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lunedì 22 settembre 2025

22/09/2025 - L'Italia si mobilita per la pace in Palestina - Preti contro il genocidio, la voce e la preghiera che rompono il silenzio

22/09/2025 - L'Italia si mobilita per la pace in Palestina

Nelle principali città italiane centinaia di migliaia di persone, studenti, famiglie con bambini, lavoratori, pensionati, si sono riversate nelle piazze e nelle strade in cortei a sostegno dei palestinesi della Striscia di Gaza


Torino, Genova, Milano, Trieste, Firenze, Roma, Bologna, Livorno, Pisa, Macerata, Napoli, Bari, Palermo, ... In decine di città italiane durante la mattinata si sono svolti cortei pacifici a cui hanno aderito centinaia di migliaia di persone. 

Difficile al momento quantificare con precisione l'adesione, che ha visto coinvolti studenti e pensionati, famiglie con bambini e lavoratori con cartelli e bandiere che ineggiavano alla fine della carneficina, al rispetto dei diritti dell'uomo, all'infanzia violata. 

Doveroso rimarcare come purtroppo in alcuni casi le code dei cortei sono poi sfociate in azioni di blocco della viabilità e scontri con le forze dell'ordine. Ma lo spirito che ha mosso la società civile a scendere in piazza in modo così partecipato, come testimonia la fotogallery, è stato pacifico, un gesto simbolico per dire basta a una guerra che ha già causato 65mila vittime (di cui oltre 18.000 bambini), e 165mila feriti.


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Preti contro il genocidio,
la voce e la preghiera che rompono il silenzio

La mobilitazione di pastori, missionari e vescovi dal basso per sostenere la popolazione palestinese di Gaza. La protesta rompe la prudenza diplomatica e chiede stop alla vendita di armi a chi commette crimini contro i civili


Cresce di giorno in giorno il numero delle firme e delle adesioni alla rete internazionale “Preti contro il genocidio”, l’iniziativa che ha scelto di chiamare le cose con il loro nome e di denunciare apertamente quello che accade a Gaza come un genocidio. Quella che era nata come una lettera-appello tra sacerdoti e religiosi in poche settimane si è trasformata in un movimento globale capace di mobilitare oltre mille presbiteri provenienti da più di venti Paesi, con la partecipazione di vescovi, cardinali, missionari e di decine di comunità religiose.

Non un atto ufficiale, ma un gesto nato dal basso, che rivendica la libertà e la responsabilità dei preti di parlare a nome del Vangelo, perché – come hanno scritto – «non possiamo restare in silenzio davanti alla cancellazione di un popolo». Da subito la rete si è data un obiettivo preciso: non solo la condanna dei massacri ma anche un richiamo alla Chiesa universale, ai governi, alle istituzioni internazionali, affinché non ci si nasconda più dietro formule prudenti e dichiarazioni di circostanza. L’uso della parola genocidio, consapevolmente scelto, ha suscitato dibattiti e polemiche, ma per i promotori non esistono più alternative: «A Gaza – affermano – assistiamo a un progetto di distruzione sistematica. Non è difesa, non è rappresaglia: è annientamento».

La manifestazione convocata a Roma con una veglia di preghiera e testimonianza davanti a Montecitorio ha reso visibile un fermento che finora si muoveva soprattutto attraverso lettere e social. Sacerdoti italiani e stranieri, religiose, laici, associazioni come Pax Christi e missionari storici come padre Alex Zanotelli si sono dati appuntamento per pregare ma anche per denunciare, portando cartelli, striscioni, parole dure. «Vogliamo dare voce a chi non ha voce!, ha detto uno dei promotori, ricordando che a Gaza «ci sono due milioni di persone intrappolate, senza vie di fuga, sottoposte a bombardamenti continui, alla fame e alla sete usate come armi di guerra». Il clima che si respirava era quello delle grandi mobilitazioni profetiche, non di una protesta politica ma di un gesto di coscienza. Lo stesso monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi e vescovo emerito di Altamura, già in un’intervista a Famiglia Cristiana aveva scelto la parola più netta: «Il silenzio su Gaza è complicità. Non è una parola esagerata genocidio, è la realtà che abbiamo davanti agli occhi: palazzi ridotti in polvere, bambini estratti dalle macerie, ospedali bombardati, file interminabili per un pezzo di pane o per un po’ d’acqua. Non possiamo tacere».

L’iniziativa ha incontrato fin da subito ostacoli inattesi. Nei giorni scorsi Google ha bloccato l’account di posta elettronica con cui la rete raccoglieva le adesioni, impedendo di fatto la sottoscrizione dell’appello e la comunicazione tra gli aderenti. L’azienda ha parlato di “violazione dei termini di servizio” e poi di un malinteso legato a procedure automatiche, ma per i promotori si è trattato di un episodio grave che ha rischiato di compromettere la mobilitazione. Proprio mentre le firme continuavano a crescere, oltre mille in meno di un mese, con l’adesione anche di cardinali e di parroci di periferia, la rete ha dovuto fare i conti con la vulnerabilità delle piattaforme digitali, che in un attimo possono bloccare la circolazione di un’iniziativa scomoda.

Il peso della scelta linguistica rimane il nodo centrale. Non tutti, anche dentro la Chiesa, condividono l’uso della parola genocidio, che porta con sé implicazioni giuridiche e politiche. La Santa Sede mantiene prudenza e finora non ha fatto propria questa definizione. Ma proprio questo spiega perché i promotori abbiano voluto assumersi la responsabilità di parlare. «Molti – dice Ricchiuti – sostengono che Israele si stia solo difendendo e rispondendo al 7 ottobre. Ma la storia non comincia lì. Comincia decenni prima, con le terre confiscate, i checkpoint, le discriminazioni quotidiane. Non è difesa quella che vediamo, è annientamento. Di fronte a un popolo che viene cancellato non possiamo limitarci a mezze parole». Anche altri vescovi, come Domenico Mogavero, emerito di Mazara del Vallo, hanno aderito. Il dibattito si è ormai aperto.

La forza di “Preti contro il genocidio” non sta solo nei numeri, ma nel significato ecclesiale e profetico che l’iniziativa ha assunto. È la voce di pastori che guidano comunità locali, parroci di paese che ogni giorno accompagnano la vita dei fedeli, missionari che hanno vissuto in prima persona i conflitti in Africa, Asia e America Latina. Non si tratta di intellettuali isolati ma di un corpo diffuso di sacerdoti che, dalla periferia, lanciano un messaggio al centro: non è più possibile restare neutrali. «Non è contro qualcuno, è a favore della vita, ha sintetizzato padre Zanotelli. Per questo, accanto alla denuncia, l’appello contiene anche richieste concrete: il rispetto del diritto internazionale, l’applicazione delle risoluzioni ONU, la sospensione delle forniture di armi a chi commette crimini contro i civili. Una posizione che chiama direttamente in causa i governi occidentali e anche l’Italia, da tempo legata da rapporti militari con Israele.

Se riuscirà a incidere davvero sulle scelte delle istituzioni è difficile dirlo. Ma di certo “Preti contro il genocidio” ha già segnato un punto di non ritorno: ha mostrato che nella Chiesa esiste una base pronta a parlare senza paura, capace di mobilitarsi a livello internazionale e di usare le stesse categorie che i tribunali internazionali discutono. Ha rotto il velo del silenzio e della cautela, ha denunciato che non bastano più preghiere generiche o condoglianze di circostanza. L’eco delle loro parole risuona anche nelle comunità, tra i fedeli che ascoltano i parroci la domenica, tra i giovani che si chiedono come sia possibile restare indifferenti davanti a migliaia di bambini uccisi. Per molti credenti e non credenti è già un segno profetico, che interroga la coscienza collettiva e ricorda che non sempre il Vangelo coincide con la diplomazia.

In fondo il messaggio è semplice e radicale: di fronte alla distruzione sistematica di un popolo, tacere equivale a schierarsi con i carnefici. È questo che i preti contro il genocidio vogliono gridare al mondo, con le loro firme, con le veglie, con i presidi, con il coraggio di usare parole nette. Perché come ripete monsignor Ricchiuti, «il silenzio su Gaza è complicità».
(fonte: Famiglia Cristiana 22/09/2025)