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sabato 8 marzo 2025

DALLE CENERI ALLA LUCE La tecnica vincente di Gesù è opporre per tre volte al Nemico dell’uomo, un bene maggiore; al volare basso, orizzonti liberi; alla cenere, la luce; al deserto, un mondo dove anche le pietre sono sillabe del discorso di Dio. - I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

DALLE CENERI ALLA LUCE

La tecnica vincente di Gesù è opporre per tre volte al Nemico dell’uomo, un bene maggiore; al volare basso, orizzonti liberi; alla cenere, la luce; al deserto, un mondo dove anche le pietre sono sillabe del discorso di Dio.


In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l’uomo"». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato. Lc 4,1-13
 
DALLE CENERI ALLA LUCE
 
La tecnica vincente di Gesù è opporre per tre volte al Nemico dell’uomo, un bene maggiore; al volare basso, orizzonti liberi; alla cenere, la luce; al deserto, un mondo dove anche le pietre sono sillabe del discorso di Dio.

Cenere sul capo e nardo profumato sui capelli di Gesù: sono le due parentesi che aprono e chiudono il tempo di quaresima, che va dal mercoledì delle ceneri, all’ultimo mercoledì, vigilia dei giorni supremi. Cenere e nardo sul capo: tra questi due poli si snoda il percorso quaresimale. O anche: dalle ceneri all’acqua, quella versata da Gesù sui piedi degli apostoli, nell’ultima sera, nell’ultima e prima di infinite cene in suo ricordo. Povertà e bellezza, fragilità e servizio sono le due grandi prediche che la chiesa affida ai segni, più che alle parole.

Segni altrettanto potenti, che incidono a fondo il cuore, sono le tre tentazioni raccontate dal vangelo.

Tentazioni strane: nessuno di noi pensa di mangiare pietre, o di ordinare che diventino pane; nessuno pensa di arrampicarsi sui pinnacoli del tempio e di volare giù. Eppure: “togliete le tentazioni e più nessuno si salverà” (Sant’Antonio Abate, IV sec). Perché nessuno avrà più la possibilità di scegliere, e scegliere è vivere, il nostro decreto di libertà, una chiamata al futuro.

Nelle tentazioni sono racchiuse le tre connessioni di fondo di ogni esistenza umana: io e le cose, io e gli altri, io e l’Altro.

Scelgo quindi la relazione esatta da instaurare con le cose, non predatoria ma grata. Scelgo tra fede o superstizione, tra un Dio che è miracolo e un Dio che è ossigeno. Tra impormi sugli altri o servirli.

Le tentazioni non si evitano, si attraversano, e come si fa? Con un grande sforzo di volontà? La strategia di Gesù è un’altra: rilanciare, alzare la posta in gioco mostrando che ci sono cose che nutrono più del pane...

Egli oppone all’offerta del tentatore parole più alte, e le trova nella Bibbia, e tutte contengono un di più di vita: non di solo pane vive l’uomo, c’è dell’ altro che fa vivere le persone, è tutto ciò che è venuto dalla bocca di Dio. E dalla bocca di Dio son venuti la luce, le stelle, l’intero creato, la bontà e la bellezza, e sei venuto tu, mio prossimo, mio amato, amore mio che mi fai vivere.

La tecnica vincente di Gesù è opporre per tre volte al Nemico dell’uomo, un bene maggiore; al volare basso, orizzonti liberi; alla cenere, la luce; al deserto, un mondo dove anche le pietre sono sillabe del discorso di Dio: nel cuore della pietra Dio sogna il suo sogno (G. Vannucci).

Lo Spirito che ha condotto Gesù nel deserto non lo ha abbandonato, è lì con lui; e fra le pietre di Giudea fa vibrare il sussurro della brezza leggera, il brivido del silenzio, come per Elia sul monte quando Dio passava.

Noi credenti non siamo più bravi degli altri, noi siamo soltanto i non-da-soli, i non-abbandonati, quelli al sicuro sulla rotta da percorrere perché sulla loro vela soffia sempre il vento di Dio, la ‘ruah’ che accende parole di fuoco e di miele.

8 marzo Giornata Internazionale della donna - Tonio Dell'Olio: "Le donne non" e "Ruah"

Tonio Dell'Olio


Le donne non

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  IL 6 MARZO 2025

Non serve fare largo alle donne: ci pensano già da sole. E nemmeno varare leggi che garantiscano loro il diritto ad occupare uno spazio, un ruolo.

Le donne si siedono, camminano, giocano, parlano, sorridono o piangono quando, come, se, con chi vogliono. Mi spaventa piuttosto che abbiamo bisogno di immaginare – ancora oggi – misure e leggi per riconoscere la pari dignità alle donne. Il problema non è nella legge che manca ma nel pensiero inciso a fuoco nella testa di molti uomini con la formula de “le donne non”. 

Non sono capaci, non sono adatte, non ce la fanno. Le donne non sono dotate naturalmente, non possono perché poi sono loro che restano incinte, non devono trascurare la casa, non sono tagliate per le scienze dure. Le donne non hanno la misura, non hanno capacità organizzativa, non seguono la logica giusta, non hanno la nostra stessa esperienza. 
È questo muro di cemento armato di pregiudizi e luoghi comuni che bisogna abbattere dentro la coscienza di ognuno. 

Altro che mimose!

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Ruah

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  IL 7 MARZO 2025

Una danza infinita con le donne del mondo che hanno i colori della terra e del cielo. E l’ansimare del ritmo diventa il respiro della vita.

Perché le donne sono il filo della vita stessa che dice concepimento e generazione non solo da utero ma anche da anima e spirito. Per questo ogni donna è chiamata a dare la vita. Da madre. Talvolta da martire. Anche quando non ha mai partorito, ha sicuramente generato. Gli ebrei per dire questo usano il femminile con ruah e pertanto è femmina la terza persona della Trinità, è il femminile di Dio. Si direbbe Spirita! E non è affatto un caso. È colei che genera a vita nuova e come vento scompiglia ogni cosa, gli dà volo, gli dà cielo. Ci costringe a sollevare lo sguardo verso l’alto, verso l’altra o l’altro. È il fiato primordiale di Dio che risveglia il primo Adamo, aleggia sulle acque e tiene in vita l’universo.

La donna come respiro del genere umano, questo si dovrebbe celebrare.

Le donne e la pace

Sguardi sulla vita e l’umano  

Le donne e la pace


L’ultima enciclica di Giovanni XXIII, affrontando la questione della pace, si confronta anche con l’ingresso delle donne nella vita pubblica, riconoscendolo come una conquista dei popoli di civiltà cristiana. La Pacem in Terris sottolinea come, in questa tradizione, la “coscienza della propria dignità” appaia, per le donne, più marcata e operante (§ 22 del capitolo sull’ordine conviviale tra gli esseri umani, 11 aprile 1963).

Il tema della dignità, sollevato sul piano dei diritti civili, emerge infine anche sul piano teologico e salvifico, senza ridursi alla sola — seppur legittima ed edificante — emancipazione sociale. Negli anni Settanta, nel periodo della “Contestazione”, la Chiesa attribuisce infatti la “singolare dignità” delle donne non tanto alla giurisprudenza quanto all’adorazione, eminentemente femminile, del “neonato Principe della Pace”. In questa prospettiva mariana, viene dunque proposto un modello alternativo.

Per questo motivo, Paolo VI istituisce la Giornata mondiale della pace l’8 dicembre, in occasione della festa dell’Immacolata Concezione, poi celebrata ogni anno, secondo la riforma liturgica del rito romano, il 1º gennaio, nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio. In tal modo si richiama il ruolo di Maria, definita “nuova Donna”, nel “mistero della salvezza” (Marialis Cultus, 2 febbraio 1974).

Il “genio della donna” è evocato nella lettera apostolica Mulieris Dignitatem, in cui la “dignità” femminile, oltre a riguardare la sfera sociale, abbraccia «ciò che è essenzialmente umano». Essa si fonda sull’affidamento, da parte di Dio, «in un modo speciale», della cura dell’essere umano alla donna (15 agosto 1988).

Questo concetto si inserisce nel solco del concilio Vaticano II, che, nella sua sessione conclusiva, aveva riconosciuto nelle donne il «mistero della vita che comincia», assegnando loro il compito di «salvare la pace del mondo» («Spetta a voi…», si legge nel messaggio dell’8 dicembre 1965).

Seguendo questa prospettiva, Giovanni Paolo II dedica alle donne la 28ª Giornata mondiale della pace, ponendo l’accento sul tema dell’educazione e quindi sul ruolo dell’“educatrice”. Egli sottolinea la responsabilità «che Maria assume, tra tutte le donne e in particolare tra le madri, nel progetto che Dio realizza «in lei per la salvezza dell’intera umanità» (1º gennaio 1995).

Nella Lettera alle donne, papa Wojtyła richiama nuovamente il loro “genio”, che, nella figura della Madonna, si esprime nell’unione tra il regno di Dio e il servizio d’amore (29 giugno 1995), inserendolo in un contesto di particolare rilevanza per la politica internazionale.

Nel nuovo millennio, Benedetto XVI esorta a riscoprire nelle donne il patrimonio di fede in Cristo. Rilegge i passi di Mt 27, 56-61 e Mc 15, 40 sulle donne presenti davanti alla Croce, mettendone in risalto il ruolo di vere protagoniste. La loro presenza in primo piano accentua l’assenza dei “Dodici” (neanche Giovanni è menzionato), poiché esse «non abbandonarono Gesù nell’ora della Passione» (Le donne a servizio del Vangelo, 14 febbraio 2007).

Durante il Giubileo straordinario della misericordia, viene ribadito che “Maria” — insieme al «discepolo dell’amore» — è testimone delle parole di perdono di Gesù. Una donna, infatti, è presente nell’ascolto del «perdono supremo» che «non conosce confini» (Misericordiae Vultus, 11 aprile 2015).

Nella Gaudete et exsultate, Papa Francesco sottolinea come il “genio femminile” sia uno degli stili “indispensabili” della chiamata alla santità nel mondo contemporaneo (cap. i, § 12, 19 marzo 2018). Il Santo Padre, che nel 2015 istituisce una Consulta femminile all’interno del Pontificio Consiglio della cultura, declina al femminile i suoi appelli alla pace. Avanza una delle formule più incisive: “La pace è donna”. In altre parole, afferma che «il sogno della pace si realizza guardando alla donna», alla sua grazia nel dono della vita, poiché le donne «danno la vita» e ne sono custodi sin dall’origine (8 marzo 2019).

La teologia del femminismo cristiano invita a riconoscere nel «corpo di una donna» il mezzo attraverso cui «è arrivata la salvezza per l’umanità». Ogni violenza inflitta alla donna equivale a «una profanazione di Dio, nato da donna» (Omelia nella solennità di Maria Madre di Dio, LIII Giornata mondiale della pace, 1º gennaio 2020).

Nel 2022, Papa Francesco ribadisce: «La Chiesa è donna». Con questa riformulazione del legame tra donna e pace, si riafferma che «Dio […] da una donna ha preso l’umanità» (LV Giornata mondiale della pace, santa messa).

Nel 2024, nei discorsi sulla pace, si intensificano i riferimenti alla questione femminile. Si invita a «guardare alle madri e alle donne […] per uscire dalle spirali della violenza […], e tornare ad avere sguardi umani» (Omelia nel giorno della Theotókos). Il «contributo femminile» appare «più che mai indispensabile» per un’umanità «sfregiata […] dalla guerra». Questo apporto mette in luce nelle donne doti di «artigiane [artefici], collaboratrici del Creatore a servizio della vita» (7 marzo).

Nel documento finale della seconda sessione della XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, dedicata al tema della “Chiesa sinodale”, si presta particolare attenzione a Maria di Magdala, evidenziando che «a una donna» era stato «affidato il primo annuncio della Risurrezione». In Gv 20, 1-2, si riconosce il ruolo preminente da lei rivestito nella storia della salvezza (§ 60, 26 ottobre).

A una donna, Maria, “Regina della Pace”, il Pontefice affida la supplica affinché «tacciano ovunque le armi», in un’orazione pronunciata per il Giubileo delle Forze Armate, il 9 febbraio 2025. Nell’omelia si mette in luce la «presenza sacerdotale» in ambito militare, sottolineando il ruolo dei cappellani, chiamati a insegnare agli eserciti a pregare l’Ave Maria e a trarre ispirazione dall’amore trascendente di una madre per i propri figli.
(Fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Pino Esposito 07/03/2025)


venerdì 7 marzo 2025

Domande sul riarmo in un mondo sempre meno capace di diplomazia Il piano «Rearm Europe», 800 miliardi di euro per gli armamenti nel Vecchio Continente: davvero questo ci garantisce?


Domande sul riarmo in un mondo sempre meno capace di diplomazia
Il piano «Rearm Europe», 800 miliardi di euro per gli armamenti 
nel Vecchio Continente: davvero questo ci garantisce?

di Andrea Tornielli


«L’aumento di risorse economiche per gli armamenti è ritornato ad essere strumento delle relazioni tra gli Stati, mostrando che la pace è possibile e realizzabile solo se fondata su un equilibrio del loro possesso. Tutto questo genera paura e terrore e rischia di travolgere la sicurezza poiché dimentica come un fatto imprevedibile e incontrollabile possa far scoccare la scintilla che mette in moto l’apparato bellico». Sono parole pronunciate meno di due anni fa da Papa Francesco per il sessantesimo anniversario della Pacem in Terris e si attagliano bene anche a ciò che sta vivendo l’Europa, nel momento in cui viene annunciato dalla presidenza della Commissione un piano che consentirà di mobilitare per la difesa Ue circa 800 miliardi di euro. “Rearm Europe” è il nome del piano, evocativo di tragici momenti di «paura e terrore» del recente passato.

L’Europa, negli ultimi tre anni, si è purtroppo dimostrata anch’essa incapace di iniziativa e creatività diplomatica. È sembrata in grado soltanto di rifornire di armi l’Ucraina ingiustamente aggredita dalle truppe russe, ma non di proporre e perseguire, al contempo, concrete vie negoziali per mettere fine al sanguinoso conflitto. E ora si prepara ad investire, sulla scia di analoghe iniziative prese da altre potenze mondiali, la cifra esorbitante di 800 miliardi in armi. Non li investe per combattere la povertà, per finanziare programmi in grado di migliorare le condizioni di vita di chi fugge dai propri Paesi a causa di violenze e miseria, per migliorare il welfare, l’educazione e la scuola, per garantire un futuro umano alla tecnologia, né per assistere gli anziani. Li investe per gonfiare gli arsenali e dunque le tasche dei fabbricanti di morte, nonostante già oggi la spesa militare dei Paesi dell’Unione superi quella della Federazione Russa. È davvero questa la via da seguire per assicurare un futuro di pace e prosperità al Vecchio Continente e al mondo intero? Davvero la corsa al riarmo ci garantisce? Davvero è qui la chiave per ritrovare le nostre radici e i nostri valori?

Invece di costituire, come proposto dal Papa nell’anno del Giubileo, un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e promuovere uno sviluppo sostenibile dell’intero pianeta, utilizzando una percentuale fissa del denaro impiegato nelle spese militari, si progetta di riempire gli arsenali di nuovi ordigni, come se le atomiche stoccate nei magazzini già non minacciassero a sufficienza un olocausto nucleare in grado di distruggere più volte l’umanità intera. Come se quella Terza guerra mondiale a pezzi profeticamente evocata già un decennio fa dal Successore di Pietro non fosse la vera minaccia da scongiurare. Invece di cercare di ritagliarsi un ruolo attivo e propositivo per la pace e per il negoziato, l’Unione rischia di ritrovarsi unita nell’escalation del riarmo.

È il prevalere, ancora una volta, di quello che Francesco nell’aprile 2022, aveva definito lo «schema della guerra», che porta a «fare investimenti per comprare le armi» dicendo «ne abbiamo bisogno per difenderci». Il Papa aveva citato il venir meno della «grande e buona» volontà di pace che aveva caratterizzato il periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Aveva amaramente osservato che «settant’anni dopo abbiamo dimenticato tutto questo. È così lo schema della guerra si impone… lo schema della guerra si è imposto un’altra volta. Noi non possiamo pensare un altro schema, Non siamo più abituati a pensare allo schema della pace».

Non ci sarebbe bisogno di leader che, invece di puntare sul riarmo, recuperassero quello spirito, impegnandosi nel dialogo per fermare la guerra in Ucraina e le altre guerre? Due anni fa, da Budapest, Francesco aveva rivolto una domanda cruciale ai leader europei e del mondo intero. Aveva fatte sue le parole pronunciate nel 1950 da Robert Schuman: «Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche», in quanto «la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». Il Papa si era quindi domandato: «In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?».

La prevedibile e prevista scossa che ha attraversato gli assetti geopolitici mondiali, con il cambio della guardia alla Casa Bianca, avrebbe potuto generare qualche iniziativa comune nel senso indicato dal Successore di Pietro, nel tentativo di porre fine alla carneficina che si consuma nel cuore dell’Europa cristiana. Ha detto in una recente intervista il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin: «La pace autentica nasce dal coinvolgimento di tutte le parti in causa. Bisogna che ciascuno abbia qualcosa, in un compromesso nessuno può avere tutto e tutti devono essere disposti a negoziare qualcosa. Altrimenti la pace non sarà mai stabile e duratura. Bisognerà tornare a questo stile, altrimenti il mondo diventerà una giungla e ci saranno soltanto conflitti, con il loro terribile portato di morte e distruzione».

L’unico vero piano, l’unico realistico appello da lanciare oggi, al posto di «Rearm Europe», non dovrebbe piuttosto essere «Peace for Europe»? Lo chiediamo facendo nostre le parole del Papa che dalla stanza del Policlinico Gemelli domenica scorsa ha detto: «Prego soprattutto per la pace. Da qui la guerra appare ancora più assurda».

(Fonte:  Vatican News - 06 marzo 2025)

Quel “no” alle armi lungo un intero pontificato

Quel “no” alle armi lungo un intero pontificato



Le uniche “armi” a cui Papa Francesco ha dato il suo assenso sin dal primo momento in cui è salito sul Soglio di Pietro e per i successivi dodici anni sono state il dialogo e l’incontro e, per i cattolici, la preghiera e il digiuno. Per il resto è stato sempre e solo un grande “no” quello pronunciato dal Pontefice argentino agli armamenti, al loro commercio, a un mercato che va sempre più fiorendo laddove marcisce la vita di intere popolazioni. Un “no” che risuona ancora potente — seppur in un momento in cui da oltre venti giorni non si ascolta la voce del Papa — alla luce degli attuali piani di riarmo dell’Europa annunciati dalla presidenza della Commissione Ue.

Ha iniziato con la Evangelii gaudium, l’esortazione apostolica che dal 2014 ha tracciato il piano del suo magistero, Francesco, a stigmatizzare quei «meccanismi dell’economia attuale» che «promuovono un’esasperazione del consumo». E questo «consumismo sfrenato, unito all’inequità», scriveva, «danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai» ma «serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti».

Nello stesso anno, il 2014, nel primo e indimenticato incontro in Vaticano con i Movimenti Popolari, Francesco condensava in una espressione, sempre poi ripetuta, l’emergenza di quest’epoca: «La terza guerra mondiale» combattuta «a pezzi». Una denuncia che oggi si può osservare come profetica, considerando il fatto che è stata pronunciata quasi un decennio prima della invasione russa all’Ucraina e la deflagrazione di nuove violenze nella Striscia di Gaza.

«Ci sono sistemi economici — affermava il Pontefice in quello stesso discorso — che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate».

Dieci anni dopo, il Papa non ha mutato il suo pensiero ma, anzi, lo ha acuito e rinvigorito, alla luce delle notizie provenienti dall’est-Europa e dalla polveriera mediorientale. Notizie che «sembrano farci perdere la fiducia nelle capacità dell’essere umano», come diceva nell’udienza alla Confederazione nazionale artigianato e piccola media impresa nel novembre 2024. «Viviamo tempi di guerra, di violenze», affermava il Papa, condividendo quell’aneddoto personale reiterato poi in tanti discorsi e interviste: «Mi ha detto un economista che gli investimenti che danno più reddito oggi, in Italia, sono le fabbriche delle armi. Questo non abbellisce il mondo, è brutto. Se tu vuoi guadagnare di più devi investire per uccidere… Abbellire il mondo è costruire pace».

Questo pensiero ha preso la forma di una proposta concreta, da parte del Papa, presentata agli occhi dei responsabili delle nazioni nel suo discorso — non pronunciato personalmente, ma letto dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin — alla Cop28 del 2023 a Dubai: «Quante energie sta disperdendo l’umanità nelle tante guerre in corso… conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno! Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune! Rilancio una proposta: con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame».

La stessa proposta è tornata nella Spes non confundit, la bolla di indizione del Giubileo, cristallizzata dal Papa, però, non più come idea che qualche uomo o donna di buona volontà possa raccogliere, bensì come iniziativa concreta da sviluppare durante l’Anno Santo insieme all’abolizione della pena di morte, il condono del debito per i Paesi poveri e il far tacere — appunto — definitivamente le armi.

Ripercorrendo a ritroso gli interventi pubblici e gli atti magisteriali di Papa Francesco non si contano gli appelli contro armi e riarmi: dall’Urbi et Orbi del 2020 in una Basilica di San Pietro isolata, mentre il mondo lottava con la pandemia di Covid, in cui il Papa affermò: «Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite», passando per il messaggio al Globsec Bratislava Forum (giugno 2021) in cui domandava di convertire «le armi in cibo», fino al lungo discorso al g7 del giugno scorso in Puglia — primo Pontefice a prendervi parte — quando, evidenziando rischi e potenzialità dell’Intelligenza Artificiale, Francesco volle insistere su un punto: «In un dramma come quello dei conflitti armati è urgente ripensare lo sviluppo e l’utilizzo di dispositivi come le cosiddette “armi letali autonome” per bandirne l’uso, cominciando già da un impegno fattivo e concreto per introdurre un sempre maggiore e significativo controllo umano». Da lì, le parole divenute tra i principali moniti sull’IA: «Nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano».

Ma se c’è un palco dal quale il pastore della Chiesa cattolica universale ha fatto risuonare più di ogni altro il suo “no” alle armi sono stati i viaggi apostolici internazionali. Già nel 2015, durante la Messa a Sarajevo, tra i luoghi che più di altri hanno conosciuto la devastazione della guerra, Francesco si scagliò contro il clima di odio e chi «vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente», ovvero «coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi».

«Le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti. L’equità della violenza è sempre una spirale senza uscita; e il suo costo, molto elevato», ammoniva il Papa, invece, nella Messa del 2019 a Maputo (Mozambico). Mentre durante lo storico — perché altrimenti non si può definire — viaggio del 2021 in Iraq, il Pontefice, dinanzi alle autorità a Baghdad, elevò il suo grido: «Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque!». E ai rappresentanti delle diverse confessioni, incontrati successivamente, chiese poi di «convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace»: «Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti».

Non si dimentica, inoltre, il discorso alle autorità del Kazakhstan nel 2022 con l’invito a impegnarsi di più «a promuovere e rafforzare la necessità che i conflitti si risolvano non con le inconcludenti ragioni della forza, con le armi e le minacce, ma con gli unici mezzi benedetti dal Cielo e degni dell’uomo: l’incontro, il dialogo, le trattative pazienti, che si portano avanti pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni». E non si dimentica anche quanto affermato dal Papa dinanzi alle autorità di Malta, nel viaggio del 2022: «Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni. Sì, la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi». Sulla stessa scia a Marsiglia, nel settembre 2023, Francesco asseriva: «Con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere sempre si torna al passato, non si costruisce il futuro».

Attingendo alla storia e in particolare a quella dell’Europa che ha cercato di lasciarsi alle spalle divisioni, contrasti e guerre, causate da «nazionalismi esasperati» e «ideologie perniciose», Papa Francesco, meno di un anno fa, con i rappresentanti politici e civili del Lussemburgo condivideva la tristezza per il fatto che oggi nei Paesi del Vecchio Continente «gli investimenti che danno più reddito sono quelli delle fabbriche delle armi. È molto triste».

E se la remuneratività degli investimenti suscita tristezza, provoca invece sdegno il fatto che a investire siano le stesse nazioni che si fanno promulgatrici di appelli di pace. «La grande ipocrisia», l’aveva definita Papa Francesco in uno dei discorsi forse più significativi sul tema, quello a Bari durante l’Incontro dei vescovi del Mediterraneo nel 2020. È un «grave peccato di ipocrisia», quando, sottolineava, «nei convegni internazionali, nelle riunioni, tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra».

In quella stessa occasione Francesco richiamava l’insegnamento di Giovanni XXIII, il Papa autore della Pacem in terris: «La guerra, che orienta le risorse all’acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società, quali il sostegno alle famiglie, alla sanità e all’istruzione, è contraria alla ragione. In altre parole, essa è una follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti. Mai».

Parole, queste, attuali allora, attuali oggi e attuali per tutti gli anni a venire.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Salvatore Cernuzio 06/03/2025)


giovedì 6 marzo 2025

Lettera di Quaresima 2025 di don Mimmo Battaglia: “IL MIO DIGIUNO, LA MIA ELEMOSINA, LA MIA PREGHIERA”

Lettera di Quaresima 2025 di don Mimmo Battaglia

“IL MIO DIGIUNO, LA MIA ELEMOSINA, LA MIA PREGHIERA”


“Stasera posso scrivervi una lettera che mi consola e mi accomoda: potrei scrivervi, sapendo di fare bene, per ricordarvi che l’inizio della Quaresima è impegno al digiuno, all’ elemosina, alla preghiera.
Forse anche voi ne sareste rassicurati e consolati: ci fa bene sapere di avere punti fermi nella esistenza che, come la terra sotto ai nostri piedi, ci fa vacillare.
Ed invece perdonatemi, sorelle e fratelli, ma stasera, pregando, sento forte il bisogno di scomodarmi, di non darmi alcuna consolazione, e vi chiedo perdono se questo vi scomoderà e non vi consolerà, ma sento che essere padre e pastore ora più che mai mi chiama a non restare fermo, ma a sentire il terremoto che tutti ci abita dentro.
A cosa serve, adesso, invitarci al digiuno, considerando che siamo tutti assai capaci di diete? Quel digiuno ci snellisce, eppure non concorre alla bellezza.
E a cosa serve ricordarvi dell’elemosina, se tanti di noi lo spiccioletto lo danno già al poveretto che incontrano per strada, così che quella moneta ci possa far sentire buoni?
E la preghiera? Dovrei dirvi di ripetere giaculatorie, di recitare formule e di metterci a posto con le buone pratiche come il virtuoso ma triste Giovane Ricco?

Io vorrei, stasera, condividere con voi il mio digiuno, la mia elemosina, la mia preghiera: voglio dirvi che sono fragile, che ho paura per il destino del mondo, e che fremo al pensiero di non riuscire a proteggervi, in molti modi, tutti. E che imparo, ancora giorno dopo giorno, che l’Amore è farsi pane, non farsi primo.
Mentre prego sento l’affanno di Papa Francesco: il suo respiro che fa fatica è icona potente della sua malattia-preghiera.
E no, non intendo che la malattia è preghiera per tirar su la vecchia consolazione che se soffriamo, espiamo le colpe e guadagniamo il Paradiso.
No. Intendo che la malattia è preghiera quando ci ricorda chi siamo. Ad-viene per dirci che siamo tutti fragili. E che questa fragilità è ciò che ci lega, che ci fa umani perché capaci di riconoscerci tutti figli, e dunque fratelli e sorelle.
Eppure, incredibilmente, proprio il terrore di questa fragilità ci separa: la paura di riconoscerla – in noi o in chi amiamo -, la paura di essere deboli e non potenti agli occhi degli altri, ci fa compiere azioni che vanno verso un totem, antico eppure ancora presente, l’idolatria più pervasiva: il nostro farci dio.

Ci facciamo dio tutte le volte che non sappiamo riconoscere di avere torto.
Ci facciamo dio tutte le volte che per sentirci forti, saliamo su un piedistallo fatto delle macerie degli altri.
Ci facciamo dio molte volte, ma non nel senso sacro di riconoscerci suoi figli, bensì nel senso di poter schiacciare qualcuno o qualcosa in nome di un potere che scambiamo per felicità, che scambiamo per bellezza.
Sorelle mie, fratelli miei, stasera questa lettera di Quaresima la scrivo a voi per pregare con voi: possano questi 40 giorni portarci nel deserto dove Lui parlerà al nostro cuore.

Che Lui ci mostri bellezza e felicità che resistano al dolore, ma non nel senso che lo cancellino come se gli chiedessimo una bacchetta magica: che resistano nel senso che Gesù ci ha insegnato, ovvero che lo trasfigurino, che ne facciano passaggio, Pasqua.
Dove sei, Signore, mentre ci ammaliamo, abbiamo paura, perdiamo?

Da sempre Lo cerchiamo nella forza, nella vittoria, nella magia di un desiderio – che chiamiamo preghiera – che sia esaudito. E Gesù invece è arrivato ed arriva come rivoluzionario, a scappottare la nostra immagine di un dio vincente.
È debole Nostro Signore: non vince. È fragile: piange, muore. È povero: viene tradito, insultato, calunniato, condannato senza giustizia. È, oggi come allora, scandaloso il Vangelo.
Scandaloso come un Papa ammalato, come noi quando ci scopriamo fragili e lontani dall’immagine perfetta che vorremmo e allora sentiamo lo scandalo di un dio che non è nostra immagine e somiglianza.
Che possiamo digiunare dalla presunzione di dire noi a Lui quello che deve fare.
Che possiamo vivere l’elemosina come ricerca del bene dell’altro come legata a doppio filo al bene nostro.
Che possiamo vivere la preghiera come soave silenzio che non giudica ma si fa abitare.

Dove sei, Signore, mentre ci ammaliamo, abbiamo paura, perdiamo?
In te che soffrendo non sei più cieco ma vedi, in tuo fratello e in tua sorella che si prendono cura di te ed anche in tuo fratello e tua sorella che di te non si cura: perché proprio il deserto è il luogo in cui impariamo che l’Amore non è presa ma resa.
E sarà Pasqua.
Resurrezione, già adesso.”

† don Mimmo
(fonte: Chiesa di Napoli 05/03/2025)


Mercoledì delle Ceneri - Papa Francesco: «Così si snoda il cammino della Quaresima verso la Pasqua, tra la memoria della nostra fragilità e la speranza che, alla fine della strada, ad attenderci ci sarà il Risorto.» Omelia 05/03/2025 (testo)

SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

Basilica di Santa Sabina
Mercoledì, 5 marzo 2025

Alla Messa nella Basilica di Santa Sabina per l'avvio del cammino penitenziale, il cardinale penitenziere Angelo De Donatis ha letto l'omelia di Francesco: questo periodo che ci ridimensiona è un invito a ravvivare la speranza. La celebrazione è stata preceduta dalla processione penitenziale dalla chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
LETTA DAL CARDINALE ANGELO DE DONATIS

Le sacre ceneri, questa sera, verranno sparse sul nostro capo. Esse ravvivano in noi la memoria di ciò che siamo, ma anche la speranza di ciò che saremo. Ci ricordano che siamo polvere, ma ci incamminano verso la speranza a cui siamo chiamati, perché Gesù è disceso nella polvere della terra e, con la sua Risurrezione, ci trascina con sé nel cuore del Padre.

Così si snoda il cammino della Quaresima verso la Pasqua, tra la memoria della nostra fragilità e la speranza che, alla fine della strada, ad attenderci ci sarà il Risorto.

Anzitutto, facciamo memoria. Riceviamo le ceneri chinando il capo verso il basso, come per guardare a noi stessi, per guardarci dentro. Le ceneri, infatti, ci aiutano a fare memoria della fragilità e della pochezza della nostra vita: siamo polvere, dalla polvere siamo stati creati e in polvere ritorneremo. E sono tanti i momenti in cui, guardando la nostra vita personale o la realtà che ci circonda, ci accorgiamo che «è solo un soffio ogni uomo che vive […] come un soffio si affanna, accumula e non sa chi raccolga» (Sal 39,7).

Ce lo insegna soprattutto l’esperienza della fragilità, che sperimentiamo nelle nostre stanchezze, nelle debolezze con cui dobbiamo fare i conti, nelle paure che ci abitano, nei fallimenti che ci bruciano dentro, nella caducità dei nostri sogni, nel constatare come siano effimere le cose che possediamo. Fatti di cenere e di terra, tocchiamo con mano la fragilità nell’esperienza della malattia, nella povertà, nella sofferenza che a volte piomba improvvisa su di noi e sulle nostre famiglie. E, ancora, ci accorgiamo di essere fragili quando ci scopriamo esposti, nella vita sociale e politica del nostro tempo, alle “polveri sottili” che inquinano il mondo: la contrapposizione ideologica, la logica della prevaricazione, il ritorno di vecchie ideologie identitarie che teorizzano l’esclusione degli altri, lo sfruttamento delle risorse della terra, la violenza in tutte le sue forme e la guerra tra i popoli. Sono tutte “polveri tossiche” che offuscano l’aria del nostro pianeta, impediscono la convivenza pacifica, mentre ogni giorno crescono dentro di noi l’incertezza e la paura del futuro.

Da ultimo, questa condizione di fragilità ci richiama il dramma della morte, che nelle nostre società dell’apparenza proviamo a esorcizzare in molti modi e a emarginare perfino dai nostri linguaggi, ma che si impone come una realtà con la quale dobbiamo fare i conti, segno della precarietà e fugacità della nostra vita.

Così, nonostante le maschere che indossiamo e gli artifizi spesso creati ad arte per distrarci, le ceneri ci ricordano chi siamo. Questo ci fa bene. Ci ridimensiona, spunta le asprezze dei nostri narcisismi, ci riporta alla realtà, ci rende più umili e disponibili gli uni verso gli altri: nessuno di noi è Dio, siamo tutti in cammino.

La Quaresima, però, è anche un invito a ravvivare in noi la speranza. Se riceviamo le ceneri col capo chino per ritornare alla memoria di ciò che siamo, il tempo quaresimale non vuole lasciarci a testa bassa ma, anzi, ci esorta a sollevare il capo verso Colui che dagli abissi della morte risorge, trascinando anche noi dalla cenere del peccato e della morte alla gloria della vita eterna.

Le ceneri ci ricordano allora la speranza a cui siamo chiamati perché Gesù, il Figlio di Dio, si è impastato con la polvere della terra, sollevandola fino al cielo. E negli abissi della polvere Egli è disceso, morendo per noi e riconciliandoci al Padre, così come abbiamo ascoltato dall’Apostolo Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore» (2Cor 5,21).

Questa, fratelli e sorelle, è la speranza che ravviva la cenere che siamo. Senza questa speranza siamo destinati a subire passivamente la fragilità della nostra condizione umana e, specialmente dinanzi all’esperienza della morte, sprofondiamo nella tristezza e nella desolazione, finendo per ragionare come gli stolti: «La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio quando l'uomo muore […] il corpo diventerà cenere e lo spirito svanirà come aria sottile» (Sap 2,1-3). La speranza della Pasqua verso cui ci incamminiamo, invece, ci sostiene nelle fragilità, ci rassicura del perdono di Dio e, anche mentre siamo avvolti dalla cenere del peccato, ci apre alla gioiosa confessione della vita: «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!» (Gb 19,25). Ricordiamoci questo: «l’uomo è polvere e in polvere ritornerà, ma è polvere preziosa agli occhi di Dio, perché Dio ha creato l’uomo destinandolo all’immortalità» (Benedetto XVI, Udienza Generale, 17 febbraio 2010).

Fratelli e sorelle, con la cenere sul capo camminiamo verso la speranza della Pasqua. Convertiamoci a Dio, ritorniamo a Lui con tutto il cuore (cfr. Gl 2,12), rimettiamo Lui al centro della nostra vita, perché la memoria di ciò che siamo – fragili e mortali come cenere sparsa nel vento – sia finalmente illuminata dalla speranza del Risorto. E orientiamo verso di Lui la nostra vita, diventando segno di speranza per il mondo: impariamo dall’elemosina a uscire da noi stessi per condividere i bisogni gli uni degli altri e nutrire la speranza di un mondo più giusto; impariamo dalla preghiera a scoprirci bisognosi di Dio o, come diceva Jacques Maritain “mendicanti del cielo”, per nutrire la speranza che dentro le nostre fragilità e alla fine del nostro pellegrinaggio terreno ci aspetta un Padre con le braccia aperte; impariamo dal digiuno che non viviamo soltanto per soddisfare i nostri bisogni, ma che abbiamo fame di amore e di verità, e solo l’amore di Dio e tra di noi riesce davvero a saziarci e a farci sperare in un futuro migliore.

Ci accompagni sempre la certezza che da quando il Signore è venuto nella cenere del mondo, «la storia della terra è storia del cielo. Dio e l’uomo sono legati ad unico destino» (C. Carretto, Il deserto nella città, Roma 1986, 55), e Lui spazzerà via per sempre la cenere della morte per farci risplendere di vita nuova.

Con questa speranza nel cuore, mettiamoci in cammino. E lasciamoci riconciliare con Dio.



mercoledì 5 marzo 2025

Papa Francesco «Cari fratelli e sorelle, come Maria e Giuseppe, pieni di speranza, mettiamoci anche noi sulle tracce del Signore, che si lascia trovare nella risposta d’amore che è la vita filiale.» Catechesi 05/03/2025 (testo)

PAPA FRANCESCO

CATECHESI DEL SANTO PADRE
PREPARATA PER L'UDIENZA GENERALE DEL 5 MARZO 2025

Mercoledì, 5 marzo 2025


È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 5 marzo, e che è stata annullata a causa della permanenza del Pontefice al Policlinico Gemelli. Di seguito il testo che, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi su "Gesù Cristo nostra speranza. L'infanzia di Gesù", propone una riflessione sul ritrovamento di Gesù al Tempio (Lc 2,49).


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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 8. «Figlio, perché ci hai fatto questo?» (Lc 2,49). Il ritrovamento di Gesù nel Tempio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In quest’ultima catechesi dedicata all’infanzia di Gesù, prendiamo spunto dall’episodio in cui, a dodici anni, Egli rimase nel Tempio senza dirlo ai genitori, i quali lo cercarono ansiosamente e lo ritrovarono dopo tre giorni. Questo racconto ci presenta un dialogo molto interessante tra Maria e Gesù, che ci aiuta a riflettere sul cammino della madre di Gesù, un cammino non certo facile. Infatti Maria ha compiuto un itinerario spirituale lungo il quale è avanzata nella comprensione del mistero del suo Figlio.

Ripensiamo alle varie tappe di questo percorso. All’inizio della sua gravidanza, Maria fa visita a Elisabetta e si ferma da lei per tre mesi, fino alla nascita del piccolo Giovanni. Poi, quando è ormai al nono mese, a causa del censimento, con Giuseppe va a Betlemme, dove dà alla luce Gesù. Dopo quaranta giorni si recano a Gerusalemme per la presentazione del bambino; e quindi ogni anno ritornano in pellegrinaggio al Tempio. Ma con Gesù ancora piccolo si erano rifugiati a lungo in Egitto per proteggerlo da Erode, e solo dopo la morte del re si erano stabiliti di nuovo a Nazaret. Quando Gesù, divenuto adulto, inizia il suo ministero, Maria è presente e protagonista alle nozze di Cana; poi lo segue “a distanza”, fino all’ultimo viaggio a Gerusalemme, fino alla passione e alla morte. Dopo la Risurrezione, Maria resta a Gerusalemme, come Madre dei discepoli, sostenendo la loro fede in attesa dell’effusione dello Spirito Santo.

In tutto questo cammino, la Vergine è pellegrina di speranza, nel senso forte che diventa la “figlia del suo Figlio”, la prima sua discepola. Maria ha portato al mondo Gesù, Speranza dell’umanità: lo ha nutrito, lo ha fatto crescere, lo ha seguito lasciandosi plasmare per prima dalla Parola di Dio. In essa – come ha detto Benedetto XVI – Maria «è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio […]. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata» (Enc. Deus caritas est, 41). Questa singolare comunione con la Parola di Dio non le risparmia però la fatica di un impegnativo “apprendistato”.

L’esperienza dello smarrimento di Gesù dodicenne, durante il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, spaventa Maria al punto che si fa portavoce anche di Giuseppe nel riprendere il figlio: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Maria e Giuseppe hanno provato il dolore dei genitori che smarriscono un figlio: credevano entrambi che Gesù fosse nella carovana dei parenti, ma non avendolo visto per un’intera giornata, incominciano la ricerca che li porterà a fare il viaggio a ritroso. Tornati al Tempio, scoprono che Colui che ai loro occhi, fino a poco prima, era un bambino da proteggere, è come cresciuto di colpo, capace ormai di coinvolgersi in discussioni sulle Scritture, reggendo il confronto con i maestri della Legge.

Di fronte al rimprovero della madre, Gesù risponde con disamante semplicità: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Maria e Giuseppe non comprendono: il mistero del Dio fatto bambino supera la loro intelligenza. I genitori vogliono proteggere quel figlio preziosissimo sotto le ali del loro amore; Gesù invece vuole vivere la sua vocazione di Figlio del Padre che sta al suo servizio e vive immerso nella sua Parola.

I Racconti dell’Infanzia di Luca si chiudono, così, con le ultime parole di Maria, che ricordano la paternità di Giuseppe nei confronti di Gesù, e con le prime parole di Gesù, che riconoscono come questa paternità tragga origine da quella del Padre suo celeste, del quale riconosce il primato indiscusso.

Cari fratelli e sorelle, come Maria e Giuseppe, pieni di speranza, mettiamoci anche noi sulle tracce del Signore, che non si lascia contenere dai nostri schemi e si lascia trovare non tanto in un luogo, ma nella risposta d’amore alla tenera paternità divina, risposta d’amore che è la vita filiale.


Intenzione di preghiera per il mese di Marzo 2025: Preghiamo per le per le famiglie in crisi. (commento, testo, video)

Intenzione di preghiera per il mese di Marzo 2025 
Preghiamo per le famiglie in crisi.

Preghiamo perché le famiglie divise 
possano trovare nel perdono la guarigione delle loro ferite, 
riscoprendo anche nelle loro differenze la ricchezza reciproca.

Nella sua intenzione di preghiera per il mese di marzo, Papa Francesco ci invita a pregare per le famiglie in crisi e a riflettere sull'importanza del perdono: “Perdonare significa dare un’altra possibilità. Dio lo fa con noi continuamente”. 
In questo video, prodotto dalla sua Rete Mondiale di Preghiera, il Papa ci dice che in famiglia “ogni persona è unica, ma le differenze possono anche provocare conflitti”. Aggiunge che il perdono è la chiave per guarire le ferite, “anche quando non è possibile il ‘lieto fine’ che vorremmo”. Attraverso questa intenzione, preghiamo insieme perché le famiglie divise trovino nel perdono la guarigione delle loro ferite, riscoprendo anche nelle loro differenze la ricchezza reciproca.

Guarda il video

Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

“Tutti sogniamo una famiglia bella, perfetta. 
Ma le famiglie perfette non esistono. 
Ogni famiglia ha i suoi problemi, e anche le sue grandi gioie. 
In una famiglia, ogni persona ha valore perché è diversa dalle altre, 
ogni persona è unica. 
Ma le differenze possono anche provocare conflitti e ferite dolorose. 
E la migliore medicina per curare il dolore di una famiglia ferita è il perdono. 

Perdonare significa dare un’altra possibilità. 
Dio lo fa con noi continuamente. 
La pazienza di Dio è infinita: 
ci perdona, ci rialza, ci permette di ricominciare. 
Il perdono rinnova sempre la famiglia, 
permette di guardare avanti con speranza. 

Anche quando non è possibile il “lieto fine” che vorremmo, 
la grazia di Dio ci dà la forza di perdonare e porta pace, 
perché libera dalla tristezza e, soprattutto, dal rancore. 

Preghiamo perché le famiglie divise 
possano trovare nel perdono la guarigione delle loro ferite, 
riscoprendo anche nelle loro differenze la ricchezza reciproca.”


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Francesco: il perdono, la migliore medicina
per curare le famiglie in crisi

Nel messaggio con le intenzioni di preghiera per il mese di marzo, registrato prima del ricovero al Gemelli, il Papa ricorda che "il perdono rinnova sempre la famiglia, permette di guardare avanti con speranza". Anche quando non è possibile il “lieto fine” che vorremmo, sottolinea il Pontefice, la grazia di Dio pacifica il cuore e libera da tristezza e rancore




"Le famiglie perfette non esistono". È il presupposto da cui muove il Papa per il suo messaggio - registrato prima del suo ricovero ospedaliero - con le intenzioni di preghiera per il mese di marzo. In ogni famiglia ci sono problemi e gioie, evidenzia il Pontefice, ma le ferite possono essere curate. La via è il perdono.

Nel perdono trovare la guarigione dalle ferite

Nel video diffuso come di consueto dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, compaiono immagini con famiglie da tutto il mondo nei loro luoghi di vita o in udienza dal Pontefice. Abbracci e porte chiuse, silenzi e ritrovamenti. Il Papa invita a pregare "perché le famiglie divise possano trovare nel perdono la guarigione delle loro ferite, riscoprendo anche nelle loro differenze la ricchezza reciproca".

In una famiglia, ogni persona ha valore perché è diversa dalle altre, ogni persona è unica. Ma le differenze possono anche provocare conflitti e ferite dolorose. E la migliore medicina per curare il dolore di una famiglia ferita è il perdono.

Il perdono libera da tristezza e rancore

"Perdonare - spiega il Papa - significa dare un’altra possibilità". Il Pontefice ricorda che Dio lo fa con noi continuamente.

La pazienza di Dio è infinita: ci perdona, ci rialza, ci permette di ricominciare. Il perdono rinnova sempre la famiglia, permette di guardare avanti con speranza. Anche quando non è possibile il “lieto fine” che vorremmo, la grazia di Dio ci dà la forza di perdonare e porta pace, perché libera dalla tristezza e, soprattutto, dal rancore.

Fones: aprirsi all'accompagnamento

Il gesuita Cristóbal Fones, direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa che cura i videomessaggi del Pontefice con le intenzioni tematiche mensili, commenta le parole di Francesco insistendo proprio sulla necessità che le famiglie accettino le differenze dentro il nucleo, le valorizzino, si aprano al perdono reciproco e all'accompagnamento nel caso di crisi. Viene inoltre ricordata l'Esortazione Apostolica Amoris Laetitia, in cui si sottolinea che le crisi matrimoniali si superano "in maniera soddisfacente" sapendo ricorrere alla grazia della riconciliazione: "Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare”. Superando una crisi si impara “ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa”.
(fonte: Vatican News, articolo di Antonella Palermo 04/03/2025)

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Anche nel mese di Marzo l'intenzione di preghiera del Papa è stata divulgata con un tweet


martedì 4 marzo 2025

Proteggere l’Europa è la nuova frontiera la democrazia contro autoritarismi e lutti di Anna Foa

Proteggere l’Europa 
è la nuova frontiera la democrazia
contro autoritarismi e lutti
di Anna Foa

Gli Stati Uniti e la Russia si sono alleati contro di noi, la nostra economia e i nostri valori. 
Il mondo intero assiste stupefatto alla demolizione della differenza fra vero e falso.



C’è un’immagine in cui Trump e Putin si danno la mano allungando smisuratamente le braccia nello spazio. Uno spazio che allude anche alla nostra piccola Europa, stretta fra i due colossi. Gli Stati Uniti e la Russia si sono infatti alleati contro l’Europa, la sua economia, la sua politica e i suoi valori. Venerdì il tycoon ha cacciato Zelensky dalla Casa Bianca insultandolo. Giorni fa aveva sostenuto, rovesciando tutte le verità storiche, che l’Ucraina aveva attaccato la Russia. Il mondo stupefatto guarda alla demolizione di tutto ciò in cui crede, la differenza fra il vero e il falso in primo luogo. In questa ultima incredibile vicenda, Trump ha anche, come è stato detto da Gabriele Segre su queste pagine, demolito l’arte della diplomazia, una pratica inventata nel Rinascimento italiano che da secoli ha impedito l’uso esclusivo della forza bruta.

L’Europa reagisce e i prossimi, vicinissimi vertici europei si accingono a dare una risposta all’attacco degli Usa e a ridisegnare gli equilibri europei. L’ultima volta in cui questi equilibri sono stati integralmente ridisegnati è stato alla Conferenza di Yalta, nel febbraio 1945, ottant’anni fa. La guerra non era ancora finita e i leader delle potenze vincitrici si riunirono a Yalta in Crimea per decidere del futuro del continente. Più di cinque anni di guerra lo avevano distrutto, era ridotto a un continente selvaggio, percorso in tutti i sensi da centinaia di migliaia di profughi in cerca di una casa. Stalin, Churchill, Roosevelt non avevano certo le stesse idee sul futuro dell’Europa, ma gli accordi si fanno sui compromessi. Subito dopo scoppiò la guerra fredda, ma la spartizione dell’Europa fra Est e Ovest resse e superò anche la frattura determinata dal 1989 e dalla fine dell’Urss.

Ma quarant’anni di comunismo avevano lasciato profonde conseguenze sull’Europa dell’Est, come ci dice tuttora il richiamo implicito di Putin alla ricostituzione della vecchia Urss, per non parlare dell’esito delle elezioni tedesche con l’alta percentuale di neonazisti nell’ex Ddr. Mentre in Occidente si costituiva una memoria della guerra e della Shoah che era volta anche ad erigere barriere in Europa contro razzismi e antisemitismi, all’Est, in particolare in Russia, la memoria del gulag non si è mai elaborata, anche perché avversata dai governi anche dopo l’89. Difficile quindi una ricostruzione unitaria dell’Europa e dei suoi valori democratici dopo il 1989.

Ora la Russia dello zar Putin ha stretto alleanza con il nuovo presidente degli Usa, in primis contro l’Unione europea, accusata da Trump, in barba a qualsiasi dato storico, di essere stata costruita contro gli Usa. In realtà, l’Europa è diventata il bersaglio di questa nuova alleanza tra Usa e Russia perché è ancora, nonostante tutto, un insieme di Stati caratterizzati dall’essere democrazie. Almeno in linea di principio, ma i principi sono importanti perché segnano il confine fra il giusto e l’ingiusto.

Difendere l’Europa – anzi trasformarla in una forza attiva, innovativa, capace di agire e non solo di reagire agli attacchi – diventa quindi una sorta di nuova frontiera per tutti, per i politici che nei prossimi giorni prenderanno decisioni importanti per tutti ma anche per tutti noi, che da un crollo o anche solo da una paralisi dell’Europa vedremo nascere autoritarismi, dittature e lutti. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno vissuto una guerra terribile e poi la costruzione di un nuovo mondo che si voleva di pace, con strumenti come il diritto internazionale, atti a rendere le guerre meno terribili. Ora tutto questo è in pericolo. Il Manifesto di Ventotene, immaginando l’Europa dal confino fascista, nell’anno più buio della guerra nazista, ha portato nella nostra vecchia Europa speranza e futuro. Riuscirà ora l’Europa a rinascere come una fenice dalle sue ceneri e diventare un’identità comune da salvaguardare e in cui identificarsi? Arriverà il momento in cui, se qualcuno ci chiederà cosa siamo, risponderemo soltanto “europei”? Continuiamo a sperarlo.

(Fonte: “La Stampa” - 2 marzo 2025)

lunedì 3 marzo 2025

Basta favori ai mercanti di armi!


Basta favori ai mercanti di armi!

Riprendiamo l’appello rivolto al Governo dalla Campagna di pressione alle «banche armate» − promossa da tre riviste (Missione Oggi dei Missionari Saveriani, Nigrizia dei Missionari Comboniani e Mosaico di Pace della sezione italiana di Pax Christi) − affinché non venga stravolta la legge sulle esportazioni italiane di armamenti, rendendole meno trasparenti.

(Foto di https://ilbolive.unipd.it/)

Chiediamo al Governo di ritirare il Disegno di Legge che intende modificare, in senso peggiorativo, la Legge n. 185 del 1990 che regolamenta le esportazioni italiane di armamenti e a tutti i Parlamentari di esprimere, con voto contrario, la propria opposizione 

In prossimità della discussione e del voto finale nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera sul Disegno di Legge (A.C. 1730) di iniziativa governativa, la Campagna di pressione alle «banche armate», promossa dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia, rivolge un ultimo appello al Governo e al Parlamentato per invitarli a non stravolgere la legge n. 185 del 1990 («Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento»).

Col pretesto di apportare «alcuni aggiornamenti» alla legge per «rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale», il Disegno di legge limita l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti, riduce al minimo l’informazione al Parlamento e alla società civile, e soprattutto, elimina dalla Relazione governativa annuale tutta la documentazione riguardo alle operazioni svolte dagli istituti di credito nell’import-export di armi e sistemi militari italiani.

La legge 185/90 è stata una conquista delle associazioni cattoliche e laiche che negli anni Ottanta hanno promosso un’ampia mobilitazione sociale denunciando gli scandali del commercio italiano di armamenti. Mobilitazione che ha portato a definire norme rigorose per impedire l’esportazione di armi e sistemi militari non solo agli Stati sottoposti a misure di embargo, ma anche a Paesi coinvolti in conflitti armati, a governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e verso Paesi la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione. Con la modifica proposta governo l’applicazione di questi divieti viene sottoposta alla discrezione del governo attraverso la reintroduzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) presieduto dal Presidente del Consiglio: questo è inammissibile.

Ma soprattutto verrà fortemente ridotta l’informazione al Parlamento e alla società civile, informazione che oggi è garantita dalla Relazione che la Presidenza del Consiglio deve inviare ogni anno alle Camere. Dalla Relazione verranno eliminati tutti i dati sulle singole autorizzazioni ed esportazioni per tipo di armi, quantità e valore e tutte le informazioni riguardo alle attività delle banche. Sono proprio queste informazioni che hanno finora permesso agli analisti della nostra Campagna di ricostruire e documentare numerose esportazioni di materiali d’armamento a Paesi a rischio e di conoscere gli istituti di credito che le hanno sostenute. I correntisti non sapranno più dalla Relazione annuale quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi in particolare verso regimi autoritari e Paesi coinvolti in conflitti armati.

La legge 185/90 non è mai stata accettata dai produttori di armi e dalle banche che li appoggiano. Nel corso degli anni la lobby militare-industriale ha cercato tutti i modi per manometterla e soprattutto di ridurre al minimo le informazioni sugli affari che vedono coinvolte aziende e gruppi bancari. Con queste ulteriori modifiche si illudono di mettere a tacere le voci critiche compresa la nostra Campagna.

Sollecitiamo pertanto tutti i cittadini a sostenere e firmare la petizione «Basta favori ai mercanti di armi!» promossa dalla Rete italiana Pace e Disarmo. Invitiamo infine tutte le congregazioni religiose, le diocesi e le parrocchie, le associazioni laicali e i correntisti ad inviare alla propria banca la «Lettera-modello» per chiedere al proprio istituto di credito di non offrire servizi finanziari alla produzione e al commercio di armi, di dotarsi di direttive restrittive e fornire informative pubbliche trasparenti su tutte le attività riguardanti il settore delle esportazioni di armamenti.
La Campagna di pressione alle «banche armate»

La Campagna di pressione alle «banche armate» è stata promossa nel gennaio del 2000 da tre riviste (Missione Oggi dei Missionari Saveriani, Nigrizia dei Missionari Comboniani e Mosaico di Pace della sezione italiana del movimento internazionale Pax Christi) e dal 2020 è co-promossa dalla rivista del Movimento nonviolento Azione Nonviolenta e dal sito Osservatorio Diritti. La Campagna è nata per informare riguardo alle attività degli Istituti di credito, italiani ed esteri, nel settore dell’esportazione italiana di armamenti e per offrire alle associazioni e ai cittadini un modo concreto per indurre la banca presso cui sono correntisti a non finanziare la produzione e la commercializzazione di armamenti e di armi comuni o, per lo meno, a definire delle direttive per autoregolamentare in modo rigoroso le attività finanziarie in questi settori.


Tutte le informazioni sul sito: www.banchearmate.org.
Per contattare la Segreteria della Campagna «banche armate»: campagnabanchearmate@gmail.com

di: Campagna di pressione alle “banche armate” 1 marzo 2025



domenica 2 marzo 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
2 marzo 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, Gesù, il Cristo, il Figlio che il Padre ci ha donato, è Lui l’uomo delle beatitudini. È Lui che nella sua povertà e piccolezza non divide il mondo in amici e nemici, in poveri e ricchi, in potenti e oppressi, ma guarda ed accoglie tutti come fratelli e sorelle per dar vita ad un mondo nuovo. Consapevoli della nostra cecità e malvagità rivolgiamo al Signore Gesù le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Abbi pietà di noi, Signore 

  

Lettore


- Tu, Signore, continui a chiamare uomini e donne, perché formino insieme la tua Chiesa. Fa’ che essa diventi sempre più un luogo di comunione e di fraternità e si presenti al mondo come vero segno profetico, che renda visibile che la pace è possibile nel tuo nome. Allontana da essa ogni tentazione di condanna e di giudizio sugli altri ed al suo interno. Preghiamo.

- A Te affidiamo, Signore, la salute di papa Francesco. Concedici di averlo ancora tra di noi, perché possa condurre la tua Chiesa sui sentieri della sinodalità e perché la sua voce libera e profetica possa continuare a dire al mondo intero che la guerra è un abominio. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore, per la pace nel mondo. Suscita in ogni angolo della terra uomini e donne capaci di profezia, perché l’umanità ritrovi la via della vita, dell’incontro, dell’aiuto reciproco. Con il tuo Santo Spirito illumina il cuore ottenebrato di tante persone e di tanti popoli, sempre più tentati dal demone della violenza e del narcisismo nazionalistico. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore e ti preghiamo per i ragazzi e i giovani, che si ritrovano a vivere in un tempo pieno di incognite e che lascia poco spazio alla speranza. La tua parola e la tua vicinanza possano infiammare i loro cuori per uscire dalle tante prigioni in cui si ritrovano rinchiusi e per provare ad immaginare un futuro, che profumi di vita e di umanità. Preghiamo.

- Davanti a te, o Gesù, primizia dei risorti dai morti, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo anche di coloro – uomini e donne – che con il loro stile di vita disarmato e con le loro scelte hanno donato la loro esistenza, portando frutti di amore, di pace e di giustizia. Accogli tutti nella comunione dei tuoi santi. Preghiamo.


Per chi presiede

Signore Gesù, Maestro di Sapienza, donaci occhi limpidi e un cuore rinnovato dal soffio del tuo Spirito, affinché possiamo vivere in questo mondo senza pregiudizi e ipocrisie, ma come fratelli e sorelle nella fede e in umanità. Te lo chiediamo perché tu sei la vera Pace e la Speranza che non delude, nei secoli dei secoli.
AMEN.