Alla scoperta dell’Altro. Da cercare con braccia protese, verso l’altro-da-sè, verso l’invisibile, verso il tutt’altro.
La riflessione sulla pace fa spesso riferimento al volto. Volto come icona e come relazione. Come appello e come realtà umana primaria: da guardare, da accarezzare, da consolare. Ma anche come luogo e come strumento di intesa e d’amore. Come sorriso e come specchio dell’Invisibile.
Il volto presuppone e richiama le mani e le braccia. Le proprie braccia e quelle dell’altro. Le proprie: in quanto braccia che si protendono al di là di se stessi, come a voler sollevare se stessi. Sono braccia protese verso il cielo e così appaiono in alcuni graffiti preistorici, in mezzo a scene di caccia e di vita ordinaria; tra animali fuggenti o feriti, su linee che forse vogliono rappresentare la superficie della terra, e in mezzo a simboli che evocano gli alberi. Eppure proprio ciò verso cui le braccia si elevano non ha alcuna visualizzazione. Quelle braccia sembra che si protendano verso l’invisibile. Appunto verso ciò che non è riproducibile nemmeno con una semplice linea o un segno alludente a una qualsiasi forma.
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