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martedì 2 giugno 2020

Per un 2 giugno nonviolento


Per un 2 giugno nonviolento

Si chiama Repubblica Italiana, è nata il 2 giugno del 1946, in un’urna elettorale, figlia della Resistenza e del Referendum. Democratica, unitaria, parlamentare, ha superato i traumi della dittatura e della guerra e ha poi partorito la Costituzione.

È questa la Repubblica che festeggiamo dopo 74 anni. È la nostra forma di stato, è il nostro patto istituzionale. Quando parliamo di “patria” (ma sarebbe meglio chiamarla “matria”, al femminile, come nella lingua tedesca, heimat, che dà un senso di cura, di casa, di accoglienza materna), parliamo della Repubblica che ha contribuito alla nascita dell’Europa concepita a Ventotene, che ne ha allargato i confini, che è inclusiva, aperta al futuro. Ecco, questa è la Repubblica, la patria che
noi festeggiamo.

I simboli della “difesa della Patria” oggi sono le mascherine, i guanti, il disinfettante; simboli di tutela della vita, della salute dei più deboli e fragili. Gli strumenti militari, invece, cacciabombardieri, blindati e corazzate non sono serviti a fermare il virus, non ci hanno difeso.

La proposta di rendere istituzionale l’organizzazione della Difesa non militare nasce dalla constatazione che essa è già operante nella società civile, e per questo ha raccolto il sostegno e l’adesione delle reti impegnate sui temi della pace, del disarmo, della nonviolenza, del servizio civile, della solidarietà, (Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile, Forum Nazionale per il Servizio Civile, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci!, Tavolo Interventi Civili di Pace).

Dunque, se davvero vogliamo difendere la Repubblica, dobbiamo potenziare le forme della difesa civile, non armata e nonviolenta. È per questo che proprio oggi, 2 giugno, abbiamo fatto un ulteriore passo con la Campagna “Un’altra difesa è possibile”, presentando al Parlamento una Petizione (in base all’articolo 50 della Costituzione), per chiedere un provvedimento legislativo sulla Difesa civile non armata e nonviolenta. Vogliamo rimuovere l’ostacolo delle enormi spese militari ed avere a disposizione risorse per garantire la difesa costituzionale, sanità, istruzione, formazione, ricerca, servizio e protezione civile.

Abbiamo avviato la Campagna “Un’altra difesa è possibile” nel 2014, con un testo di legge di iniziativa popolare depositato alla Camera con cinquantamila firme, poi accolto da oltre settanta parlamentari e assegnato alle Commissioni difesa e affari costituzionali.

Ora vogliamo rilanciare, e lo facciamo con la forma della Petizione, coinvolgendo direttamente i Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Abbiamo chiesto loro un incontro urgente, perché non possiamo permetterci di perdere ulteriormente tempo e sperperare altro denaro nelle spese militari. La patria/matria, la Repubblica, è sotto attacco, colpita da ingiustizie, povertà, disoccupazione, inquinamento, e deve essere difesa con misure efficaci, che solo la Difesa civile non armata e nonviolenta può offrire.

Dopo la pandemia e l’emergenza sanitaria, le forze da mettere in campo sono quelle del lavoro, medici e infermieri, le categorie delle arti e dei mestieri, gli studenti, gli educatori, gli immigrati, i bambini e le bambine, le madri e i padri, le ragazze e i ragazzi del Servizio civile universale.

Queste sono le vere ricchezze della Repubblica che ripudia la guerra.
Mao Valpiana
presidente del
Movimento Nonviolento
e coordinatore della campagna
Un’altra difesa è possibile

2 giugno 2020, Festa della Repubblica

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Don Sacco: basta frecce tricolori, sanno di guerra

Intervista al coordinatore nazionale di Pax Christi. Oggi è la festa della Repubblica. Non c’è la parata militare, ma ci sono le Frecce tricolori che da una settimana svolazzano nei cieli d’Italia


Frecce Tricolori a Trieste


Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, proprio non si riesce a celebrare la Repubblica senza armi?

È stato detto che ci «abbracciano». In sé le Frecce non fanno nulla di male, anche se si spendono soldi che invece potrebbero essere usati meglio. Il problema è culturale: le Frecce sdoganano l’idea della guerra non come una cosa brutta, che ammazza e dilania i corpi, ma di una guerra tecnologica, elegante, che dà prestigio.

A proposito di guerra tecnologica: non molto distante dalla sua parrocchia a Cesara (Vb) c’è Cameri, dove si producono F35.

Le Frecce tricolori in un certo senso sono funzionali agli F35, perché implicitamente «sponsorizzano» l’alta tecnologia militare. Nei mesi scorsi, quando molte fabbriche erano chiuse per la pandemia, a Cameri si è continuato a lavorare per produrre i cacciabombardieri, con la scusa del rispetto dei tempi di consegna e con il ricatto di mettere a rischio i posti di lavoro. Nel mio territorio ci sono molte industrie di rubinetti, servono per dare acqua, non per trasportare bombe. Quelle però sono state chiuse. Eppure anche lì erano in gioco posti di lavoro non meno importanti.

Le spese militari continuano ad essere ingenti: nel 2019 si è registrato l’aumento più consistente dalla fine della guerra fredda, l’Italia è al dodicesimo posto nella classifica mondiale, con una spesa di 26,8 miliardi di dollari (dati Sipri). A cosa servono tutte queste armi?

Servono soprattutto a chi le produce e a chi le vende. Intorno alle armi ci sono molte bugie e troppi interessi. C’è una lobby fortissima. Io ricordo sempre che padre Zanotelli trent’anni fa fu cacciato da Nigrizia, mensile dei comboniani, per la sue denunce del traffico armi, contro «Spadolini piazzista d’armi», dal titolo di un suo editoriale. Oggi le cose non sono migliorate.

Dalla relazione del governo al Parlamento sull’export di armi italiane, risulta che ne vendiamo due terzi armi a Paesi extra Ue ed extra Nato…

Le vendiamo all’Egitto, al regime di Al Sisi, che non rispetta i diritti umani, pensiamo a Giulio Regeni. Vendiamo bombe, prodotte in Sardegna, all’Arabia Saudita, che da anni bombarda lo Yemen. Vendiamo armi alla Turchia. Che altro c’è da aggiungere? Gli interessi sono immensi, spesso la politica tace o è succube di questa logica, tranne rare eccezioni. Eppure oggi è la festa di una Repubblica fondata su una Costituzione che afferma che «l’Italia ripudia la guerra».

Cosa ha pensato dei mezzi militari che portavano via le bare dei morti di Covid?

Una tragedia enorme, con migliaia di morti. Ma il rischio è che nell’immaginario comune passi l’idea che l’esercito sia l’unica forza capace di intervenire nell’emergenza. Poi però, una volta terminata, torna a preparare la guerra. Per questo dico che dovremmo investire su corpi civili di pace, perché non siamo in guerra.