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venerdì 15 settembre 2023

Don Roberto Malgesini, il prete del prossimo: tre anni fa il suo martirio - Como non può dimenticare

Don Roberto Malgesini, il prete del prossimo: tre anni fa il suo martirio

La morte per strada, avvenuta con diverse coltellate, la vita spesa per chi in strada sopravvive. È la parabola del sacerdote di Como, ucciso esattamente tre anni fa mentre distribuiva la colazione ai poveri. Il “martirio” di un “testimone della carità”, così lo ha ricordato il Papa. Proprio nei mesi scorsi Francesco ha istituito, in vista del Giubileo 2025, la “Commissione dei Nuovi Martiri”

Don Roberto Malgesini

Con le mani levate in alto e un sorriso accennato, un insieme di timidezza e apertura agli altri. È l’immagine con la quale tanti, dopo la morte, hanno conosciuto don Roberto Malgesini, ucciso tre anni fa a Como davanti alla Chiesa di San Rocco mentre compiva il suo servizio, la sua missione di carità, offrire la colazione a chi vive in strada. L’uomo che gli ha tolto la vita, a soli 51 anni, aveva un viso conosciuto, ha ammesso la premeditazione e oggi sconta la sua pena definitiva ma l’ergastolo, inflitto in primo grado, è stato ridotto a 25 anni di carcere.

Il cuore aperto di don Roberto, il servire chi soffre, il carcere: sono tutti elementi che nella sua vita si sono intersecati generando bene nonostante la fine violenta subita. Papa Francesco ha fin da subito messo in luce il suo martirio, con i genitori Ida e Bruno, arrivati da Rogoledo, piccola frazione di Cosio Valtellino, aveva condiviso nell’ottobre 2020 il ricordo di quel figlio e il peso delle lacrime per una morte sentita ingiusta ma comprensibile solo alla luce dell’amore di Dio. Proprio mercoledì scorso, il papà di don Roberto si è spento a pochi giorni dal terzo anniversario della morte del sacerdote. È martire don Roberto come i tanti che la Commissione dei nuovi martiri, istituita dal Pontefice lo scorso 5 luglio in vista del Giubileo 2025, sta studiando; testimoni in questo secolo del Vangelo che hanno versato il loro sangue per Cristo.

Papa Francesco e i famigliari di don Roberto Malgesini,
al centro il papà Bruno scomparso qualche giorno fa

Il “pugno” del perdono

È nel carcere di Como che Zef Karaci, ex detenuto di origini albanesi, ha incontrato il sacerdote. Nel suo libro “Don Roberto Malgesini. Non c’è inizio senza perdono”, edito da San Paolo, ricorda che don Roberto quando si fermava in cella con i detenuti chiedeva sempre e solo l’acqua, non voleva che per lui sottraessero il caffè alla loro dispensa. Per raccontare chi era questo sacerdote, Zef racconta un episodio. “Una volta eravamo nella sala dove si incontrano i detenuti con gli avvocati e i magistrati, sentiamo improvvisamente delle urla, ci accorgiamo che due ragazzi stavano litigando. Ad un certo punto si mette in mezzo don Roberto per dividerli ma prende un colpo allo stomaco, un colpo involontario. Interviene l’agente di turno e i due litiganti vengono messi in stanze separate, don Roberto era piegato dal dolore. L’agente si offre di portarlo in infermeria e di fare una denuncia”. È a quel punto che qualcosa cambia. “Ma se dovessi fare una denuncia io starei meglio? Non credo – dice don Roberto - aggiungerei solo altro dolore”. La decisione è presa ma il sacerdote chiede di vedere separatamente i due ragazzi, chi lo ha colpito è in lacrime, chiede scusa, don Roberto asciuga il suo viso e gli dice che quello che è accaduto è solo un sogno, un incubo per cui è necessario svegliarsi, “la vita è meravigliosa da svegli non da addormentati”.

“Tu non sei il male che hai fatto”

Lo scrittore Zef Karaci
“Un uomo – racconta Zef Karaci - che sapeva perdonare all'istante, don Roberto era pieno di Dio, di Spirito Santo. Non era il prete delle chiacchiere ma dei fatti, disposto a entrare nei tuoi problemi, nei tuoi dolori. Se eri per terra, caduto e veramente disperato ti dava la mano ma non ti trascinava, cioè non toccava la tua libertà, restava con te, pronto a rialzarti e a farlo insieme”. Molti hanno definito don Roberto “il prete degli ultimi” ma in realtà lui, secondo Zef, era “il prete del prossimo” perché abbracciava chi capitava nel suo cammino. “Ho perso un amico che, durante la pandemia, mi diceva che continuava a fare il suo servizio, ‘chi mi ammazza?’ aggiungeva. Quando ho saputo quello che era successo ho pensato che forse in cielo non c’era giustizia, che io avevo fatto del male ed ero lì a raccontarlo mentre lui aveva sempre fatto del bene ma non c’era più”. Un tarlo che tormenta Zef che poi pensa a Cristo che risorge, al titolo di un libro - “Siamo nati e non moriremo mai più” – dedicato a Chiara Corbella Petrillo, al peso del perdono e della misericordia nella vita di don Roberto. Da qui la scelta di raccontarlo in due libri. “Lui mi ha insegnato che nel mio cuore c’è un pezzettino di quello di Dio, che tu non sei il male che hai fatto, che sei amato e voluto da Gesù e che nella vita si può cambiare perché la vita è fatta per essere contenti e non per accontentarsi”. Nel ricordare don Roberto Malgesini il suo vescovo, oggi cardinale Oscar Cantoni, ne aveva sottolineato la “testimonianza silenziosa”, “la delicatezza” con la quale si prendeva cura di chi soffriva, ma soprattutto metteva in luce il dono che aveva, quello di “inondare di dolcezza e di tenerezza le singole persone”. Un’eredità che ancora oggi in molti raccolgono in suo nome.
(fonte: Vatican News, articolo di Benedetta Capelli 15/09/2023)

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Tre anni dopo l’omicidio di don Roberto Malgesini, Como non può dimenticare


Era il 15 settembre 2020, una mattina come tante, quando don Malgesini è stato ucciso in piazza San Rocco mentre si preparava a distribuire le colazioni alle persone senza fissa dimora

Roberto Malgesini
(Foto di archivio)

Tre anni sono un refolo di vento quando improvvisamente ci si accorge che sono passati. Lo stesso vento che, tre anni fa, soffiava lungo la via Milano mentre don Roberto Malgesini si preparava a distribuire le colazioni a chi, per strada, non avrebbe ricevuto altrimenti nemmeno un sorriso, figuriamoci una brioche. Il 15 settembre a Como non è una data qualsiasi, per molti la connessione è immediata e quel numero sul calendario ricorda con chiarezza la morte di un uomo che per la città e gli ultimi della città in particolare aveva dato tutto.



L’omicidio a San Rocco

Tre anni fa, mentre la Breva, il vento che soffia sul lago, si arrampicava su per le vie di Como, don Roberto Malgesini moriva, ucciso da un uomo cui il prete aveva sempre teso una mano al momento del bisogno. Il suo nome è Ridha Mahmoudi, lo stesso nome con cui proprio nel corso della terribile giornata del 15 settembre 2020, anzi subito dopo aver accoltellato don Malgesini, si è presentato alle forze dell’ordine, rivendicando l’omicidio, poi più volte rinnegato in fase processuale.

Don Roberto lo conosceva molto bene: Mahmoudi viveva in Italia da tempo, nonostante avesse ricevuto non uno ma due decreti di espulsione e don Malgesini lo aveva sempre aiutato a trovare una propria strada a Como. Anche quella mattina di tre anni fa sarebbe stato pronto a tendergli la mano quando il tunisino gli riferì di avere mal di denti. «Dopo il giro delle colazioni ti porto in ospedale», gli aveva risposto don Roberto, prima che l’uomo lo colpisse più volte alla schiena con un coltello comprato mesi prima, al supermercato. Uno di quelli che si usano per tagliare l’arrosto.

Como, piazza San Rocco luogo dell'uccisione di don Roberto Malgesini: 
il cardinale Oscar Cantoni si reca con gli studenti del seminario per un momento di preghiera
(Foto di Andrea Butti)

Mahmoudi pensava di essere vittima di un complotto di cui riteneva che anche don Roberto facesse parte, un subdolo piano ordito insieme alle forze dell’ordine e agli avvocati per rispedirlo in Tunisia. Un piano che non solo esisteva solo nella sua testa, ma che don Roberto Malgesini non sarebbe neppure mai stato in grado di concepire. Rendersene conto è semplice per chi lo ha conosciuto, ma è possibile anche per chi non ha mai avuto la fortuna di incontrare la sua strada. La sua testimonianza, infatti, resta viva attraverso le parole delle persone che lo hanno incontrato e hanno sposato il suo progetto molto spontaneo di carità, la sua idea di città che partiva proprio lì, dal punto in cui è morto: San Rocco. Il cuore pulsante e sofferente di Como dove oggi campeggia il suo nome: largo don Roberto Malgesini.

La carità di don Roberto

Un’idea di città che dal quartiere dove don Roberto predicava la parola di Dio e la metteva in pratica mettendosi al servizio dei dimenticati della società - gli ultimi, i poveri, gli emarginati - prendeva vita tramite un grande progetto di convivenza. «La sua vita è stata spesa in un luogo e in un tempo in cui è anti economico e controproducente comportarsi come ha fatto lui, peraltro coinvolgendo molti giovani» ha detto Nello Scavo, giornalista comasco e inviato speciale di Avvenire, nell’ultima puntata di un podcast che La Provincia ha dedicato interamente alla vita di don Roberto, intitolato “Scriveva fuori dai margini”. Il podcast rientra nella serie “Storie nella Breva”, quelle storie che Como non può dimenticare e che vanno raccontate prima che il vento le porti via.

L’immagine di don Roberto Malgesini 
nella mensa di via Guanella
Il rosario in Duomo a Como 
dopo la morte di don Roberto











Don Roberto Malgesini
(Foto di archivio)

In questi sei episodi abbiamo provato a raccontare la sua storia, da quando era solo Robi e amava le montagne della Valtellina e i loro silenzi, al suo arrivo a San Rocco. Una storia che abbiamo voluto raccontare attraverso le voci di chi lo ha conosciuto, come Alagie, che quella mattina poco dopo le sette lo trovò riverso a terra mentre esalava gli ultimi respiri. Una storia che abbiamo ripercorso anche attraverso gli audio del processo tenutosi nel tribunale di Como a carico del suo assassino, in cui le voci intrise di nostalgia dei suoi volontari e dell’avvocato della famiglia Malgesini, Maurizio Passerini, si mescolano a quella di Ridha Mahmoudi. L’assassino di don Roberto, inizialmente condannato all’ergastolo, grazie a uno sconto di pena ottenuto con la sentenza di secondo grado per buona condotta uscirà dal carcere tra 15 anni.

Ridha Mahmoudi condannato all'ergastolo per
l'omicidio di don Roberto Malgesini lascia il tribunale di Como

(Foto di Andrea Butti)
Ma il suo gesto non ha cancellato e non può cancellare il ricordo che don Roberto ha impresso nella città di Como. Una città che non può permettersi di dimenticare e che sulle orme di don Malgesini è chiamata a mettersi in gioco come città di frontiera, luogo di partenze e di arrivi, come l’ha definita il cardinale Oscar Cantoni «diocesi dei martiri». Una città che sappia fare della solidarietà un valore, come insegnava, ogni giorno e in ogni gesto, don Roberto.

(fonte: La Provincia di Como, articolo di Martina Toppi 15/09/2023)