VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN INDONESIA, PAPUA NUOVA GUINEA,
TIMOR-LESTE, SINGAPORE
(2-13 settembre 2024)
Martedì, 10 settembre 2024
DILI
16:30 SANTA MESSA nella Spianata di Taci Tol
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Il Papa al popolo timorese: avete il "buon profumo" di chi insegna ai figli a sorridere
Nell’omelia della Messa celebrata nella spianata di Taçi Tolu a Dili, davanti a 600 mila persone, Francesco invita a guardare alla tenerezza e semplicità dei bambini: attraverso di loro Dio si fa vicino, attenzione ai "coccodrilli che vogliono cambiare la vostra cultura e la vostra storia"
A Timor-Leste “è bello, perché ci sono tanti bambini”, “in ogni angolo si sente esplodere la vita. E questo è un dono grande” ma anche “un segno” per “fare spazio ai bambini" e "farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri”. L’invito di Papa Francesco attraversa tutta la spianata raggiungendo i circa 600 mila fedeli riuniti a Taçi Tolu, un’area protetta sulla costa timorese, a meno di dieci chilometri dalla capitale Díli.
Questo stesso luogo visitò nel 1989 San Giovanni Paolo II durante il suo viaggio nel Paese. E qui, in una zona caratterizzata da paesaggi pittoreschi e una ricca biodiversità, si è recato anche il Papa per celebrare la Messa nel pomeriggio di martedì 10 settembre - mattina in Italia - dopo aver incontrato in privato i membri della Compagnia di Gesù nella nunziatura apostolica.
L’arrivo del Papa
All'inizio l’emozione in attesa del passaggio del Santo Padre è palpabile: nel tragitto che da quest’ultima conduce alla spianata folla di uomini e donne assiepati ai lati delle strade, in molti sui tetti delle case e sulle macchine. Ad accogliere il Papa nella grande radura, una distesa umana di ombrelli bianchi e gialli distribuiti per l’occasione: molti fedeli sono qui dall’alba dopo avere affrontato ore di viaggio provenendo anche da regioni vicine, il sole è cocente e solo poco prima dell’inizio della celebrazione i parasole si chiudono rivelando il volto entusiasta di migliaia di persone.
Francesco nel tragitto fino al palco viene fermato più volte per dei saluti dalla macchina coperta, scatta una foto con alcuni vescovi e riceve in dono un ritratto da parte di un ragazzo. Dopo avere indossato i paramenti in sacrestia, il Pontefice prende posto sul grande altare allestito per l'occasione, accnto a lui i concelebranti, il cardinale Virgílio do Carmo da Silva, arcivescovo di Díli, e monsignor Norberto Do Amaral, vescovo di Maliana, presidente della conferenza episcopale di Timor-Leste.
La folla in attesa del Papa nella spianata
Un dono per sognare
“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”, scandisce nella sua omelia in spagnolo il Papa, ripetendo le parole del profeta Isaia proclamate nella prima Lettura: in una Gerusalemme prospera, ma in un momento di grande decadenza morale, “Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio”. La nascita di un bambino, riflette Francesco, è un “momento luminoso, di gioia e di festa”, che suscita “desideri buoni”, di “ritorno alla purezza e alla semplicità”. Di fronte a un neonato, “anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza”.
La vicinanza di Dio è attraverso un bambino, Dio si fa bambino, e non è solo per stupirci e farci commuovere, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarci modellare da Lui. Da lui, affinché possa curare le nostre ferite, appianare le nostre divergenze, porre in ordine l’esistenza.
Farsi piccoli per fare cose grandi
Sottolineando la presenza gioiosa di numerosi bambini nel giovane Paese del Sudest asiatico, Francesco evidenzia che solo “facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi”, come Maria, “che oggi veneriamo come Regina”, cioè “come la madre di un Re che ha voluto nascere piccolo, farsi nostro fratello”, spiega facendo riferimento al brano evangelico di Luca ascoltato poco prima in portoghese.
Maria (…) ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto.
Da qui il monito del Papa a non avere paura “di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi”, di ridimensionare i nostri progetti, “non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri”.
Il grande altare
Carità e misericordia
Tutto questo è simboleggiato molto bene, secondo Francesco, da due monili tradizionali timoresi, il Kaibauk e il Belak: il primo raffigura le corna del bufalo e la luce del sole, si mette a ornamento della fronte o sulla sommità delle abitazioni e rappresenta “la potenza di Dio, che dona la vita” rammentandoci che “anche noi possiamo cooperare con le nostre azioni al grande disegno della redenzione”. Complementare al Kaibauk è il Belak, che si indossa sul petto, rimanda al chiarore delicato della luna e alla tenerezza della madre e rende ciò che tocca “luminoso della stessa luce che riceve da Dio”.
Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così il Signore manifesta la sua regalità, fatta di carità e di misericordia.
Infine, la proposta del Papa di chiedere insieme, “ciascuno di noi, come donne e uomini, come Chiesa, come società”, di saper riflettere nel mondo “la luce forte, la luce tenera” del Dio dell’amore.
Profumo di sandalo e Vangelo
Al termine della celebrazione eucaristica ha preso la parola l’arcivescovo di Díli, il cardinale Virgílio do Carmo da Silva: “Oggi, questo luogo di Taçi Tolu è di nuovo l’epicentro di un evento storico per il popolo timorese”. Se la visita del Papa San Giovanni Paolo II ha segnato “il passo decisivo per il nostro processo di autodeterminazione” - ha detto riferendosi alla conquista dell’indipendenza - oggi la presenza di Papa Francesco contrassegna “un passo fondamentale nel processo di costruzione del Paese, della sua identità e cultura”. In passato, ha ricordato il porporato, esploratori e navigatori sono stati attirati nell’isola di Timor dal profumo del sandalo, che “a un certo punto della storia si è incrociato con quello del Vangelo”, persistente fino a oggi grazie all’impegno continuo dei missionari.
Fedeli di tutte le età nella spianata per la messa di Papa Francesco
Francesco ha dunque aggiunto a braccio che il sandalo ha un buon profumo, ma la cosa migliore che ha il Timor è "il suo popolo. Non posso dimenticare questo popolo ai lati del cammino, con i bambini. Quanti bambini avete! La cosa migliore che ha il popolo è il sorriso dei suoi bambini. E un popolo che insegna a sorridere ai suoi bambini è un popolo che ha un futuro".
Richiamando con una battuta i coccodrilli che vivono in alcune spiagge del Paese, il Papa ha messo in guardia dai "coccodrilli che vogliono cambiare la cultura, la storia, perché mordono forte". "Io vi auguro la pace, vi auguro di continuare ad avere molti figli", ha detto invitando a prendersi cura dei bambini e degli anziani, "che sono la memoria di questa terra", prima di concludere, tra gli applausi, con un incoraggiamento a guardare avanti e a farlo con speranza.
(fonte: Vatican News, articolo di Lorena Leonardi 10/09/2024)
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SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Spianata di Taci Tolu (Dili, Timor Leste)
Martedì, 10 settembre 2024
«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).
Queste sono le parole con cui il profeta Isaia si rivolge, nella prima Lettura, agli abitanti di Gerusalemme, in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale.
C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a se stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti. Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l’infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità. La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetto nasconde così una realtà molto più oscura, molto più dura e crudele, in cui c’è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione.
Per questo il profeta annuncia ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza, un futuro di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre (cfr Is 9,1-4). Farà sorgere per loro una grande luce (cfr v. 1) che li libererà dalle tenebre del peccato da cui sono oppressi, e lo farà non con la potenza di eserciti, di armi o ricchezze, ma attraverso il dono di un figlio (cfr vv. 5-6).
Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio.
In ogni luogo la nascita di un figlio è un momento luminoso, un momento di gioia e di festa, e a volte suscita anche in noi desideri buoni, di rinnovarci nel bene, di ritornare alla purezza e alla semplicità. Di fronte ad un neonato, anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza. La fragilità di un bambino porta sempre un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, portando con sé movimenti e propositi di armonia e di serenità. È meraviglioso, fratelli e sorelle, quello che succede alla nascita di un bambino!
La vicinanza di Dio è attraverso un bambino. Dio si fa bambino. E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza.
A Timor Est è bello, perchè ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere la vita. E questo è un regalo, un dono grande: la presenza di tanta gioventù e di tanti bambini, infatti, rinnova costantemente la nostra energia e la nostra vita. Ma ancora di più è un segno, perché fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore. Facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi.
Oggi veneriamo la Madonna come Regina, cioè la madre di un Re, Gesù, che ha voluto nascere piccolo, farsi nostro fratello, chiedendo il “sì” di una giovane umile e fragile (cfr Lc 1,38).
Maria questo lo ha capito, al punto che ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto.
Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri.
Tutto questo è simboleggiato molto bene da due bellissimi monili tradizionali di questa terra: il Kaibauk e il Belak. Tutti e due sono di metallo prezioso. Vuol dire che sono importanti!
Il primo simboleggia le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come pure sulla sommità delle abitazioni. Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita. Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della redenzione.
Il secondo, poi, il Belak, che si mette sul petto, è complementare al primo. Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera. Parla di pace, di fertilità, di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rende ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio.
Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così Il Signore manifesta la sua regalità, fatta carità e misericordia.
E allora chiediamo insieme, in questa Eucaristia, ciascuno di noi, come donne e uomini, come Chiesa, come società, di saper riflettere nel mondo la luce forte, la luce tenera del Dio dell’amore, di quel Dio che, come abbiamo pregato nel Salmo responsoriale, «solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi […]» (Sal 113,7-8).
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Cari fratelli e sorelle,
ho pensato molto: qual è la cosa migliore che ha Timor? Il sandalo? La pesca? Non è questa la cosa migliore. La cosa migliore è il suo popolo. Non posso dimenticare la gente ai lati della strada, con i bambini. Quanti bambini avete! Il popolo, che la cosa migliore che ha è il sorriso dei suoi bambini. E un popolo che insegna a sorridere ai bambini è un popolo che ha un futuro.
Ma state attenti! Perché mi hanno detto che in alcune spiagge vengono i coccodrilli; i coccodrilli vengono nuotando e hanno il morso più forte di quanto possiamo tenere a bada. State attenti! State attenti a quei coccodrilli che vogliono cambiarvi la cultura, che vogliono cambiarvi la storia. Restate fedeli. E non avvicinatevi a quei coccodrilli perché mordono, e mordono molto.
Vi auguro la pace. Vi auguro di continuare ad avere molti figli: che il sorriso di questo popolo siano i suoi bambini! Prendetevi cura dei vostri bambini; ma prendetevi cura anche dei vostri anziani, che sono la memoria di questa terra.
Grazie, tante grazie per la vostra carità, per la vostra fede. Andate avanti con speranza!
E ora chiediamo al Signore di benedirci tutti, e poi canteremo un canto alla Vergine Maria.
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Foto e video
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