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giovedì 4 dicembre 2025

L’allergia alla democrazia di Massimo Recalcati

L’allergia alla democrazia 
di Massimo Recalcati


(Pubblicato su La Repubblica - 04.12.2025)


L’assalto alla redazione torinese della Stampa ha provocato un dibattito che non bisognerebbe silenziare troppo rapidamente. Continui episodi di violenza politica che nel nome di una sola Verità incontrovertibile impediscono la pluralità delle voci, mostrano quanto il nostro tempo, considerato a torto post-ideologico, sia in realtà pervaso da un ritorno pervasivo di un fanatismo ideologico estremo.

Minimizzare questi episodi e non riconoscere il loro radicamento in una cultura comunistabolscevica di stampo vetero-novecentesco sarebbe un errore. Il taglio etico e politico promosso da Enrico Berlinguer negli anni Settanta nei confronti di quella cultura la cui spinta propulsiva iniziale doveva, nel suo lucido giudizio, considerarsi definitivamente esaurita, non ha significato purtroppo da parte di una certa sinistra italiana (nel suo inconscio, oserei dire), la piena adozione della democrazia come orizzonte insuperabile della vita collettiva. La cultura comunista nelle sue radici marxiste più ortodosse è strutturalmente allergica alla democrazia che ha storicamente considerato come un sistema del tutto omogeneo alla tutela conservatrice dei privilegi di classe e che sarebbe stato compito della rivoluzione spazzare via.

Questa allergia non è una reazione cutanea di superficie ma descrive il dna della cultura comunista-bolscevica come profondamente antidemocratica. Dal punto di vista filosofico è ciò che mantiene il marxismo ortodosso nell’ambito di una filosofia dell’assoluto come fu quella hegeliana: la Verità non può essere che una sola, non può essere che la Verità della Verità. Per questa ragione il dissenso viene considerato semplicemente illegittimo e, come tale, perseguitato in ogni forma.

Di qui deriva il diritto di eliminare anche fisicamente coloro che hanno pensieri divergenti, non conformi alla linea del partito o a quella del suo leader. Lo stalinismo, da questo punto di vista, è stata una esemplare ideologia del terrore praticata nel nome della Verità. È questo che deve essere messo in evidenza: ogni ideologia esercita la violenza sempre come una manifestazione della Verità. In aperto contrasto con lo spirito plurale e radicalmente laico che invece dovrebbe contrassegnare la democrazia. In questo senso Pasolini ricordava scabrosamente che il fascismo degli antifascisti non deve essere considerato come un sintomo secondario, ma come l’espressione di una passione ideologica per la Verità che vorrebbe cancellare ogni forma di dissenso critico.

Oggi questa terribile tentazione è tornata in primo piano. Ma non tanto nelle forme violentemente estremiste di coloro che fisicamente aggrediscono la sede di un giornale o impediscono a giornalisti e a politici di prendere pubblicamente la parola perché colpevoli di non fornire la corretta rappresentazione della sola possibile Verità — della Verità della Verità –, quanto piuttosto nella voce dei loro maestri che sono i responsabili intellettuali di queste manifestazioni d’odio. In un carteggio tra due grandi ebrei quali furono Albert Einstein e Sigmund Freud, promosso dalla Società delle Nazioni nei primi anni trenta sul tema della tentazione umana nei confronti della guerra, si conveniva che la vera responsabilità dello scatenamento dell’odio per il nemico non era tanto da attribuire alle “masse incolte” ma alla “responsabilità degli intellettuali” che guidavano quelle masse.

 È quello che tra i numerosi esempi offerti dal nostro tempSono i cattivi maestri ad armare le mani degli estremisti, ad insegnare che chi la pensa diversamente, chi non è allineato con la sola Verità possibile — con la Verità della Verità — , deve solo tacere e se ha invece l’arroganza di non tacere ma di prendere la parola, dunque di dire la propria verità, deve essergli giustamente impedito di farlo anche con la forza.o si legge nelle parole pronunciate da Francesca Albanese a proposito dell’aggressione compiuta nei confronti della Stampa. In sintesi: l’aggressione va condannata risolutamente, ma i giornalisti imparino a fare bene il loro mestiere! Con la conseguenza sillogistica, tipicamente totalitaria, che se un giornalista non fa bene il proprio mestiere — cioè non si allinea alla versione ideologica della Verità — meriterebbe allora di essere colpito?

Siamo qui al cuore della cultura comunista-bolscevica e della sua ideologia radicalmente antidemocratica. La violenza sarebbe giustificata come atto di rieducazione e di purificazione del male. È la stessa giustificazione, per fare un esempio davvero estremo, che appariva nei comunicati delle Br, nei loro assassini politici o nelle cosiddette “gambizzazioni”. Se, infatti, si esercita la violenza nel nome della Verità quella che si esercita non è violenza ma una estrema difesa della Verità.

Nella sua formidabile prefazione a un libro di Andrea Valcarenghi del 1973, Marco Pannella prendeva pasolinianamente le distanze dal fascismo degli antifascisti con parole che, mai come ora, sarebbe opportuno rileggere per intero e ricordare: chi si muove nel nome di una Verità solo ideologica tende fatalmente a “ripetere contro i nemici i gesti per i quali io sono loro nemico, gesti di violenza, di tortura, di discriminazione, di disprezzo…la rivoluzione fucilocentrica o fucilocratica, o anche solo pugnocentrica o pugnocritica, non è altro che il sistema che si reincarna e prosegue.”

(Fonte: sito dell'autore)