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Il grande cuore di Lampedusa:
la solidarietà che è una lezione alla politica piccola e cinica
Si sono gettati in mare per salvarli, hanno aperto la propria casa ai migranti stremati e affamati. Gesti immensi di amore e di cura: chi pensa tutto il giorno alle navi militari per affondare i barchini potrà mai capirli?
Non abbiamo ancora ben chiaro, a questo mondo, la potenza di alcune forze che si sprigionano dagli esseri umani in determinate circostanze. O anzi, è più corretto dire che non indaghiamo abbastanza quelle che non fanno notizia, quelle del bene. Quanto possano essere feroci in guerra gli uomini, lo sappiamo. Quanto siano capaci di infliggere sofferenze purtroppo, anche. Ma ad esempio, abbiamo davvero capito quanto potentissimo amore per il prossimo sia esploso nella piccola, benedetta isola di Lampedusa in questi giorni?
Da chi si è gettato in acqua per salvare persone disperate, aggrappate alle rocce di costa Tabaccara, migranti che stavano per affogare proprio quando toccavano già la terra, a chi ha aperto la propria casa per condividere un piatto di pasta con questi viaggiatori erranti del nostro tempo che giravano affamati e sperduti per i vicoli. Senza conoscerli prima, senza guardare il colore della loro pelle, con l’unica paura che tutti ne avessero avuto abbastanza dopo tutto quello che avevano passato, in terra e in mare. Beh, farebbe molto bene a tutte e tutti noi, nutrire un po’ le nostre anime guardando i volti, lo sguardo, di questi isolani. Togliendo di mezzo ogni romanticismo, e concentrandoci proprio sulla potenza, sulla forza che sta intorno a questi atti, a questo modo di intendere lo stare al mondo.
Lampedusa in questi giorni si è riempita di migliaia di piccoli gesti, visibili ed invisibili, pieni di un altro mondo possibile. Un altro modo di intendere il perché di un incontro così irrituale, per qualcuno come i turisti, forse unico e irripetibile, con quegli esseri umani che vengono dal deserto e dal mare, da paesi lontani. Ognuno di quelli che li hanno compiuti, quei gesti di cura e di amore verso chi aveva bisogno di aiuto, non pensa in cuor suo di essersi trovato lì per caso. Troppo grandi le forze che vengono messe in gioco, che si palesano, grazie ad un abbraccio con chi ha ricevuto solo bastonate fino ad allora, una bottiglietta d’acqua data in mano, con un sorriso, invece che lanciata in mezzo alla massa, come fossero animali di uno zoo.
Stava andando a cena con gli amici, Antonello Malta, vigile del fuoco, quando si è trovato davanti una decina di ragazzi del Burkina Faso che chiedevano qualcosa da mangiare. “Uno di loro si è perfino inginocchiato. Erano stremati” racconta Antonello. “Avanti ragazzi, tutti in veranda che adesso mangiamo!”. E con la madre ha organizzato una bella spaghettata. “Ma tutti i lampedusani lo stanno facendo” ci tiene a dire. Il selfie che lo ritrae insieme agli ospiti speciali, attorno al tavolo, felici, rende più di qualsiasi parola. “Servono scarpine per bambini, chi ne ha le porti in negozio” scrive Anna sulla chat di WhatsApp. Gesti immensi, che paragonati al cinismo con il quale la “politica” affronta queste sfide, davvero sembrano compiuti da giganti.
Ma non è il caso qui di fare questi paragoni: chi ha fatto e fa tutto questo perché “sente” un altro in difficoltà, non va raffrontato a chi non sente nulla. Una condizione, quella dei “ciechi e sordi” alle sofferenze altrui, così terribile da far provare pietà per loro: quando mai potranno, coloro che stanno tutto il giorno a pensare alle navi militari che devono affondare i barchini, ai consensi da prendere a seconda di quanti esseri umani sono capaci di respingere in mare o di far chiudere in un lager, provare la gioia dell’aver aiutato, dell’aver curato? È il privilegio questo, della gente normale. Che compie gesti come questi, perché gli viene dal cuore.
“Sono come noi, potrebbero essere fratelli, madri, padri, figli. Sono come noi”, ripete un ragazzo lampedusano con una bandana nera e la candela in mano, mentre partecipa alla fiaccolata in memoria di Mama Traorè, cinque mesi, annegata davanti agli occhi della sua giovane mamma proprio davanti al molo. Il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, ha indetto il lutto cittadino per questa piccola preziosa vita andata persa tra le onde. “Per tutti i morti in mare, che sono i nostri morti” dice, mentre apre la processione insieme a Don Carmelo, il parroco, e a centinaia di concittadini. Il Sindaco ha anche dichiarato che “serve una Mare Nostrum, una missione militare in mare per soccorrere i naufraghi senza che siano costretti ad ammassarsi a Lampedusa, ma possano essere trasportati direttamente nei porti siciliani” e ha aggiunto “una volta si pensava che le ong fossero un pull factor, ma non è vero. Dovremo collaborare tutti insieme, chiedere il loro aiuto”.
L’amore, la cura. Se fosse questo l’approccio anche istituzionale, il raziocinio di una politica pragmatica per affrontare la questione, ne uscirebbe finalmente risanato. Si toglierebbero le scorie ideologiche che fino ad ora hanno solo prodotto caos e sofferenze. Molti migranti in questi giorni girano per l’isola. L’altra sera si sono uniti in un ballo liberatorio insieme a turisti ed abitanti, dopo l’orrore patito in Libia e in Tunisia. Si è scaricata la tensione, insieme, e la musica è una terapia speciale. L’amore e la cura. Il contrario dell’odio e della paura. “Paura che non bisogna avere la tentazione di cavalcare” dice il Presidente Mattarella. Per fortuna che c’è Lampedusa a renderci un grande paese capace di piccoli gesti straordinari.
(fonte: L'Unità, articolo di Luca Casarini 16/09/2023)
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L'altra faccia degli sbarchi a Lampedusa,
i migranti ballano e cantano tra le vie del paese
La musica e i balli di chi ha attraversato il mare: così i migranti tornano a sorridere insieme ai turisti e ai cittadini dell'isola
Mentre l'hotspot della Croce Rossa è al collasso, nella piazza principale di Lampedusa i migranti si affollano davanti ai bar e ai locali del paese in cerca di normalità, dopo il lungo viaggio affrontato. Ed ecco che sulle note di Bob Marley e Shakira, si balla tutti insieme. Si canta e si cerca qualche sorriso in compagnia di turisti e cittadini.
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UN GELATO PER LA VITA
Dalla Bacheca Facebook di Valerio Giacoia (14/09/2023):
Questi ragazzi erano in fila per mangiare un gelato, a Lampedusa. Pensate, è la prima volta in vita loro che assaggiavano un gelato. Avranno pensato a un miracolo.
Fanno parte di quei 7000 sbarcati nelle ultime ore. Eludendo la sorveglianza dell'hotspot lager, al collasso, sono riusciti a raggiungere il centro dell'isola. Nella foto c'è il mio amico Vito Fiorino. Lui è il falegname-pescatore-gelataio, eroe, che all'alba del 3 ottobre del 2013 riuscì a salvare 47 naufraghi. Annegarono 368 persone, strage di cui quest'anno ricorre appunto il decennale.
Vito li ha visti per strada e ha fatto assaggiare a uno di loro un cono. Tempo pochi minuti, col passaparola, si sono messi in fila in 400. "Ho regalato gelati fino all'una di notte", mi ha detto al telefono, commosso, incredulo. Se i signori della guerra ai migranti guardassero in faccia questi ragazzi, tantissimi minorenni e da soli, si renderebbero conto di quanto sono poveri quando sparano dai loro fucili a bocca le cazzate che sparano. Gli invasori, come li definiscono, cercano solo un po' di respiro. Partendo, oggi, con un po' di nocciola e cioccolato di Vito.
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A Lampedusa una fiaccolata per le vittime migranti,
ma proseguono gli sbarchi
Candele e silenzio in ricordo di tutti i morti nel Mediterraneo: si è conclusa così, ieri sera, la giornata di lutto cittadino indetta dal sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, dopo la morte di una neonata di cinque mesi annegata nel ribaltamento di un’imbarcazione appena prima delle operazioni di salvataggio
Un corteo lungo e commosso, guidato dal primo cittadino e dal parroco, don Carmelo Rizzo, a partire dalle 20 di ieri sera ha attraversato la centralissima via Roma fino al porticciolo della Madonnina. In centinaia, isolani e migranti, hanno seguito la croce per le strade, mentre intorno proseguiva la gara di solidarietà verso i profughi. Intanto, sull’isola, si continua a sbarcare: 14 i salvataggi effettuati nell’arco di 12 ore, che hanno portato a Lampedusa altre 560 persone, facendo salire a oltre quattromila gli ospiti totali, mentre all’ora di pranzo nell' hotspot di Contrada Imbriacola, prima dei trasferimenti, si era sfiorata quota 5.500. Qui la Croce Rossa distribuisce pasti tre volte al giorno in un luogo che contiene un numero di persone almeno 8 volte maggiore di quelle che potrebbe ospitare. Tra questi, anche 291 minori non accompagnati. Uno di loro è un bambino di appena tre anni, i cui genitori sono morti durante la traversata del deserto libico: di lui si sta occupando la parrocchia di San Gerlando: anche qui i volontari proseguono senza sosta a preparare pasti e distribuire beni di prima necessità.
La solidarietà dei parrocchiani di San Gerlando
Don Carmelo Rizzo, parroco dell’isola, ha parlato ieri ai microfoni di Radio Vaticana - Vatican News, evidenziando come la solidarietà della sua comunità non si fermi neanche di fronte a una crisi così profonda.
“No, presso i parrocchiani non c’è stanchezza. C’è tanta generosità e voglia di fare”, ha detto, per poi raccontare le dure condizioni che hanno dovuto sopportare i migranti una volta sbarcati: “La giornata al molo è stata difficile, perché c’era un sole cocente e mancava l’acqua. L’attesa per loro era lunga vista l'imponenza degli arrivi. Si era generata un po’ di tensione, ma avevano solo bisogno di mangiare e dissetarsi”. Situazione resa più difficile dalle carenze materiali, che, per fortuna, sembrano risolvibili: “Credo che l’acqua inizi a scarseggiare, ma alcune navi di linea dovrebbero portarne. Servono anche medicine visto che ci sono diversi malati, anche le più comuni”, aggiunge Don Carmelo, che conclude parlando del grande senso di generosità della popolazione: “La gente qua riesce ad organizzarsi subito, apre le porte e quello che ha in casa lo mette a disposizione. Si ritorna proprio a fare quello che è giusto fare”.
(Vatican News, articolo di Roberta Barbi e Leone Spallino 15/09/2023)