La vita di Jorge Mario Bergoglio, prima e dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, è sempre stata contraddistinta da una eclatante sobrietà, che ha messo subito in luce i dettagli di un servizio episcopale volto alla cura pastorale dei sacerdoti e dei fedeli a lui affidati. Se entriamo per un istante nell’abitazione dove Jorge Bergoglio ha vissuto prima di diventare Papa – così come raccontato nel libro “Papa Francesco”,Conversazione con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti – possiamo rintracciare alcuni aspetti principali della sobrietà a cui prima facevamo riferimento...
Ma c’è ancora un importante memoria che Jorge Mario Bergoglio conserva con particolare devozione e che rivela la sua grande spiritualità. Si tratta di una personale confessione di fede, scritta nel 1969, prima di essere ordinato sacerdote:
«Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte [il sacerdote che lo confessò il 21 settembre, ndr] stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».
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In cento giorni papa Bergoglio ha messo in moto una rivoluzione, che rappresenta un enigma.
Ormai ha chiarito che non andrà più nell’appartamento del palazzo apostolico. Lo rifiuta apertamente. Così come rifiuta le pastoie di agende prestabilite. La decisione è così inaudita e sconvolgente che la palude conservatrice – annidata in Vaticano e nella Chiesa universale, seppure provvisoriamente azzittita dal fallimento del pontificato ratzingeriano – cerca di declassare il gesto a “stile personale”, a piccolo tic di originalità. Ma è come se Obama lasciasse la Casa Bianca o la regina d’Inghilterra disertasse Buckingham Palace, preferendo un alloggio accanto alla Victoria Station. Bergoglio svaluta radicalmente il Palazzo, esalta il vero capo della Chiesa – Cristo – e si colloca apertamente tra i “peccatori” come sono i fedeli cui si rivolge.
I simboli contano molto. Specie quando vengono archiviati. Giorno dopo giorno il papa venuto dalla fine del mondo ha smontato la simbologia imperiale e simildivina dei pontefici. Ha rigettato la mantella e le scarpe purpuree degli imperatori romani, ha eliminato le mitrie trionfalistiche, si è messo sotto la pioggia con i fedeli, ha spiegato che vivere isolato da sovrano non gli è possibile per “motivi psichiatrici”, come a dire che è da anormali rinchiudersi in una torre d’avorio. La frase più tagliente – che molti in Vaticano e nelle sfere cardinalizie cercano di dimenticare – l’ha detta ad una bimba. (Scelta precisa di rivolgersi agli innocenti: Bergoglio come Giovanni XXIII non parla mai a caso). Chi punta al papato, ha scandito, non è a posto. “Una persona che vuole fare il papa non vuole bene a se stessa, e Dio non la benedice”...
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Basterebbe quella signora che si presenta con un'immagine di Francesco vicino alla cappellina dove Bergoglio diceva messa ogni mattina, non la cappella privata dell'arcivescovo ma lì, a pochi passi dalla fermata del bus 126, «per stare in mezzo alla gente comune» che prima di salire prega sotto la statuetta della Madonna di Luján fatta collocare dal cardinale. La signora che racconta del giorno in cui passò una donna a chiedere l'elemosina mentre arrivava Bergoglio: «Lui si fermò, le domandò come stavano lei e la sua famiglia, poi le chiese se le occorresse qualcosa. Quando se ne andò, la donna si avvicinò e mi disse: "Questo è il padre che viene a Villa 21 a bere il mate con noi e tutti i vicini!"».Villa 21 è la favela più grande di Buenos Aires, la donna non aveva mai saputo che quel «padre» che la sera andava da solo a trovare i più miserabili della città fosse il cardinale, «glielo dissi io, e quasi non ci credeva», chissà se ora le hanno detto che è diventato Papa.
«Ero Bergoglio, sono Francesco»(Marsilio), è una miniera di racconti simili, «il primo reportage sul Papa dalla fine del mondo» che Cristian Martini Grimaldi, 37 anni, ha scritto per l' Osservatore Romano e oggi - quasi a celebrare i primi cento giorni di Pontificato - esce in volume con la prefazione del direttore Giovanni Maria Vian, arricchito nei testi e da foto inedite, come una Recherche della vita del Pontefice...
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... “Guarire dalla corruzione” e “Umiltà, la strada verso Dio” sono testi che l’allora cardinale Bergoglio offrì nel 2005 alla riflessione della sua diocesi riunita in assemblea. Entrambi i testi sono impregnati di spiritualità ignaziana, così come essa si esprime negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, alla quale questi libri attingono per descrivere i meccanismi profondi ed offrire vie di soluzione a fenomeni di estrema attualità quali la corruzione e l’urgenza di una vita ecclesiale improntata alla carità fraterna.
Se il libro dedicato alla corruzione è un testo di carattere morale, in quanto Bergoglio individua nel “cuore” la radice della corruzione, distinguendo poi, con grande originalità, questo fenomeno dal peccato, dall’altro lato il libro “Umiltà, la strada verso Dio” è un testo di carattere spiccatamente spirituale, essendo una sorta di introduzione ad un testo di Doroteo di Gaza sulla pratica dell’umiltà.
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