Ibrahim Faltas
«Dove andremo ancora?»

Il dramma infinito dei bambini di Gaza si riassume in una domanda. «Dove andremo ancora?» chiede un bambino a suo padre. Hanno cambiato e cercato luoghi e rifugi sicuri, dopo aver perso il calore e la protezione della propria casa e sono costretti ancora ad andare altrove. Alla morte, al dolore, alle mancanze si aggiunge il trauma continuo e pressante dell’insicurezza per chi soffre a Gaza. Il prezzo più alto lo pagano i bambini.
I primi anni di vita sono anni in cui la famiglia, la scuola, ogni società civile cerca di trasmettere ai bambini valori, cerca di dare loro stabilità, formazione, strumenti di crescita e di sviluppo. I bambini di Gaza vivono i loro primi anni nella sofferenza, nel disagio e nell’insicurezza.
Ogni giorno sperimento la necessità di dare, ai nostri bambini e ai nostri ragazzi, strumenti per consentire una vera convivenza pacifica. È un impegno che diventa gratificante perché dà risultati concreti: i bambini hanno la capacità di sentire il “bene”, lo riconoscono, non giudicano le diversità ma le accolgono.
Alla domanda «Dove andremo ancora?» i genitori di Gaza non possono dare una risposta credibile perché loro stessi non hanno risposte a quello che sta sconvolgendo la loro vita. Non possono rispondere che stanno raggiungendo un luogo bello perché la distruzione che li circonda ha cambiato il volto a tutta la loro terra. Non possono rispondere che finalmente raggiungeranno un luogo dove potranno vivere in sicurezza, cercando di recuperare la serenità perduta, senza dimenticare la loro storia ma cancellando l’odio e la vendetta perché sono considerati merce da spostare secondo le necessità imposte dalla violenza.
Le nuove generazioni della Terra Santa avranno bisogno di tanta cura e di tanta attenzione per formare e per educare le donne e gli uomini del futuro ad una vera cultura della pace. È questo il compito importante e complesso degli educatori, delle famiglie, delle società civili, dei governi che credono nella pace e che vogliono la pace.
In questi giorni dolorosi in cui alla violenza si risponde con maggiore violenza non è facile credere e sperare di fermare il vortice che ha trasportato la bellezza della vita nella profondità buia del male. Vorrei poter rispondere con la forza della speranza alla domanda: «Dove andremo ancora?». Vorrei poter rispondere a quel bambino e a tutti i bambini che soffrono a causa dell’incoscienza degli adulti, che sono state le vittime di un incubo durato tanto tempo: stanno tornando a casa, dai loro cari, ritroveranno amici e insegnanti, giochi, libri, matite e quaderni. Vorrei poterlo dire anche a noi adulti: l’incubo è finito. Continuiamo sempre a credere, a pregare, a sperare nella pace.
(Fonte: L'Osservatore Romano 11/09/2025)