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domenica 29 settembre 2024

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN LUSSEMBURGO E BELGIO (26-29 settembre 2024) - Il Papa incontra anziani malati e poveri - docenti dell'Università - vittime di abusi del clero in Belgio (testi, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN LUSSEMBURGO E BELGIO

(26-29 settembre 2024)


Venerdì, 27 settembre 2024

BRUXELLES - LEUVEN

16:30 INCONTRO CON I DOCENTI UNIVERSITARI nella “Promotiezaal” della “Katholieke Universiteit Leuven”

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Il Papa a sorpresa in una casa di carità a Bruxelles
tra anziani malati e poveri 

Dopo la visita al Castello di Laeken per l'incontro con i sovrani e con le autorità del Belgio, Francesco si è recato nella Home Saint-Joseph, nel quartiere di Marolles. Una struttura gestita dalle Piccole Sorelle dei Poveri che accoglie donne e uomini avanti negli anni, gravemente malati e con scarse possibilità economiche. Il Pontefice ha salutato e benedetto tutti i presenti, tra cui Madame Zelle di 102 anni e Agata originaria di Bari. Ha assicurato preghiere e chiesto di pregare per lui

Il Papa durante l'incontro con gli anziani presso la Home Saint-Joseph a Bruxelles

«Mon Dieu, il Papa, mi tremano i polsi…». Dalle teste coronate a quelle canute, dai troni alle sedie a rotelle, dallo sfarzo del Castello reale di Laeken, il “Buckingham Palace del Belgio”, ad una piccola “casa” di metà ’800 a più piani, la Home Saint-Joseph, dedita all’accoglienza di anziani malati poveri o a basso reddito, con le mura colorate, i pavimenti in legno e l’odore di minestra appena cucinata. Succede questo nei viaggi apostolici di Francesco, che nel giro di poche ore ci si possa trovare in mondi diversi seppur racchiusi nel recinto di un’unica città. Bruxelles, in questo caso, capitale del Belgio e cuore pulsante dell’amministrazione UE, dove il Papa è giunto ieri sera dal Lussemburgo, accolto dai re Philippe e dalla regina Mathilde e dai loro gesti, quasi confidenziali, che rivelano un’amicizia sincera oltre il rapporto istituzionale. Il tutto in mezzo ad una pioggia battente che ha lasciato il posto ad un vento pungente, questa mattina, quando invece il Papa si è recato al Castello di Laeken, per la visita di cortesia ai reali, scortato dalla Garde royale a cavallo al centro di uno scenario mozzafiato di alberi e fontane, tra viali di ciottoli e il riflesso sulle finestre dei lampadari cristallo.

Fuori programma

Il programma, dopo l'incontro con le autorità, prevedeva una pausa di oltre cinque ore prima degli appuntamenti di oggi pomeriggio, ma il corteo papale ha deviato nella direzione opposta della Nunziatura, residenza del Papa in questi giorni di viaggio, per addentrarsi nelle viuzze di Marolles, quartiere trendy costellato da pub indie e mercati delle pulci, e raggiungere la Home Saint-Joseph.

Il passaggio della macchina del Papa tra le vie del quartiere Marolles

L'accoglienza nella Home Saint-Joseph

La gente, allertata dalle sirene e dalla lunga fila di auto e pullmini neri, è scesa in strada per salutare Francesco che ha fatto fermare la Fiat 500 L bianca per salutare un gruppo di bambini e una donna in ginocchio con le braccia a mo’ di preghiera. L’auto ha poi curvato per fare ingresso nella casa di carità. Due suore delle Piccole Sorelle dei Poveri, congregazione fondata da Santa Giovanna Jugan da cui ha ereditato il carisma della solidarietà verso i più fragili, si sono subito avvicinate al Papa per dirgli «grazie» di questa sorpresa. «Con gioia», ha risposto Francesco, chiedendo informazioni rapidamente sulla loro congregazione. Le mura sottili rimandavano intanto dall’interno il suono di una chitarra, accompagnata dal battito delle mani. Erano gli operatori della casa che avevano intonato un canto insieme alle «sorelline» e i «fratellini», come a Saint-Joseph chiamano gli anziani con malattie gravi, ritardi cognitivi e problemi economici, che accolgono da più di un secolo in quelle mura, offrendo pasti e cure. E anche gesti di attenzione, per alleviare anche dalla solitudine o dal trauma del trasferimento, come un mazzo di fiori sul comodino o il biglietto «Soyez la bienvenue» sulla porta della stanza. Disposti in semicerchio, con al centro gli anziani sulle carrozzine elettriche o quelli paralizzati dalla malattia, tutti i presenti nel salone della Home Saint-Joseph hanno accolto il Papa con un applauso. Le suore e le infermiere che, intanto sorreggevano alcuni anziani, saltellavano non potendo battere le mani.

Francesco saluta Denise, "Madame Zelle", di 102 anni

Il saluto a Madame Zelle, 102 anni...

«Vi benedico e prego per voi. Voi pregate per me!», le parole di Jorge Mario Bergoglio in francese, seduto al centro della stanza. «Tous le jours, tous le jours… Tutti i giorni», hanno assicurato in coro alcune donne. Al Papa le religiose hanno regalato dei libri e gli hanno presentato Madame Zelle, come vuole farsi chiamare Denis Lallemande, un passato da tata, a 102 anni un po’ la mascotte della casa. «Complimenti!», le ha detto Papa Francesco, sporgendosi in avanti dalla sedia a rotelle per stringerle la mano. Assisteva intanto commosso a tutta la scena un giornalista belga al seguito del Pontefice che non si aspettava di ritrovare lì la babysitter di quando era bambino. «Ha aiutato tanto la nostra famiglia», racconta.

...e ad Agata, italiana da 60 anni in Belgio

Dopo Madame Zelle, il Papa ha voluto – nonostante lo spazio ristretto – salutare uno ad uno i presenti. Una piccola calca si è subito creata mentre la carrozzina di Francesco si addentrava tra le file di altre carrozzine. Tra grida di «Saint-Père» e di nuovo canti, si distingueva, seppur flebile, la voce di Agata in italiano: «Santo Padre, venga qui, sono paralitica. Vengo da Bari. Santo Padre, venga qui, sono paralitica. Vengo da Bari…». Quasi una litania che la donna, pugliese ma da sessant’anni a Bruxelles, occhi azzurri e collo incrinato a causa della malattia, ha ripetuto finché Francesco non le è apparso davanti, le ha stretto una mano e le ha regalato un Rosario. «Gli volevo dire di pregare per me e che io prego per lui – racconta Agata ai media vaticani – lo vedo sempre in tv e ora l’ho visto in presenza. Una cosa rara, una cosa meravigliosa e rara». «Ah sì – aggiunge, tenendo stretta in mano la coroncina – gli ho detto pure che prego sempre per tutti gli ammalati perché stiano bene e perché finisca la guerra. Ho sentito che vogliono buttare delle bombe».

Suore, ospiti e operatori della Home Saint-Joseph

L’incontro si è concluso con la preghiera del Padre Nostro e una nuova richiesta di preghiera da parte di Papa Francesco: «Pregate per me. A favore, non contro!». Da lì il congedo, con alcune suore che hanno seguito l’auto fino all’uscita continuando a salutare e ringraziare il Papa, e il passaggio tra le strade di Bruxelles, sotto un cielo uggioso che allunga l’ombra dei grandi palazzoni sedi istituzionali europee.
(fonte: Vatican News, aticolo di Salvatore Cernuzio 27/09/2024)

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Papa Francesco all'Università Cattolica di Leuven:
“Allargate i confini della conoscenza”

Incontro a Lovanio, nella università di lingua fiamminga. Progettare il futuro. Superare il mondo che ha smesso di cercare la verità. Andare oltre i poli opposti dell’incertezza e del razionalismo

Papa Francesco Università Lovanio | | Daniel Ibanez / ACI Group

Dal 1968, l’Università Cattolica di Lovanio è divisa in due entità. La Katholieke Universiteit Leuven, di lingua fiamminga, e l’Universitè Catholic de Louvain, di lingua francese, e la seconda è stata insediata in una nuova cittadella, Louvain-la-Neuve. Ma nascono come una sola entità, uno studio voluto da Papa Martino V nel 1425, che comincia quest’anno accademico il 600esimo anno di vita. In visita all’università, Papa Francesco chiede di allargare i confini della conoscenza, in un mondo in cui la ricerca della verità sembra essere messa da parte.

Non è un appello banale, perché Lovanio è anche stata università di fermenti, considerata culla del mondo progressista grazie ai grandi apostoli del Concilio Vaticano II, come il Cardinale Leo Suenens o come il teologo domenicano Schillebeeckx, e anche perché a Lovanio studiò Gustavo Gutierrez, che diede poi il nome alla teologia della liberazione. Ma Lovanio è prima di tutto il motore culturale ed economico della zona, con cliniche universitarie, migliaia di posti di lavoro, e un laboratorio di sapere tra i più avanzati del mondo.

Papa Francesco vi arriva nel pomeriggio, subito dopo l’incontro con le autorità, nel secondo degli incontri di un viaggio in Belgio che rappresenta una grande sfida per il pontificato, perché nella culla dell’Europa secolarizzata. Nel mezzo, Papa Francesco ha incluso una visita alle Piccole Sorelle dei Poveri nella Casa Saint-Joseph. Dal 1856, la Casa Saint-Joseph accoglie anziani poveri e di modesto reddito nel cuore dei Marolles a Bruxelles. Nel corso degli anni, generazioni di residenti, sorelline e laici si sono succedute tra le mura di questa casa, perpetuando e attualizzando la missione di Santa Giovanna Jugan.

Nella Università di Leuven, quella fiamminga, Papa Francesco decide di incontrare i professori, che tra l’altro hanno lavorato sul tema delle migrazioni, molto critico in Belgio.

Luc Sels, rettore del’Università, centra la sua riflessione sul rifugiato, ma anche sul tema LGBTQ+, sul ruolo della donna. Si chiede se la Chiesa non possa avvicinare di più le persone se non fosse rigida sulle questioni di genere, dice che i teologi dell’università stanno lavorando su quello, sottolinea di apprezzare che nel Sinodo per la prima volta hanno avuto diritto di voto. E conclude chiedendosi: “Apriamo la porta?”

Sono questioni che testimoniano un indirizzo dell’università, centrato sul tema di una sorta di “democratizzazione” della Chiesa, che forse risiede anche nel fatto che la Chiesa abbia sempre meno presa sulla popolazione, e sulla montante secolarizzazione.

Il Papa sottolinea che il primo compito dell’università è proprio di “offrire una formazione integrale perché le persone ricevano gli strumenti necessari a interpretare il presente e progettare il futuro”, considerando che le università “non devono correre il rischio di diventare cattedrali nel deserto” con una informazione fine a se stessa, ma devono mantenere la loro caratteristica di spazi generativi.

L’invito di Papa Francesco è, appunto, quello di allargare i confini della conoscenza, che non significa “moltiplicare le nozioni e le teorie”, ma piuttosto di fare della formazione accademica “uno spazio che comprende la vita e pala alla vita”.

Papa Francesco sottolinea che la grande missione, oggi, è quello di “allargare i confini e diventare uno spazio aperto per l’uomo e per la società”, in un contesto ambivalente come quello attuale, perché “da una parte, siamo immersi in una cultura segnata dalla rinuncia alla ricerca della verità”, e dall’altra si parla della verità, ma in modo razionalista, “come se la vita fosse ridotta unicamente alla materia”.

Così si trova da una parte “l’incertezza dello spirito che consegna all’incertezza permanente e all’assenza di passione”, e in effetti “cercare la verità è faticoso, perché ci costringe a uscire da noi stessi”, mentre la stanchezza dello spirito ci fa rimanere attratti da una fede “facile, leggera, confortevole, che non mette mai nulla in discussione”.

Dall’altro lato, c’è il “razionalismo senz’anima”, favorito dalla cultura tecnocratica, che porta la realtà ad essere inclusa “dentro i limiti di ciò che è visibile”, e “viene meno lo stupire, viene meno quella meraviglia interiore che ci spinge a cercare oltre, a guardare il cielo, a scovare quella verità nascosta che affronta domande fondamentali”.

Per superare queste due situazioni, Papa Francesco invita a pregare perché Dio “allarghi i nostri confini”, chiedendo che “Dio benedica il nostro lavoro, al servizio di una cultura capace di affrontare le sfide di oggi”, con la consapevolezza di non sapere ancora tutto che “deve spingervi sempre in avanti, aiutarvi a mantenere accesa la fiamma della ricerca e a rimanere una finestra aperta sul mondo di oggi”.

Alla fine del discorso, Papa Francesco affronta il tema della giornata, quello delle migrazioni. E ringrazia perché “allargando i confini, vi siete fatti spazio accogliente per tanti rifugiati che sono costretti a fuggire dalle loro terre, tra mille insicurezze, enormi disagi e sofferenze a volte atroci”. Papa Francesco nota che “mentre alcuni invocano il rafforzamento dei confini, voi, in quanto comunità universitaria, i confini li avete allargati, avete aperto le braccia per accogliere queste persone segnate dal dolore, per aiutarle a studiare e a crescere”.

È questo che serve, secondo Papa Francesco: “una cultura che allarga i confini, che non è “settaria” né si pone al di sopra degli altri ma, al contrario, sta nella pasta del mondo portandovi dentro un lievito buono, che contribuisce al bene dell’umanità. Questa speranza è affidata a voi”.

Così, Papa Francesco affida ai professori universitari il compito di essere inquieti e di essere “protagonisti nel generare una cultura dell’inclusione, della compassione, dell’attenzione verso i più deboli e verso le grandi sfide del mondo in cui viviamo”.

(fonte: Aci Stampa, aticolo di Andrea Gagliarducci 27/09/2024)

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INCONTRO CON I DOCENTI UNIVERSITARI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

“Promotiezaal” della “Katholieke Universiteit Leuven” 


Signor Rettore,
illustri Professori,
cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!

Sono lieto di trovarmi qui in mezzo a voi e ringrazio il Rettore per le sue parole di benvenuto, con le quali ha ricordato la storia e la tradizione in cui questa Università è radicata, come pure alcune delle principali sfide odierne da cui siamo tutti interpellati. È questo il primo compito dell’Università: offrire una formazione integrale perché le persone ricevano gli strumenti necessari a interpretare il presente e a progettare il futuro.

La formazione culturale, infatti, non è mai fine a sé stessa e le Università non devono correre il rischio di diventare delle “cattedrali nel deserto”; esse sono, per loro natura, luoghi propulsori di idee e di stimoli nuovi per la vita e il pensiero dell’uomo e per le sfide della società, cioè spazi generativi. È bello pensare che l’Università genera cultura, genera idee, ma soprattutto promuove la passione per la ricerca della verità, al servizio del progresso umano. In particolare, gli Atenei cattolici, come questo, sono chiamati a «portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte» (Cost. ap. Veritatis gaudium, 3).

Desidero allora rivolgervi un semplice invito: allargare i confini della conoscenza! Non si tratta di moltiplicare le nozioni e le teorie, ma di fare della formazione accademica e culturale uno spazio vitale, che comprende la vita e parla alla vita.

C’è una breve storia biblica narrata nel Libro delle Cronache, che mi piace qui richiamare. Il protagonista è Iabes, che rivolge a Dio questa supplica: «Se tu mi benedicessi e allargassi i miei confini» (1 Cr 4,10). Iabes significa “dolore”, ed era stato chiamato così perché la mamma, nel partorirlo, aveva sofferto molto. Ma ora Iabes non vuole restare chiuso nel proprio dolore, trascinandosi nel lamento, e prega il Signore di “allargare i confini” della sua vita, per entrare in uno spazio benedetto, più grande, più accogliente. Il contrario sono le chiusure.

Allargare i confini e diventare uno spazio aperto per l’uomo e per la società è la grande missione dell’Università.

Nel nostro contesto, infatti, ci troviamo davanti a una situazione ambivalente, in cui i confini sono ristretti. Da una parte, siamo immersi in una cultura segnata dalla rinuncia alla ricerca della verità. Abbiamo perduto l’inquieta passione del cercare, per rifugiarci nella comodità di un pensiero debole – il dramma del pensiero debole! –, per rifugiarci nella convinzione che tutto sia uguale, che una cosa valga l’altra, che tutto sia relativo. Dall’altra parte, quando nei contesti universitari e anche in altri ambiti si parla della verità, si scade spesso in un atteggiamento razionalista, secondo cui può essere considerato vero soltanto ciò che possiamo misurare, sperimentare, toccare, come se la vita fosse ridotta unicamente alla materia e a ciò che è visibile. In tutti e due i casi i confini sono ristretti.

Sul primo versante, abbiamo la stanchezza dello spirito, che ci consegna all’incertezza permanente e all’assenza di passione, come se fosse inutile cercare un senso in una realtà che rimane incomprensibile. Questo sentimento emerge spesso in alcuni personaggi delle opere di Franz Kafka, che ha descritto la condizione tragica e angosciante dell’uomo del Novecento. In un dialogo tra due personaggi di un suo racconto, troviamo questa affermazione: «Credo che lei non si occupi della verità soltanto perché è troppo faticosa» (Racconti, Milano 1990, 38). Cercare la verità è faticoso, perché ci costringe a uscire da noi stessi, a rischiare, a farci delle domande. E quindi ci affascina di più, nella stanchezza dello spirito, una vita superficiale che non si pone troppi interrogativi; così come allo stesso modo ci attira di più una “fede” facile, leggera, confortevole, che non mette mai nulla in discussione.

Sul secondo versante, invece, abbiamo il razionalismo senz’anima, in cui oggi rischiamo di cadere nuovamente, condizionati dalla cultura tecnocratica che ci porta a questo. Quando si riduce l’uomo alla sola materia, quando la realtà viene costretta dentro i limiti di ciò che è visibile; quando la ragione è soltanto quella matematica, quando la ragione è quella “da laboratorio”, allora viene meno lo stupore – e quando manca lo stupore non si può pensare; lo stupore è l’inizio della filosofia, è l’inizio del pensiero –, viene meno quella meraviglia interiore che ci spinge a cercare oltre, a guardare il cielo, a scovare nella verità nascosta che affronta le domande fondamentali: perché vivo? che senso ha la mia vita? qual è lo scopo ultimo e l’ultima mèta di questo viaggio? Si chiedeva Romano Guardini: «Perché l’uomo, nonostante tutto il progresso, è tanto sconosciuto a sé stesso e lo diviene sempre più? Perché ha perduto la chiave per comprendere l’essenza dell’uomo. La legge della nostra verità dice che l’uomo si riconosce soltanto partendo dall’alto, al di sopra di lui, da Dio, perché egli trae l’esistenza solo da Lui» (Preghiera e verità, Brescia 1973, 56).

Cari Professori, contro la stanchezza dello spirito e il razionalismo senz’anima, impariamo anche noi a pregare come Iabes: “Signore, allarga i nostri confini!”. Chiediamo che Dio benedica il nostro lavoro, al servizio di una cultura capace di affrontare le sfide di oggi. Lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto in dono ci spinge a cercare, ad aprire gli spazi del nostro pensare e del nostro agire, fino a condurci alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Abbiamo la consapevolezza – come ci ha detto il Rettore all’inizio – “che non sappiamo ancora tutto”, ma, al tempo stesso, è proprio questo limite che deve spingervi sempre in avanti, aiutarvi a mantenere accesa la fiamma della ricerca e a rimanere una finestra aperta al mondo di oggi.

E, a questo proposito, voglio dirvi sinceramente: grazie! Grazie perché, allargando i confini, vi siete fatti spazio accogliente per tutti i rifugiati che sono costretti a fuggire dalle loro terre, tra mille insicurezze, enormi disagi e sofferenze a volte atroci. Grazie. Abbiamo visto poco fa, nel video, una testimonianza molto toccante. E mentre alcuni invocano il rafforzamento dei confini, voi, in quanto comunità universitaria, i confini li avete allargati. Grazie. Avete aperto le braccia per accogliere queste persone segnate dal dolore, per aiutarle a studiare e a crescere. Grazie.

Ci serve questo: una cultura che allarga i confini, che non è “settaria” – e voi non siete settari, grazie! - né si pone al di sopra degli altri ma, al contrario, sta nella pasta del mondo portandovi dentro un lievito buono, che contribuisce al bene dell’umanità. Questo compito, questa “speranza più grande”, è affidata a voi!

Un teologo di questa terra, figlio e docente di questa Università, ha affermato: «Siamo noi il roveto ardente che permette a Dio di manifestarsi» (A. Gesché, Dio per pensare. Il Cristo, Cinisello Balsamo 2003, 276). Conservate accesa la fiamma di questo fuoco; allargate i confini! Siate inquieti, per favore, con l’inquietudine della vita, siate cercatori della verità e non spegnete mai la passione, per non cedere all’accidia del pensiero, che è una malattia molto brutta. Siate protagonisti nel generare una cultura dell’inclusione, della compassione, dell’attenzione verso i più deboli e verso le grandi sfide nel mondo in cui viviamo.

E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

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Un fragoroso applauso accoglie le parole di Francesco, che concluso il suo discorso, dopo alcune strette di mano e qualche saluto, raggiunle i saloni del Rettorato. Qui si intrattiene con alcuni giovani rifugiati del Centro sanitario Paso, poi lascia l'università per recarsi a Grote Markt. Nella piazza principale di Lovanio, che ospita alcuni maestosi edifici in gotico brabantino, lo aspettano 5mila persone radunatesi nonostante la pioggia. Il Pontefice attraversa un lungo tratto in strada in golf car, accolto calorosamente dai fedeli assiepati dietro le transenne. E mentre continua a piovere e il piccolo veicolo procede lentamente, il Papa dispensa saluti e sorrisi, poi, raggiunta la sua auto, si avvia verso la Nunziatura Apostolica, a Bruxelles.

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Il Papa incontra per due ore 
17 vittime di abusi del clero in Belgio

Hanno potuto portare al Pontefice la propria storia e il proprio dolore ed espresso le proprie attese riguardo l’impegno della Chiesa contro gli abusi


Papa Francesco (Vatican Media)

È durato due ore l’incontro di Papa Francesco con 17 persone vittime di abuso da parte di membri del clero in Belgio. L’incontro è avvenuto nella Nunziatura apostolica di Bruxelles, al rientro del Papa da Lovanio dove si è recato nel pomeriggio per l’appuntamento con i docenti della Katholiek Universiteit Leuven. Ne dà notizia la Sala Stampa vaticana, tramite Telegram, spiegando che i presenti “hanno potuto portare al Papa la propria storia e il proprio dolore ed espresso le proprie attese riguardo l’impegno della Chiesa contro gli abusi”.

“Il Papa – si legge ancora nella nota - ha potuto ascoltare e avvicinarsi alla loro sofferenza, ha espresso gratitudine per il loro coraggio, e il sentimento di vergogna per quanto da loro sofferto da piccoli a causa dei sacerdoti a cui erano affidati, prendendo nota delle richieste a lui rivolte per poterle studiare”.

Una piaga nella Chiesa

Un possibile appuntamento tra Francesco e le vittime era stato preannunciato nei giorni scorsi dalla Conferenza Episcopale belga, ma non confermato ufficialmente. Il tema degli abusi è centrale in questa visita del Papa in Belgio, Paese profondamente ferito da questi crimini sui quali il Parlamento ha annunciato un'indagine nazionale per capire come autorità giudiziarie e di polizia belghe hanno gestito la grande inchiesta penale del 2010 sugli abusi nella Chiesa. Sono di quell'anno le dimissioni vescovo di Bruges, Roger Vangheluwe, dopo aver ammesso di aver abusato sessualmente alcuni minori. I suoi crimini erano caduti in prescrizione, ma il Papa a marzo lo ha dimesso dallo stato clericale.

La condanna del Papa

Proprio questa mattina nel Castello di Laeken, dove ha incontrato le autorità civili e politiche del Paese, Papa Francesco – dopo le parole del primo ministro De Croo e del re Philippe sul tema – ha pronunciato una netta condanna, tra le più dure del suo pontificato, contro questa piaga in seno alla Chiesa definita, senza se e senza ma, una “vergogna”.

“Questa è la vergogna! La vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono e risolvere il problema: la vergogna degli abusi, degli abusi minorili. Noi pensiamo al tempo dei Santi Innocenti e diciamo: 'Oh che tragedia, cosa ha fatto il re Erode', ma oggi nella stessa Chiesa c’è questo crimine e la Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono, e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana. E mettere tutte le cose, tutte le possibilità perché questo non succeda più”, ha affermato il Pontefice. “Qualcuno – ha proseguito - mi dice: 'Ma, Santità, pensi che secondo le statistiche la grande maggioranza degli abusi si dà in famiglia o nel quartiere o nel mondo dello sport, nella scuola'. Ma uno solo è sufficiente per vergognarsi. Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo, che gli altri chiedano perdono dalla loro parte. Questa è la nostra vergogna e la nostra umiliazione".

La voce delle vittime

Usciti dal colloquio con il Papa, alcuni dei presenti hanno tenuto un meeting point con i giornalisti di diverse testate. Tra loro Jean Marc Turine, autore di un libro in cui racconta gli abusi subiti da quattro sacerdoti dai 13 anni in poi nella scuola Saint-Michele di Bruxelles. Un fatto che – dice - lo ha spinto anche nella spirale dell’alcolismo. "Non ho consolazione ma ho visto una persona molto gentile, intelligente, ed è ciò che mi aspetto da lui", ha dichiarato all’agenzia spagnola EFE. Al Papa ha detto di aver parlato "da uomo a uomo" e di aver trovato una persona "compassionevole, con una certa empatia". Anne Sophie Cardinal si è detta invece colpita dall’aver visto la "commozione" di Francesco mentre ascoltava il suo racconto. "Ha preso la mia testimonianza, l’ha accolta", ha affermato, sottolineando anche «l’intensità» delle due ore trascorse con il Pontefice. "Alla fine è stato lui stesso a chiederci perdono. Ha detto una cosa molto importante e cioè che questi crimini non possono andare in prescrizione. E che i sacerdoti sono ovviamente responsabili quando c’è un abuso, ma se il vescovo sa e non fa nulla anche lui è responsabile".
(fonte: Vatican News, aticolo di Salvatore Cernuzio 27/09/2024)

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Vedi anche i post precedenti: