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venerdì 10 febbraio 2023

«IO, CONVERTITO IN CARCERE DA DON ROBERTO MALGESINI»


«IO, CONVERTITO IN CARCERE DA DON ROBERTO MALGESINI»

Esce il 9 febbraio Don Roberto Malgesini-Non c'è pace senza perdono (San Paolo), il libro dell'ex detenuto Zef Karaci in cui racconta come gli incontri con il sacerdote ucciso a Como nel 2021 gli abbiano cambiato la vita

Il processo d’appello per l’omicidio di don Roberto Malgesini, il sacerdote di Como ucciso a coltellate il 15 settembre 2020 mentre, davanti alla sua chiesa, si preparava alla consueta distribuzione di un pasto caldo, si è concluso lo scorso novembre con la condanna dell’assassino: il senza fissa dimora di origini tunisine Ridha Mahmoudi, uno dei tantissimi disperati che don Roberto aiutava, dovrà scontare 25 anni di carcere, dopo che in primo grado era stato condannato all’ergastolo.

Ma se la vicenda giudiziaria appare definita, molto resta ancora da sapere sulla parabola umana e di fede di quest’uomo morto a soli 51 anni: la sua estrema riservatezza ha fatto sì che di lui si sapesse ben poco. Chi scrive ha cercato di ricostruirne la vita nel libro Asciugava lacrime con mitezza (San Paolo), raccogliendo le testimonianze di persone che lo hanno conosciuto. Ed è proprio questa la chiave di Don Roberto Malgesini-Non c’è inizio senza perdono, un nuovo libro, sempre edito da San Paolo che racconta una vita tanto eccezionale quanto rimasta, per sua scelta, nell’ombra. L’autore, Zak Karaci, ha conosciuto il sacerdote nel carcere di Como e, attraverso il contatto con lui, ha avviato un percorso di redenzione che dura anche adesso che ha da poco finito di scontare la pena. «È un libro grazie al quale l’incontro con il tema del perdono può darti una preziosa occasione per metterti in contatto con quel punto di debolezza che abita in ciascuno di noi e che tutti nascondiamo, agli altri, e forse prima ancora a noi stessi», scrive nelll’introduzione don Alberto Erba, aiuto cappellano nel carcere.

Don Roberto, come faceva sempre, arrivava anche lì sempre in punta di piedi. Spesso diceva ai detenuti poche parole, a volte nemmeno quelle. Eppure, riusciva sempre a scalfire la corazza di rabbia e dolore che ricopriva quegli uomini. Karaci, per esempio, racconta che un giorno don Roberto intervenne per sedare una lite tra due detenuti: ci riuscì, ma si prese anche un pugno involontario nello stomaco da uno di loro: «Il pugno non era rivolto a lui, ma il male lo sentiva eccome. Dopo tanto penare, terminata la rissa, intervenne anche un agente che era di turno e chiese a don Roby come stava, perché lo aveva visto piegato in due dal pugno carico di rabbia che aveva preso un attimo prima. Mi avvicinai anch’io e mi misi accanto al don. L’agente accompagnò i detenuti in due camere separate, così da evitare che si riaccendesse il confronto. Subito dopo, chiese a don Roby se avesse bisogno di andare in infermeria, di medicarsi, di fare una visita, visto che aveva appena preso un pugno abbastanza pesante. Con la sua consueta tranquillità, don Roby rispose: «Guardi, io non voglio nulla, il male passa. Sono certo che il ragazzo non voleva farmi del male. Nella colluttazione non ha visto niente e ha preso anche me, involontariamente. Ma è meglio così, perché se quel pugno l’avesse preso quell’altro lo avrebbe ridotto male. Quindi è meglio così, che lo abbia preso io».

Questo era don Roberto e queste pagine, scrive ancora l’autore, «saranno un vero incontro con don Roby, ma saranno anche un incontro con il perdono che ho ricevuto io, quello che ho incontrato in un luogo dove sembrava impossibile incontrarlo, come questo, che è il carcere. Perciò, racconterò anche di come l’ho avuto io per primo, di come mi sono accorto di averlo ricevuto, in situazioni in cui sembra non esserci più nulla da fare. Proprio lì nasce il cuore dell’uomo, il desiderio, la voglia di vivere dell’uomo e la coscienza che uno è fatto solo per essere felice... e che senza il perdono questo è impossibile».
(fonte: Famglia Cristiana, articolo di Eugenio Arcidiacono 03/02/2023)

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