di Massimo Toschi
La necessità di un Sinodo per uscire dalla crisi sociale non secondo la politica, ma secondo la grazia.
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Un commento
In queste ore la vicenda dell’Aquarius pone ancora con più forza la testimonianza dei cristiani e delle Chiese nella vita di questo Paese. Una situazione che si pone accanto alle parole della senatrice a vita Liliana Segre sui bimbi rom strappati alle loro madri.
Due segni che rivelano uno sfiguramento della nostra anima.
Cresce l’odio, cresce il conflitto, cresce il disprezzo verso l’altro.
La violenza prende mille rivoli, si nasconde nei giacimenti di odio che abitano i nostri cuori e le nostre città, nei nostri pregiudizi, in un linguaggio violento e aggressivo, che semplifica il Vangelo e lo trasforma in una parola contro.
Dossetti nel 1994, quando iniziò la sua predicazione sulla Costituzione, era assolutamente consapevole di un cambiamento di epoca del e nel nostro Paese, sedotto (termine dossettiano) dall’imperialismo della comunicazione, da colui che si poneva come il grande seduttore.
Da monaco venne nella polis, perché si potesse discernere il tempo della notte che stava arrivando e che metteva in questione la forza inerme della Costituzione e del Vangelo. Ed egli presenta la Costituzione come il progetto culturale dei cattolici italiani, non nel segno del potere, ma del servizio.
Dossetti tornò ad essere maestro della Costituzione, nella consapevolezza che ci fosse un legame profondissimo tra essa e il Vangelo. Anzi, i principi costituzionali rinviano alle parole del Vangelo, che richiamano la pace, il lavoro, la salute, la cultura, i diritti sociali, la giustizia. Questi principi nati dal Vangelo trovano il loro dispiegamento nella Costituzione.
Allora Dossetti, con il versetto di Isaia: “Sentinella quanto resta della notte”, ci donò la chiave per fermare quell’ onda di piena. Non si tratta di riconoscere solo la lettera della Costituzione, ma di narrarne lo spirito: quell’antifascismo spirituale, che ha permesso di superare molte prove e molti conflitti nella storia della Repubblica.
A distanza di venticinque anni, molte cose sono accadute e molte stanno accadendo, in un peggioramento culturale, gravido di nubi piene di tempesta. Non si imparò la lezione di allora, una lezione di sapienza e di intelligenza, senza patteggiamenti con il neo-pelagianesimo imperante.
Don Giuseppe racconta di avere formato questo antifascismo spirituale, leggendo “Civiltà cattolica” tra il 1921 e il 1924, cogliendo l’emergere e l’affermarsi di un fascismo cristiano, che alla fine abbraccia e seduce tutto.
Oggi questo fascismo cristiano noi lo vediamo nella cultura del disprezzo: nel disprezzo verso i disabili, verso le donne, verso le donne disabili; nelle parole violente, nella semplificazione violenta del linguaggio, nella volgarità degli insulti, nel rifiuto della mitezza, nella fraternità secondo il sangue, in un razzismo sempre risorgente.
Oggi non c’è il profeta e manca la sua parola.
A maggior ragione e con più forza bisogna prendere il cammino del sinodo, per uscire da questa crisi non secondo la politica, ma secondo la grazia.
Non possiamo abbandonare il Paese e non possiamo abbandonare questa nostra povera Chiesa. Alcuni credono che la salvezza sia la politica, una scuola di politica non si nega a nessuno!, ma certo sarebbe poca cosa se bastasse studiare un capitoletto di dottrina sociale o un articolo di diritto pubblico.
Ecco il tempo della conversione e della penitenza, il tempo della grazia e non il tempo della politica. E’ il sinodo il luogo per discernere ciò che lo Spirito dice alle Chiese. I poveri diventano per noi e per tutti maestri del Vangelo, maestri delle beatitudini, maestri di una Chiesa spoglia, senza pretese, senza protezioni e senza sostegni.
La fraternità rischia di diventare un lusso per i credenti e così l’accoglienza e la condivisione un privilegio da anime belle. Il vangelo delle opere di misericordia corporale lo trasformiamo in una pagina del vangelo da mettere tra parentesi, anzi da sospendere.
Il Sinodo diventa la liturgia penitenziale per la Chiesa italiana, per intraprendere con coraggio la via della conversione e della sottomissione al Vangelo di Gesù, per incarnarlo in questo tempo drammatico. Dice Francesco nella sua preghiera semplice: “Dove è odio, che io porti l’amore“.
Ecco la via della Chiesa. Tutto è grazia, e non politicismo astuto, violento e furbo.
(Fonte: CittàNuova)
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