Leggi il testo integrale dell''articolo del quotidiano spagnolo El País del 23 Settembre 2013:
Uno scherzo? Niente affatto. "E' qualcosa che è passato per la testa di papa Francesco". Così il quotidiano spagnolo El País comincia il suo articolo - firmato da Juan Arias, giornalista e scrittore con un passato da sacerdote, corrispondente da Roma per 18 anni e oggi residente in Brasile - intitolato "Una donna cardinale?". Una domanda forte, spiazzante, dirompente, che apre una serie di scenari ancora più dirompenti. "Questo Papa, che non sembra un Papa", scrive Arias, che si occupa soprattutto di temi religiosi, "è arrivato a Roma dalla periferia della Chiesa con un programma molto concreto: cambiare non soltanto l'apparato arrugginito della macchina ecclesiale, ma anche far rinascere il cristianesimo delle origini".
Secondo il principale quotidiano di Madrid, insomma, il Pontefice starebbe pensando seriamente a una riforma della Chiesa che comporti il cardinalato aperto alle donne. Prova ne sarebbe la recente intervista rilasciata a Civiltà cattolica, nella quale papa Bergoglio dichiara che "la Chiesa non può stare lei stessa senza la donna". Un'utopia? No: perché, ricorda il giornalista, "secondo il diritto canonico, oggi ci possono essere cardinali che non siano sacerdoti, basta che siano diaconi"...
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Sull'ipotesi di creare donne cardinali il dibattito nella Chiesa è aperto. Nel '94 a lanciare la proposta fu il vescovo del Congo Ernest Kombo, gesuita come papa Francesco, e nel '97 il cardinale Martini.
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«L’ipotesi di nominare cardinale una donna non è nuova. Nella Chiesa se ne discute da tempo e la proposta fu avanzata già nel corso del Sinodo nel 1987».
Così don Alessandro Giraudo, docente di Diritto canonico alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Torino, commenta la proposta lanciata dal quotidiano spagnolo El Paìs.
Don Alessandro ci aiuti a capire. Cosa prevede la normativa attuale? ...
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«La questione della situazione delle donne nella Chiesa va affrontata dicendo cose concrete».
Lucetta Scaraffia, storica, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma ed editorialista dell’Osservatore romano va subito al punto dopo la proposta lanciata dal quotidiano spagnolo El Paìs di nominare cardinale una donna.
Professoressa, con papa Francesco cambierà qualcosa?
«Che le donne siano trascurate nella Chiesa e che bisogna dare loro più importanza l’avevano già detto sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI. Adesso, invece, Bergoglio ha parlato di due cose molto concrete: la prima è l’annuncio della ripresa degli studi teologici sul posto della donna proponendo un superamento della “teologia della complementarietà” che era quella di papa Wojtyla e su cui la Chiesa è ferma da decenni. La seconda è che ha detto che mancano donne nei posti direttivi. Sono due cose molto chiare e concrete, non generiche»...
Nominare una donna cardinale: l’ipotesi-proposta del Paìs non è del tutto nuova. Altre voci si sono alzate, negli anni – personalmente voglio ricordare la grande antropologa inglese Mary Douglas, cattolica – per indicare questa via maestra per dare autorità e quindi aumentare l’autorevolezza delle donne nella Chiesa. La nomina avrebbe infatti il grande vantaggio di essere possibile, senza implicare il problema spinoso dell’ordinazione sacerdotale femminile. Costituirebbe un atto di cambiamento forte, significativo, di quelli che ormai siamo abituati ad aspettarci da Papa Francesco. E non stupirebbe poi molto, in fondo, dopo avere ascoltato le frasi impegnative che ha pronunciato recentemente il Papa sul ruolo delle donne nella Chiesa.
Certo, sarebbe una rivoluzione così forte da scuotere la posizione di diffidenza e di disinteresse che gran parte del clero assume nei confronti delle donne, religiose e laiche, perché è ormai chiaro che le esortazioni a tenere conto in modo diverso della presenza femminile – avanzate sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto XVI – non hanno dato che modesti frutti. Papa Francesco ha parlato senza mezzi termini di donne in posizioni importanti, ma non è facile realizzare in modo decisivo questa riforma. Certo, a tutti – cioè al mondo al di fuori delle gerarchie ecclesiastiche – sembra molto strano, e in particolare chiaramente sbagliato, che non ci siano donne in posizioni direttive all’interno di organismi decisionali come i Pontifici Consigli che trattano di temi che le coinvolgono in prima persona: non ci sono donne, infatti, nell’istituzione che regola i problemi dei Religiosi – anche se le donne costituiscono i due terzi del numero totale dei religiosi –; nel Pontificio Consiglio per i laici, che ovviamente almeno per metà sono donne; nel Pontificio Consiglio della famiglia, dove la loro presenza dovrebbe essere ovvia. Ma anche nell’istituto che regola l’assistenza sanitaria, in gran parte gestita - e bene - da congregazioni femminili. E non dobbiamo poi dimenticare che le donne dovrebbero partecipare alle decisioni di tipo culturale, o a quelle che riguardano le comunicazioni. In entrambi questi ambiti, al di fuori della Chiesa, ma in parte anche all’interno, le donne ormai ricoprono ruoli importanti, dando prova di grandi capacità.
E ancora: perché nelle congregazioni che precedono il conclave i cardinali elettori non hanno avuto modo di ascoltare neppure una donna, religiosa o laica? Oggi le donne si rifiutano di essere rappresentate da uomini in qualsiasi occasione, ed esigono, giustamente, di essere ascoltate. Quello che manca alla Chiesa è proprio questo: la disponibilità ad ascoltare le donne, considerate solo come obbedienti esecutrici di direttive altrui, o fornitrici di servizi domestici.