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giovedì 30 novembre 2023

Papa Francesco deve rinunciare alla presenza alla COP28 ma non certo al suo impegno per la difesa/cura dell'Ambiente/Casa Comune!!!

Papa Francesco deve rinunciare alla presenza alla COP28 ma non certo al suo impegno per la difesa/cura dell'Ambiente/Casa Comune!!!


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Papa Francesco, l'impegno ecologico come frontiera del dialogo

Continuando un percorso cominciato con il COP26, Papa Francesco usa il tema della cura della casa comune come mezzo di dialogo ecumenico e diplomatico

Papa Francesco nel Consiglio degli Anziani ad Abu Dhabi nel 2019 | Vatican Media / ACI Group

Non ci sarà Papa Francesco, come avrebbe voluto fare e come era stato annunciato, perché l'influenza che lo ha colpito lo scorso fine settimana ha bisogno di cure e non beneficerebbe di certo di un viaggio lungo in distanza e breve nel periodo. Tuttavia, il Papa dovrebbe essere rappresentato dal Cardinale Pietro Parolin, scelta ai massimi livelli, come era già successo non solo per il COP21 di Parigi, ma per la maggior parte delle Conferenze delle Parti ONU che si erano tenute successivamente. A testimoniare un impegno del Papa sul fronte della "cura della casa comune" che tocca anche il tema del dialogo diplomatico e del dialogo interreligioso.

In questo, gli Emirati Arabi Uniti sembrano essersi trasformati nella nuova frontiera diplomatica di Papa Francesco. È lì che dal 30 al 12 dicembre si terrà la COP28, la 28 Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico, un appuntamento cui il Papa tiene così tanto che lo ha preparato con una esortazione, la Laudate Deum, e ha poi deciso di partecipare. E perché ad Abu Dhabi si è tenuto il 6 e 7 novembre un vertice aperto a tutti i leader religiosi sul cambiamento climatico, promosso da Papa Francesco e dal Ahmad al Tayyb, Grande Imam di al Azhar. D’altronde, proprio con al Tayyb Papa Francesco firmò, ad Abu Dhabi, la Dichiarazione sulla Fraternità Umana.

La dichiarazione è stata firmata il 3 febbraio 2019, ed è diventata subito pietra miliare della diplomazia di Papa Francesco. Il testo viene donato a tutti i capi di Stato che vanno in visita dal Papa, insieme alla Fratelli Tutti, l’enciclica che prende le mosse proprio dalla Dichiarazione della Fraternità Umana.

Non sorprende, dunque, che gli Emirati abbiano invitato Papa Francesco a partecipare alla COP28. L’invito era arrivato ufficialmente lo scorso 11 ottobre, quando, ad una settimana esatta dalla promulgazione della Laudate Deum, Sultan al Jaber, presidente designato della COP 28, ha fatto visita a Papa Francesco. Al Jaber è stato anche intervistato dai media vaticani, discettando a lungo di cambiamento climatico e obiettivi condivisi con la Santa Sede.

La questione climatica, d’altronde, sta molto a cuore a Papa Francesco, il quale avrebbe già voluto partecipare alla COP26 di Glasgow, nel novembre 2021. Il viaggio non ebbe mai luogo. Se Glasgow però non era mai stato annunciato, lo era stato Dubai, e la rinuncia del Papa al viaggio è per questo ancora più dolorosa.

Il viaggio a Dubai avrebbe permesso infatti di sviluppare il tema della cura della casa comune come uno strumento per il dialogo interreligioso. Proprio in vista del COP 26, si era tenuto in Vaticano l’evento, “Faith and Science: Towards Cop26”, promosso dalle Ambasciate del Regno Unito e dell’Italia presso la Santa Sede, insieme alla stessa Santa Sede. Papa Francesco vi aveva partecipato, aveva consegnato un discorso in cui ribadiva che “tutto è connesso”, aveva firmato l’appello congiunto.

Il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, preceduto dalla presenza del Cardinale Parolin a un vertice di leader religiosi per il clima ad Abu Dhabi a inizio novembre, si sarebbe messo su quella scia.

Il dialogo interreligioso, certo, sviluppato attraverso sfide comuni come la cura del creato, è il grande tema. Di certo, la eventuale presenza di Papa Francesco, e oggi la sua partecipazione in altra forma (ancora non definita) dà una grande spinta agli Emirati Arabi Uniti, impegnati da anni ad accreditarsi a livello internazionale. In fondo, gli Emirati stanno lavorando da anni sul concetto di fraternità, promuovendosi nella regione come sostenitori di un Islam tollerante e in dialogo con le altre fedi.

Quando Papa Francesco visitò gli Emirati nel 2019, si era al culmine di questo percorso. Papa Francesco andava a parlare ad una Conferenza Internazionale sulla Fraternità Umana. E la stessa conferenza era parte di un lavoro che puntava a trasformare Abu Dhabi nella “città della tolleranza”, e diede inizio ad un anno chiamato “Anno della Tolleranza” che voleva proiettare gli Emirati tra gli Stati che intrattengono il dialogo.

Ci sono due motivi per cui Papa Francesco guarda con attenzione agli Emirati. Il primo riguarda il fatto che negli Emirati l’Islam maggioritario è quello sunnita. Papa Francesco aveva avviato questo dialogo con l’Islam sunnita nel 2016, quando furono riaperti i colloqui con l’università al Azhar del Cairo. Da allora, Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar Ahmed El Tayyeb si sono incontrati quattro volte, e si incontreranno di nuovo all’incontro sulla Fraternità Umana organizzato da Mohamed bin Zayed al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi. L’Islam sunnita, tra l’altro, ha avviato da tempo un percorso di “modernizzazione”, in particolare con un lavoro sul concetto di cittadinanza. Per il mondo musulmano, solo i seguaci del Profeta sono cittadini a tutti gli effetti, ma questa nozione era stata scardinata con la Dichiarazione di Marrakech del 2016, quella di Islamabad del 2019 e anche nell’Incontro Internazionale per la Pace del Cairo del marzo 2017, cui Papa Francesco ha partecipato.

Il secondo motivo riguarda la disponibilità degli Emirati, che hanno messo in campo molte energie e dato ampia disponibilità al Papa. Dopo la Dichiarazione della Fraternità Umana, è stato stabilito l’Alto Comitato per la Fraternità Umana, e ad Abu Dhabi è stata costruita la Abrahamic Family House, dove una si trovano sulla stessa piazza una sinagoga, una moschea e una chiesa dedicata a San Francesco.

Allo stesso tempo ci sono due rischi. Il primo è quello di sbilanciarsi troppo verso l’Islam sunnita. Non è un caso che, quando Papa Francesco ha visitato l’Iraq nel 2021, sia stato incluso un incontro con il Grande Ayatollah al Sistani, aprendo un nuovo canale di dialogo con l’Islam sciita che ha portato, in Iraq, a stabilire la Giornata della Coesistenza. Il tema della fratellanza è stato poi anche parte del viaggio di Papa Francesco in Bahrein.

Sembra, invece, rimanere fuori da questo sforzo di dialogo con l’Islam il Marocco. Il Marocco ha una tradizione islamica diversa, che vede nel re del Marocco “il comandante dei credenti”. Visitando il Marocco nel 2019, tra l’altro, Papa Francesco firmò con il re una dichiarazione su Gerusalemme che ha oggi una sua importanza cruciale, considerando quello che accade in Terrasanta.

Sono tutte tradizioni islamiche che hanno il loro peso, e che potrebbero sentirsi trascurate da questo attivismo del Papa insieme all’Islam sunnita, favorito anche dai buoni rapporti con il Grande Imam al Tayyeb.

La seconda controindicazione è che il ruolo della Santa Sede diventi marginale. Nel 2018 il governo degli Emirati Arabi ha stabilito in collaborazione con la Santa Sede l’Alto Comitato della Fraternità Umana, chiamato anche a supervisionare alla costruzione della Abrahamic House e successivamente aperto anche al mondo della cultura e ad altre confessioni religiose.

Primo presidente del Comitato fu il Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. L’incarico di presidente dura un anno, ed è conferito alternativamente alla Santa Sede e a un rappresentante musulmano. Nel 2021, quando fu conferito il primo Premio al Zayed per la Fraternità Umana e Papa Francesco partecipò virtualmente alla premiazione, il presidente era Mohammed al-Mahrasawi, presidente dell’Università di al Azhar, creando così un vertice tutto musulmano.

Inoltre, negli inviti all’evento il Grande Imam di al Azhar era citato prima del Papa, che pure protocollarmente è un capo di Stato. Sono piccoli dettagli, che però non vanno sottovalutati.
(fonte: ACI Stampa, articolo di Andrea Gagliarducci 29/11/2023)

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Dalla Bacheca facebook di p. Antonio Spadaro S.J.


Dunque #PapaFrancesco non potrà recarsi fisicamente a Dubai per la #COP28. Sarebbe stata la prima volta di un Pontefice alla Conferenza delle Parti sui Cambiamenti climatici (COP). Anche le nostre valigie, quelle del suo seguito, resteranno nell’armadio. Ma non il suo messaggio forte e chiaro.
L’impegno di Francesco per il clima è stato chiarissimo con la firma - 8 anni fa - dell’Enciclica #Laudatosì nella quale aveva dato una visione del mondo come «casa comune» da custodire.
Oggi si è reso conto che le preoccupazioni espresse allora sono purtroppo ancora valide e che non si reagisce abbastanza. «Il mondo si sta sgretolando», afferma adesso, e gli effetti del cambiamento climatico sono subiti dalle persone più vulnerabili. Lo scrive nell’Esortazione apostolica #LaudateDeum, firmata lo scorso ottobre, che è un vero e proprio grido prima della catastrofe. E anche questo viaggio era stato pensato per rilasciare un messaggio carico di urgenza, un’ultima chiamata, rispettosa ma ribelle contro ogni forma di negazionismo.
È chiaro che ha firmato quelle pagine proprio in vista della COP 28, ma il desiderio di essere presente fisicamente all’incontro ha un valore simbolico molto forte. Il Papa avrebbe voluto incarnare quel grido severo ai responsabili delle nazioni con la sua presenza fisica.
E lo avrebbe fatto (e lo farà col desiderio e la parola) in uno scenario internazionale segnato dalla crisi dell’ordine mondiale e dai conflitti in corso. E questi #conflitti, tra l’altro, non fanno che aggravare la situazione della «casa comune». Certamente gli incontri bilaterali - ai quali avrebbe dedicato un’intera giornata - sarebbero stati un’occasione importante per chiedere #pace.
Incontri multilaterali come quello della COP28 sono occasioni privilegiate per affrontare insieme i problemi del mondo. Oggi sono necessarie organizzazioni mondiali dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale. Il Papa ha notato spesso le debolezze della Comunità internazionale e la mancanza di coordinamento. La sua presenza fisica alla COP28 avrebbe significato anche un appello a rinnovare il #multilateralismo. Appello che resta vivo e chiaro. Cambiamento climatico e cambiamento politico sono strettamente interconnessi (anche a causa del rapporto invertito tra economia e politica).
Infine il Papa avrebbe fisicamente inaugurato il «Padiglione della #Fede» che è una novità delle COP. Il Padiglione intende promuovere l’impegno delle #religioni nell’attuazione di misure efficaci per affrontare la crisi climatica e la giustizia ambientale. Con il grande imam di Al Azhar l’impegno è di firmare una Dichiarazione sulla scia della precedente sulla #Fratellanza umana del 2019. Ancora una volta Francesco ribadisce il ruolo delle religioni e del dialogo interreligioso per risolvere i gravi problemi del mondo.
Si scopre oggi più che mai che l’autorità del Pontefice, l’unica autorità morale dal valore globale, oggi è più che mai al servizio della famiglia umana e delle generazioni future che vivranno gli effetti delle nostre scelte.


«Occorre stare nei crocevia dell’oggi. ... Insomma, più che voler riconvertire il mondo d’oggi, ci serve convertire la pastorale perché incarni meglio il Vangelo nell’oggi» Papa Francesco Udienza 29/11/2023 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 29 novembre 2023








 


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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 28. L’annuncio è per l’oggi

Cari fratelli e sorelle,

le scorse volte abbiamo visto che l’annuncio cristiano è gioia ed è per tutti; vediamo oggi un terzo aspetto: esso è per l’oggi.

Si sente quasi sempre parlare male dell’oggi. Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni, crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione. In generale, l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto, con la sua capacità di risolvere molti problemi e i suoi giganteschi progressi in tanti campi. Ma al tempo stesso questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi rimane indietro. E così consegna le grandi aspirazioni umane alle logiche spesso voraci dell’economia, con una visione della vita che scarta chi non produce e fatica a guardare al di là dell’immanente. Potremmo persino dire che ci troviamo nella prima civiltà della storia che globalmente prova a organizzare una società umana senza la presenza di Dio, concentrandosi in enormi città che restano orizzontali anche se hanno grattacieli vertiginosi.

Viene in mente il racconto della città di Babele e della sua torre (cfr Gen 11,1-9). In esso si narra un progetto sociale che prevede di sacrificare ogni individualità all’efficienza della collettività. L’umanità parla una lingua sola – potremmo dire che ha un “pensiero unico” –, è come avvolta in una specie di incantesimo generale che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità. Allora Dio confonde le lingue, cioè ristabilisce le differenze, ricrea le condizioni perché possano svilupparsi delle unicità, rianima il molteplice dove l’ideologia vorrebbe imporre l’unico. Il Signore distoglie l’umanità anche dal suo delirio di onnipotenza: «facciamoci un nome», dicono esaltati gli abitanti di Babele (v. 4), che vogliono arrivare fino al cielo, mettersi al posto di Dio. Ma sono ambizioni pericolose, alienanti, distruttive, e il Signore, confondendo queste aspettative, protegge gli uomini, prevenendo un disastro annunciato. Sembra davvero attuale questo racconto: anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di sapere, ma soprattutto per un di più di potere. È una tentazione che pervade le grandi sfide della cultura odierna.

In Evangelii gaudium ho provato a descriverne alcune (cfr nn. 52-75), ma soprattutto ho invitato a «una evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri, con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città» (n. 74). In altre parole, si può annunciare Gesù solo abitando la cultura del proprio tempo; e sempre avendo nel cuore le parole dell’Apostolo Paolo sull’oggi: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,2). Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. Una verità non diventa più credibile perché si alza la voce nel dirla, ma perché viene testimoniata con la vita.

Lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono. Esse sono nostre ed evangelizzarle non significa giudicarle da lontano, nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette, abitare i crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che ha senso per la loro vita. Significa essere, come Chiesa, «fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015).

Occorre stare nei crocevia dell’oggi. Uscire da essi significherebbe impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta. Frequentarli, invece, aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Insomma, più che voler riconvertire il mondo d’oggi, ci serve convertire la pastorale perché incarni meglio il Vangelo nell’oggi (cfr Evangelii gaudium, 25). Facciamo nostro il desiderio di Gesù: aiutare i compagni di viaggio a non smarrire il desiderio di Dio, per aprire il cuore a Lui e trovare il solo che, oggi e sempre, dona pace e gioia all’uomo.

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli di Andria; alla Guardia di Finanza proveniente da L’Aquila; ai militari della Brigata Meccanizzata “Aosta”; ai membri dell’Associazione Italiana Barman e Sostenitori, qui convenuti in occasione di un evento internazionale da loro promosso.

Sono lieto di accogliere i partecipanti al Festival dei talenti circensi italiani, che ringrazio e incoraggio, auspicando che venga sempre più riconosciuto il valore sociale e culturale della loro attività.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli anziani, ai malati e agli sposi novelli. Stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’Anno liturgico, che ci invitano a considerare con sguardo di fede il tempo che passa. Abbiate sempre fiducia nella divina Provvidenza, che guida e accompagna i nostri passi.

Da qui, il Papa:


E per favore, continuiamo a pregare per la grave situazione in Israele e in Palestina; Pace, per favore, Pace. Auspico che prosegua la tregua in corso a Gaza, affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari. Ho sentito la parrocchia lì: manca l’acqua, manca il pane e la gente soffre. È la gente semplice, la gente del popolo che soffre. Non soffrono coloro che fanno la guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo, parlando di pace, il caro popolo ucraino, che soffre tanto, ancora in guerra. Fratelli e sorelle, la guerra sempre è una sconfitta. Tutti perdono. Tutti, no: c’è un gruppo che guadagna tanto: i fabbricatori di armi; questi guadagnano bene sopra la morte degli altri.

E vorrei ringraziare, in questo momento di gioia, questi ragazzi e ragazze del circo. Il circo esprime una dimensione dell’anima umana: quello della gioia gratuita, quella gioia semplice, fatta con la mistica del gioco. Ringrazio tanto queste ragazze, questi ragazzi che ci fanno ridere, ma anche ci danno un esempio di allenamento molto forte, perché per arrivare a quello che arrivano loro, occorre un allenamento forte, molto forte. Ringraziamoli con un bell’applauso.

E a tutti la mia Benedizione!

Guarda il video integrale


mercoledì 29 novembre 2023

È morto Gianni Novelli, fondatore del CIPAX, il ricordo di PeaceLink e NEV - Tonio Dell'Olio: Canto per Gianni Novelli

Ci ha lasciato Gianni Novelli


E' morto Gianni Novelli, un protagonista in Italia del dialogo religioso per la pace.

Ha fondato nel 1982 il Cipax, ossia il Centro Interconfessionale per la Pace, un’associazione di promozione sociale con finalità di solidarietà sociale, umana, civile, culturale e di ricerca etica.

Era una persona gentile, mite e garbata in ogni sua cosa.

Negli anni Ottanta mandava per posta la newsletter del Cipax, un piccolo bollettino che aveva creato una rete di persone appassionate alla pace e alla cultura della nonviolenza.

PeaceLink tenne uno dei suoi incontri nazionali proprio alla sede romana del Cipax.

La grande disponibilità e apertura al dialogo di Gianni Novelli rimarrà nel cuore e nel ricordo di tutti noi.
(fonte: PeaceLink 29/11/2023)

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Tonio Dell'Olio
Canto per Gianni Novelli

 

Il sorriso di Gianni è una porta spalancata verso chiunque, sempre. Sul cuore del mondo. Io ho conosciuto un uomo libero.

E la danza non è solo una metafora per dire il suo modo di stare al mondo, mille volte lo abbiamo visto abbracciare i popoli della terra con la leggerezza di un passo. Chi potrebbe scrivere a elogio ciò che lui ha scolpito a vita? Camminatore leggero, sguardo profondo, ha sempre avuto un libro da consigliare che si aprisse come una finestra, un viaggio a cui invitarti, la registrazione dell'ultima conferenza da consegnarti come uno scrigno. E poi raccontare. Storie che trasudano vita. Vite che diventano storia. E lui segretamente nascosto in seconda fila a godere della parola dell'altro e del tributo riconosciuto. Di porto in porto, perché la pace si costruisce in cammino, la nonviolenza è cammino. E Gianni ha sempre camminato facendosi amico dei popoli. Portando tanti tanti volti nel cuore. A uno a uno. Io gli invidiavo la rubrica. Anche il dissenso era solo amore per un cammino frenato da una chiesa statica e complice corrotta, colpevolmente silente anche di fronte alle vite calpestate. Perché Gianni era capace solo di amare. E sorridere. Anche nella sofferenza che gli infliggevano. L'augurio che sempre gli rivolgeva il padre, oggi è per lui, e lui lo ripete a noi: Que Dios vaya contigo caminante.
(fonte: Mosaico dei Giorni 29/11/2023)

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È morto Gianni Novelli, fondatore del Centro interconfessionale per la pace


È mancato ieri a Roma Gianni Novelli, fondatore del Centro interconfessionale per la pace (CIPAX). Nato a Roma nel 1936, avrebbe compiuto 87 anni il prossimo 6 dicembre. Novelli, instancabile promotore di cultura e di pace, ha fatto del suo percorso di attivismo una viva testimonianza della sua fede cristiana.

Gianni Novelli si è prodigato, con la sua mente, con l’anima e con il corpo, nella costruzione di percorsi di dialogo e pace, in ambito ecumenico e non solo. Ricordiamo la sua partecipazione a manifestazioni pacifiste, in Italia come oltre Oceano, da Comiso a New York, da Roma a Washington. Noto anche per le sue collaborazioni con Pax Christi, con le chiese e le riviste protestanti, con esponenti di tutte le religioni, in ambito nazionale internazionale, ha partecipato alle assemblee mondiali convocate dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), a pellegrinaggi per la pace, ed è stato per anni promotore delle celebrazioni in ricordo di Oscar Romero. Instancabile nel documentare la storia e le storie pacifiste, di movimenti e testimoni di pace, Gianni Novelli è stato inoltre punto di riferimento importante presso la Comunità di base di San Paolo guidata da Giovanni Franzoni. Ha pubblicato numerosi interventi e libri, fra cui “Ecumenismo e pace. Da Kingston 2011 a Busan 2013”, insieme al giornalista vaticanista Luigi Sandri.

“Gianni Novelli, il nostro fondatore, una persona che ha speso tutta la sua vita al servizio della pace e delle donne e degli uomini in ricerca, intessendo instancabile reti tra persone, comunità, mondi anche molto lontani, ha lasciato oggi la sua vita terrena.
Lo ricordiamo con grandissimo affetto per la sua profonda umanità, per l’immenso sorriso che ci ha sempre regalato, per la gentilezza e la pacatezza con cui esprimeva la sua forza, per la capacità di stare vicino a tutte e tutti coloro che, lontano o vicino, avessero bisogno di un segno di pace, di solidarietà e affetto.
Ringraziamo le tante persone che stanno condividendo con noi in queste ore il dolore della sua scomparsa.
Il Cipax, Centro Interconfessionale per la pace è più che mai determinato a continuare a camminare sulle vie della pace, della nonviolenza e dell’incontro interreligioso che Gianni ci ha aperto”. Ha scritto così l’attuale presidente del CIPAX, Cristina Mattiello, in un messaggio di cordoglio.

Per salutare Gianni Novelli, mercoledì 29 è possibile andare alla camera mortuaria del Fatebenefratelli dalle 15 alle 17. Sempre mercoledì 29, alle 19, veglia funebre presso la comunità di San Paolo in via Ostiense 152 b. I funerali saranno giovedì 30 alle 11.30, sempre in via Ostiense.
(fonte: NEV 29/11/2023)


Cop 28 a Dubai, la Terra brucia nel solito scontro ricchi-poveri (con una sola buona notizia)

Cop 28 a Dubai, la Terra brucia nel solito scontro ricchi-poveri (con una sola buona notizia)

Riflettori accesi sull’annuale conferenza Onu sui cambiamenti climatici. I punti nevralgici in discussione e il positivo accordo raggiunto di recente tra Usa e Cina


Si apre giovedì a Dubai Cop28, l’annuale conferenza Onu sui cambiamenti climatici, annunciata da cinque dati inquietanti. 1) Non c’è ormai più alcun dubbio che il 2023, sotto la spinta di El Niño, sarà l’anno più caldo di sempre. 2) Il 4 luglio con 17,19 gradi è stato il giorno con la temperature media globale più alta di sempre sulla Terra da quando esistono le misurazioni. 3) Il 1° agosto la temperatura dei mari tra le latitudini di 60° N e 60° S con 20,96 gradi è stata la più alta di sempre. 4) Il 17 novembre sono stati per la prima volta superati i 2 gradi sul livello di base pre-industriale 1850-1900. 5) Gli obiettivi fissati negli Accordi di Parigi del 2015 sono lontanissimi: entro il 2030 si dovevano ridurre del 43% le emissioni di gas serra per limitare possibilmente a 1,5 gradi l’aumento di temperatura media entro la fine del secolo (siamo già a +1,2 °C) e assolutamente entro 2 gradi, ma le azioni finora intraprese porteranno nel 2030 a ridurre le emissioni soltanto del 2% .


I temi centrali in agenda a Cop28 sono quindi due: il bilancio a otto anni da Cop21 e il Fondo Loss & Damage, finanziato dai Paesi più ricchi, destinato a compensare perdite e danni causati dai cambiamenti climatici nelle nazioni più povere. Intorno a quest’ultimo argomento si dibatte da anni, sono stati spesi fiumi di parole e tante promesse (100 miliardi di dollari all’anno) ma di soldi veri se ne sono visti pochi. Anche perché in mezzo, occorre riconoscerlo, c’è stata una pandemia e la guerra in Ucraina che ha fatto dirottare le risorse verso altre direzioni. L’unica buona notizia è il recente accordo Usa-Cina, che apre la strada a una possibile intesa anche sul clima tra i due colossi mondiali, anche perché se si prosegue su questa strada l’aumento di temperatura a fine secolo sarà di 2,5-2,9 °C, con tutte le conseguenze che ciò comporta (scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, tempeste sempre più forti, siccità più lunghe, temperature in alcune zone che supereranno il confine dei limiti vitali).

A Dubai si prevede un acceso scontro tra Paesi ricchi e poveri proprio sul tema dei soldi per il Fondo Loss & Damage, sul quale nelle riunioni pre-Cop28 sembra che ci si avvii verso un compromesso, ma occorrerà vedere a quale livello. A Dubai è atteso anche Papa Francesco, salute permettendo. Ancora incerta la sede del prossimo anno: si erano fatte avanti Bulgaria e Repubblica Ceca, ma la Russia ha posto il veto per tenere Cop29 in una nazione Ue. Cop30 nel 2025 dovrebbe avere luogo a Belem, in Brasile. Staremo a vedere.
(fonte: Corriere della Sera - Buone Notizie articolo di Paolo Virtuani 27/11/2023)


martedì 28 novembre 2023

Intenzione di preghiera per il mese di Dicembre 2023 Preghiamo per le persone con disabilità (commento, testo e video)

Intenzione di preghiera per il mese di Dicembre 2023 
Preghiamo per le persone con disabilità


Francesco invita la Chiesa e le istituzioni civili ad abbracciare l’inclusione e a incoraggiare la partecipazione attiva delle persone con disabilità

Questa intenzione di preghiera coincide con il mese in cui le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata internazionale delle persone con disabilità (3 dicembre) con l’obiettivo di promuovere i loro diritti e il loro benessere. E Papa Francesco insiste sul concetto di “diverse abilità“, a sottolineare il grande apporto che può arrivare alla società da una piena inclusione e valorizzazione dei più fragili.

Lo testimoniano le immagini che accompagnano le sue parole: storie diverse tra loro, accomunate dalla capacità di valorizzare i talenti delle persone disabili. Dagli atleti paralimpici che sfidano con successo i propri limiti nelle varie competizioni internazionali agli amici della Comunità di Sant’Egidio che dipingono opere d’arte o servono ai tavoli di una trattoria; dal gesuita ipovedente, teologo in Australia, alla religiosa down impegnata a Lourdes, che hanno partecipato all’assemblea generale del Sinodo e che sono raccontati nella campagna #IamChurch del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita: Il Video del Papa di questo mese – realizzato in collaborazione con il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale – è un inno alla vita stessa, oltre che un appello a cambiare modo di pensare.

La società e la Chiesa

Nel mondo di oggi, denuncia Francesco, alcune persone con disabilità “sperimentano un rifiuto, basato sull’ignoranza o basato sui pregiudizi, che li trasforma in emarginati”. È dunque ora di “cambiare un po’ la nostra mentalità per aprirci ai contributi e ai talenti di queste persone con diverse abilità, sia nella società che nella vita della Chiesa”. Alle istituzioni civili, il Papa chiede di sostenere i progetti delle persone disabili “attraverso l’accesso all’educazione, all’occupazione e agli ambiti in cui si esprime la creatività” e con “iniziative che favoriscano l’inclusione”. Alla Chiesa, di non limitarsi a “eliminare le barriere fisiche, ma anche capire che dobbiamo smettere di parlare di ‘loro’ e cominciare a parlare di ‘noi’”. A tutti, poi, ribadisce che “c’è bisogno di cuori grandi che siano disposti ad accompagnare”.

Uno sguardo più profondo

Il Cardinale Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, commentando il video di dicembre del Santo Padre, aggiunge: “L’invito del Papa ad accogliere le persone con disabilità nella vita della Chiesa e della società è di grande aiuto per riconoscere il mistero che ogni persona è. Gesù ha incontrato persone segnate da fragilità fisiche, psichiche e spirituali e in loro vedeva la bellezza e la promessa. Così, loro percepivano in Lui il mistero divino, avvertivano la presenza di Colui che salva, di Colui che è Padre. In un mondo in cui la produttività sembra essere più importante dell’essere umano e il bello è omologato entro canoni commerciali, la comunità cristiana che prega guadagna uno sguardo più profondo e più libero. La Chiesa non nega ad alcuno la partecipazione, la Parola e i Sacramenti, ma condivide con ciascuno il percorso adatto. Le nostre società, spesso poco inclusive, necessitano di un impegno comune e concreto perché, seguendo l’esempio di Gesù, venga rispettata la dignità di tutti e cresca la fraternità”.

L’inclusione, la roccia su cui costruire

Padre Frédéric Fornos S.J., Direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, rafforza l’invito di Francesco: “Il fulcro dell’intenzione di preghiera del Papa di questo mese è promuovere la partecipazione attiva delle persone con disabilità, costruendo programmi e iniziative in modo che nessuno sia escluso, in modo che siano sostenuti, accolti, integrati e riconosciuti dalla società. È quello che ha fatto Gesù, che ha accolto tutti: con lui nessuno si è sentito escluso. Noi lo sappiamo, ma facciamo fatica a viverlo: per questo dobbiamo pregare, perché richiede un cambio di mentalità, di prospettiva, a partire dalla nostra. È così, ci dice il Papa, che potremo ‘aprirci ai contributi e ai talenti di queste persone con diverse abilità, sia nella società che nella vita della Chiesa’”.

Questo progetto è realizzato grazie alle donazioni, possibili attraverso il sito web.

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Guarda il video


Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Tra i più fragili in mezzo a noi ci sono le persone con disabilità. 
Alcune di loro sperimentano un rifiuto, basato sull'ignoranza 
o basato sui pregiudizi, che li trasforma in emarginati. 

Le istituzioni civili devono sostenere i loro progetti attraverso l’accesso 
all’educazione, all’occupazione e agli ambiti in cui si esprime la creatività. 
C’è bisogno di programmi, di iniziative, che favoriscano l’inclusione. 
Soprattutto, c’è bisogno di cuori grandi che siano disposti ad accompagnare. 
Si tratta di cambiare un po’ la nostra mentalità per aprirci ai contributi e ai talenti 
di queste persone con diverse abilità, sia nella società che nella vita della Chiesa. 

E quindi, creare una parrocchia completamente accessibile 
non significa solo eliminare le barriere fisiche, ma anche capire che 
dobbiamo smettere di parlare di “loro” e cominciare a parlare di “noi”.

Preghiamo perché le persone con disabilità siano al centro dell’attenzione 
della società, e le istituzioni promuovano programmi di inclusione 
che valorizzino la loro partecipazione attiva.

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Anche nel mese di Dicembre l'intenzione di preghiera del Papa è stata resa nota con un tweet


Tonio Dell'Olio Beniamino Zuncheddu - 32 anni in carcere da innocente

Tonio Dell'Olio
Beniamino Zuncheddu
Mosaico dei Giorni 28/11/2023

Al cospetto della tragica vicenda di Beniamino Zuncheddu mi sono chiesto come si fa a rimanere reclusi per 32 anni da innocente e a non impazzire.

Penso alla mente che si sofferma ossessivamente sempre sugli stessi particolari del giorno dell'arresto, l'ultimo giorno di libertà. Penso alle parole della condanna definitiva che gli sono rimaste scolpite dentro a fuoco. Penso ai pensieri sui "perché proprio io", "perché proprio a me". Penso agli affetti da cui sono stati tranciati di netto gli abbracci e i sorrisi, il pranzo della domenica e i Natali in famiglia. Sì, come ha fatto Zuncheddu a non impazzire? Che cosa gli ha lasciato in vita quella serena lucidità che traspare anche di fronte ai microfoni che lo intervistano e all'intero paese che gli fa festa? Non lo so. Non riesce a dirlo nemmeno lui. È una persona semplice. E forse è proprio questo modo di accogliere la vita dei giorni con il peso quotidiano e le vicende ordinarie e straordinarie che hanno mantenuto in vita quest'uomo. Per noi, mendicanti di frammenti di felicità, Zuncheddu è un maestro di vita che non troveremo sulle cattedre e non logorerà le parole.

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32 anni in carcere da innocente

Beniamino Zuncheddu: scarcerato dopo 32 anni di carcere. Si è sempre professato innocente. Un supertestimone della strage di Sinnai del 1991 ha raccontato di aver fatto il nome di Zuncheddu su pressione di un poliziotto

Beniamino Zuncheddu torna libero dopo 32 anni di carcere. Condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai del 1991, è stato scarcerato in attesa della sentenza del processo di revisione. La pena è stata sospesa. Festa a Burcei, suo paese Natale in Sardegna. Zuncheddu non è stato liberato in via definitiva, la prossima udienza davanti ai giudici della Corte d’Appello è stata fissata il 19 dicembre.

Per decenni è stato indicato come il solo responsabile dell’omicidio di tre uomini. La scarcerazione arriva dopo che il supertestimone di quella strage, Lugi Pinna, aveva ritrattato, raccontando di pressioni e manipolazioni da parte di un dirigente della polizia per fargli fare il nome di Zuncheddu.

Il poliziotto Mario Uda ha negato di aver mostrato al superstite la foto di Zuncheddu prima del riconoscimento ufficiale. “Non gli ho mostrato alcuna immagine”, ha dichiarato.

Quando ieri è stato liberato Beniamino Zuncheddu stava mangiando alla mensa del carcere. “Oggi non me l’aspettavo proprio, perché di sabato gli uffici sono chiusi ed è una cosa rara. Oggi è una giornata specialissima, è passato troppo tempo per ottenere questo giorno”, ha raccontato al TG Regionale.

La strage del Sinnai

Dal 2017 il nuovo avvocato difensore di Zuncheddu, Mauro Trogu, aveva cominciato a portare avanti nuove indagini difensive che avevano portato a nuove intercettazioni e alle prime dichiarazioni di Pinna che alla moglie parlò delle pressioni ricevute. La Procura generale di Cagliari sposava la tesi dell’innocenza di Zuncheddu e la Corte d’Appello fissava una serie di udienze.

Pinna raccontò che “mi venne mostrata la foto di Zuncheddu quale colpevole”. Il massacro dell’8 gennaio 1991 però si era consumato al buio, chi aprì il fuoco indossava una calza di nylon. A morire furono Gesuino Fadda di 57 anni, suo figlio Giuseppe di 25 e il loro collaboratore Ignazio Pusceddu, 57 anni. Le dichiarazioni di Pinna sono arrivate nell’ambito del processo di revisione in corso davanti ai giudici della Corte d’Appello di Roma.

“Prima di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l’agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Beniamino Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui. È andata così”, ha detto il teste. “Ho sbagliato a dare ascolto alla persona sbagliata. Penso che quel giorno a sparare furono più persone, non solo una. Con un solo fucile non puoi fare una cosa del genere”. Il teste si sarebbe contraddetto diverse volte e ha raccontato che il killer aveva “il volto travisato da una calza”. Una deposizione drammatica: “Non ce la faccio più, sto impazzendo, vorrei morire. In questi anni sono stato minacciato varie volte”.
(fonte: Osservatorio Repressione 27/11/2023)


Enzo Bianchi Che cos’è l’uomo?

Enzo Bianchi
Che cos’è l’uomo?


La Repubblica - 20 Novembre 2023

Per la prima volta nella storia l’umanità oggi è costretta a uscire dalla logica della guerra tra i popoli e del depauperamento incondizionato dell’ambiente. Sembra che possa iniziare un’inversione di tendenza con l’assunzione di consapevolezza che così non si può andare avanti, pena la distruzione dell’umanità e la desolazione della terra. Se negli ultimi decenni avevamo constatato in maniera crescente di procedere a grandi passi verso la barbarie (e lo abbiamo denunciato più volte su queste colonne!), sembra ora emergere una reazione che non è ancora quell’“insurrezione delle coscienze” invocata da Pierre Rabhi, ma è un ribadire nuovamente il bisogno urgente di umanizzazione.

Sono significativi, a questo proposito, i titoli di alcuni saggi filosofici e sociologici che chiedono di umanizzare la modernità, la politica, la società... Di fronte alle crisi globali che si sono abbattute su di noi come la pandemia, le crisi economiche, le guerre ai confini dell’Europa e del Mediterraneo (accanto dunque a casa nostra e in realtà guerre che stiamo anche noi combattendo fornendo armi ai belligeranti), come affermare un umanesimo che sia un obiettivo perseguito con convinzione dalle diverse umanità che sono parte di un tessuto della vita, della comunità globale?

Ecco perché la domanda seria, urgente che dobbiamo porci non è su Dio ma sul mondo umano: “Che cos’è l’umano?”. Domanda in realtà antica, che significativamente ritroviamo all’inizio e alla fine del Salterio ebraico: “Che cos’è l’uomo?”.

Dobbiamo rifarci queste domande soprattutto oggi, perché l’umano è schiacciato tra l’inumano e il post-umano.

L’inumano lo conosciamo bene come possibilità di depredazione e negazione dell’umano stesso: quando l’uomo è ridotto a res, cosa, quando è umiliato e ridotto al nulla, stravolto dall’odio e dalla violenza delle stragi e dei genocidi, misconosciuto nei migranti che invocano solo compassione, l’inumano regna e nega il volto alla persona, nega la sua vita. Certamente resta sempre un impegno il discernimento del disumano anche nella nostra vita quotidiana, nei rapporti personali tra familiari e conviventi, là dove viene a mancare la parola indirizzata, il rispetto che sa riconoscere l’altro, la mitezza che può assicurare la pazienza reciproca. Scriveva Bernanos: “La barbarie si annida sui confini delle nazioni come nelle case più umili”.

E tuttavia oggi l’umano è sfidato anche dal post-umano, cioè da quel nuovo stadio evolutivo dell’umanità nel quale l’intreccio tra biologia e tecnologia diventa sempre più onnipresente. Dovremmo nutrire molta trepidazione di fronte a queste nuove opportunità che potrebbero arrivare a negare il corpo per sostituirlo con strutture artificiali munite di elementi di intelligenza umana. All’homo sapiens succederà la macchina sapiens? E questo non è forse segno di un delirio di onnipotenza che vorrebbe essere capace di transumanesimo fino a negare la mortalità?

Personalmente nutro una tale fiducia nell’umanità da non credere possibile tale deriva e resto convinto che ancora una volta l’homo sapiens saprà rispondere in modo vitale alla domanda che lui solo sa porsi: che cos’è l’uomo? Perché c’è nell’umanità un sigillo che può essere calpestato e negato, ma che è indistruttibile e giace come indistruttibile nel suo profondo: la fraternità. Questa ha la forza di emergere così come la terra dopo l’acqua, il fuoco, il vento, lascia spuntare l’erba e riprendere la vita.
(fonte: blog dell'autore)


lunedì 27 novembre 2023

DONNE - Lo sguardo rivoluzionario di Gesù Le testimoni del coraggio di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

DONNE - Lo sguardo rivoluzionario di Gesù
Le testimoni del coraggio
di Bruno Forte 
Arcivescovo di Chieti-Vasto

(pubblicato su "Avvenire" -26 novembre 2023)


      In questi giorni si è detto molto e giustamente contro la violenza sulle donne. C’è però un modello che per tanti è rimasto nel silenzio: mi riferisco al modo con cui Gesù si è rapportato alle donne. Accennarvi può essere utile e significativo per i credenti e non solo per loro. Secondo il racconto dell’evangelista Luca, figlio della cultura pagana eppure in questo così lontano da essa, sono «le donne il prototipo dello slancio e del coraggio». La loro fede sta «all’opposto dell’incredulità degli apostoli, i quali anzi disprezzano il loro “vaneggiamento” (Lc 24,10s). Sembrerebbe qui che ad essere svalutati siano gli uomini, e non le donne... Esse sono state le più fedeli e le più coraggiose. Il loro timore non è pusillanimità, ma atteggiamento religioso normale di fronte al Dio invisibile» (René Laurentin, Gesù e le donne: una rivoluzione misconosciuta, in Concilium 16, 1980). Quello che «vi è di più originale nel vangelo di Luca è che egli osa riconoscere le donne come discepole di Cristo... Egli le mette sullo stesso piano degli Apostoli: “Lo accompagnavano i Dodici e alcune donne”» (ib., 691). In realtà, l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne presenta i caratteri di un’assoluta novità in rapporto all’ambiente culturale e religioso del suo tempo: egli «accoglie senza distinzione uomini e donne, stabilisce fra di loro un’identità di statuto che viene espressa dall’uso di battezzare identicamente e senza distinzione di sesso» (ib., 697). La novità di questo comportamento risulta chiara se si pensa che in Israele la circoncisione è esclusivamente maschile e sono i maschi a entrare prioritariamente nel mistero dell’elezione, al punto che è la presenza di dieci maschi adulti (il “minyan”) la condizione necessaria della preghiera liturgica, da cui la donna è di per sé dispensata. «Questa novità del messaggio di Cristo ha sorpreso, ha messo in imbarazzo i suoi nemici e gli stessi suoi discepoli. Le loro preoccupazioni apologetiche li hanno indotti a sfumare questo aspetto della rivoluzione evangelica. I due ultimi evangeli [Luca e Giovanni], liberati da questa difficoltà, manifestano meglio il fatto e gli danno una portata antropologica» (ib.). 

      Qual è stata, dunque, l’esperienza delle donne che hanno incontrato e seguito Gesù? Alcuni esempi ci consentono di verificarlo. La prima figura da richiamare è quella di Maria, la Madre del Signore: Luca la presenta come la donna della fede per eccellenza, e lo fa sin dalla scena dell’annunciazione, in cui la Giovane appare come la Vergine dell’ascolto, la donna ebrea, cioè, formata alla spiritualità dello “shemà” (“Shemà, Israel”: “Ascolta, Israele”). Lo sottolineano le parole con cui si rivolge a Maria il vecchio Simeone, figura della speranza e dell’attesa del popolo eletto, che nel suo cantico celebra il bambino Gesù come il Messia venuto a visitare il suo popolo, «per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori». Rivolto a Maria, aggiunge: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (2,34s). La spada è - secondo la concezione biblica – il simbolo della Parola di Dio: Maria è chiamata a vivere in obbedienza alla Parola a Lei data, Parola rifiutata dagli uomini, abbandonata, crocifissa, silenziosa nella morte e resuscitata alla vita. Proprio così, per Luca Maria è la credente che vive l’intero mistero di Gesù nel suo cuore e nella sua carne, la discepola fedele, modello di ogni discepolo, che partecipa della vicenda del Figlio con una intensità “viscerale”, materna, tipicamente femminile. La sua fede, il suo discepolato sono partecipazione profonda d’amore e di dolore, di fede e di speranza finalmente vittoriosa, alla missione di Gesù. Alla scuola della donna Maria i discepoli di ogni tempo impareranno a seguire Gesù non solo con adesione mentale, ma con 1 totale partecipazione affettiva e con dedizione incondizionata d’amore: e nella storia innumerevoli saranno le donne cui la fede potrà ispirarsi come a modello e sorgente di vita.
     
      Una seconda figura cui vorrei guardare è Anna, protagonista della scena della presentazione di Gesù al Tempio, vera testimone dell’attesa (Lc 2, 25-32). Si tratta di una “profetessa” molto avanti negli anni, che mostra di avere una giovinezza della fede e del cuore così grandi, da riconoscere subito il Bambino che le è davanti. Anna è l’esempio di una fede che ha saputo attendere in maniera vigile il compimento delle promesse divine e che - nonostante il passare del tempo - non ha perso la freschezza e l’entusiasmo che la rendono capace di leggere il segno di Dio non appena si presenta. Mentre Simeone si rivolge a Dio e alla Madre, Anna loda il Signore e sente l’urgenza di partecipare la gioia del dono agli altri, rivelando una commovente premura e generosità verso il prossimo, tipicamente femminile e materna: alla sua scuola, e in generale a quella delle donne, è possibile apprendere la difficile virtù dell’attesa vigile e impegnata, tutt’altro che remissiva e rinunciataria. 

      Una terza figura femminile da richiamare mi sembra quella della peccatrice, testimone della potenza sanante dell’amore (cf. Lc 7,36-50): ella ottiene il perdono perché accoglie Gesù nell’amore più profondo, di cui sono segni i gesti teneri e perfino eccessivi che compie. Ciò che conta nell’incontro con Cristo non sono i nostri meriti o i nostri peccati, ma il cuore accogliente, che si esprime in gesti d’amore veri, nell’“eccesso” del dono, tipico dell’agire di chi veramente ama. Anche qui la donna non dice parole, a differenza del Fariseo: il linguaggio dell’amore parla con i fatti, sì che la peccatrice può educarci alla vigilanza fattiva, operosa e feconda. Ancora, fra i tanti altri esempi possibili, richiamerei la donna afflitta da perdite di sangue, sanata perché ha compreso che anche solo toccare il lembo del mantello di Gesù - stabilire cioè un contatto diretto e personale con Lui, pur in mezzo alla folla che si accalca - la potrà salvare. L’audacia del gesto - scandaloso per i benpensanti - è notata da Gesù, che chiama la donna allo scoperto per metterne in risalto il valore della fede e premiarla con il segno della guarigione. Chi resta fra la folla è solo spettatore: chi “tocca” Gesù con la fede della donna viene guarito ed entra nella novità di vita del tempo messianico, al punto che Gesù la chiama “figlia” e le chiede di rendere testimonianza in pubblico di ciò che le è avvenuto (v. 47).
      
      Infine, è opportuno richiamare le donne che vanno al sepolcro (Lc 23,55-24,1-8), fedeli nella morte, per divenire poi testimoni della vita. Sono esse ad accompagnare la deposizione del Maestro, a preparare gli oli e gli aromi, ad aspettare ansiose la fine del sabato per andare alle prime luci del giorno nel luogo della sepoltura: è l’alba dell’ottavo giorno, e dunque la loro azione ha un valore simbolico in riferimento all’intera vita nuova dei discepoli del Risorto. Il loro amore non si arrende davanti alla morte, ma resta vivo, anche nell’apparente fine di tutto. È questo amore più forte della morte che le rende disponibili a ricevere per prime l’annuncio di Pasqua. Esse non temeranno di essere accusate di vaneggiamento, pur di donare agli altri la notizia straordinaria che trasformerà per sempre la loro vita e cambierà quella del mondo: Gesù è il Vivente fra noi, per noi... Esse sono le “apostole degli apostoli”, le testimoni del nuovo, sorprendente inizio che si compie nel Risorto, al quale hanno saputo aprirsi con un amore che non si è fermato davanti a nulla, nemmeno davanti alla morte. Il loro slancio dà inizio alla missione cristiana nel tempo, annuncio gioioso e contagioso dell’incontro con il Risorto che cambia il cuore e la vita. Senza di loro non ci saremmo noi a vivere di quell’annuncio e a volerlo portare fino ai confini della terra. Le donne con cui Gesù si è rapportato non hanno dunque meno da insegnarci degli apostoli, sulla cui fede la Chiesa è edificata: chi non sapesse coglierne il valore, rischierebbe di perdere non solo il profumo che Cristo dona alla vita, ma anche il fondamento e la consistenza della fede che da duemila anni, anche grazie a tante donne, nutre la vita e la speranza di tanti. 
Non per nulla, come ama ripetere Papa Francesco, «la Chiesa è donna»…

(Fonte: sito della Diocesi)

“La ringrazio di trattarmi come una vera sorella; […] questo titolo mi è caro” (Lettera 201). L’esperienza di fraternità e sororità a cura di Aurelio Antista (Testo e video)

MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ 2023
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto (ME)


S. TERESA DI LISIEUX
SORELLA NEL CAMMINO DELLA VITA
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Settimo Mercoledì - 22 novembre 2023


“La ringrazio di trattarmi
 come una vera sorella; […]
questo titolo mi è caro” 
(Lettera 201).
L’esperienza di fraternità e sororità

 Aurelio Antista
(Testo e video)




1. Premessa 
   Una cosa che sorprende, a proposito di Teresa di Lisieux, è il fatto che molti studiosi si siano interessati a lei, ai suoi scritti, alla sua esperienza spirituale; non solo agiografi, ma teologi: André Combes, René Laurentin, von Balthassar, Francois Six; filosofi: Henri Bergson, Jaques Maritain: Scrittori: Giorgio Papasogli, Jean Guitton; romanzieri: Van der Meerch; cineasti: André Haguet, ecc. Recentemente, perfino l’UNESCO (Agenzia dell’ONU) si è interessato a lei e l’ha inclusa nell’elenco delle 60 personalità i cui anniversari (che ricorrono nel biennio 2022-2023), vanno commemorati perché «hanno contribuito in modo universale al bene dell’umanità». 
    Teresa è annoverata tra le donne che «con la loro vita, le loro azioni e i loro scritti hanno promosso i valori della pace».
...
     L’amore di Dio lievita tutta l’esistenza di Teresa e diventa in lei sorgente di amore fraterno, diventa itinerario di fraternità e di sororità che Teresa tesse e percorre in forma tanto silenziosa e umile, quanto ricco di frutti. 
     Pertanto, il cammino della fraternità in Teresa scaturisce dal dono e dalla presenza in lei dell’amore di Dio: «Sentii la carità entrarmi nel cuore; da qui il bisogno di dimenticarmi per far piacere agli altri. E da allora sono felice». 
     Dell’esperienza fraterna di Teresa cercherò di cogliere alcune traiettorie: la prima è quella che la lega al suo prossimo più prossimo, cioè le consorelle; poi quella che la lega ai sacerdoti missionari; infine la traiettoria che la sintonizza con i lontani più lontani: i peccatori e gli atei dei quali lei si è sentita “sorella”, sedendosi alla loro mensa non solo con la preghiera, ma condividendo il dramma della “notte oscura” ...


GUARDA IL VIDEO


Leggi anche:
- La traccia integrale (pdf)

- il calendario completo degli incontri


Ecco i precedenti incontri:

- “Per amarti sulla terra, o Dio, non ho che l’oggi” (Poesia 5).
Contesto storico e profilo biografico- spirituale di Teresa di Lisieux
Alberto Neglia


- “Fa’ che io ti rassomigli” (Preghiera 11). Alla ricerca del Volto nascosto di Gesù -
Egidio Palumbo

- “Una rosa sfogliata si dona incurante” (Poesia 51,3). Il primato della Grazia/Gratuità e della Fede/Fiducia sulla meritocrazia spirituale - Egidio Palumbo

- “Solo l’amore fa agire la Chiesa” (Ms B 254). L’amore come senso e dinamismo della vita cristiana - Gregorio Battaglia

- “Riempi la mia mano, Signore, e io darò i tuoi tesori” (Ms C 310).
La missione come condivisione - Alberto Neglia


- “Una sola parola della S. Scrittura svela orizzonti infiniti” (Lettera 226). Teresa di Lisieux e la Parola di Dio. A cura di Maria Teresa Murgano (Testo e video).