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mercoledì 10 settembre 2025

La mistica integrale dell’insegnante e dell’insegnamento di Rocco Gumina


La mistica integrale 
dell’insegnante e dell’insegnamento
di Rocco Gumina

Come augurio per l'inizio del nuovo anno scolastico è bene ricordare la lezione della mistica integrale dell’insegnante e dell’insegnamento vissuta da don Milani



Tra riforme e controriforme, circolari e disposizioni il mondo della scuola è in continua ebollizione. Ciò è dovuto probabilmente all’incessante e repentino cambiamento dell’odierna società la quale invita a costanti riposizionamenti. Tuttavia di rado l’attenzione generale si concentra sull’ossatura fondamentale dell’istituzione scolastica rappresentata dal corpo docenti.

Quest’ultimi, ora ritenuti appartenenti al ceto impiegatizio, ora configurati al pari di professionisti delle più innovative pratiche didattiche, soffrono e subiscono l’incedere di una comunità nazionale che si ricorda di loro soltanto per gli episodi di cronaca o per i tagli alla spesa dedicata all’istruzione. Così, logorati dal precariato e da un sistema che con difficoltà riconosce il loro profilo fatto di professionalità e passione, in quanto categoria gli insegnanti italiani sporadicamente maturano percorsi tesi a generare nel nostro Paese una vasta e significativa rilevanza sociale, culturale e politica.

Si tratta di una questione che oltre a coinvolgere migliaia di lavoratori riguarda la crescita delle nuove generazioni e, pertanto, il volto e la consistenza dell’Italia nel presente e nel futuro. Un contributo per animare il dibattito su questo tema proviene dall’opera collettiva Lettera a una professoressa del 1967 voluta da quel don Lorenzo Milani che ancora oggi per molti docenti appare come un modello a cui ispirarsi.

La concezione dell’insegnante e dell’insegnamento che si evince da Lettera a una professoressa può rimandare a quelle dinamiche spirituali che esprimono una donazione totale di sé verso la divinità o a favore di una missione fra gli uomini. Si tratta di quella che con il teologo Metz possiamo definire mistica integrale ossia un orientamento globale dell’esistenza verso una finalità che permea tutto di senso.

Ciò è quello che sorge quando i ragazzi di Barbiana declinano il profilo dell’insegnante e della scuola che hanno in mente: «La scuola a pieno tempo presume una famiglia che non intralcia. Per esempio quella di due insegnanti, marito e moglie, che avessero dentro la scuola una casa aperta a tutti senza orario. Ghandi l’ha fatto. E ha mescolato i suoi figlioli agli altri al prezzo di vederli crescere tanto diversi da lui. Ve la sentite? L’altra soluzione è il celibato».[1]

Quella degli allievi di don Milani è una radicalità che si lega alla finalità dell’istituzione scolastica che ancor prima di certificare le competenze in uscita o rilasciare diplomi e qualifiche è chiamata a concretizzare ciò che a Barbiana viene declinato come un manifesto di educazione civica: «Mi han detto che perfino in seminario ci sono dei ragazzi che si tormentano per trovare la loro vocazione. Se gli aveste detto fin dalle elementari che la vocazione l’abbiamo tutti uguale: fare il bene là dove siamo, non sciuperebbero gli anni migliori della loro vita a pensare a se stessi».[2]

La scuola tesa a far intendere a tutti che è necessario cercare il bene al di là delle diverse situazioni nelle quali si vive, ha bisogno di insegnanti appassionati, coinvolgenti e capaci di influenzare gli alunni sia con il sapere sia tramite una sorta di erotica dell’insegnamento: «Tra un professore indifferente e un maniaco preferisco il maniaco. Uno che abbia o un pensiero suo o un filosofo che gli va bene. Parli solo di quello, dica male degli altri, ce lo legga sull’originale per tre anni di seguito».[3]

Così quella tra allievo e maestro è una relazione in grado di accompagnare e determinare sostanzialmente la formazione delle nuove generazioni: «Io sono un ragazzo influenzato dal maestro e me ne vanto. Se ne vanta anche lui. Sennò la scuola in cosa consiste? […] Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti».[4]

Di conseguenza nell’ottica di Barbiana tutto quello che l’insegnante possiede in termini di umanità, cultura e aspettative esistenziali deve essere messo a disposizione delle nuove generazioni: «Lascia l’università, le cariche, i partiti. Mettiti subito a insegnare. La lingua e null’altro. Fai strada ai poveri senza farti strada».[5]

In simile modello ogni attività didattica è diretta alla formazione dell’umano pertanto il voto, il registro, le vacanze, l’apprendere per far carriera sono aspetti intesi come distrazioni rispetto al lavoro diretto alla generazione di una cittadinanza attiva e responsabile. In questo orizzonte totalizzante, la cultura non è più pensata in quanto realtà fine a stessa bensì viene avvertita come elemento immerso nella vita quotidiana dei popoli e volto al loro progresso: «Il sapere serve solo per darlo. Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo».[6]

Lettera a una professoressa ci rivela come don Lorenzo Milani abbia costruito una proposta educativa finalizzata alla maturazione di una cittadinanza orientata al bene comune. Il Priore di Barbiana è partito dalla consapevolezza che la parola non è solo un mezzo di comunicazione, ma è soprattutto la via per divenire sovrani ovvero realmente liberi. Per lui non si trattava di mirare soltanto verso una forma di sviluppo economico o di prolungamento biologico della vita umana bensì di operare a favore di una crescita psicologica, culturale, spirituale in grado di tradursi politicamente in maggiore responsabilità sociale.

Forse in questi tempi asfittici e controversi, occorre riprendere la lezione della mistica integrale dell’insegnante e dell’insegnamento vissuta da don Milani per ricordare alle nostre comunità l’apicale rilevanza culturale, sociale e politica che i docenti possono offrire alle odierne società.

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[1] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze 1967, p. 5.
[2] Ib., p. 112.
[3] Ib., p. 119.
[4] Ib., p. 112.
[5] Ib., p. 97.
[6] Ib., p. 110.

(Fonte: VinoNuovo)