Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



martedì 16 settembre 2025

Severino Dianich - Ai vescovi: smascherate e denunciate la “frenesia bellica”

Severino Dianich*
Ai vescovi:
smascherate e denunciate la “frenesia bellica”


Si può pensare alla pace come a una situazione valoriale autoreferenziale. Il termine contiene, ed è capace di esprimerla, una ricchezza enorme di significati. Pace è relazione, intreccio di persone, colloquio, convergenza di interessi, creazione continua di nuovi equilibri nel cedimento del forte al più debole, gioia del vedersi, è allegria del parlarsi, conforto e medicina per la sofferenza, è spazio per Dio, segno del suo regno, adorazione dell’Altissimo.

Chi ha vissuto la guerra gridi: pace!

Pace è una parola che è già di suo, in se stessa, pienezza di senso. Se ne potranno tessere all’infinito gli elogi, senza doverla mettere a confronto con le tenebre della guerra per farne brillare l’ammirabile luce.

L’esperienza traumatica della guerra, poi, ne rende il perseguimento un drammatico imperativo che pesa su ogni coscienza. Il cristiano dovrà specchiarsi nel Discorso della montagna e avere il coraggio di prendere posizione nella conversazione pubblica, andando molto spesso controcorrente.

Il magistero della Chiesa, del resto, è pervenuto ormai da tempo alla categorica condanna della guerra, attestandosi su non pochi «se» e «ma» anche a riguardo della guerra di difesa.

Conosciamo la guerra dalla storia. Ne seguiamo le vicende dalla cronaca nelle diverse parti del mondo: c’è chi, in questi nostri anni, ne ha elencate una sessantina.

Ormai bisogna aver già superato gli 85 anni di vita, per poter raccontare esperienze di guerra vissute in prima persona. Parlare di pace non è la stessa cosa per chi ha provato la guerra o per chi ne ha sentito solo raccontare le sciagure. Papa Giovanni Paolo II a Hiroshima nel 1989 aveva detto con forza: «Coloro che hanno vissuto la guerra hanno il dovere sacro di gridare: mai più la guerra!».

Cosa sia la guerra, quale cumulo di nefandezze, scatenamento degli istinti più schifosi dell’uomo, quale obnubilamento dell’intelligenza costretta nel vicolo cieco dell’escogitare le forme più efficaci della violenza, ritorno alla fionda di David e retrocessione alle rabbie dei bambini che si picchiano, tutti più o meno lo sappiamo.

Perché le guerre

Dovendo, però, propagandare la pace, quella che evita o pone fine alla guerra, sarebbe anche utile andare a imparare, da coloro che se ne intendono, cosa sia davvero la guerra e perché scoppino le guerre.

Fabio Mini, l’autore presso Einaudi di un agile libro, La guerra spiegata a… è un generale di corpo d’armata ed è stato Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa. Egli vede la guerra come un fermento che agita costantemente le relazioni umane, al livello di «bande di potere» in perenne lotta fra di loro «per l’acquisizione del potere (legale o illegale) che consente di partecipare alla grande abbuffata della gestione del mondo».

Le guerre guerreggiate, con le bombe che piovono dal cielo e «le bande» dei soldati che avanzano e prendono possesso di un territorio sono le emergenze più truci di uno dei fenomeni più continui nel tempo e più esteso sulle plaghe del pianeta. Fa parte abituale dei programmi di sviluppo dei potentati economici ed è costantemente supportato dai media che, inconsciamente o intenzionalmente, inculcano nel cittadino la sensazione di avere sempre un nemico in agguato.

Le grandi serie televisive americane che vengono diffuse in tutto il mondo sono esplicitamente destinate a creare e a conservare un clima in cui l’eventualità di una guerra non sia pensata come una minaccia lontana, bensì capace di scoppiare da un momento all’altro. Secondo Fabio Mini, ci sono serie televisive promosse direttamente dal Pentagono per mantenere in fibrillazione le popolazioni e favorire tutto il complesso processo e l’immenso business della produzione e del commercio delle armi. La guerra economica dichiarata al mondo dagli Stati Uniti con la ripresa della vecchia politica economica dei dazi ne è la più recente clamorosa manifestazione.

Fare opposizione alla cultura della guerra è, quindi, un compito che non si esaurisce in interventi occasionali, per quanto efficaci e sempre doverosi. È facile lasciarsi prendere da un certo senso di frustrazione nel considerare quanto tutti i papi, da Benedetto XV in poi, hanno condannato la guerra e predicato la pace e quale sia stato il loro insuccesso.

Ma, quanto è costante e onnipresente la cultura della guerra, tanto deve esserlo la predicazione della pace. A suo tempo, molti giudicarono insensato quel discorso di papa Francesco su «l’abbaiare della NATO alla porta della Russia». Oggi possiamo leggere in libreria la denuncia della «frenesia bellica» dell’Alleanza Atlantica, impressa sulla copertina a titolo del libro del già citato generale di corpo d’armata, Fabio Mini (La NATO in guerra. Dal patto di difesa alla frenesia bellica, Dedalo 2025).

Dovremmo anche chiederci come mai e da chi sia stata scartata la proposta avanzata più volte e da più parti di rendere l’Ucraina neutrale.

Non tocca solo al papa

Papa Leone bolla, senza mezzi termini, come «falsa propaganda» la pubblicistica diffusa sulla necessità del riarmo: «Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?».

Sembra sia giunto il momento, ai livelli più alti delle responsabilità pubbliche, di dover smascherare l’asservimento ai «signori della guerra» dei nostri Governi.

Per la Chiesa questo non è un compito che gli episcopati possono permettersi di demandare al papa. Ogni episcopato, avendo come suo interlocutore il Governo del proprio Paese, non può esonerarsi dal dire il suo giudizio sulla politica della guerra e della pace di coloro che governano il suo popolo.

Non deve essere il Vaticano, ma gli uffici competenti della CEI a raccogliere la documentazione sul riarmo in atto nel nostro Paese, sull’aumento significativo che si sta verificando delle autorizzazioni all’export militare italiano, anche verso paesi in guerra, e anche in favore di governi che non rispettano la Carta dei diritti dell’uomo, nonché sull’invio di armi a Israele perdurante, secondo attendibili inchieste giornalistiche e nonostante le contrastanti dichiarazioni ufficiali, anche dopo l’escalation della guerra a Gaza.

Non dovrà essere, quindi, il papa ma l’episcopato italiano a protestare a nome dei cattolici italiani contro una simile politica.
(fonte: Settimana News 12/09/2025)

***************

Severino Dianich Nato nel 1934, è un presbitero, saggista e tra i più noti teologi italiani.
Prete della diocesi di Pisa, si è laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, è stato professore ordinario di ecclesiologia e cristologia alla Facoltà di Teologia di Firenze, dove ha diretto un Master in Teologia e Architettura di Chiese. Ha dedicato tutta la sua ricerca al tema della Chiesa e, più di recente, a quello dei rapporti fra teologia e arte. Nel 1967 è stato tra i fondatori dell’ATI, la Associazione teologica italiana, diventandone presidente dal 1989 al 1995; dal 2011 è anche vicario episcopale per la pastorale della cultura e dell’università nella diocesi di Pisa, nonché direttore spirituale nel seminario arcivescovile.