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venerdì 14 novembre 2025

#Il successo - Gianfranco Ravasi

#Il successo
di Gianfranco Ravasi


Sostenere che i nostri successi ci sono impartiti dalla Provvidenza e non dall’astuzia, è un’astuzia di più per aumentare ai nostri occhi l’importanza di questi successi.

È il 4 novembre 1938 quando Cesare Pavese scrive questa annotazione nel suo diario, edito poi col titolo Il mestiere di vivere, e la sua è un’osservazione acuta che punta a demolire una non rara ipocrisia. È facile, infatti, esaltare l’esito positivo di una nostra opera, assegnandola alla benevolenza divina che sostiene e suggella il nostro agire. In verità, si tratta della falsa umiltà, una degenerazione morale che alligna in tanti e che suscitava indignazione anche in Cristo, implacabile con quelli che amavano essere riveriti e avere i primi posti, ma al tempo stesso ostentavano una modestia esteriore. Noi, però, vorremmo porre l’accento proprio sul successo, un idolo a cui si è pronti a sacrificare tutto. Già nel V sec. a.C. il tragico greco Eschilo nelle sue Coefore non esitava a coniare questa definizione: «Il successo tra i mortali è un dio, anzi, più di un dio».

Napoleone, che sul tema era un esperto e che alla fine avrebbe sperimentato anche la fragilità di questa divinità, stando allo scrittore Honoré de Balzac, faceva notare che un trono visto nella sua parte posteriore altro non è che un assemblaggio di legni. Eppure, la superbia, che è sempre in agguato nell’anima di tutti, proietta mente e cuore verso quella meta, considerata come una fonte suprema di felicità. Ed è così che la caduta diventa più drammatica. Ritorniamo ancora all’antica sapienza classica, con la morale di una delle favole di Esopo (siamo nel VII-VI sec. a.C.): «La bramosia degli onori turba la mente umana e oscura la visione dei pericoli». Non si vuole certo condannare il merito, ma è sempre necessario essere capaci di autocritica e di realismo. La grande dignità di una persona, quando è sulla cresta dell’onda, è il ricordo del monito del profeta Ezechiele al re di Tiro:
 «Tu sei un uomo e non un Dio!» (28,3).

(Fonte: “Il Sole 24 Ore - DOMENICA”  del 9 novembre 2025)