Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



mercoledì 12 novembre 2025

Sessant’anni dopo il Concilio. Dalla primavera dello Spirito allo Spirito di fraternità

Sessant’anni dopo il Concilio.
Dalla primavera dello Spirito allo Spirito di fraternità


Dal Concilio a oggi, tra Tradizione e Vangelo, la Chiesa riscopre nella misericordia e nella fraternità la sua vera giovinezza


A dicembre ricorreranno i sessant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, l’evento che più di ogni altro ha segnato il volto della Chiesa contemporanea. Non si tratta di un semplice anniversario storico, ma di una sfida teologica e antropologica: ritrovare nella trama complessa del mondo contemporaneo la trascendenza dell’essere umano, la sua dignità, la sua libertà e la sua vocazione alla comunione.

Tra i frutti più fecondi del Vaticano II c’è senza dubbio il protagonismo dei laici nella vita della Chiesa. La Lumen gentium dedica loro un intero capitolo, la Apostolicam Actuositatem ne esplicita la missione nel mondo. Il laico cristiano non è più il semplice “collaboratore” del sacerdote, ma il soggetto pieno della missione ecclesiale. Vive nel mondo, ma non si confonde con esso. È chiamato a testimoniare il Vangelo dentro la storia concreta, nei luoghi del lavoro, della cultura, della politica, dell’economia e oggi anche della tecnologia e dell’ambiente digitale.

UN NUOVO CAMMINO

Il Concilio aveva aperto un cammino nuovo: la Chiesa non più come società perfetta, chiusa e autosufficiente, ma come comunione viva, popolo di Dio in cammino nella storia.

Eppure quella spinta di rinnovamento è stata a lungo frenata. La stagione post-conciliare, invece di fiorire in dialogo e creatività, si è spesso rinchiusa in una restaurazione dottrinale che ha posto la Tradizione al di sopra del Vangelo. Molti ambienti ecclesiali, impauriti dalle aperture conciliari, hanno scelto la via della difesa identitaria: la liturgia è tornata a essere terreno di scontro, la teologia sospettata di modernismo, il laicato ridotto a spettatore. È qui che la Chiesa tradizionalista ha mostrato il suo limite più grande: aver confuso la fedeltà alla Tradizione con la paura del futuro, dimenticando che il cuore della Tradizione è il Vangelo stesso, non la sua forma immobile.

La fedeltà al Concilio non consiste nel replicare le sue formule, ma nel lasciarsi ancora sorprendere dallo Spirito che lo ha generato.

UNA CHIESA CHE CURA

Con Francesco la tensione tra Vangelo e Tradizione ha trovato una nuova chiave di lettura. Il suo pontificato ha segnato il ritorno a una Chiesa misericordiosa, che non teme di sporcarsi le mani, una Chiesa che abbraccia le fragilità del mondo contemporaneo e si definisce “ospedale da campo” della società. Non più una Chiesa preoccupata di difendere confini o privilegi, ma una Chiesa che cura le ferite, che ascolta prima di giudicare, che accompagna invece di condannare.

Francesco ha incarnato fino in fondo lo spirito conciliare della Gaudium et Spes: essere nel mondo senza appartenere al mondo, parlare con il linguaggio della misericordia più che con quello della condanna. Con lui il Vangelo ha riacquistato la sua forza disarmante e universale, capace di toccare anche chi non crede, di aprire spazi di dialogo dove altri vedevano barriere. Il suo magistero ha mostrato che la fedeltà alla Tradizione passa attraverso il ritorno costante al Vangelo, non attraverso la sua imbalsamazione.

Leone XIV ha raccolto il testimone di Francesco e dei suoi predecessori, restituendo centralità al Vangelo più che alle strutture, all’ascolto più che al controllo, alla comunione più che al potere. In lui si compie una vera conversione ecclesiale: riportare l’istituzione alla sua sorgente evangelica, ricordando che la Tradizione non è il culto del passato ma la trasmissione viva dello Spirito nel presente.

Nel mondo di oggi, segnato da crisi ecologiche, guerre e isolamento tecnologico, questa visione può offrire ciò che il tomismo da solo non basta a garantire: calore umano, empatia, cura, prossimità. La fraternità non è una virtù privata, ma la struttura ontologica della realtà, il filo invisibile che tiene insieme persone e popoli, creature umane e non umane, fede e ragione, spirito e materia.

LA PRIMAVERA CONTINUA

Sessant’anni dopo, il Vaticano II non è un capitolo chiuso, ma un cantiere ancora aperto. Il vero anniversario non è la sua chiusura del 1965, ma la sua continua riapertura nelle coscienze dei credenti. La primavera conciliare non è finita: si rinnova ogni volta che la Chiesa sceglie la via della comunione, della sinodalità, della misericordia e della fraternità universale.

Solo nella fedeltà al Vangelo, non a una Tradizione intesa come recinto, la Chiesa potrà continuare a essere nel mondo ciò che Francesco ha sognato e vissuto — un ospedale da campo per l’umanità ferita, segno credibile del Dio che fa nuove tutte le cose.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Pietro Giordano 10/11/2025)