Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



mercoledì 13 febbraio 2019

Una luce per tenere sempre accesa la speranza, per non dimenticare. A Roma questa sera alle 18,30 una fiaccolata per padre Paolo Dall’Oglio - Tutti i perché di una fiaccolata

Una luce per tenere sempre accesa la speranza,
per non dimenticare. 

Con questo spirito l’associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio, sentiti i familiari del gesuita, ha deciso di promuovere una fiaccolata mercoledì 13 febbraio a Roma, alle ore 18:30 presso piazza dell’Esquilino, davanti alla basilica di Santa Maria Maggiore.La fiaccolata, fino alle ore 20:00.
Non si tratta di chiedere qualcosa ma di garantire a Paolo e a tutti gli altri un’ora di affetto, solidarietà, vicinanza”.



A Roma una fiaccolata per padre Paolo Dall’Oglio

L’associazione “Giornalisti amici di padre Paolo Dall’Oglio”, insieme ai familiari, promuove una fiaccolata per il gesuita romano, gli ostaggi che sarebbero con lui e tutte le migliaia di siriani e anche stranieri sequestrati o arbitrariamente detenuti da anni in Siria. L’iniziativa si terrà a Roma mercoledì 13 febbraio, alle 18.30. L’appuntamento è in Piazza dell’Esquilino, davanti alla basilica di Santa Maria Maggiore, «luogo scelto in segno di affetto e riconoscenza per la profonda fede del nostro amico Paolo, gesuita e monaco, fondatore dell’ordine di Mar Musa», come si legge in una nota dell’associazione. «Accenderemo per loro una luce, simbolo proprio dei credenti come dei non credenti, per dire che noi non li dimentichiamo».

La fiaccolata avviene dopo che, nei giorni scorsi, voci plausibili ma non confermate parlano di una ipotetica esistenza in vita di padre Dall’Oglio, al centro di trattative dello Stato Islamico con le forze curdo-arabe sostenute dagli Stati Uniti per sfuggire all’annientamento in una delle ultime sacche di territorio sotto il suo controllo. «Speriamo - scrivono i membri dell’associazione - che quella luce ci aiuti a uscire dal buio in cui brancoliamo dal 29 luglio del 2013, lo stesso buio che avvolge chiunque abbia caro uno o una delle migliaia di siriane e siriani sprofondati in questo incubo. La disumanità di questa condizione ci ferisce ogni giorno di più. Non si tratta di chiedere qualcosa, ma di garantire a Paolo e a tutti gli altri un’ora di affetto, solidarietà, vicinanza».

Le luci resteranno accese davanti a Santa Maria Maggiore fino alle 20. Numerose le organizzazioni, le realtà ecclesiali e le comunità delle diverse confessioni che hanno già aderito alla fiaccolata, tra queste: Amnesty International; la Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù; Comunità di Sant’Egidio; Coreis (Comunità Religiosa Islamica); Federazione delle Chiese Evangeliche; Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche Italiane); Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontariato). Saranno presenti in piazza anche rappresentanti di Federazione Nazionale della Stampa italiana; Articolo21; Riforma (il quotidiano delle Chiese Evangeliche Battiste, Metodiste e Valedesi); Rivista San Francesco.

Per adesioni inviare una mail a: redazione@articolo21.info
(fonte: Vatican Insider)

Dall’Oglio, tutti i perché di una fiaccolata
di Riccardo Cristiano

Mercoledì 13 febbraio, in piazza dell’Esquilino, qui a Roma, davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, ricorderemo padre Paolo Dall’Oglio con una fiaccolata, perché la luce è un simbolo per i credenti come per i non credenti. So che Paolo è stato espulso dal regime di Assad con l’acquiescenza di molti e poi sequestrato dall’Isis, come milioni di siriani: espulsi da Assad e sequestrati dall’Isis che ci ha impedito di accoglierli chiudendoci gli occhi e paralizzando la nostra capacità di capire. La storia di Paolo dunque è la storia di un popolo intero, rimossa dai libri di storia, nella quale lui ha voluto esserci per portare a Raqqa, nei giorni in cui l’Isis stava per conquistarla, la voce di Dio, cioè lo sguardo affettuoso di uomo che ama il prossimo suo come se stesso, tanto da rischiare la vita per raggiungerlo nel dolore e non lasciarlo solo. Nessuno lo ha costretto ad andarci, ma la sua coscienza di missionario lo ha costretto ad andarci, per “solidarietà”.

Ora si dice che Paolo possa essere vivo. Secondo l’autorevole Times sarebbe stato offerto insieme ad altri due ostaggi internazionali in cambio di un salva condotto per l’ultima colonna dell’Isis che cerca un disperato riparo dall’assedio dei curdi. La notizia è venuta da fonti curde, ma questi ultimi ufficialmente l’hanno smentita. Gli scenari così sono due: o l’Isis ha bluffato, offrendo una merce preziosa che però non ha più, per salvarsi, o i comandi curdi hanno imposto la smentita perché in questa battaglia vogliono avere le mani libere. Vogliono combatterla e giocarla come ritengono, senza pressioni internazionali o richieste delle piazze occidentali. Perché? E’ noto: in quella colonna potrebbe esserci il sedicente califfo al-Baghdadi. 

Io non so quale ipotesi sia quella vera. So che la prima è plausibile come la seconda, e un prigioniero dell’Isis riuscito a infilarsi tra la popolazione civile evacuata l’altro ieri dal piccolo centro dove i terroristi sono asserragliati ha detto che i prigionieri sono cinquecento, e che c’è una cella speciale per i detenuti europei. Europei…. al plurale. Che interesse aveva a mentire? Nessuno, credo. E’ un uomo in gravissime condizioni di salute, ricoverato in ospedale, che avverte l’esigenze di dire quel che lui sa. Avrà ricompense per questo? Non penso. 

Io non so cosa possa trattare il gruppo di testa dell’Isis, magari al Baghdadi, che in questi giorni sarebbe scampato a un ammutinamento. So che in queste condizioni è tremendamente plausibile che padre Paolo sia lì. Se così fosse cosa conterebbe di più? Salvare tre vite o esibire lo scalpo di al-Baghdadi? 

Per me non ci sono dubbi: salvare tre vite (Paolo, un giornalista britannico e una crocerossina neozelandese). Perché? Non solo perché amo Paolo. Ma perché quando un raid aereo determinò la morte del padre politico di al-Baghdadi, al-Zarqawi, quel raid non impedì la nascita dell’Isis, anni dopo. Morto uno Zarqawi se ne fa un altro, se non prevale una politica sensata. Siccome questa politica non si vede, io credo che la salvezza di Paolo vada assolutamente cercata. Perché il danno futuro è già sotto i nostri occhi. Le politiche più sbagliate si delineano, come si delinearono in Iraq dopo il 2003. L’odio così facendo tornerà peggiore di prima. E allora questo ostaggio innocente e appassionato merita il nostro impegno, almeno per un’ora, a testimoniare che lo vorremmo riportare a casa non solo perché è un carissimo amico, un profeta di questo disastro in cui siamo piombati, ma uno dei pochi che ha capito come si potrebbe fare per cambiare corso, e costruire quella fratellanza senza la quale saremo perduti.
(fonte: RESET)