Fiducia, fedeltà e rischio
Per prepararsi alla domenica
(XXXIII del T.O.)
di Antonio Savone
La vita, la sequela, il discepolato, l’esperienza della comunità cristiana, questo stesso ritrovarci in assemblea… un credito di fiducia aperto da Dio a nostro favore.
Al termine dell’anno liturgico e in una situazione storica come la nostra segnata da non poche preoccupazioni di fronte a gravi segni di disgregazione, a rileggerci è la splendida pagina della fiducia di Dio e ci annuncia che egli non è ancora stanco di questa umanità alla quale di nuovo, ancora, affida i suoi beni più cari.
Dio si fida e perciò si affida, all’uomo, a questo uomo che sono io, secondo la mia capacità. E la prova della fiducia risiede proprio nello starsene lontano:partì… Dio si fida, non ha paura e perciò si sente ben rappresentato da quest’uomo che sono io. L’uomo – ha detto qualcuno – il rischio di Dio. Fidandosi Dio rischia. Fiducia nei confronti di quest’uomo che sono io perché possa essere non solo amministratore di doni ricevuti in vista di una restituzione ma partecipe della stessa gioia di colui che dona: entra nella gioia del tuo Signore.
Vangelo che ci rilegge, dunque. Rilegge il nostro modo di stare al mondo a contatto con la nostra vita e con quella di quanti ci sono affidati. Rilegge il nostro atteggiamento di fronte a quanto con generosità e premura il Signore è andato dispensando di domenica in domenica. Non unico il modo di rapportarsi al dono come non unico è il modo di rapportarsi al reale.
Si può stare al mondo più preoccupati di evitare il male che di operare il bene, tranquilli e – perché no? – magari anche compiaciuti solo perché non abbiamo fatto questo, abbiamo evitato quello (“castità custodite nell’aridità. Celibati che rendono uomini complessati, matrimoni mortificati… affetti appiattiti dalla noia… rapporti condizionati dall’interesse”). Vita sì, ma nella recita.
Al mondo sì, ma ...
Eppure la parabola di Mt parla di un credito di fiducia accordato in anticipo. Fiducia di Dio riversata su tutti perché alle mani di ognuno è affidato qualcosa di buono. I beni di quel padrone assente per lungo tempo sono affidati ad altri.
...
Quel che più è strano è che quel padrone affida il proprio patrimonio a soggetti di cui non conosce neppure la managerialità. Un padrone interessato più che al frutto, alle potenzialità insite nei suoi servi ai quali si potrebbero applicare le parole dette da Gesù durante la Cena:non vi chiamo più servi, ma amici (Gv 15,15).
E invece talvolta ci sembra che il modo più riuscito per rispondere all’amore sia cristallizzare. Conservare non è il verbo dell’amore. L’amore non è realtà che si coniuga con l’intento di attendersi ricevute che attestino che non ci sono più pendenze tra noi.
Il dono restituito – ecco qui il tuo – indica la fine dell’amore, la cessazione di un rapporto. Restituire il dono equivale a riconoscere di essere stati al mondo, nella vita, in una relazione senza aver mai compreso quello che il padre di Lc 15 dice al figlio maggiore: “figlio, tutto ciò che è mio è tuo”.
Dio non gode della restituzione ma dell’inventiva e della creatività usate nel far circolare quanto mi è stato partecipato. Gioisce di una fede più preoccupata degli impulsi dello Spirito che non dei rischi umani da correre. Una fede non preoccupata del riconoscimento ma solo onorata per la fiducia di chi ha posto nelle sue mani un tesoro. L’antidoto a una vita al ribasso non è l’intraprendenza o l’operosità ma la fedeltà. Fedeli alla vita che solo per il fatto che mi è stata donata merita di essere vissuta fino in fondo. Fedeltà creativa che riconosce le opportunità e le porta a compimento, rischiando, forse sbagliando pure, e comunque vivendo. Luogo della fedeltà è il presente, il qui e ora, così come accade.
Ci sia dato, di fedeltà in fedeltà, di sentirci ripetere: entra nella gioia del tuo Signore.
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