“Cara maestra…” scrivono le ex allieve quarant’anni dopo.
L’impronta indelebile della relazione
“Se siamo quelle che siamo è anche per la fortuna di averla incontrata sulla nostra strada…”.
Per parlare di scuola prendo a prestito questa frase che conclude una lettera riportata da un giornale locale e rivolta alla “Cara maestra”, dalle sue allieve. Un gruppo di alunne della metà degli anni Settanta del Novecento ha preso carta e penna per salutare quella donna, quell’insegnante “mitica” che aveva saputo accompagnarle negli anni della scuola elementare e che in questi terribili mesi se ne è “andata”, vittima anche lei, probabilmente, del Coronavirus.
“Una maestra davvero all’avanguardia anche per gli anni Settanta – ricordano le sue ex allieve – ma soprattutto una persona umanamente straordinaria che ha lasciato su di noi un’impronta indelebile”.
Colpisce questo ricordo in un tempo in cui le scuole sono chiuse e si riducono prevalentemente a collegamenti via internet, corredati da innumerevoli discussioni sulla didattica a distanza e, tra l’altro, dalle polemiche sulla possibilità o meno di vivere “l’ultimo giorno di scuola” come un momento di passaggio importante nella vita dei nostri ragazzi e non solo loro.
Colpisce perché le parole delle ex allieve vanno al cuore della questione scolastica che non è costituito dalla didattica, bensì – quante volte è stato ripetuto – dalla relazione.
Certo che la didattica conta, nel bene e nel male. Certo che le tecnologie hanno tanti aspetti positivi insieme ad altrettante criticità. Tuttavia il vero problema della scuola in questo tempo di Coronavirus è proprio quello della mancanza e/o della trasformazione delle relazioni, con differenze non da poco riguardo alle età delle persone coinvolte. Non è infatti la stessa cosa trovarsi su una piazza virtuale per studenti delle superiori o per piccoli allievi della primaria. Non sono in ballo le stesse questioni, e le necessità delle persone coinvolte restano differenti.
Tuttavia l’importanza della relazione – vissuta con le diversità delle età e delle fasi di sviluppo – resta quella costante che trasforma lo stare insieme di un gruppo di pari e di adulti con loro, in una vera e proficua esperienza umana e scolastica.
Lo sanno bene gli insegnanti, che anche attraverso i monitor dei pc hanno provato anzitutto a costruire e coltivare relazioni prima ancora che trasmettere nozioni di matematica o di italiano. Hanno provato, con più o meno successo – forse era la prima volta per molti e nessuno “nasce imparato” – a “bucare” quel video dietro il quale si nascondono e si svelano insieme persone già conosciute e nello stesso tempo inaspettatamente nuove. Non è infatti la stessa cosa che incontrarsi in classe l’introdursi nelle case, nelle stanze “privatissime” di quei ragazzi – si pensi in particolare agli adolescenti – che hanno la capacità di trasformarsi radicalmente a seconda degli ambienti che frequentano.
Su queste dinamiche – oltre naturalmente su tutti gli aspetti di sicurezza, fattibilità eccetera eccetera – bisogna tenere accesa l’attenzione pensando alla ripartenza della scuola a settembre. Non si tratta di garantire l’istruzione. Almeno, non solo questo.
In gioco c’è la questione cruciale della crescita umana, personale, delle nuove generazioni. Con la mascherina o senza, ma necessariamente da “incontrare” e accompagnare in modo concreto, perché possano dire anche loro, tra tanti anni, di conservare “un’impronta indelebile” dei loro insegnanti e più in generale del tempo della scuola.
(fonte: Sir, articolo di Alberto Campoleoni 06/06/2020)