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sabato 23 febbraio 2019

Il documento di Abu Dhabi - Cristianesimo e islam la sfida del consenso di Bruno Forte

Il documento di Abu Dhabi - 
Cristianesimo e islam 
la sfida del consenso 
di Bruno Forte,
arcivescovo di Chiesti -Vasto






Poco più di trent' anni fa Samuel P. Huntington, nel libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (Garzanti, 1997: orig. 1996), aveva individuato la sfida globale del XXI secolo nel conflitto delle civiltà, identificate con i grandi mondi religiosi, dopo i conflitti fra le nazioni, tipici del XIX secolo, e quelli fra le ideologie, che hanno segnato il secolo XX. Sembra dare ragione al politologo americano la «guerra mondiale a pezzi» più volte denunciata da Papa Francesco, tanto più che in essa le religioni hanno un' importante responsabilità.

Ecco perché un consenso fra Cristianesimo e Islam, come quello espresso ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso nel «Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune», firmato dal Vescovo di Roma e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Muhammad Al-Tayyib, costituisce una speranza e una promessa per tutti. 

Del Documento vorrei evidenziare alcuni principi ispiratori, che ne fanno tra l' altro un frutto altissimo del Concilio Vaticano II.

Il primo è quello della solidarietà universale fra gli esseri umani davanti al mistero dell' unico Dio.
Il testo lo richiama con una frase semplice e intensa: «La fede porta il credente a vedere nell' altro un fratello da sostenere e da amare». Se i cristiani riconosceranno in queste parole il cuore del «comandamento nuovo» di Gesù, i credenti islamici non potranno non avvertirvi l' eco dei caratteri fondamentali di Colui che è per antonomasia «il clemente e il misericordioso», come afferma l' inizio del Corano riferendosi a Dio. Importantissima è la conseguenza etica di questo principio: «Chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l' umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l' umanità intera». Non poteva essere più netta la condanna di ogni forma di violenza, eco dell' imperativo del «Non uccidere», comune alle due fedi (cf. Es 20,13 e Mt 5,21-22, e nel Corano il versetto 32 della Sura 5).

A ispirare il testo di Abu Dhabi è poi quel principio dialogico, che sta alla base della concezione conciliare del rapporto Chiesa-mondo: cattolici e musulmani insieme «dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via».

Viene certo rifiutata ogni forma di irenismo ingenuo o dai secondi fini, né si ignora quanto le violenze compiute nella storia in nome di Dio abbiano disatteso il comandamento divino. Proprio per questo, però, è tanto più significativo che si affermi: «Noi - credenti in Dio, nell' incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio - , partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, attraverso questo Documento chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell' economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace».

Va infine segnalato il primato riconosciuto all' etica e alla dimensione spirituale della vita:
«Il deterioramento dell' etica, che condiziona l' agire internazionale, e l' indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità... contribuiscono a diffondere una sensazione generale di frustrazione, di solitudine e di disperazione, conducendo molti a cadere nell'integralismo religioso, nell' estremismo e nel fondamentalismo cieco».
Si tratta di un' affermazione preziosa, che mette in guardia dal rischio sempre in agguato per ogni essere umano di abbandonare l' orizzonte ultimo, per ripiegarsi sulle misure corte dell' avidità o della sete di potere.

L' antidoto è per cattolici e musulmani il risveglio «del senso religioso e la necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazioni», facendo fronte comune alle tendenze egoistiche e conflittuali, che sono alla base del radicalismo e dell' estremismo. Il testo è di una fermezza assoluta: «Condanniamo tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, gli atti terroristici, gli spostamenti forzati, il traffico di organi umani, l' aborto e l' eutanasia e le politiche che sostengono tutto questo».

Netta è poi l' affermazione che impone di separare il nome di Dio e la fede in Lui da ogni forma di violenza:
«Noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all' odio, alla violenza, all' estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione.
Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio».

Al no radicale alla violenza perpetrata in nome della religione il testo congiunge, poi, il sì alla libertà religiosa e di coscienza come «diritto di ogni persona». Affermazioni fatte - dice il testo - dando voce «ai cattolici e ai musulmani d' Oriente e d' Occidente» e rivolte non solo ai credenti, ma ad ogni persona che si voglia pienamente umana: sapremo raccogliere tutti una simile sfida?