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venerdì 31 gennaio 2020

La memoria a metà di Enzo Bianchi


Fotogramma del film Schindler's List - La lista di Schindler, di Steven Spielberg, 1993.

La memoria a metà
di Enzo Bianchi




È tornato il “giorno della memoria”, ricorrenza istituzionalizzata per non dimenticare ciò che è accaduto, la catastrofe (Shoah) per milioni di persone, soprattutto ebrei, ma anche zingari, scarti della società, quelli che risultavano “diversi”.

Nel fare questa memoria, vissuta in modo sempre più superficiale, si assiste anche a una banale semplificazione: si dice che sono stati solo i nazisti tedeschi, imbevuti di quella folle ideologia, a scegliere il male assoluto. E così si dimentica che alla Shoah hanno contribuito, in modi diversi ma con piena responsabilità, anche gli altri europei, e tra di essi innanzitutto noi italiani. I nazisti non avrebbero potuto realizzare i loro progetti di sterminio se non avessero beneficiato di collaboratori, di quanti cioè denunciavano e spiavano, di quelli che vedevano ma preferivano non dire nulla e lasciare che tutto avvenisse. Se invece si prosegue sulla strada di questa semplificazione, la Shoah rischia di diventare solo narrazione e oggetto di memoria pubblica, un evento da ricordare tra gli altri. E se noi conosciamo l’inferno attraverso le testimonianze, non possiamo dimenticare che gli ebrei, l’inferno, l’hanno vissuto.

Certo, sappiamo bene che stragi, massacri, pulizie etniche e genocidi sono stati perpetrati prima e dopo, anche negli ultimi decenni, ma non dovremmo mai dimenticare l’unicità della Shoah: in essa sono stati sterminati non dei nemici, non dei diversi per etnia, non dei nomadi, ma semplicemente uomini e donne in quanto ebrei, figli di Israele, che anche noi italiani abbiamo imparato a odiare, diventando incapaci di riconoscere e difendere la dignità di ogni altro essere umano in quanto tale. Se in Italia i “giusti tra le nazioni” sono stati riconosciuti in numero di circa cinquecento, quanti sono stati ingiusti perché non dissero nulla ma collaborarono alla catastrofe? Quanti furono i credenti cristiani che, anziché vedere negli ebrei dei fratelli e sorelle nella fede, non vollero accorgersi di nulla, o a causa di un viscerale antigiudaismo giudicarono questo sterminio l’adempimento di un giudizio di Dio?
Per questo ritengo sia stolta la domanda “Dov’era Dio ad Auschwitz?”, che andrebbe piuttosto declinata come “Dov’era l’uomo, dov’era l’umanità?”. Il giorno della memoria è giorno della vergogna. Non dobbiamo fare domande su Dio, bensì su di noi, e farcele ancora oggi. Nella convinzione che, se c’è qualche speranza, essa può affermarsi solo a partire dall’umanità nella quale continuano ad esservi dei giusti: pochi uomini e donne che, credendo che il male non è onnipotente, sanno opporre resistenza. Sì, la giornata della memoria dev’essere un’occasione per scrutare e vedere quello che ancora oggi e qui viene perpetrato contro l’insopprimibile dignità degli esseri umani.

Sono nato durante la Shoah e sono cresciuto senza mai dimenticarla. Ma ora, a differenza di ieri, confesso che ho paura: forme inedite, ma sempre nutrite da odio e follia, si affacciano al nostro orizzonte come intolleranza, disprezzo e violenza, verso quelli che giudichiamo “diversi” e indegni di vivere con noi.

Pubblicato su: La Repubblica 27/01/2020