è semplice: portare umilmente avanti la vita. Soprattutto la vita debole e minacciata.

Vai all’ultimo posto: è il posto di Dio, del Dio crocifisso, che spinge il nostro mondo dentro il suo abbraccio.

Poi a colui che l’aveva invitato disse: Quando offri un pranzo non invitare parenti, amici, vicini, tu invita poveri, storpi, ciechi.
Ma non farlo per sentirti buono. Anche la rosa è senza un perché, fiorisce perché fiorisce (A. Silesius), e lo fa anche sulle macerie, dove impavida prodiga il suo profumo. L’usignolo canta anche se nessuno lo ascolta. Il monaco prega anche se nessuno lo sa.
Riempiti la casa di chi nessuno accoglie, e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Non hanno cose da darti, e allora ti daranno se stessi nella loro fragile gioia, perché ogni tenerezza gratuita e immeritata sussurra a chiunque di Dio. Arriva come un angelo e rende più affettuosa la vita, più leggero il lungo dolore.

Solo l'amore che non ha bisogno di passare all’incasso è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio.


Appello interreligioso alle Istituzioni Italiane, ai cittadini e ai credenti in Italia

Appello interreligioso 
alle Istituzioni Italiane, ai cittadini e ai credenti in Italia


Questo appello nasce dalla convinzione dell’improrogabile necessità di favorire qualsiasi iniziativa di incontro per arginare l’odio, salvaguardare la convivenza, purificare il linguaggio e tessere la pace. Responsabilità di singoli e di soggetti collettivi!
È un appello che esprime il tanto che unisce, messo a dura prova da quanto sta accadendo, ma nella certezza che il dialogo deve trovare le soluzioni a quanto umilia le nostre fedi e resistere. Ciascuno di noi – primi firmatari – avrebbe certamente qualcosa da aggiungere per esprimere il dolore che proviene dalle rispettive comunità, nelle quali vi sono posizioni e convinzioni diverse, così come aspettative rispetto a determinati fatti e scelte. L’appello è aperto a quanti condividono questa preoccupazione unitaria che genera responsabilità comune, mettendo da parte, in questo documento, quanto divide, per rafforzare ciò che ci unisce, nello sforzo comune di capire il dolore e le ragioni dell’altro, generando un impegno rinnovato per trovare soluzioni giuste e durature per tutti. In modo particolare, l’appello è aperto al “Tavolo delle religioni” che da tre anni si trova presso la sede della CEI nell’intento di cercare una “Via italiana del dialogo interreligioso”.

***

Appello alle Istituzioni Italiane, ai cittadini e ai credenti in Italia

“Sta lontano dal male e fa il bene, cerca e persegui la pace”. (Salmo 34, 15)

“Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli
che sono nel pianto”. (Rm 12,15)

“Abbiamo prescritto ai figli di Israele che chiunque ucciderà una persona
è come se avesse ucciso l’intera umanità, e chiunque avrà dato la vita a una persona sarà come se avesse dato la vita all’intera umanità.
Sono giunti loro i Nostri inviati con le prove chiare eppure molti di loro,
pur dopo questo, sono stati intemperanti sulla terra”. (Corano, V: 32)

La coscienza dei tempi oscuri che stiamo attraversando e del potere di illusione che soffia anche sulla tragedia in corso in Medio Oriente, ci richiama, come leader di comunità religiose, come credenti e come cittadini, a denunciare l’insinuarsi di pericolose generalizzazioni e dannose confusioni tra identità politiche, nazionali e religiose e ci spinge a richiamare alla cautela nello scambio di informazioni e alla pacatezza nei toni e nelle azioni.

L’abuso della religione per la sopraffazione altrui ci costringe ad assistere a una polarizzazione che si nutre di un fanatismo travestito da servizio verso il nostro comune Dio e il bene dei fedeli, assecondando una falsa giustizia superiore e nascondendosi dietro una finta fratellanza.
Il giustizialismo populista, una folle prospettiva suprematista e la mediatizzazione di un vittimismo sordo alle ragioni della responsabilità ci obbligano a denunciare una strumentalizzazione anche della politica: si tratta di un male che si nasconde dietro il paravento della “maggior ingiustizia dell’altro”, e che mira solo a rendere tutte le parti in gioco pedine inconsapevoli della distruzione del mondo ricostruito e ricostituito nel secondo dopoguerra.

Dobbiamo denunciare la nefandezza di una propaganda che, sfruttando ingenuità e visceralità, ottenebra un discernimento sano e banalizza il senso profondo della nostra stessa umanità, inducendo a schierarsi l’uno contro l’altro, ma mai a favore del Bene, fomentando alternativamente antisemitismo e islamofobia o rianimando le inveterate avversioni al cristianesimo cattolico e alle religioni in generale, anziché collaborare insieme per una vera Pace. Condividere originalità, curiosità per i significati dei nostri testi sacri, con studio e conoscenza, e difendere da ogni abuso e distorta interpretazione, che allontanano verso derive dell’odio, pregiudizio e violenza altrui.

L’odio e la violenza non hanno mai alcuna legittimità, portano solo alla diffusione della crudeltà di chi cura ambiguamente interessi paralleli volgarizzando e corrompendo le interpretazioni e la natura autentica dei testi sacri per benedire l’uso delle armi e organizzare la morte dell’altro. “Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi” (Dichiarazione “Fermi tutti” di Bologna).

Il dovere di lavorare per una responsabile convivenza ci richiama come religiosi alla necessità di promuovere coesione sociale sulla base di valori condivisi, a fronte della grande costernazione che ci suscita il dolore degli altri.
Bisogna ripartire dalla testimonianza della sacralità della vita e dalla santità della terra come doni di Dio che nessuno possiede in esclusiva a discapito dell’altro. Questo patrimonio va custodito insieme come occasione per riconoscere la dinamica della scienza sacra, la fratellanza autentica e la vera Pace nella vittoria dello Spirito sulla tragica ostinazione al male.

“Incontriamoci tutti!”, incontriamoci subito – almeno in Italia – vescovi, rabbini e imam, dalle varie regioni. Un incontro semplice, diretto, non convenzionale né confessionale, per testimoniare insieme una responsabilità comune (Lettera aperta “Incontriamoci tutti” della COREIS da Milano). Una responsabilità che sappia trasmettere il messaggio autentico di pace, speranza, carità, fratellanza e giustizia dei discendenti di Abramo anche attraverso soluzioni concrete: auspichiamo che, sulla scia di questo messaggio, le nostre comunità religiose possano promuovere attività locali e nazionali, culturali e formative, con l’attivo coinvolgimento delle Istituzioni nazionali e delle amministrazioni comunali.

Dobbiamo assieme riconoscere quel germe di odio che pianifica anche qui la devastazione e l’abuso di spazi reali e ideali. Lo sviluppo del nostro Paese si è affermato grazie ai ponti tra comunità antiche e di nuova immigrazione che siamo chiamati a difendere attraverso la prova della convivenza e il rigetto del
nemico inventato. Poter credere che esiste un domani libero verso il quale alzare lo sguardo e impegnarsi assieme.

Come segno di speranza, in queste settimane, in alcune città italiane, religiosi ebrei, cristiani e musulmani hanno già trovato l’ispirazione e il coraggio per incontrarsi e confrontarsi, nella preghiera e nella fede certa che la Giustizia divina non si riveste delle barbarie cui l’umanità sembra oggi essersi assuefatta nella “normalizzazione del male”.
Il 23 luglio è stata infatti diffusa la dichiarazione congiunta “Fermi Tutti” dell’Arcivescovo di Bologna, Card. Matteo Zuppi, e del Presidente della Comunità Ebraica di Bologna, Daniele De Paz, “Sulla guerra a Gaza e sulla responsabilità comune per la pace”. Un appello ai credenti e ai cittadini a unire le proprie voci per reagire alla guerra in corso dentro la striscia di Gaza e gli attacchi su Israele: “Tacciano le armi, le operazioni militari in Gaza e il lancio di missili verso Israele. Siano liberati gli ostaggi e restituiti i corpi. Si sfamino gli affamati e siano garantite cure ai feriti” (Dichiarazione “Fermi tutti” di Bologna).

L’appello di Bologna ha avuto un precedente e un seguito significativi:
• la Marcia per la Pace del 5 dicembre 2023 a Bologna, guidata dal Card. Matteo Zuppi, dal Presidente della Comunità Ebraica, Daniele De Paz, e dal Presidente dell’UCOII, Yassine Lafram, con la partecipazione di centinaia di cittadini;
• il 24 luglio la COREIS Italiana ha aderito all’appello inviando la lettera di sostegno “Incontriamoci tutti”, rivolta anche alla CEI, all’UCEI, all’Assemblea Rabbinica Italiana, all’Arcivescovo di Milano e alla Senatrice Liliana Segre;
il 4 agosto anche il “Tavolo della Speranza”, costituito a Torino da rappresentanti cristiani, ebrei, musulmani e laici, ha sostenuto pubblicamente l’appello. “La coscienza dei credenti, indipendentemente dalla fede di appartenenza, non può non essere fortemente turbata dalle notizie provenienti dal teatro di guerra e l’impegno personale nella preghiera e nel dialogo è l’unico modo per liberarsi dal senso di impotenza che, per ammissione dello stesso Papa Leone XIV, sta attanagliando chi invoca la tregua e l’accordo”.

Siamo grati per queste testimonianze di una reazione e di un coordinamento da parte di diversi esponenti interreligiosi che vogliono ora, con questa dichiarazione nazionale, promuovere una chiarezza di intenzioni, di metodo e linguaggio, di contenuti e di finalità, per giungere alla vera pace e, soprattutto, in nome della nostra comune responsabilità, a preservare l’autentica dignità di ogni comunità religiosa e di ogni essere umano.

Noemi Di Segni
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI)
Yassine Lafram
Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII)
Abu Bakr Moretta
Presidente del Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS)
Naim Nasrollah
Presidente della Moschea di Roma
Imam Yahya Pallavicini
Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS)
Cardinale Matteo Maria Zuppi
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)

29 Agosto 2025
(fonte CEI)

Quel gioco perverso che fa della donna una merce da esibire di Massimo Recalcati

Quel gioco perverso
che fa della donna
una merce da esibire
di Massimo Recalcati



(Pubblicato su "La Repubblica” - 24 agosto 2025)


Un dispositivo che sembra nuovo, figlio dell’epoca dei social network e della loro logica esibizionista, ma che, in realtà, ha radici antiche: si compila una lista, un catalogo di donne, le “proprie”, per ridurle a corpi da valutare, commentare, mettere in classifica da parte di un gruppo esteso di uomini. Lista clandestina che raduna uno spogliatoio virtuale di maschi che nel turpiloquio e nell’insulto, nell’apprezzamento pesante e nelle fantasie porno estreme, realizzano, in una complicità gruppale innocentemente feroce, la degradazione maschilista del soggetto femminile a un oggetto di consumo.

Il fatto che tutto ciò sia avvenuto rubando le immagini della propria donna per darle in pasto ad altri maschi non solo ribadisce una concezione padronale del rapporto, ma realizza altresì una fantasia perversa. Quale? In gioco non è tanto il desiderio erotico nelle sue trame labirintiche, ma una sorta di scambismo virtuale. Lo scambismo non viene effettivamente praticato, non diviene una pratica sessuale, ma si mantiene sul piano del puro voyeurismo. Questo tipo di scambismo non ha bisogno di professioniste del sesso, ma recluta, in un abuso selvaggio della privacy, la compagna, la moglie, la fidanzata, l’amante.

Lacan ci ha insegnato che il voyeurismo non è semplicemente «guardare senza essere visti». Il voyeur, infatti, non è affatto padrone dello sguardo ma ne è piuttosto posseduto. Fotografando, filmando, spiando, egli cerca di trasformare la donna in un oggetto catturato una volta per tutte. In questo modo prova a sostituire l’angoscia provocata dallo sguardo imprevedibile dell’Altro con la rassicurante fissità di un’immagine. Ma quello che possiede non è mai la donna, ma solo il catalogo senza vita delle sue rappresentazioni. Da un lato, mette in lista la propria compagna per ricevere dagli altri la conferma del suo valore («guarda cosa ho!»); dall’altro, si illude di possederne l’essenza più segreta, di averla finalmente sotto controllo. A che fine? Mi limito a isolare tre punti.

Il primo consiste nel ribadire l’assioma maschilista per eccellenza: «Sono tutte puttane!». In ogni donna vi sarebbe una femmina ammalata di sesso, una Eva insaziabile pronta a soddisfare gli appetiti più smodati degli uomini. Qui la mitologia maschilista svela le sue radici più ideologiche: di fronte all’inafferrabilità del godimento femminile, alla libertà irriducibile della donna, si prova ad operare una riduzione violenta della donna stessa ad una bambola del sesso sempre disponibile.

Il secondo punto riguarda invece la logica del voyeur. Egli, come la psicoanalisi insegna, non guarda tanto l’Altro, ma guarda se stesso nell’atto di catturare quello che non può catturare: il mistero del desiderio dell’Altro, il suo sguardo. È come se l’esperienza autentica dell’incontro fosse troppo fuggevole, rischiosa, indeterminata. Allora si preferisce venirne a capo filtrandola attraverso una lente che offre l’illusione di metterla in pausa, riavvolgerla, possederla. Incitare al commento osceno, scurrile, alla manifestazione priva di ogni pudore delle proprie fantasie, significa scambiare solo virtualmente la propria donna preservando però un potere di governo sul suo corpo. Nondimeno, diversamente dalla prostituzione tipo Onlyfans, qui l’oggetto sessuale deve avere un nome, una storia, un legame con chi la espone. Ed è proprio questa contaminazione tra la realtà e la finzione a produrre un godimento perverso. Mentre il triste Casanova di Fellini si trovava al termine della sua vita tra le mani solamente una bambola meccanica — simulacro della morte che fatalmente lo attendeva per ricordagli che nemmeno il sesso compulsivo poteva essere una via di fuga dalla sua inesorabile presa — in questo caso si tratta di nutrire l’illusione di avere a disposizione una bambola non meccanica ma viva e reale. L’uomo che getta le immagini rubate della propria compagna in pasto al branco non è più un amante, ma un manager della propria vita affettiva costantemente ansioso di ricevere un feedback dal suo pubblico. In questo modo è diventato schiavo di quello sguardo che credeva di dominare. Non è più in grado di desiderare ma solo di organizzare un godimento omogeno, tra simili. In questo senso, al di là delle apparenze, il godimento di ogni voyeur resta solipsistico, uomo-sessuale, tale, cioè, da escludere l’incontro reale con una donna.

Infine, il terzo motivo che può giustificare questo dispositivo osceno concerne il tentativo disperato di rianimare il desiderio. Se la vita di coppia porta con sé, nella sua ripetizione abitudinaria, il rischio di una flessione o di una estinzione del desiderio, la convocazione sulla scena di un altro sguardo può offrire l’illusione di una sua riattivazione. È un gioco di specchi: il vero oggetto del desiderio non è più la “propria” donna, ma il desiderio dell’altro che deve qualificare il suo corpo come ancora desiderabile. È una formula di Lacan: il desiderio umano è desiderio dell’oggetto solo in quanto desiderato da un altro desiderio. In altre parole: se tu desideri quello che io possiedo, quello che possiedo riacquista valore.

La donna-bambola diventa così la merce suprema, il biglietto da visita per entrare in una fratellanza patologica di sguardi maschili, un club esclusivo in cui ci si riconosce e ci si valuta per il valore della merce che si è in grado di esibire e, almeno virtualmente, di mettere in circolazione. È la logica del capitale applicata: il valore di un bene — il corpo-oggetto della propria partner — è determinato dalla domanda che riesce a generare. Si tratta di un meccanismo perverso per provare ad accendere un desiderio assopito, morto, sfiancato dall’abitudine. Ma preferire il catalogo illimitato delle immagini all’enigma singolare, l’archivio all’avventura, la sicurezza claustrofobica della prigione voyeuristica al cielo aperto e pericoloso del desiderio condiviso è una strada senza vie di uscita.

(Fonte: sito dell'autore)

venerdì 29 agosto 2025

Migliaia di operatori sanitari (e non solo) hanno digiunato per Gaza


Migliaia di operatori sanitari hanno digiunato per Gaza

Chiedono la fine dei bombardamenti, che il governo non venda più armi ad Israele, che venga riconosciuto il genocidio in atto a Gaza. A Pavia raccolti 120 mila euro per la Palestina. Tante persone in fila per donare cibo per la Global Sumud Flotilla. Il 30 agosto don Nandino Capovilla invita a partecipare alla marcia verso la tomba di don Mazzolari.

Operatori sanitari digiunano per Gaza

C’è una marea di solidarietà, pietà e indignazione che sta crescendo, in Italia, chiedendo la fine dei bombardamenti a Gaza. La fine dell’evacuazione forzata dei palestinesi, la fine dell’affamamento di migliaia di bambini e delle loro famiglie. La fine dell’occupazione della terra perpetrata dai coloni israeliani nei confronti delle comunità, anche cattoliche, della Cisgiordania. La fine di quella che viene vissuta come una enorme ingiustizia nei confronti di un popolo ormai allo stremo.

Palestinesi aspettano di ricevere un pasto nel sud della Striscia di Gaza. Foto Ansa EPA/HAITHAM IMAD

In un’intervista del 2018, la giornalista Francesca Fagnani chiese alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni cosa la commuovesse. La risposta dell’attuale premier fu: “I bambini. Da quando è nata mia figlia, non posso più sentire storie tristi che riguardano i bambini perché attacco a piangere…”.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al Meeting “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. 
Foto del Governo con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Mercoledì 27 agosto scorso, al Meeting di Rimini la premier ha rivendicato l’accoglienza di piccoli palestinesi malnutriti e mutilati nei nostri ospedali e ha affermato: “Chiediamo a Israele di cessare gli attacchi, di fermare l’occupazione militare a Gaza, di porre fine all’espansione degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, di consentire il pieno accesso degli aiuti umanitari nella Striscia, di partire dalle proposte dei paesi arabi per definire un quadro di stabilità e sicurezza”.


Tuttavia, le sole dichiarazioni non sono sufficienti. La ragion di Stato non può prevalere sulle vite umane: vanno bloccate le forniture d’armi, vanno imposte sanzioni, servono azioni concrete. Bisogna fermare il genocidio e l’esodo forzato dei palestinesi. Lo chiedono da settimane anche medici, infermieri, personale amministrativo, farmacisti e operatori sanitari di tutt’Italia che oggi hanno digiunato per Gaza “mettendoci la faccia”. Le loro foto stanno rimbalzando su tutti i social da Firenze a Caserta, Lecce, Parma, Torino, Napoli, Milano, Catania, Bologna… Gli operatori che hanno aderito sono decine di migliaia e gli ospedali coinvolti circa 500.

Giornata di digiuno e presidio contro il genocidio a Gaza promossa dagli operatori e dalle operatrici del servizio sanitario della rete #digiunogaza, dalla rete Sanitari per Gaza presso ospedale Molinette. Torino 28 agosto 2025 ANSA/TINO ROMANO

Migliaia e migliaia di operatori sanitari impegnati a difendere la vita e la dignità umana stanno dicendo basta al massacro in atto in Palestina.

È bastato poco per provocare quest’ondata di indignazione. Tutto è iniziato appena un mese fa, dal senso di impotenza di Daniela Gianelli e Francesco Niccolai, rispettivamente responsabile dell’ufficio stampa e responsabile della formazione dell’Asl Toscana Nord Ovest.

Operatori sanitari toscani in digiuno contro il genocidio a Gaza

Dal loro desiderio di fare qualcosa per la popolazione palestinese. «Io e il mio collega Francesco Niccolai stavamo parlando della situazione di Gaza, pensando a cosa potevamo fare. A un certo punto ci siamo detti: perché non proviamo a fare un giorno di digiuno per la Palestina, per dare un segnale che la sanità c’è?».

In poche ore è arrivata l’adesione di centinaia di operatori sanitari, non solo toscani, ma anche di altre città italiane. Fino alla manifestazione di oggi.


A promuovere la giornata di digiuno per Gaza – che si è svolta fuori dall’orario di lavoro, dalle 12.30 alle 14.30 – sono stati gli operatori e le operatrici del servizio sanitario delle reti #digiunogaza e “Sanitari per Gaza” e della campagna BDS “TEVA? No grazie”.

«In nome dei valori deontologici che ci accomunano e che ci impegnano a difendere sempre e comunque la dignità umana – hanno scritto – esprimiamo la nostra profonda indignazione e rifiutiamo di rimanere in silenzio di fronte al genocidio in corso a Gaza, pianificato deliberatamente dal Governo di Israele con la complicità dei governi occidentali».


I promotori hanno spiegato che «assistiamo da mesi con sgomento alle bombe, alle deportazioni, alle uccisioni di persone in fila per ottenere cibo, alla distruzione di tutte le infrastrutture civili e sanitarie, alla gravissima carestia e malnutrizione che sta subendo la popolazione. All’arresto, alla tortura e all’uccisione di personale sanitario (secondo l’OMS almeno 1.400 sanitari uccisi) anche nel pieno esercizio delle sue funzioni».


Gli operatori sanitari fanno tre richieste. Chiedono al Governo di “sospendere immediatamente accordi militari e fornitura di armi ad Israele e di chiedere con urgenza il cessate il fuoco e l’apertura di corridoi umanitari per aiuti alimentari e sanitari alla popolazione di Gaza”. Alle Aziende ed Istituzioni sanitarie, agli Ordini professionali, alle Società scientifiche, alle Università ed ai Centri di ricerca chiedono di adottare formalmente una Dichiarazione ove si riconosca il genocidio in corso e si affermi l’impegno a contrastarlo con ogni mezzo a disposizione.


Infine, chiedono a medici, farmacisti, ai pazienti, a Regioni e Comuni di aderire alla campagna di boicottaggio No Teva promossa contro la società farmaceutica israeliana TEVA, complice di occupazione e apartheid, da cui trae profitti, ma anche attivamente coinvolta nel genocidio.


“I medici non possono tacere”, ha dichiarato Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Firenze. “Auspico – ha affermato il presidente dell’Ordine dei medici di Lecce, Antonio De Maria – che questo giorno di digiuno che attraversa la sanità italiana scuota le coscienze e spinga tutti a una protesta corale contro il genocidio in corso. Alla violenza opponiamo la resistenza pacifica che spesso è più potente di un’arma”.


“Sono mesi che cerco di sentirmi meno inutile informandomi, protestando, donando e boicottando i prodotti israeliani e delle aziende che lucrano su questo massacro. Sono felice come infermiera – ha scritto Francesca M. – di partecipare a questa iniziativa”. Laura M. ha invece digiunato “in memoria dei colleghi uccisi, in solidarietà a quelli che lavorano per attenuare la sofferenza di tutte le vittime di questo massacro pur in una condizione di estrema sofferenza e privazione personale (fame, lutti familiari, turni infiniti) e con strutture sanitarie al collasso. E perché non è più possibile sopportare il silenzio e l’inazione del nostro governo di fronte a questo genocidio”.


Andrea M. ha aderito “perché è una delle poche cose che posso fare per essere dalla parte giusta della storia”. Giusi S. ha digiunato “perché la vita va difesa, sempre”, mentre Cristiana V. perché “non voglio che venga distrutto un popolo con la sua terra”. Al digiuno si sono uniti anche i volontari dell’associazione Libera contro le mafie, fondata da don Luigi Ciotti.


Gli operatori sanitari non sono gli unici ad essersi mobilitati. A Pavia, in un incontro organizzato dalla Diocesi e dalla Caritas a cui doveva intervenire il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, poi assente per l’aggravarsi della situazione a Gaza, sono stati raccolti oltre 120 mila euro in pochi giorni per la popolazione palestinese.

“La situazione che si sta vivendo a Gaza è molto grave. La parte sud della città – ha detto Pizzaballa, secondo quanto riportato da Agensir – è stata quasi completamente rasa al suolo, al nord l’80% è distrutto. Manca il cibo. Non arrivano le medicine. Molti vivono nelle tende, senza nulla, senza privacy. Trasferire le popolazioni, come si vuol fare a Gaza, è immorale, oltre che contrario alle convenzioni internazionali”.

Decine di artisti, youtuber, attivisti stanno invece promuovendo da giorni la mobilitazione della Global Sumud Flotilla: una missione navale pacifica, che coinvolge persone di decine di Paesi del mondo, che cercherà pacificamente di rompere il blocco illegittimo imposto da Israele e di portare a Gaza, via mare, medicine e cibo. Nei vari depositi allestiti, come per esempio a Genova, ci sono state lunghe file di cittadini che volevano dare un contributo. Alla fine, sono state raccolte 50 tonnellate di cibo.

Nandino Capovilla, a destra, in una foto di archivio del 2024 in Palestina. Fonte: Bocche scucite

Di pace a Gaza si è parlato anche alla Mostra del cinema di Venezia. Nel suo intervento, don Nandino Capovilla, sacerdote espulso da Israele al suo arrivo a Tel Aviv, nelle scorse settimane, per il suo impegno per i palestinesi, ha dichiarato: “Da prete che crede fermamente nella nonviolenza attiva, non posso che condannare l’uso delle armi, da qualsiasi parte le si impugni. Da cittadino sostengo la manifestazione che si terrà sabato” a Mantova, con una marcia verso la tomba di don Mazzolari, e — ha aggiunto don Capovilla -“tutti i modi pacifici con cui la società civile, in ogni parte del mondo sta ‘disertando il silenzio’ e la scorta mediatica del genocidio, facendo fiorire creativamente azioni di dissenso, partecipazione e impegno. Ricerchiamo la bussola verso cui orientarci per fermare il massacro, perché si ritorni alla parola, al diritto, all’umanità che tutti ci accomunano. Per non perdere ancora vite umane. Per non perderci. Aggrappiamoci ai valori che sottendono i diritti che i nostri padri e nonni hanno formulato: mai più per tutte e tutti, per una vita degna per tutte e tutti. E con coraggio uniamoci, sempre di più. Perché si fermi tutto questo male”.

Un ragazzo piange la morte del fratello presso l’Al-Shifa di Gaza City, 23 luglio 2025.
Ansa, EPA/MOHAMMED SABER

È con il cuore spezzato che vediamo bambini morire di fame ogni giorno, le loro case distrutte, le loro famiglie umiliate per un po’ di farina e cacciate dalle loro terre. Se fossimo noi, o i nostri cari, al loro posto, continueremmo a far finta di niente?
(fonte: Città Nuova, articolo di Sara Fornaro 28/08/2025)


Il discorso di Don Nandino Capovilla alla mostra del cinema

Il discorso di Don Nandino Capovilla alla mostra del cinema



Riportiamo la trascrizione del discorso di Don Nandino Capovilla pronunciato alla cerimonia di pre-apertura della mostra del cinema di Venezia

Non è un film e tutti lo sappiamo.

Buonasera.

Adesso che i termini impronunciabili sono sulla bocca di (quasi) tutti, assistiamo attoniti, impotenti e complici a ciò che sta avvenendo in Terra santa.

Mi è stato chiesto di portare questa sera un testo di spiritualità, una preghiera per aprire le porte della Mostra del Cinema al disumano massacro in corso a Gaza.

Ascoltate la supplica di mons. Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, che prega ogni mattina con il coraggio della parresia:

“Sul baratro della carestia, non resta che contare su di te, Signore, perché c’è bisogno di tutto.
Chi sfamerà i nostri piccoli che da mesi non mangiano?
Non senti, Signore, il grido dei nostri bambini?
Il loro pianto arriva ai tuoi orecchi?
Sono migliaia i sopravvissuti alla carneficina, feriti e dispersi.
Da tutta la Striscia di Gaza gridano a te,
perché nessuno riesce ad acquietare il loro pianto.
Signore, nessuno sembra indignarsi.
Ricordati di noi in questi giorni di angoscia.
A Gaza non è una guerra, è un piano di transfert e di genocidio,
per lasciare tombe e macerie
e accogliere i nuovi coloni.
Dichiarano il loro disegno per eliminarci. Decidono questo, Signore;
il mondo continua a difenderli e non ascolta gli appelli delle Nazioni Unite.
Quando potremo tornare alla normalità?
E quando ritorneranno all’umanità coloro che non smettono di uccidere?”

Mi sono anche state chieste parole alte sul genocidio a cui stiamo assistendo. Le parole più alte -dovremmo ricordarlo sempre- devono restare quelle della più alta autorità che laicamente onoriamo e custodiamo: le Nazioni Unite.

Ecco l’ultimo intervento di Tom Fletcher, sottosegretario generale di OCHA, agenzia ONU per il coordinamento degli affari umanitari, da lui pronunciate il 22 Agosto scorso:

“Il tempo delle esitazioni è finito. Questa è una carestia che ci perseguiterà tutti. È una carestia che avremmo potuto prevenire, se ci fosse stato permesso. Perché si verifica a poche centinaia di metri dal cibo, in una terra fertile. Tutto a causa dell’ostruzionismo sistematico da parte di Israele. E’ una carestia sotto i nostri occhi, che ci chiede: “E ora cosa farete?” E’ una carestia usata come arma di guerra, causata dalla crudeltà, giustificata dalla vendetta, resa possibile dall’indifferenza, sostenuta dalla complicità”

Recita l’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.

Ogni individuo ha questo diritto, che noi, comunità internazionale, abbiamo voluto ribadire nel 1948, dopo l’ecatombe della seconda guerra mondiale.

Il diritto alla vita e alla sicurezza lo avevano il 7 ottobre 2023 le circa 1200 vittime israeliane – di cui 16 bambini- del brutale attacco di Hamas. Lo hanno gli ostaggi israeliani che ancora attendono di essere restituiti alle loro famiglie.

Lo avevano le 62.000 persone palestinesi della Striscia di Gaza (e purtroppo sappiamo che il conto è molto più alto, perché migliaia di persone sono ancora sotto le macerie), di cui 18.000 bambini, che sono state uccise dall’esercito israeliano dopo quel giorno, in un’escalation di violenza e distruzione da parte dell’esercito di occupazione che va contro ogni ‘principio di umanità, di proporzionalità, di distinzione e di precauzione’, cardini del diritto internazionale umanitario.

Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, per chi vive nel Territorio palestinese occupato (che oltre a Gaza comprende la Cisgiordania e Gerusalemme est), è minacciato da oltre settant’anni: è una terra fatta a pezzi da quello stato occupante che dovrebbe garantirne l’integrità.

Non solo Gaza, non solo dove governa Hamas, non dal 7 ottobre 2023, ma prima e dopo, in tutto il Territorio palestinese occupato si sta compiendo un preciso disegno di pulizia etnica iniziato con la Nakba del 1948, un tassello di quel colonialismo di insediamento alla base del sionismo.

Tutto questo poteva non essere, ed è.

Può essere fermato e non lo stiamo facendo, o non abbastanza: possiamo smettere di inviare armi a Israele, possiamo indurlo al rispetto del diritto, a lasciare che le agenzie Onu, coordinate da Ocha, tornino a soccorrere una popolazione stremata; possiamo renderci conto che finchè non finisce l’occupazione è assurdo e ipocrita ripetere il ritornello dei ‘due popoli, due stati’. Possiamo chiedere davvero una pace nella giustizia, risoluzioni Onu alla mano.

Certamente dobbiamo anche indurre Hamas a porre fine ai suoi atti terroristici: si eviterebbe di aggiungere dolore a dolore… sangue versato a sangue versato.

Da prete che crede fermamente nella nonviolenza attiva, non posso che condannare l’uso delle armi, da qualsiasi parte le si impugni. Da cittadino sostengo la manifestazione che si terrà sabato e tutti i modi pacifici con cui la società civile, in ogni parte del mondo sta ‘disertando il silenzio’ e la scorta mediatica del genocidio, facendo fiorire creativamente azioni di dissenso, partecipazione e impegno.

Ricerchiamo la bussola verso cui orientarci per fermare il massacro, perché si ritorni alla parola, al diritto, all’umanità che tutti ci accomunano.

Per non perdere ancora vite umane. Per non perderci.

Aggrappiamoci ai valori che sottendono i diritti che i nostri padri e nonni hanno formulato: mai più per tutte e tutti, per una vita degna per tutte e tutti.

E con coraggio uniamoci, sempre di più. Perché si fermi tutto questo male.
(fonte: Bocche scucite 26/08/2025)


giovedì 28 agosto 2025

APPELLO AL CUORE DI TUTTI I FRATELLI E LE SORELLE Suor Giovanna: dove siamo noi?


APPELLO AL CUORE DI TUTTI I FRATELLI E LE SORELLE
Suor Giovanna,
monaca della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Ma’in al confine con la Cisgiordania
dove siamo noi?

Andiamo a Roma a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo a chiedere con la forza mite della preghiera:
- sotto il Quirinale che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento. 
- e poi, andiamo anche in piazza San Pietro, e con cartelli semplici che chiedano al Papa di andare a Gaza.


Nel post precedente Anche a Gaza esiste un Dio e chi crede non può tacere di Tommaso Montanari l'autore faceva riferimento all’appello di suor Giovanna della comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata fondata da Giuseppe Dossetti, e stabilita a Monte Sole e in Giordania, sul confine della Terra Santa di seguito ne pubblichiamo il testo integrale.


Perdonatemi se vi scrivo ancora — è la terza volta. Ma lo faccio con il cuore sempre più pesante. Le notizie che arrivano sono ogni giorno più dolorose, più atroci. Netanyahu ha approvato un nuovo attacco su Gaza, per “distruggere tutto”. Io non ce la faccio più a restare ferma. La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti — questo non fare nulla — ci rende complici. Complici di un genocidio.

Mi è stato detto più volte: “Tanto non serve a nulla”. Ma questa frase è intrisa di una rassegnazione che non possiamo più permetterci. È un grido disperato che paralizza ogni possibilità di agire. E invece dobbiamo credere che ogni gesto di verità, ogni preghiera pubblica, ogni appello sincero possano rompere l’assuefazione, risvegliare le coscienze — e forse anche spingere chi ha potere a muoversi.

Non possiamo cedere alla logica dell’impotenza. Non possiamo tacere.

Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente. Non mi do pace al pensiero che da parte delle comunità religiose non sia nata alcuna iniziativa concreta. Forse perché ci siamo abituati a pensare che la testimonianza debba essere “interiore”, “silenziosa”, “nascosta”. Ma oggi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, non c’è nulla di più scandaloso del silenzio religioso.

Forse si teme di “esporsi troppo”, di “entrare nel politico”, di “rompere gli equilibri”… Ma non può esserci neutralità davanti a un genocidio. O si è complici, o si sceglie la verità. E oggi, la verità urla dalle macerie di Gaza.

Decine di migliaia di morti, bambini mutilati nel corpo e nell’anima, ospedali distrutti, famiglie cancellate. Tutto questo accade nel silenzio — o nella complicità — di molti poteri, anche religiosi. Non basta più dirsi “in preghiera”. Non basta condannare “la violenza in generale”. Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato? Dove sono le nostre comunità, le nostre diocesi? Dove sono le parole profetiche? Dove sono i gesti concreti? La Chiesa non è una un’organizzazione fra le altre, né un’istituzione neutrale: è il Corpo di Cristo.

E allora, forse è arrivato il momento di mettere il nostro corpo accanto a quello crocifisso dell’umanità. Non possiamo restare lontani dal pianto degli innocenti. Vi supplico ancora di prendere contatto con le comunità sorelle, con altre comunità religiose. E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l’unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi, e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo. A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento. E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: di andare a Gaza, di condannare pubblicamente Israele, di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio. Stiamo lì, giorno e notte, a leggere i salmi e il Vangelo. Se la nostra arma è la preghiera, allora è il momento di usarla in modo visibile. Ma se a qualcuno avesse una idea migliore ben venga , ma non possiamo rimanere tranquilli nei nostri conventi.

Forse anch’io mi sento stanca, scoraggiata, delusa. Ma la mia coscienza non mi lascia in pace. E un giorno i nostri figli — o i bambini sopravvissuti di Gaza — ci chiederanno: «E tu, dov’eri?»

Vi prego: fate girare questa lettera a tutti i fratelli e le sorelle e anche alle comunità sorelle. Pregate per me.
suor Giovanna

#L'Idolo di Gianfranco Ravasi

#L'Idolo 
di Gianfranco Ravasi


Sbagliarsi su Dio è un dramma. È la cosa peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, su noi stessi. Sbagliamo la vita.

Nel calendario il prossimo 28 agosto reca il ricordo della morte nel 430 di S. Agostino, una delle figure più alte del pensiero occidentale. Lo vogliamo celebrare, però, non ricorrendo all'imponente distesa dei suoi scritti teologici e filosofici o attingendo all'opera più popolare, Le Confessioni. Abbiamo, invece, fatto salire sulla ribalta un frate e poeta che è stato anche un personaggio pubblico, capace di inquietare le coscienze, soprattutto sull'autentico concetto di Dio, un tema che è stato al centro della riflessione del vescovo di Ippona. Ci riferiamo a padre David Maria Turoldo e a una sua nota su una degenerazione tutt'altro che rara nei nostri giorni, apparentemente così secolarizzati. Infatti, il bisogno del sacro ritorna spesso in modo scomposto e prepotente, producendo deviazioni, fanatismi, fondamentalismi: basti solo
pensare al proliferare delle sette, delle apparizioni, della magia, del devozionalissimo esasperato.

Il filosofo inglese settecentesco David Hume notava che "gli errori della filosofia sono sempre ridicoli, quelli della religione sempre pericolosi". Infatti, come osserva Turoldo, le ricadute sono a cascata: ti rovinano la vita e scardinano la visione della stessa realtà, offuscano la mente, ottenebrano le scelte morali. L'avversario più pericoloso del cristianesimo genuino non è ormai l'ateismo conclamato e coerente, ma l'idolo del denaro, del consumo del luogo comune o una spiritualità evanescente che elabora una fede à la carte e che dissolve la fede in un pulviscolo dorato e fluido. Inoltre, come giustamente scriveva Erri de Luca, «credente non è chi ha creduto una volta per tutte, ma chi in obbedienza al participio presente del verbo, rinnova il suo credo continuamente». Questo esige rigore etico e paziente fedeltà, non è un fuoco d'artificio miracolistico, ma una scelta quotidiana, un impegno esistenziale, un amore autentico.

(Fonte: Il Sole 24 ore Domenica - 24.08.2025)

mercoledì 27 agosto 2025

Leone XIV: "È questa la vera speranza: sapere che, anche nel buio della prova, l’amore di Dio ci sostiene" Udienza generale 27/08/2025 (sintesi/commento, testo integrale e video)


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Il Papa: la speranza cristiana non è evasione 
ma decisione di amare anche nel dolore

All’udienza generale Leone XIV si sofferma sull’inizio della passione di Cristo, il suo arresto nell’orto degli Ulivi: la presenza di Dio "si manifesta proprio dove l’umanità sperimenta l’ingiustizia, la paura, la solitudine", la "vita liberamente offerta per amore non ci può essere tolta da nessuno”



Gesù rivela che la presenza di Dio si manifesta proprio dove l’umanità sperimenta l’ingiustizia, la paura, la solitudine. Proprio lì, la luce vera è disposta a brillare senza timore di essere sopraffatta dall’avanzare delle tenebre.

È un’esortazione a sperare nell’amore di Cristo anche davanti alle situazioni più difficili, quello che fa Leone XIV nella catechesi pronunciata oggi, 27 agosto, durante l’udienza generale, svoltasi nell’aula Paolo VI. Il Papa si sofferma sull’inizio della passione di Cristo – il suo arresto nell’orto degli Ulivi – tratto dal Vangelo di Giovanni, e sottolinea come l’evangelista “non ci presenta un Gesù spaventato, che fugge o si nasconde” ma “un uomo libero, che si fa avanti e prende la parola, affrontando a viso aperto l’ora in cui si può manifestare la luce dell’amore più grande”. “Nel cuore della notte, quando tutto sembra crollare”, continua il Papa, “Gesù mostra che la speranza cristiana non è evasione, ma decisione”.

Questo atteggiamento è il frutto di una preghiera profonda in cui non si chiede a Dio di essere risparmiati dalla sofferenza, ma di avere la forza di perseverare nell’amore, consapevoli che la vita liberamente offerta per amore non ci può essere tolta da nessuno.

Nella sofferenza, una vita nuova

Il Pontefice riconosce che anche Gesù “prova turbamento” davanti alla sua passione, “di fronte a un cammino che sembra condurre solo alla morte e alla fine”. Ma ha anche “vissuto ogni giorno della sua vita come preparazione a quest’ora drammatica e sublime”, evidenzia il Papa, e quindi non fugge davanti alla tribolazione. Rimane nella convinzione “che solo una vita perduta per amore, alla fine, si ritrova”.

In questo consiste la vera speranza: non nel cercare di evitare il dolore, ma nel credere che, anche nel cuore delle sofferenze più ingiuste, si nasconde il germe di una vita nuova.

Un amore libero, donato

Infatti, evidenzia Leone XIV, Cristo “si consegna” a coloro che lo vogliono arrestare, “non per debolezza” ma per “un amore così pieno, così maturo, da non temere il rifiuto”. E non solo “si lascia prendere” ma si preoccupa anche che le guardie lascino liberi i discepoli, “i suoi amici”, dimostrando, aggiunge, “che il suo sacrificio è un vero atto di amore”. “Non è vittima di un arresto, ma autore di un dono” in cui “si incarna una speranza di salvezza per la nostra umanità: sapere che, anche nell’ora più buia, si può restare liberi di amare fino in fondo”.

Il suo cuore sa bene che perdere la vita per amore non è un fallimento, ma possiede una misteriosa fecondità. Come il chicco di grano che proprio cadendo a terra non rimane solo, ma muore e diventa fruttuoso.

La speranza della nostra fede

“E noi?”, si interroga il Papa durante la catechesi, “quante volte difendiamo la nostra vita, i nostri progetti, le nostre sicurezze, senza accorgerci che, così facendo, restiamo soli”. “La logica del Vangelo è diversa”, ribadisce, “solo ciò che si dona fiorisce, solo l’amore che diventa gratuito può riportare fiducia anche là dove tutto sembra perduto”. “Nel tentativo di seguire Gesù, viviamo momenti in cui siamo colti alla sprovvista e restiamo spogliati delle nostre certezze” ammette Leone XIV, riconoscendo che “sono i momenti più difficili, nei quali siamo tentati di abbandonare la via del Vangelo perché l’amore ci sembra un viaggio impossibile”. Ma anche in questi momenti, Dio rimane vicino:

Questa è la speranza della nostra fede: i nostri peccati e le nostre esitazioni non impediscono a Dio di perdonarci e di restituirci il desiderio di riprendere la nostra sequela, per renderci capaci di donare la vita per gli altri.

Scegliere ogni giorno di amare con libertà

Infine, il Pontefice esorta i fedeli a “scegliere ogni giorno di amare con libertà”. “Impariamo anche noi a consegnarci alla volontà buona del Padre, lasciando che la nostra vita sia una risposta al bene ricevuto – conclude – nella vita non serve avere tutto sotto controllo”.

È questa la vera speranza: sapere che, anche nel buio della prova, l’amore di Dio ci sostiene e fa maturare in noi il frutto della vita eterna.

Il pensiero a Santa Monica

Nei saluti i ai pellegrini di lingua spagnola il Pontefice ha anche ricordato, nella loro lingua, Santa Monica - la cui memoria ricorre oggi - madre di Sant’Agostino, che invece viene festeggiato domani. “Chiediamo al Signore, per intercessione di questi cari santi - seguendo la logica del Vangelo - di saper amare e donare la vita in modo libero e gratuito, come ha fatto Cristo, nostra speranza”.

Prima dell'udienza generale, Papa Leone ha salutato i pellegrini che hanno seguito l'udienza dagli schermi collocati nel Cortile Petriano, ringraziandoli della loro presenza. A fine udienza è passato di nuovo per il cortile e salutando i presenti ha citato in particolare quelli venuti da Brescia. Ha inoltre ricordato di nuovo le feste di Santa Monica e Sant’Agostino, santi - ha osservato - che ci hanno “chiamato tutti a essere sempre uniti in Cristo”.

Dio è sempre con noi

Raggiungendo poi nella Basilica di San Pietro per salutare i fedeli riuniti lì - sempre in inglese, italiano e spagnolo - Leone XIV ha aggiunto qualche riflessione ispirata alla catechesi pronunciata in precedenza. Ringraziandoli per la pazienza ha evidenziato come l'attesa è segno della presenza dello Spirito. “Tante volte - ha osservato il Papa - nella vita vorremmo ricevere una risposta subito, una soluzione immediata, e per qualche ragione Dio ci fa aspettare, e c’è tanto da imparare”. “Però, come Gesù stesso ci insegna - ha proseguito - bisogna avere quella fiducia che viene solo perché noi sappiamo che siamo figli e figlie di Dio, e che Dio ci dà sempre la grazia”. Quindi Leone XIV ha concluso: “Non sempre ci toglie il dolore, non sempre toglie la sofferenza, ma ci dice che è vicino a noi. Dio è sempre con noi, e bisogna rinnovare questa fede. Dio sta sempre con noi, e per questo siamo felice”.
(fonte: Vatican News, articolo di Isabella H. de Carvalho 27/08/2025)

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LEONE XIV

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 agosto 2025


Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 4. La consegna. «Chi cercate?» (Gv 18,4)


Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su una scena che segna l’inizio della passione di Gesù: il momento del suo arresto nell’orto degli Ulivi. L’evangelista Giovanni, con la sua consueta profondità, non ci presenta un Gesù spaventato, che fugge o si nasconde. Al contrario, ci mostra un uomo libero, che si fa avanti e prende la parola, affrontando a viso aperto l’ora in cui si può manifestare la luce dell’amore più grande.

«Gesù, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”» (Gv 18,4). Gesù sa. Tuttavia, decide di non indietreggiare. Si consegna. Non per debolezza, ma per amore. Un amore così pieno, così maturo, da non temere il rifiuto. Gesù non viene preso: si lascia prendere. Non è vittima di un arresto, ma autore di un dono. In questo gesto si incarna una speranza di salvezza per la nostra umanità: sapere che, anche nell’ora più buia, si può restare liberi di amare fino in fondo.

Quando Gesù risponde «sono io», i soldati cadono a terra. Si tratta di un passaggio misterioso, dal momento che questa espressione, nella rivelazione biblica, richiama il nome stesso di Dio: «Io sono». Gesù rivela che la presenza di Dio si manifesta proprio dove l’umanità sperimenta l’ingiustizia, la paura, la solitudine. Proprio lì, la luce vera è disposta a brillare senza timore di essere sopraffatta dall’avanzare delle tenebre.

Nel cuore della notte, quando tutto sembra crollare, Gesù mostra che la speranza cristiana non è evasione, ma decisione. Questo atteggiamento è il frutto di una preghiera profonda in cui non si chiede a Dio di essere risparmiati dalla sofferenza, ma di avere la forza di perseverare nell’amore, consapevoli che la vita liberamente offerta per amore non ci può essere tolta da nessuno.

«Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano» (Gv 18,8). Nel momento del suo arresto, Gesù non si preoccupa di salvare se stesso: desidera soltanto che i suoi amici possano andarsene liberi. Questo dimostra che il suo sacrificio è un vero atto d’amore. Gesù si lascia prendere e imprigionare dalle guardie solo per poter lasciare in libertà i suoi discepoli.

Gesù ha vissuto ogni giorno della sua vita come preparazione a quest’ora drammatica e sublime. Per questo, quando essa arriva, ha la forza di non cercare una via di fuga. Il suo cuore sa bene che perdere la vita per amore non è un fallimento, ma possiede una misteriosa fecondità. Come il chicco di grano che proprio cadendo a terra non rimane solo, ma muore e diventa fruttuoso.

Anche Gesù prova turbamento di fronte a un cammino che sembra condurre solo alla morte e alla fine. Ma è ugualmente persuaso che solo una vita perduta per amore, alla fine, si ritrova. In questo consiste la vera speranza: non nel cercare di evitare il dolore, ma nel credere che, anche nel cuore delle sofferenze più ingiuste, si nasconde il germe di una vita nuova.

E noi? Quante volte difendiamo la nostra vita, i nostri progetti, le nostre sicurezze, senza accorgerci che, così facendo, restiamo soli. La logica del Vangelo è diversa: solo ciò che si dona fiorisce, solo l’amore che diventa gratuito può riportare fiducia anche là dove tutto sembra perduto.

Il Vangelo di Marco ci racconta anche di un giovane che, quando Gesù viene arrestato, scappa via nudo (Mc 14,51). È un’immagine enigmatica, ma profondamente evocativa. Anche noi, nel tentativo di seguire Gesù, viviamo momenti in cui siamo colti alla sprovvista e restiamo spogliati delle nostre certezze. Sono i momenti più difficili, nei quali siamo tentati di abbandonare la via del Vangelo perché l’amore ci sembra un viaggio impossibile. Eppure, sarà proprio un giovane, alla fine del Vangelo, ad annunciare la risurrezione alle donne, non più nudo, ma rivestito di una veste bianca.

Questa è la speranza della nostra fede: i nostri peccati e le nostre esitazioni non impediscono a Dio di perdonarci e di restituirci il desiderio di riprendere la nostra sequela, per renderci capaci di donare la vita per gli altri.

Cari fratelli e sorelle, impariamo anche noi a consegnarci alla volontà buona del Padre, lasciando che la nostra vita sia una risposta al bene ricevuto. Nella vita non serve avere tutto sotto controllo. Basta scegliere ogni giorno di amare con libertà. È questa la vera speranza: sapere che, anche nel buio della prova, l’amore di Dio ci sostiene e fa maturare in noi il frutto della vita eterna.

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Saluti

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APPELLO

Venerdì scorso abbiamo accompagnato con la preghiera e con il digiuno i nostri fratelli e le nostre sorelle che soffrono a causa delle guerre. Torno oggi a rivolgere un forte appello sia alle parti implicate che alla comunità internazionale affinché si ponga termine al conflitto in Terra Santa, che tanto terrore, distruzione e morte ha causato.

Supplico che siano liberati tutti gli ostaggi, si raggiunga un cessate-il-fuoco permanente, si faciliti l'ingresso sicuro degli aiuti umanitari e venga integralmente rispettato il diritto umanitario, in particolare l'obbligo di tutelare i civili e i divieti di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione. Mi associo alla Dichiarazione congiunta dei Patriarchi greco-ortodosso e latino di Gerusalemme, che ieri hanno chiesto di "porre fine a questa spirale di violenza, di porre fine alla guerra e di dare priorità al bene comune delle persone

Imploriamo Maria, Regina della pace, fonte di consolazione e di speranza: la sua intercessione ottenga riconciliazione e pace in quella terra a tutti tanto cara!

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Saluto a braccio ai fedeli nel cortile del Petriano

Buongiorno di nuovo! Grazie per la pazienza! Muchas gracias a todos por su paciencia y por estar aquí, que es una señal muy bonita de nuestra unidad en la fe. Vogliamo tutti rinnovare la nostra fede. Oggi è la festa di Santa Monica, domani Sant’Agostino, che ci ha chiamato tutti ad essere sempre uniti in Cristo. Che viviamo questa fede nel nostro pellegrinaggio!

Saluti a voi di Brescia che siete qui oggi!

E la benedizione di Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, scenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Auguri e Grazie!

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Saluto a braccio nella Basilica di San Pietro

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
la pace sia con voi!

Penso che voi abbiate seguito tutta l’Udienza; vi ringrazio per la vostra presenza e anche per la vostra pazienza! Anche questo è un segno della presenza dello Spirito di Dio che è con noi. Tante volte nella vita vorremmo ricevere una risposta subito, una soluzione immediata, e per qualche ragione Dio ci fa aspettare, e c’è tanto da imparare. Però, come Gesù stesso ci insegna, bisogna avere quella fiducia che viene solo perché noi sappiamo che siamo figli e figlie di Dio, e che Dio ci dà sempre la grazia. Non sempre ci toglie il dolore, non sempre toglie la sofferenza, ma ci dice che è vicino a noi. Dio è sempre con noi, e bisogna rinnovare questa fede. Dio sta sempre con noi, e per questo siamo felici.

Sorelle e fratelli, Dio vi benedica tutti in questo giorno, cammini con voi, con noi, come Chiesa, e ci aiuti ad essere sempre una famiglia, una comunione di fede che rende testimonianza nel mondo della presenza dell’amore di Dio.

Diamo ora la benedizione a tutti voi, chiedendo al Signore che la grazia, l’amore, e la misericordia scendano su ognuno di voi.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti dell’Arcidiocesi di Milano e i Seminaristi che partecipano ad un incontro estivo di formazione: carissimi, vi incoraggio a perseverare con gioia nell’adesione a Cristo che vi chiama ad essere testimoni di fraternità e operatori di pace.

Saluto poi i fedeli di Romano in Lombardia, Biancavilla e Fossombrone, come pure la Comunità mariana Oasi della pace di Fara in Sabina: cari amici, benedico i vostri propositi di bene e vi esorto alla fervorosa perseveranza mediante la preghiera e l’Eucaristia.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Guardate con fiducia indomita a Cristo, luce nelle difficoltà, sostegno nelle prove e guida in ogni momento dell’umana esistenza.

A tutti la mia benedizione!



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