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giovedì 31 ottobre 2024

31 ottobre: Notte di Halloween? Perché?


31 ottobre: Notte di Halloween?
Perché?

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Halloween. L’antropologo Pollo: 
“Caricatura della morte per non fare i conti con la propria finitezza”

La caricatura di un’antica tradizione culturale per rimuovere dalla coscienza delle persone la consapevolezza della propria mortalità. Così l’antropologo Mario Pollo definisce l’odierna festa di Halloween, ridotta a tutti gli effetti ad “una fiera del consumismo” in una società che, paradossalmente, da un lato rimuove la morte, dall’altro ne dà quotidianamente una iper-rappresentazione mediatica. “Essere consapevoli della propria mortalità è necessario alla piena maturazione dell’umano”, avverte sottolineando il legame mai spezzato con chi ci ha preceduto, che occorre far riscoprire ai più giovani

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

L’ondata di sangue e di morte che ci colpisce ogni giorno – tra guerre nel mondo e tristi episodi di cronaca di casa nostra – non impedisce che anche quest’anno le vetrine delle pasticcerie e di alcuni negozi preparino l’arrivo trionfale di Halloween con i suoi immancabili e stucchevoli riti: dolcetti a forma di teschi, tombe e fantasmi; zucche; costumi e maschere da streghe, zombie, spettri, scheletri; decorazioni e cianfrusaglie varie in tema. Nell’835 Papa Gregorio IV scelse il 1° novembre come data per la memoria liturgica dei santi apostoli e di tutti i santi, chiamandola “Ognissanti”, che in inglese divenne “All Saints” oppure “All allows day”. Nel 1475 Sisto IV rese Ognissanti solennità obbligatoria per tutta la cristianità. Oggi, per i più, la ricorrenza è svuotata di significato e ridotta ad una festa di importazione americana all’insegna di consumismo, banalità e cattivo gusto. Ma qual è il fascino oscuro di Halloween? Ne parliamo con Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma.

(Foto archivio)
Professore, perché questo gusto del macabro, dell’orrido “fittizio”?
Per prima cosa occorre rendere giustizia ad Halloween, festa che affonda le proprie radici nel mito e nel rito con il quale il 31 ottobre gli antichi celti celebravano Samhain, il loro Capodanno.
Quella data indicava il confine simbolico tra la fine della stagione della luce e del caldo e l’inizio di quella delle tenebre e del freddo. In quel confine il mito collocava l’esistenza di una contiguità temporanea tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Morti che durante gli altri giorni dell’anno vivevano in una landa di eterna giovinezza e felicità chiamata Tir nan Oge, ma che quel giorno potevano tornare nel mondo dei vivi.

Il mito celtico di Samhain è uno degli innumerevoli miti che l’uomo, unico essere vivente consapevole della propria mortalità, ha utilizzato per superare l’angoscia che questa conoscenza gli procurava, nonostante percepisse la morte come necessaria alla conservazione e allo sviluppo della propria specie. Angoscia che nasceva dal pensare che la morte distruggesse la sua unicità e quella delle persone con le quali aveva legami affettivi. Per questo si rifiutava di sottomettere la propria individualità alla pur ineludibile necessità di difendere la specie. Il mito di Samhain, e i riti ad esso ispirati, rassicuravano le persone sulla loro sopravvivenza dopo la morte.

Non è perciò casuale che questo antico mito abbia favorito l’innesto, nella stessa data, della festa cristiana di Ognissanti e di quella, il giorno successivo, dei Defunti.

Tra l’altro, alcuni riti popolari celebrati a Ognissanti, come imbandire la sera della vigilia la tavola prima di andare a dormire con cibi e bevande destinati ai cari defunti che nella notte avrebbero visitato la casa, o quello in cui nella notte i cari defunti avrebbero lasciato doni per i bambini, sono, di fatto, la riproposizione di riti della tradizione, antecedenti la loro cristianizzazione.

L’odierna celebrazione di Halloween, a tutti gli effetti una fiera del consumismo, non ha invece nulla a che vedere con questa antica tradizione culturale. Anzi, ne ha rimosso i riti oppure li ha ridotti a una sorta di caricatura.

(Foto ANSA/SIR)
I nostri bambini hanno davvero bisogno di travestirsi da scheletri o fantasmi per “esorcizzare”, come sostengono alcuni, la paura della morte? Qual è il rischio di banalizzare la morte, che si scontra con il nostro istinto di sopravvivenza ma al tempo stesso nutre la vita di senso?

Se il mito proponeva alle persone il superamento dell’angoscia della morte, la sua caricatura rappresentata dall’odierna festa di Halloween non è che un ulteriore modo di rimuovere dalla coscienza delle persone la consapevolezza della loro mortalità.

Rimozione che nell’attuale cultura sociale è paradossalmente prodotta dall’iper-rappresentazione mediatica della morte. È stato calcolato che ogni anno assistiamo a migliaia di cronache e immagini di morte. Tutto questo mentre nel mondo reale la morte è nascosta: molti genitori non fanno partecipare i figli piccoli alle esequie dei nonni e, più in generale, l’evento della morte di persone conosciute è quasi sempre soggetto a quello che Di Nola chiamava “evitazione” attraverso l’uso di metafore ed eufemismi per nominarla tentando di obliare il legame solidale tra vita e morte. Legame espresso da Freud con il famosissimo detto “Si vis vitam, para mortem”, o dalla definizione di Heidegger secondo il quale l’uomo può raggiungere la piena maturità solo quando passa dal “si muore all’io muoio”.

Essere consapevoli della propria mortalità è necessario alla piena maturazione dell’umano e, quindi, allo sviluppo di una fede matura.

Quando frequentavo le scuole medie in un istituto salesiano, partecipavo periodicamente agli “esercizi di buona morte”. Non credo che molti genitori odierni consentirebbero la partecipazione dei loro figli a questa pratica.

Non sarebbe preferibile, invece, parlare loro della morte in modo sano e costruttivo, recuperando il legame con chi ci ha preceduto e che un giorno ritroveremo in Paradiso?

Sono assolutamente d’accordo. Dovremmo aiutare le nuove generazioni a scoprire che quelle che le hanno precedute, in particolare quelle con le quali hanno condiviso una parte del loro cammino esistenziale, sono presenti nella loro vita attraverso il patrimonio collettivo di sapere, di savoir faire, di valori, di fede e di modelli di vita, presenti nella cultura in cui sono nati e stanno crescendo. Oltre a questo, è necessario far scoprire che le persone morte a noi care ci sono spiritualmente accanto e che nel giorno, sperabilmente il più lontano possibile, in cui varcheremo il confine della morte saranno lì ad accoglierci con amore.

Carlo Acutis e Chiara Luce Badano – solo per citarne alcuni – hanno speso la propria vita per la santità. Anziché propinare ai giovanissimi vuoti simulacri di tenebre, non sarebbe preferibile educarli alla bellezza, incoraggiarli a cercarla in questi coetanei così luminosi?

Quest’ultima domanda, eliminando il punto interrogativo, mi sembra la migliore conclusione della nostra chiacchierata, alla quale aggiungo solo una citazione dal pensiero di un grande pastoralista giovanile, il mio compianto amico don Riccardo Tonelli: “Dire sì alla vita per dire sì a Gesù, il Signore della vita”.
(fonte: SIR, articolo di Giovanna Pasqualin Traversa 31/10/2024)

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Halloween "contro" Ognissanti

Davvero la festa del 31 ottobre rischia di sostituire il 1° novembre? Ed è vero che Halloween apre le porte al Diavolo? Ne parla il nuovo episodio di Taccuino celeste, il podcast sui temi della fede



Anche in Italia, da un po’ di anni, il 31 ottobre le strade e le piazze si riempiono di uomini e donne mascherati da diavoletti o scheletri mentre i bambini suonano alle case dei vicini chiedendo: dolcetto o scherzetto? E, poi, biscotti e torte a forma di zucca, coprilampade che imitano i fantasmi, nelle vetrine delle librerie racconti sui “morti viventi”. Halloween impazza, all’insegna di un fenomeno culturale che non fa parte, se non in alcune località del Centro Sud, delle tradizioni storiche italiane. 

Il 1° novembre, inoltre, si celebra la festività di Ognissanti, che un nutrito gruppo di credenti, come anche alcuni teologi ed esorcisti, vedono in contrasto con Halloween. Ma è davvero così? 

Il tema è al centro del nuovo numero di Taccuino celeste il podcast di Avvenire dedicato ad approfondire in cosa crede chi crede. Se ne parla a partire dalle origini, comuni, della due festività, dando spazio anche a chi ritiene che Halloween sia la porta d’ingresso al satanismo, o comunque una via che facilita l’azione del diavolo.

Come detto Taccuino celeste è un podcast che riflette e si interroga sui temi della fede.


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Dalla bacheca fb di don Giovanni Berti:
... per un Halloween ( =vigilia di tutti i santi) senza paura ...

Papa Francesco «Ecco un bel traguardo per l’anno giubilare! Rimuovere la cenere dell’abitudine e del disimpegno, diventare, come i tedofori alle Olimpiadi, portatori della fiamma dello Spirito. Che lo Spirito ci aiuti a muovere qualche passo in questa direzione!» Udienza Generale 30/10/2024 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 30 ottobre 2024


Il Papa ha cominciato, come è ormai consueto, l’udienza generale facendo salire a bordo della jeep bianca scoperta quattro bambini, di cui due, quelli seduti ai due lati della postazione papale, vestiti con il tradizionale saio bianco che si indossa per la Comunione. Moltissimi anche oggi i bambini che Francesco ha baciato e accarezzato lungo il percorso tra i vari settori della piazza, grazie all’aiuto dei solerti uomini della Gendarmeria vaticana. Molte e variopinte anche le bandiere che sventolano dalle transenne, tra cui quelle bianche e azzurre dell’Argentina.
“Mi scuso di leggere così male, ma il sole negli occhi non è una cosa facile per leggere”. Lo ha detto, a braccio, il Papa, all’inizio della catechesi dell’udienza di oggi, svoltasi in una piazza San Pietro, particolarmente assolata.
«Ecco un bel traguardo per l’anno giubilare! Rimuovere la cenere dell’abitudine e del disimpegno, diventare, come i tedofori alle Olimpiadi, portatori della fiamma dello Spirito». Lo ha auspicato Papa Francesco all’udienza generale di stamane, mercoledì 30 ottobre, in piazza San Pietro. Proseguendo il ciclo di catechesi sul tema «Lo Spirito e la Sposa», il Pontefice si è soffermato sulla presenza e l’azione del Paraclito nella vita della Chiesa mediante i sacramenti e ha offerto ai presenti e a quanti lo seguivano attraverso i media una riflessione in particolare sulla cresima o confermazione. Di seguito le sue parole.
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 11. “Ci ha conferito l’unzione e ci ha impresso il sigillo”. La Cresima, sacramento dello Spirito Santo


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi proseguiamo la riflessione sulla presenza e l’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa mediante i Sacramenti.

L’azione santificatrice dello Spirito Santo giunge a noi anzitutto attraverso due canali: la Parola di Dio e i Sacramenti. E tra tutti i Sacramenti, ce n’è uno che è, per antonomasia, il Sacramento dello Spirito Santo, ed è su di esso che vorrei soffermarmi oggi. Si tratta del Sacramento della Cresima o della Confermazione.

Nel Nuovo Testamento, oltre il battesimo con l’acqua, si trova menzionato un altro rito, quello della imposizione delle mani, che ha lo scopo di comunicare visibilmente e in modo carismatico lo Spirito Santo, con effetti analoghi a quelli prodotti sugli Apostoli a Pentecoste. Gli Atti degli Apostoli riferiscono un episodio significativo a questo riguardo. Avendo saputo che in Samaria alcuni avevano accolto la parola di Dio, da Gerusalemme inviarono Pietro e Giovanni. «Essi scesero – dice il testo – e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo» (8,14-17).

A ciò si aggiunge quello che San Paolo scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (1,21-22). La caparra dello Spirito. Il tema dello Spirito Santo come “sigillo regale” con cui Cristo contrassegna le sue pecorelle è alla base della dottrina del “carattere indelebile” conferito da questo rito.

Con il passare del tempo, il rito dell’unzione si configurò come Sacramento a sé stante, assumendo forme e contenuti diversi nelle varie epoche e nei diversi riti della Chiesa. Non è qui il luogo per ripercorrere questa storia assai complessa. Quello che il Sacramento della Cresima è nella comprensione della Chiesa, mi sembra descritto, in modo semplice e chiaro, dal Catechismo degli adulti della Conferenza Episcopale Italiana. Esso dice così: «La confermazione è per ogni fedele ciò che per tutta la Chiesa è stata la Pentecoste. […] Essa rafforza l’incorporazione battesimale a Cristo e alla Chiesa e la consacrazione alla missione profetica, regale e sacerdotale. Comunica l’abbondanza dei doni dello Spirito [...]. Se dunque il battesimo è il sacramento della nascita, la cresima è il sacramento della crescita. Per ciò è anche il sacramento della testimonianza, perché questa è strettamente legata alla maturità dell’esistenza cristiana». [1]

Il problema è come fare perché il Sacramento della Cresima non si riduca, in pratica, a una “estrema unzione”, cioè al sacramento della “dipartita” dalla Chiesa. Si dice che è il “sacramento dell’addio”, perché una volta che i giovani la fanno se ne vanno, e torneranno poi per il matrimonio. Così dice la gente. Ma dobbiamo far sì che sia il sacramento dell’inizio di una partecipazione attiva alla vita della Chiesa. È un traguardo che ci può sembrare impossibile vista la situazione in atto un po’ in tutta la Chiesa, ma non per questo dobbiamo smettere di perseguirlo. Non sarà così per tutti i cresimandi, ragazzi o adulti, ma è importante che lo sia almeno per alcuni che poi saranno gli animatori della comunità.

Può servire, a questo scopo, farsi aiutare, nella preparazione al Sacramento, da fedeli laici che hanno avuto un incontro personale con Cristo e hanno fatto una vera esperienza dello Spirito. Alcune persone dicono di averla vissuta come uno sbocciare in loro del Sacramento della Cresima ricevuto da ragazzi.

Ma questo non riguarda solo i futuri cresimandi; riguarda tutti noi e in ogni momento. Insieme con la confermazione e l’unzione, abbiamo ricevuto, ci ha assicurato l’Apostolo, anche la caparra dello Spirito che altrove chiama “le primizie dello Spirito” (Rm 8,23). Dobbiamo “spendere” questa caparra, gustare queste primizie, non seppellire sotto terra i carismi e i talenti ricevuti.

San Paolo esortava il discepolo Timoteo a «ravvivare il dono di Dio, ricevuto mediante l’imposizione delle mani» (2 Tm 1,6), e il verbo usato suggerisce l’immagine di chi soffia sul fuoco per ravvivarne la fiamma. Ecco un bel traguardo per l’anno giubilare! Rimuovere la cenere dell’abitudine e del disimpegno, diventare, come i tedofori alle Olimpiadi, portatori della fiamma dello Spirito. Che lo Spirito ci aiuti a muovere qualche passo in questa direzione!

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[1] La verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti. Libreria Editrice Vaticana 1995, p. 324.

Guarda il video della catechesi

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto ...

Il mio pensiero va ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli. Siamo ormai vicini alla solennità di Tutti i Santi: vi invito a vivere questa ricorrenza dell’anno liturgico, nella quale la Chiesa ci vuole ricordare un aspetto della sua realtà: la gloria celeste dei fratelli che ci hanno preceduto nel cammino della vita e che ora, nella visione del Padre, vogliono essere in comunione con noi per aiutarci a raggiungere la meta che ci attende. 
E preghiamo per la pace. La guerra cresce! Pensiamo ai Paesi che soffrono tanto: la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, Nord Kivu e tanti Paesi che sono in guerra. Preghiamo per la pace! La pace è un dono dello Spirito Santo e la guerra sempre - sempre, sempre, sempre – è una sconfitta. Nella guerra nessuno vince; tutti perdono. Preghiamo per la pace, fratelli e sorelle. Ieri ho visto che sono state mitragliate 150 persone innocenti: cosa c’entrano nella guerra i bambini? Le famiglie? Sono le prime vittime. Preghiamo per la pace.

E a tutti la mia benedizione!


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Guarda il video integrale


Enzo Bianchi Più coraggio nella Chiesa

Enzo Bianchi
Più coraggio nella Chiesa


La Repubblica - 28 ottobre 2024

È terminato il Sinodo dei vescovi voluto da Papa Francesco sul tema della sinodalità. È stato un Sinodo molto diverso dai precedenti, con sostanziali innovazioni: in un lungo processo durato più anni è stato praticato l’ascolto dei fedeli, delle chiese locali invitate a esprimere i loro desideri per una riforma della chiesa con parresìa ed estesa libertà. Anche ai non cattolici è stato chiesto di esprimersi, sebbene in realtà questo ascolto non sia avvenuto, come non è avvenuto quello dei tradizionalisti e in parte quello dei giovani. Va anche riconosciuto che per l’inerzia dei vescovi e la scarsa fiducia nel Sinodo da parte dei presbiteri la maggior parte dei cattolici non ha in alcun modo preso parte a questo processo.

Un certo ascolto si è comunque praticato, anche se questo non ha portato ad accogliere alcune domande, a discuterle, a valutarle come si conviene in un Sinodo dove, come recita l’adagio tradizionale, “ciò che riguarda tutti da tutti deve essere trattato e deliberato”.

Resta vero che durante lo svolgimento dei lavori, soprattutto della seconda sessione, appariva sempre più evidente una diversità e una distanza tra le attese: il Papa e coloro che erano deputati alla guida del Sinodo dichiaravano che il fine dei lavori sinodali era la discussione, l’acquisizione e l’affermazione della sinodalità della chiesa, mentre il popolo di Dio si attendeva risposte ad alcune richieste formulate riguardanti la valorizzazione della donna nella chiesa e una visione morale della sessualità che riconosca la nuova antropologia dominante.

Alcuni teologi hanno osservato come il Sinodo rischiasse di essere deludente, “un aborto”, con un esito che non era sopportabile soprattutto per le donne che sarebbero state tentate di lasciare la chiesa, specie nei paesi del Nord Europa, dove le richieste delle teologhe e delle femministe sono attestate da decenni.

Ora è uscito il documento finale approvato dalla stragrande maggioranza dei membri del Sinodo: è un testo interamente dedicato alla sinodalità, approfondita teologicamente e pastoralmente in modo veramente sapiente, che tiene conto delle fonti e interpreta i segni dei tempi perché si possa viverla oggi. Questo documento è un grande recupero del messaggio del Concilio Vaticano II sulla comunione nella chiesa e di questo fatto possiamo veramente rallegrarci. Se questo testo verrà recepito nelle chiese locali, nelle comunità cattoliche, potremo vedere un cambiamento, una conversione che renderà la chiesa più evangelica e più capace di essere luogo di accoglienza, di inclusione, di libertà per tutti gli esseri umani.

Ma va detto con umiltà e parresìa che l’andamento di questo Sinodo ci ha mostrato come il popolo di Dio oggi non sia ancora pronto ad accogliere novità riguardo alla donna nel ministero, riguardo alla morale sessuale e riguardo alla possibilità di presbiteri che vivono il matrimonio. E sono sicuro di poter dire che in queste materie il pastore è più profeta del gregge che con fatica gli sta dietro. È vero: queste vie di apertura non sono state dichiarate chiuse, ma io gradirei vedere più coraggio nel dire chiaramente ciò che si cerca e si studia, senza nascondimenti. Soprattutto vorrei che non si proponessero cambiamenti apparenti e non autentici, che ancora una volta finiscano per collocare la donna in una condizione di minorità, esaltandola solo in apparenza. Vorrei che non si continuasse a dire parole contraddittorie per quanti soffrono la loro emarginazione dalla chiesa a causa del rapporto con la sessualità fuori dal matrimonio.

Papa Francesco assicuri, per quanto può, questa libertà di ricerca e ci basta.
(fonte: blog dell'autore)

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Vedi anche i post precedenti:

mercoledì 30 ottobre 2024

"Cosa c’entrano nella guerra i bambini?" la domanda di Papa Francesco e di chiunque abbia un minimo di umanità? Eppure in questi giorni di guerra in Libano 100 bambini uccisi e a Gaza si parla di oltre 43.000 morti, per la maggior parte donne e bambini...



Papa Francesco all'Udienza generale di questa mattina (30/10/2024): 

"Preghiamo per la pace! La pace è un dono dello Spirito Santo e la guerra sempre - sempre, sempre, sempre – è una sconfitta. Nella guerra nessuno vince; tutti perdono. Preghiamo per la pace, fratelli e sorelle. Ieri ho visto che sono state mitragliate 150 persone innocenti: cosa c’entrano nella guerra i bambini? Le famiglie? Sono le prime vittime. Preghiamo per la pace."



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Libano: nelle prime 5 settimane di guerra uccisi oltre 100 bambini, una media di circa due al giorno

In cinque settimane di guerra in Libano, oltre 100 bambini sono stati uccisi dagli attacchi aerei israeliani. Una media di circa due bambini al giorno. Lunedì scorso, nella valle orientale della Bekaa almeno 60 persone, tra cui due bambini, sono state uccise dai bombardamenti israeliani durante la notte, in uno degli attacchi più letali nella valle da quando si è intensificato il conflitto lo scorso 23 settembre. Questi gli ultimi dati diffusi oggi da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Secondo il Ministero della Salute Pubblica, più di un milione di persone, circa un quinto della popolazione, sono state costrette a lasciare le proprie case. Da ottobre dell'anno scorso, quasi 2.700 persone, tra i quali oltre 150 bambini, sono state uccise e più di 12.500 ferite.
"Siamo sull’orlo di una crisi umanitaria che è prima di tutto una crisi dell'infanzia. Stiamo osservando la stessa dinamica a cui abbiamo assistito in oltre un anno di guerra a Gaza: un alto numero di vittime tra i civili, compresi i minori, operatori sanitari in servizio uccisi, oltre 50 attacchi a strutture sanitarie, presidi ONU colpiti e giornalisti aggrediti” dice Jennifer Moorehead, Direttrice di Save the Children in Libano.
"Gli attacchi aerei israeliani hanno colpito aree densamente popolate, danneggiando gravemente le infrastrutture essenziali e causando sfollamenti di massa. A causa del conflitto, oltre il 25% del Libano ha ricevuto ordini di evacuazione dai militari israeliani, che vengono diffusi ogni giorno, spesso con poco preavviso, dando alle famiglie poco tempo per scappare prima che inizino i bombardamenti. A Beirut, vediamo ancora migliaia di bambini e le loro famiglie che dormono all’addiaccio, con le loro povere cose ammucchiate intorno, senza riuscire a trovare un riparo o un posto sicuro dove andare” prosegue Jennifer Moorehead.
"Più durerà il conflitto, più difficile sarà per i bambini riacquistare un senso di normalità. Sei scuole pubbliche su 10 sono state riconvertite in rifugi per gli sfollati e l'inizio dell'anno scolastico è stato posticipato al 4 novembre o probabilmente anche oltre. Ogni giorno lontano dalla classe è una minaccia per il benessere psicofisico dei bambini con conseguenze nel lungo termine. Per legge, i bambini non devono essere coinvolti nelle guerre e devono essere protetti. Non c'è tempo da perdere, abbiamo urgente bisogno di un cessate il fuoco ora.” ha concluso Jennifer Moorehead.

Per informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children
Tel. 3385791870 - 3389625274 - 3409367952 - 3316676827
(fonte: Save the children 30/10/2024)

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Lettera del Commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini 
al Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Philémon Yang

Signor Presidente,
il 7 dicembre 2023 e il 22 febbraio 2024 ho scritto al Presidente dell’Assemblea Generale che la capacità dell’UNRWA di attuare il suo mandato era minacciata. Oggi, devo informarla che l’Agenzia è sotto un attacco fisico, politico e operativo tale – senza precedenti nella storia delle Nazioni Unite – che l’attuazione del suo mandato potrebbe diventare impossibile senza un intervento decisivo da parte dell’Assemblea Generale. Le conseguenze per i palestinesi, per Israele e per la regione saranno gravi.
L’adozione odierna da parte della Knesset di due leggi sull’UNRWA nega di fatto le protezioni e i mezzi essenziali per il funzionamento dell’UNRWA, vietando ai funzionari dello Stato israeliano di entrare in contatto con l’UNRWA o i suoi rappresentanti e vietando le operazioni dell’UNRWA all’interno di quello che viene definito il territorio sovrano dello Stato di Israele.
La legislazione arriva dopo un anno di palese disprezzo per la vita del personale dell’UNRWA, per i suoi locali e per le operazioni umanitarie a Gaza, e dopo un’intensa campagna diplomatica da parte del governo di Israele che ha preso di mira i donatori dell’UNRWA con disinformazione per minare i finanziamenti. Le autorità locali israeliane minacciano inoltre di sfrattare l’UNRWA dalla sua sede a Gerusalemme Est occupata e di sostituirla con insediamenti.
Questi sviluppi rischiano di far crollare le operazioni dell’UNRWA in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) e a Gaza e di compromettere gravemente l’intera operazione umanitaria delle Nazioni Unite a Gaza, che si basa sulla piattaforma dell’UNRWA. In assenza di una valida alternativa all’Agenzia, queste misure aggraveranno le sofferenze dei palestinesi.

Signor Presidente,
la situazione a Gaza va oltre il vocabolario diplomatico dell’Assemblea Generale. Dopo più di un anno del più intenso bombardamento di una popolazione civile dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e la restrizione degli aiuti umanitari ben al di sotto delle necessità minime, le vite dei palestinesi sono sconvolte. Si parla di oltre 43.000 morti, per la maggior parte donne e bambini. Quasi tutta la popolazione è sfollata. Scuole, università, ospedali, luoghi di culto, panetterie, sistemi idrici, fognari ed elettrici, strade e terreni agricoli sono stati tutti distrutti. La popolazione sopravvissuta vive nella più grande indegnità. Nel Nord, la popolazione è intrappolata, in attesa di morire per attacchi aerei o per fame.
Gli ostaggi catturati da Israele continuano a soffrire in prigionia e le loro famiglie sono lasciate in una terribile angoscia. La violenza si sta intensificando in Cisgiordania, dove la distruzione delle infrastrutture pubbliche infligge una punizione collettiva alla popolazione civile. La guerra si è riversata e intensificata in Libano.
Lo smantellamento dell’UNRWA avrà un impatto catastrofico sulla risposta internazionale alla crisi umanitaria di Gaza. Inoltre, saboterà ogni possibilità di ripresa.
In assenza di un’amministrazione pubblica o di uno Stato a tutti gli effetti, nessun’altra entità oltre all’UNRWA può garantire l’istruzione a 660.000 bambini e bambine. Un’intera generazione di bambini sarà sacrificata, con rischi a lungo termine di emarginazione ed estremismo. In Cisgiordania, il collasso dell’UNRWA priverebbe i rifugiati palestinesi dell’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria primaria, peggiorando notevolmente una situazione già instabile.
Le ramificazioni politiche del collasso dell’UNRWA sono disastrose, con conseguenze terribili per la pace e la sicurezza internazionale. Gli attacchi all’Agenzia portano a modifiche unilaterali dei parametri di qualsiasi futura soluzione politica al conflitto israelo-palestinese e danneggiano il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e le loro aspirazioni a una soluzione politica.
Gli attacchi non porranno fine allo status di rifugiato dei palestinesi, che esiste indipendentemente dalla fornitura di servizi da parte dell’UNRWA, ma danneggeranno gravemente le loro vite e il loro futuro.

Signor Presidente,
Le accuse di violazione della neutralità, come l’uso improprio dell’Agenzia da parte di gruppi militanti palestinesi, tra cui Hamas, sono state usate per giustificare le azioni contro l’UNRWA. La revisione indipendente della neutralità dell’UNRWA dell’aprile 2024 (il Rapporto Colonna) ha preso atto dell’ambiente operativo eccezionalmente difficile dell’Agenzia e ha riscontrato che l’UNRWA ha un quadro di neutralità più solido di quello dell’Agenzia.
L’Agenzia continua a fare ogni sforzo possibile per attuare le raccomandazioni del rapporto, anche attraverso un team di attuazione dedicato.
Nonostante questi sforzi, l’UNRWA – come altre entità delle Nazioni Unite – non ha capacità di polizia, militari o di intelligence e deve fare affidamento sugli Stati membri per la protezione e la neutralità, soprattutto nelle aree controllate da potenti gruppi militanti.
A tal fine, da oltre 15 anni, l’UNRWA condivide annualmente i nomi del suo personale con il governo di Israele. Questo include i nomi del personale su cui il governo non ha mai sollevato preoccupazioni in precedenza, ma che ora è stato incluso negli elenchi governativi che denunciano la militanza armata. L’Agenzia prende estremamente sul serio ogni accusa. Ha inviato ripetute richieste al governo – a marzo, aprile, maggio e luglio – per ottenere prove che consentano di agire. Non è stata ricevuta alcuna risposta. L’UNRWA si trova quindi nell’ingiusta posizione di non poter rispondere ad accuse per le quali non ha prove, mentre queste accuse continuano ad essere usate per minare l’Agenzia.
Spero che in futuro il governo israeliano si impegni con i vertici dell’UNRWA per affrontare tutte le accuse, in modo che non siano più una preoccupazione per il governo o un ostacolo per l’UNRWA.
L’Agenzia è anche sottoposta a intensi attacchi fisici a Gaza. Almeno 237 membri del personale UNRWA sono stati uccisi.
Oltre 200 locali sono stati danneggiati o distrutti, uccidendo più di 560 persone che cercavano la protezione delle Nazioni Unite. Decine di membri del personale UNRWA sono stati arrestati e hanno riferito di essere stati torturati. L’Agenzia ha ricevuto accuse riguardanti l’uso militare dei suoi locali da parte di gruppi armati palestinesi, tra cui Hamas, e delle forze israeliane. Dato che tutta Gaza è una zona di combattimento attivo, per lo più sottoposta a ordini di evacuazione, l’Agenzia non può verificare queste accuse. È necessario che ci sia una responsabilità attraverso un’indagine indipendente.

Signor Presidente,
oggi, mentre guardiamo i volti dei bambini di Gaza, alcuni dei quali sappiamo che moriranno domani, l’ordine internazionale basato sulle regole si sta sgretolando in una ripetizione degli orrori che hanno portato alla creazione delle Nazioni Unite, e in violazione degli impegni presi per evitare che si ripetano. Gli attacchi all’UNRWA sono parte integrante di questa disintegrazione.
Credo che l’UNRWA abbia adempiuto al suo mandato con uno standard di gran lunga superiore a quello che si potrebbe chiedere a qualsiasi ente o personale delle Nazioni Unite. I gazesi dicono che l’UNRWA è l’unico pilastro della loro vita ancora in piedi.
Il mio staff ha lavorato per 13 mesi senza sosta, in condizioni di grande pericolo, tra tragedie personali e sfollamenti familiari. Gli insegnanti gestiscono rifugi per decine di migliaia di persone. Il personale sanitario di base esegue interventi chirurgici. Gli autisti rischiano la vita ogni giorno per salvare le persone dalla fame. I dirigenti prendono decisioni impossibili di vita o di morte. L’UNRWA ha contribuito a garantire la sopravvivenza di Gaza fino ad oggi, sostenendo le speranze di una soluzione politica. Il mio staff ha dato molto di più di quanto abbiamo il diritto di chiedere loro.
In queste condizioni insostenibili, chiedo il sostegno degli Stati membri, commisurato alla gravità della situazione e dei rischi, per garantire la capacità dell’Agenzia di attuare pienamente il mandato conferito dall’Assemblea Generale (Ris. 302 (IV), 1949).
Attendo la Sua urgente decisione.
La prego di accettare, Eccellenza, le assicurazioni della mia più alta considerazione.
Philippe Lazzarini
29 Ottobre 2024

Per saperne di più clicca qui.
(fonte: ONU)

Alberto Pellai Come può il legame tra due ragazzini trasformarsi in una tragedia?

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Come può il legame tra due ragazzini
trasformarsi in una tragedia?

Nella storia triste e terribile della morte a 13 anni di Aurora, a noi adulti resta la necessità di riflettere su cosa sta accadendo ai nostri figli, così accelerati, adultizzati, piccoli eppure già così coinvolti nelle peggiori dinamiche che connotano le vicende amorose di adulti disfunzionali 


Cosa dovrebbe essere l’amore tra due preadolescenti? Il desiderio del primo bacio, il cuore che batte nell’attesa di potersi vedere il sabato per qualche ora. La voglia di uscire la domenica a mangiare un gelato insieme. Invece, in questi giorni leggiamo storie di giovanissimi che hanno visto trasformare una storia d’amore in un fatto di cronaca nera, dolorosissima, in cui c’è una persona morta di cui gli inquirenti stanno cercando di capire se si tratti di suicidio o omicidio. Nel frattempo, si leggono notizie che, in relazione a ciò che da settimane stava accadendo tra quei due giovanissimi, ci parlano di maltrattamenti, di dinamiche violente e manipolatorie. Come può essere accaduto che il primo amore di due ragazzini si sia trasformato in una vicenda dai contorni criminali?

In questa storia triste e terribile, abitata dal dolore di un’intera comunità, oltre che delle famiglie coinvolte, a noi adulti resta la necessità di riflettere su cosa sta accadendo ai nostri figli, così accelerati, così adultizzati, così piccoli eppure già così coinvolti nelle peggiori dinamiche che connotano le vicende amorose di adulti disfunzionali.

C’è un tempo in cui l’amore lo si sogna, lo si desidera, lo si fantastica. E quel tempo è la preadolescenza. Il cuore batte all’impazzata per un lui e una lei che devi prima guardare alla distanza, a cui devi far trovare un biglietto anonimo in una tasca della giacca o in una pagina del diario, complice un amico in comune. Si dovrebbe stare a sognare il primo bacio, chiedendosi se si sarà in grado di darlo e se nel darlo, quel bacio sarà così bello e speciale come si dice in giro.

Il problema, però, è che di tutto questo, in giro, non si dice più nulla. Il primo bacio oggi sembra una cosa da bambini dell’asilo, perché l’immaginario amoroso, già alla scuola elementare si nutre delle dinamiche che saturano gli amori disfunzionali delle serie tv. Anni fa, la Rai fu costretta a cancellare la messa in onda dell’Albero Azzurro, perché i dati Auditel rivelarono che a quell’ora gli schermi accesi in famiglia erano tutti sintonizzati su trasmissioni in cui uomini e donne si prendevano e si lasciavano, diventando tronisti per un giorno. Bambini e bambine rinunciavano a conoscere cosa aveva da dire loro il pupazzo Dodo, curiosi di scrutare le dinamiche di adulti pronti a trasformare l’amore in un fenomeno da baraccone, affamati di fama, almeno per un giorno della loro vita. Era l’inizio di un declino in cui il mondo, giorno dopo giorno, ha rinunciato a una delle dimensioni educative più importanti per tutelare la crescita di un minore: ovvero la fase-specificità. Essere fase-specifici significa essere adulti capaci di nutrire la mente di chi cresce con le cose giuste al momento giusto.

Oggi ci sono bambini alla scuola primaria che non hanno mai ascoltato le canzoni dello Zecchino d’Oro, ma che sanno a memoria i testi violenti e sessisti del trapper di grido. E gli schermi degli smartphone dei nostri figli, accesi a ogni ora del giorno e della notte, riversano nelle loro vite storie, immagini e suggestioni che provocano spaventose accelerazioni verso un’adultità, che diventa tanto attraente quanto caotica, in cui si fanno le cose che fanno i grandi, anche se si è ancora incredibilmente piccoli. Non si muore a 13 anni per amore. Si muore a 13 anni perché dell’amore non si sa niente. E tutti noi adulti, dovremmo avere la cura e la pazienza di educare i nostri figli ad amare l’amore, ma a farlo in preadolescenza e prima adolescenza con la lentezza e il desiderio, che vivono di attesa e ingenuità.

Soprattutto dovremmo insegnare ai nostri figli maschi che Amore è una parola che si scrive con la A maiuscola. Che ha bisogno di rispetto, responsabilità, empatia e che come dicevano i nostri nonni: “una donna non si sfiora nemmeno con un dito” se non se ne ha il pieno consenso. Ma queste sono cose che ai maschi nessuno dice. Perché a loro parla la pornografia e una cultura che è rimasta sessista e promotrice di un modello in cui “essere veri uomini” è più desiderabile che essere “uomini veri”. Mentre piangiamo la morte tremenda e ingiusta di una tredicenne, torniamo a ribadire che oggi più che mai c’è un disperato bisogno di lasciare che i bambini restino bambini.
(Fonte: Famiglia Cristiana 29/10/2024)


martedì 29 ottobre 2024

Sinodalità, una conversione per essere più missionari - Il Documento finale del Sinodo: "Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione" (commento/sintesi e testo integrale)

La conclusione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo

Il Documento finale approvato integralmente dall’assise racconta e rilancia un’esperienza di Chiesa tra “comunione, partecipazione, missione”

Sinodalità, una conversione
per essere più missionari



La proposta concreta di una visione nuova che capovolge prassi consolidate

Il Documento finale votato sabato, approvato in tutti i suoi 155 paragrafi, viene pubblicato e non diventerà oggetto di un’esortazione del Papa: Francesco ha infatti deciso che sia subito diffuso perché possa ispirare la vita della Chiesa. «Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’assemblea ma comprende la fase attuativa» (9). Coinvolgendo tutti nel «quotidiano cammino con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando modalità concrete e percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali» (9). Nel Documento, in particolare, ai vescovi si chiede molto riguardo l’impegno sulla trasparenza e sul rendere conto, mentre — come affermato anche dal cardinale Fernández, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede — ci sono lavori in corso per dare più spazio e più potere alle donne.

Due parole-chiave che emergono dal testo — attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione — sono «relazioni» — che è un modo di essere Chiesa — e «legami», nel segno dello «scambio di doni» tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi. Proprio le Chiese locali sono al centro nell’orizzonte missionario che è il fondamento stesso dell’esperienza di pluralità della sinodalità, con tutte le strutture a servizio, appunto, della missione con il laicato sempre più al centro e protagonista. E, in questa prospettiva, la concretezza dell’essere radicati in «luogo» emerge con forza dal Documento finale. Particolarmente significativa anche la proposta presentata nel Documento per far sì che i Dicasteri della Santa Sede possano avviare una consultazione «prima di pubblicare documenti normativi importanti» (135).

La struttura del Documento

Il Documento finale è formato da cinque parti (11). Alla prima — intitolata Il cuore della sinodalità — segue la seconda parte — Insieme, sulla barca di Pietro — «dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri». La terza parte — Sulla tua Parola — «identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione». La quarta parte — Una pesca abbondante — «delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiando profondamente». Infine, la quinta parte — Anch’io mando voi — «permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria». In particolare, si fa notare, lo sviluppo del Documento è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione (12).

Le ferite del Risorto continuano a sanguinare

L’Introduzione del Documento (1-12) mette subito in chiaro l’essenza del Sinodo come «esperienza rinnovata di quell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua» (1). «Contemplando il Risorto — afferma il Documento — abbiamo scorto anche i segni delle Sue ferite (...) che continuano a sanguinare nel corpo di tanti fratelli e sorelle, anche a causa delle nostre colpe. Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali» (2). Il Sinodo, ricordando le «troppe guerre» in corso, si è unito ai «ripetuti appelli di Papa Francesco per la pace, condannando la logica della violenza, dell’odio, della vendetta» (2). Inoltre, il cammino sinodale è marcatamente ecumenico — «orienta verso una piena e visibile unità dei cristiani» (4) — e «costituisce un vero atto di ulteriore recezione» del Concilio Vaticano ii , prolungandone «l’ispirazione» e rilanciandone «per il mondo di oggi la forza profetica» (5). Non tutto è stato facile, si riconosce nel Documento: «Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del discernimento» (6).

Il cuore della sinodalità

La prima parte del Documento (13-48) si apre con le riflessioni condivise sulla «Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità» (15-20) e sulle «radici sacramentali del Popolo di Dio» (21-27). È un fatto che, proprio «grazie all’esperienza degli ultimi anni», il significato dei termini «sinodalità» e «sinodale» sia «stato maggiormente compreso e più ancora vissuto» (28). E «sempre più essi sono stati associati al desiderio di una Chiesa più vicina alle persone e più relazionale, che sia casa e famiglia di Dio» (28). «In termini semplici e sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo» (28). Nella consapevolezza che l’unità della Chiesa non è uniformità, «la valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità, e delle relazioni tra di loro, è una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria» (40). Con il rilancio delle relazioni anche con le altre tradizioni religiose in particolare «per costruire un mondo migliore» e in pace (41).

La conversione delle relazioni

«La richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione» (50) è la constatazione che apre la seconda parte del Documento (49-77). E «non è mancato anche chi ha condiviso la sofferenza di sentirsi escluso o giudicato» (50). «Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni e dei legami non è una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato in Gesù e nello Spirito» (50). Proprio «le ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, rivelano quanto spesso non riusciamo a farlo» (52). In particolare, «la chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù risuona nella pluralità dei contesti» legati «al pluralismo delle culture» con, a volte, anche «i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte a quelle del Vangelo» (53). L’affondo è diretto: «Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il nostro mondo» (54) ma «la chiusura più radicale e drammatica è quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani» (54).

Ministeri per la missione

«Carismi, vocazione e ministeri per la missione» (57-67) sono nel cuore del Documento che punta sulla più ampia partecipazione di laiche e laici. Il ministero ordinato è «a servizio dell’armonia» (68) e in particolare «il ministero del vescovo» è «comporre in unità i doni dello Spirito (69-71). Tra le diverse questioni si è rilevato che «la costituiva relazione del Vescovo con la Chiesa locale non appare oggi con sufficiente chiarezza nel caso dei Vescovi titolari, ad esempio i Rappresentanti pontifici e coloro che prestano servizio nella Curia Romana». Con il vescovo ci sono «presbiteri e diaconi» (72-73), per una «collaborazione fra i ministri ordinati all’interno della Chiesa sinodale» (74). Significativa, poi, l’esperienza della «spiritualità sinodale» (43-48) con la certezza che «se manca la profondità spirituale personale e comunitaria, la sinodalità si riduce a espediente organizzativo» (44). Per questo, si rileva, «praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo di oggi» (47).

La conversione dei processi

Nella terza parte del Documento (79-108) si fa subito presente che «nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola che ci indica le vie della missione» (79). In particolare «queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita l’autorità» (80). «Il discernimento ecclesiale per la missione» (81-86), in realtà, «non è una tecnica organizzativa, ma una pratica spirituale da vivere nella fede» e «non è mai l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si risolve nella semplice somma di pareri individuali» (82). «L’articolazione dei processioni decisionali» (87-94), «trasparenza, rendiconto, valutazione» (95-102), «sinodalità e organismi di partecipazione» (103-108) sono punti centrali delle proposte contenute nel Documento, scaturite dall’esperienza del Sinodo.

La conversione dei legami

«In un tempo in cui cambia l’esperienza dei luoghi in cui la Chiesa è radicata e pellegrina, occorre coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro e con il Vescovo di Roma»: è l’essenza della quarta parte del Documento (109-139). L’espressione «radicati e pellegrini» (110-119) ricorda che «la Chiesa non può essere compresa senza il radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo dove si forma un’esperienza condivisa di incontro con Dio che salva» (110). Anche con un’attenzione ai fenomeni della «mobilità umana» (112) e della cultura digitale» (113). In questa prospettiva, «camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza dell’amore e della misericordia di Dio in Cristo» (120). «L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore delle relazioni tra le Chiese» (124). Da qui i «legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemblee ecclesiali» (124-129). Particolarmente significativa la riflessione sinodale sul «servizio del vescovo di Roma» (130-139). Proprio nello stile della collaborazione e dell’ascolto, «prima di pubblicare documenti normativi importanti, i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e degli organismi corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche» (135).

Formare un popolo di discepoli missionari

«Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, crescendo nella pratica della sinodalità, ha bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella preghiera e riconosciuto nei poveri» afferma il Documento nella sua quinta parte (140-151). «Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni parte lungo il processo sinodale è che la formazione sia integrale, continua e condivisa» (143). Anche in questo campo torna l’urgenza dello «scambio dei doni tra vocazioni diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione)» (147). E «un altro ambito di grande rilievo è la promozione in tutti gli ambienti ecclesiali di una cultura della tutela (safeguarding), per rendere le comunità luoghi sempre più sicuri per i minori e le persone vulnerabili» (150). Infine, «anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace e la giustizia, della cura della casa comune e del dialogo interculturale e interreligioso devono conoscere maggiore diffusione nel Popolo di Dio» (151).

L’affidamento a Maria

«Vivendo il processo sinodale — è la conclusione del Documento (154) — abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano un desiderio profondo e silenzioso di rapporti autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di condivisione, di varietà e intreccio tra diverse forme di vita».

Il testo si conclude con la preghiera alla Vergine Maria per l’affidamento «dei risultati di questo Sinodo: «Ci insegni ad essere un Popolo di discepoli missionari che camminano insieme: una Chiesa sinodale» (155).
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Giampaolo Mattei 28/10/2024)

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Leggi il testo integrale del documento finale del Sinodo