#Amici
di Gianfranco Ravasi
Tutti sono capaci di condividere le sofferenze dell’amico. Ci vuole, invece, un’anima veramente bella per godere del successo dell’amico.
Una grande prova fisica e spirituale sta colpendo il tuo amico. Vai da lui, lo abbracci, lasci che si sfoghi e in qualche modo un’eco della sua sofferenza penetra in te e il tuo cuore vibra in una sincera “com-passione”, cioè in un patire comune. Passano gli anni e tutto si è risolto. Quel tuo amico è diventato un personaggio di successo. Ti ha invitato a uno dei suoi eventi pubblici: è sulla ribalta, acclamato e tu sei in platea ad applaudirlo. Lentamente, però, senti ramificarsi in te una sensazione di freddezza: merita proprio così tanto clamore? Non saresti forse tu più qualificato di lui e, invece, sei uno tra la folla protesa verso di lui?
Abbiamo voluto “sceneggiare” la duplice considerazione dell’«anima dell’uomo» che sopra ha icasticamente proposto Oscar Wilde, l’autore irlandese abile nel colpire con l’ironia i nervi scoperti delle nostre debolezze. In questo caso di scena è l’invidia, uno dei sette vizi capitali, il più camaleontico di tutti, ma anche il più autopunitivo. Forti sono due comparazioni: l’una è di Cervantes, nel Don Chisciotte, che la raffronta a un «verme roditore»; l’altra è ben più antica ed è del sapiente del libro biblico dei Proverbi che ricorre, invece, alla «carie nelle ossa». Gelosia e invidia diventano effettivamente una malattia, un’afflizione dello spirito, un’amarezza che avvelena i sapori della vita. Se cresce a dismisura, può condurre anche al delitto (Otello insegna) o almeno alla subdola manovra per colpire l’invidiato. Implicitamente l’invidioso confessa: «Io ti odio perché tu hai ciò che io non ho, o forse perché io ho più di quello che hai tu, ma non me lo riconoscono». E l’arma che si imbraccia è subito quella della calunnia e della maldicenza.
(Fonte. “Il Sole 24 Ore - Domenica” - 23 febbraio 2025)