Elogio della follia:
l’Inghilterra boccia il programma Erasmus
di Giuseppe Savagnone*
Il no al programma Erasmus
La notizia che il parlamento della Gran Bretagna, nel quadro delle misure per la Brexit, ha votato contro una clausola che prevedeva la prosecuzione automatica del progetto Erasmus, precipitando così nell’incertezza la continuità di un’esperienza che durava da più di trent’anni, è destinata a scuotere, in tutta Europa, il mondo giovanile – e non solo quello – ben più delle astratte discussioni sull’uscita o meno del Regno Unito dall’Unione europea.
Il significato del progetto
Erasmus – un acronimo di EuRopean Community Action Scheme for the Mobility of University Students –, è un programma di mobilità studentesca dell’Unione europea, creato nel 1987. Esso dà la possibilità a uno studente universitario europeo di effettuare in una università straniera un periodo di studio legalmente riconosciuto dalla propria università. Ed è stato fino ad oggi un simbolo dell’universalità della cultura e dello spirito di accoglienza che da questa universalità scaturisce.
Non per nulla il nome del progetto, al di là delle iniziali che racchiude, rimanda alla grande figura di intellettuale che è stato Erasmo da Rotterdam, un umanista vissuto a cavallo fra il XV e il XVI secolo, che nella sua vita viaggiò per tutta l’Europa, e che con le sua opere rappresentò quella felice sintesi tra valori umani e fede e cristiana su cui la civiltà europea si è costruita.
La sua portata
Dicevo che l’uscita dell’Inghilterra dal progetto Erasmus – salvo «futuri negoziati» – non può non colpire, molto più di tante accanite discussioni tra esperti a colpire l’opinione pubblica. Nei suoi primi trent’anni di vita (1987-2017) l’Erasmus aveva già coinvolto ben quattro milioni di studenti e, anche dopo, ha continuato a rappresentare, agli occhi dei giovani europei, un modello di convivenza tra persone di diversa nazionalità, e non solo a livello di scambio intellettuale, ma anche sul piano dell’amicizia e di una quotidiana condivisione esistenziale.
Ora tutto ciò viene messo radicalmente in discussione, per quanto riguarda l’Inghilterra (che era in realtà una delle mete privilegiate per gli studenti degli altri paesi), a partire da quest’anno .
Reazioni contrastanti
C’è chi, sui social, ha esultato: «Non dovremo più usare i soldi dei contribuenti inglesi per finanziare il gap year dei ragazzini di mezza Europa», ha twittato qualcuno.
Ma nella stessa Inghilterra la svolta ha suscitato reazioni indignate: «Questa è una decisione miserabile, un furto alle giovani e future generazioni», ha scritto lo storico britannico Simon Schama. E l’accademico Paul Bernal: «Tutti quelli che sanno minimamente cosa sia l’Erasmus, sanno che quella del governo è una decisione diabolica, miope e controproducente. Tipico della Brexit».
In effetti quella di prendere le distanze da una cultura dello scambio culturale è una scelta che rientra perfettamente nella logica dell’“uscita” del Regno Unito dall’Europa.
Dove l’unica cosa che sembra sia stata a cuore, in tutti questi mesi, ai governanti inglesi è stato di salvaguardare la libera circolazione delle merci, pur mantenendo fermo l’intento di impedire, o almeno ostacolare il più possibile, quella egli esseri umani. Un paradosso tipico del sovranismo, nella sua ossessiva difesa identitaria dagli “stranieri” considerati automaticamente degli “invasori” e dunque una minaccia per gli autoctoni.
Eppure, la presa di distanze al programma Erasmus, se da un lato è coerente con questa logica, oggi dilagante in Europa (e non solo), dall’altro ne rivela, con maggiore evidenza di altre scelte politiche, i punti deboli.
Una scelta autolesionista
Il primo è la sua ricaduta sul paese stesso che la segue. L’Inghilterra in questi ultimi decenni era diventata un punto di riferimento e di raccolta per le migliori energie intellettuali del nostro continente, venendosi a trovare nella felice condizione di poter utilizzare, gratuitamente, risorse umane che avevano ricevuto altrove (per esempio in Sicilia….), a caro prezzo, la loro formazione. Il progetto Erasmus si inquadrava in questo contesto di “libero scambio” delle risorse intellettuali, in cui le Università del Regno Unito – si pensi ad Oxford o a Cambridge – erano diventate una calamita potente per quelle migliori e si erano così assicurate un posto di rilevo nelle graduatorie internazionali.
La decisione del parlamento inglese apre scenari di chiusura che inevitabilmente impoveriranno prima di tutto la stessa Gran Bretagna, sottolineando la sua insularità e marginalità geografiche rispetto al continente. Forse i contribuenti inglesi risparmieranno qualcosa, ma – in un quadro economico che ormai vede la ricchezza di una nazione misurata dai brevetti, a loro volta frutto della ricerca – non è detto che in prospettiva di medio e lungo termine non debbano pagare un prezzo assai maggiore del guadagno di cui oggi si rallegrano.
Con le sue varianti
Un esempio di ciò che succede quando il sovranismo non si limita a gridare nelle piazze il proprio risentimento contro l’Europa, ma arriva effettivamente al potere ed è in grado di attuare i suoi propositi bellicosi.
Certo, ciò si verifica nei casi in cui, come l’Inghilterra, si tratti di una nazione che è in grado di farlo. Altrimenti accade quello che è successo in Italia al tempo in cui, anche dopo essere andato al governo, Salvini sfidava a gran voce (sempre nelle piazze, mai in riunioni istituzionali) l’Europa, fingendo di essere ancora all’opposizione, salvo poi a mandare il premier Conte (che si prestava a questo gioco) a chiedere, col cappello in mano, indulgenza per i nostri conti pubblici dissestati.
Col risultato che, alla fine, la fiera pretesa di «rialzare la testa», rivendicata dal governo Conte 1, si era risolta in un mantenimento della sottomissione ai vertici europei, accompagnata ormai, però, a una diffidenza che ci stava emarginando da tutti i posti di responsabilità in questi vertici.
Una contraddizione strutturale
Un secondo punto debole messo in luce dalla presa di distanze del parlamento inglese dall’Erasmus è che, danneggiando seriamente gli studenti di tutti gli altri paesi europei, evidenzia la contraddittorietà che caratterizza il sovranismo nella sua stessa struttura. Coloro che nelle diverse nazioni europee – come del resto in Italia – attirano i consensi popolari al grido di «prima noi», devono oggi spiegare ai loro concittadini che l’Inghilterra sta seguendo esattamente il progetto politico da essi caldeggiato e che dunque “fa bene” a chiudere le porte in faccia ai giovani degli altri paesi.
Perché il «prima gli italiani» nostrano ha il suo inevitabile corrispettivo logico nel «prima gli inglesi», o nel «prima i francesi», o nel «prima i tedeschi». Non si ha più il diritto di criticare gli egoismi altrui, perché chi celebra il proprio deve dare atto agli altri che fanno bene a infischiarsene dei danni provocati agli altri. E alla fine, essere sovranisti significa giustificare il danno che i propri concittadini ricevono priprio da quel «prima noi».
La fine della comunità
Il terzo punto debole – forse il più grave, anche se il meno immediatamente evidente – rivelato da questa vicenda è il venir meno di un orizzonte comunitario capace di unire popoli diversi, fino alla metà del secolo scorso in guerra tra loro, in un unico grande concerto di voci e di pensiero.
E ciò ha una precisa ricaduta politica. Chi strepita contro i danni prodotti dall’Unione europea agli interessi nazionali dimentica – ma forse non l’ha studiato bene a suola – che l’Europa nella sua storia non aveva mai goduto di un periodo così lungo di pace come quello che si è realizzato dopo la seconda guerra mondiale, in coincidenza, appunto, con il farsi strada del sogno europeista. Tutto ciò dipende da una nuova temperie culturale in cui il dialogo, il rispetto reciproco, la cooperazione, hanno sostituito la contrapposizione violenta. L’amicizia fra le giovani generazioni di paesi diversi, che l’Erasmus propizia, è un fattore tra gli altri – e non dei meno importanti – di questo spirito nuovo. Davvero vogliamo ritornare al clima che regnava nei secoli passati, sconvolti da guerre incessanti e sanguinose?
Il ritorno della follia
Alla luce di questo quadro, acquista una singolare attualità il fatto che l’opera più di nota di Erasmo da Rotterdam sia un libretto intitolato «Elogio della follia», dove ironizza con finezza sulle diverse forme di irrazionalità che caratterizzano il suo tempo.
Mai come oggi, guardandosi intorno, si ha l’impressione che proprio la follia stia prendendosi la sua rivincita sulla ragione nei diversi settori della vita pubblica e privata (ma le due sono connesse), rendendo sempre meno respirabile l’aria non solo della Gran Bretagna, ma del vecchio continente nel suo insieme (e non solo di quello).
E forse, davanti a tutto questo, Erasmo sorriderebbe di nuovo, come dei suoi contemporanei, anche di noi, con triste meraviglia.
*Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.
Scrittore ed Editorialista.
(fonte: TUTTAVIA 10 gennaio 2020)