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sabato 13 settembre 2025

VOCI DA GAZA CITY «Ogni giorno qui dura un anno. Vogliamo solo vivere da esseri umani»

VOCI DA GAZA CITY

«Ogni giorno qui dura un anno.
Vogliamo solo vivere da esseri umani»

Intrappolato con la moglie e i figli sotto le bombe, senza cibo né elettricità, Fadi Abusaid racconta la fame, la paura e l’attesa straziante di riabbracciare i genitori rifugiati in Toscana


Con enorme difficoltà a comunicare con l’esterno Fadi Abusaid riesce a far arrivare la sua voce. Le sue parole sono una risposta all’articolo apparso su FC lo scorso sabato 6 agosto, in cui i suoi genitori, riusciti a raggiungere Pisa lo scorso anno, lanciavano un appello per riavere vicino il figlio, la nuora e i quattro nipotini, ancora intrappolati nel cuore di Gaza. Ahmed e Sanaa Abusaid, anziani genitori e nonni, hanno chiesto aiuto affinché la famiglia possa ricongiungersi. Sotto le macerie e in condizioni disumane, Fadi racconta cosa significa vivere ogni giorno in un territorio assediato.

Come state, e cosa sta succedendo a Gaza City in questo momento?

Fadi Abusaid.
«Ringraziando Dio, siamo ancora vivi. Ci aggrappiamo alla gratitudine per le benedizioni che ci sono rimaste. Ma la vita qui è diventata insopportabile; è una delle realtà più dure che un essere umano possa vedere o vivere. Carestia estrema, povertà profonda, e una paura costante, giorno e notte. Ci muoviamo ogni momento aspettandoci la caduta di una granata, di un missile, o di una bomba. Non sappiamo più come calmare le paure dei nostri bambini, come rassicurarli, come soddisfare il loro bisogno di una vita tranquilla — o semplicemente offrire loro un po’ del cibo che amano. Il desiderio più grande di mio figlio piccolo oggi è mangiare un pezzo di pollo. Sogna di assaggiare un pezzetto di cioccolato. Ma tutto questo viene spazzato via dal suono di un’esplosione… che lo fa saltare tra le mie braccia, o correre piangendo da sua madre, cercando rifugio dietro di lei, alla ricerca di sicurezza».

Fadi si chiede quasi in silenzio abbassando la voce al telefono: «Perché ci succede tutto questo?».

E aggiunge: «E non c’è una risposta chiara… solo altra paura, altro dolore. Non abbiamo elettricità da due anni. Potete solo immaginare cosa significhi vivere senza energia elettrica, senza cibo nutriente. Ci sentiamo come un gregge, costretto a mangiare foraggio scadente, senza scelta né dignità. Il senso di dignità umana si è affievolito — inghiottito da scene di umiliazione che hanno schiacciato la nostra umanità. La sofferenza che viviamo è troppo grande per essere descritta con parole. Come dice il proverbio arabo: “Non è come vedere ciò che si sente raccontare. Ogni giorno qui sembra durare un anno o più — come se il tempo si fosse fermato, in attesa del momento in cui potremo riabbracciare i nostri genitori. In attesa di riunire la nostra famiglia — nonni, figli, nipoti — e forse così recuperare un po’ dei sogni perduti… e ritrovare un po’ di serenità nei nostri cuori».

I suoi genitori vivono in Toscana. Molte persone qui ormai ti conoscono e chiedono che tu e la tua famiglia possiate riunirvi ai tuoi genitori. Cosa ti aspetti da noi?

«Una delle sensazioni più confortanti, che allevia il peso delle preoccupazioni e delle paure — e ci dà forza per resistere — è sapere che qualcuno pensa a noi. Ci ricorda che non siamo soli, che ci sono persone che sentono il nostro dolore e ci sostengono. Ogni parola di supporto, ogni azione intrapresa, ogni voce che si alza per difendere i nostri diritti significa moltissimo per noi. Ci dà speranza e ci restituisce un frammento della dignità umana che abbiamo perso sotto le macerie, tra i suoni del terrore e le difficoltà quotidiane della sopravvivenza. Speriamo sinceramente che possiate continuare con i vostri sforzi e il vostro sostegno. Senza di voi, non possiamo uscire. Siete la nostra voce oltre quei muri isolati dai bombardamenti.

Come ha letto, le parole dei suoi genitori sono cariche di speranza di riabbracciarvi tutti. Cosa rappresenta la “speranza” per lei e per la sua famiglia?

«Fadi Abusaid: La speranza e l’ottimismo sono stati le fonti di forza più importanti che mi hanno aiutato a resistere in queste circostanze così dure. Senza speranza, tutto crolla. Ma con la speranza, anche i momenti più difficili si possono affrontare. Per me e per la mia famiglia, la speranza significa riunirci di nuovo — nonni, figli, nipoti — fare il primo passo per riprendere una vita rimasta in sospeso troppo a lungo. La speranza è tornare a studiare, a lavorare, a crescere i nostri figli trasmettendo loro il senso dell’umanità e il valore della vita. Vogliamo restituire loro parte di ciò che hanno perso in questi ultimi due anni, curare le loro ferite interiori e aprire una finestra su un futuro degno di loro, come esseri umani. È la speranza che ogni mattina ci fa alzare dal letto, nonostante tutto».

Cosa vorrebbe dire pubblicamente alla tua famiglia e al mondo da lì, da Gaza City?

«Alla mia famiglia che si trova in Italia e a tutti voi, che vi interessate di noi e della nostra situazione voglio dire che siamo forti grazie a voi, e voi siete la parte più importante della nostra speranza. Apprezzo profondamente i vostri sentimenti, la vostra paura, e la grande preoccupazione che avete portato con voi durante tutta questa guerra. Ringraziamo per il vostro affetto, la vostra costante attenzione, il vostro desiderio di rassicurarci e di rimanere vicini. Ci mancate tantissimo, e continuiamo a sperare che presto potremo riabbracciarvi, se Dio vuole. Avrei voluto tenere queste parole dentro di me — custodirle nel cuore e offrirle in silenzio a Dio — per proteggere i vostri cuori e non causarvi ulteriore dolore. Ma non mi sento debole. Anzi, sento di avere la forza per superare questa prova, con l’aiuto di Dio e con il vostro sostegno nel cuore. E al mondo voglio dire: siamo esseri umani, con emozioni come chiunque altro, profonde, forgiate dai nostri valori, dalla nostra educazione, e dal nostro impegno spirituale e morale. Non siamo semplici numeri nei notiziari. Siamo medici, ingegneri, accademici, imprenditori, operai… Vogliamo progredire, costruire, contribuire con integrità e servire i nobili scopi per cui è nata l’umanità».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Katia Fitermann 12/09/2025)