Che meraviglia!
di Giovanni Mazzillo
E Dio vide che era cosa buona. E bella. Lo stupore è alla base di tutto, della filosofia come della religione. Lo stupore di fronte alla bellezza intangibile della creazione, delle persone. Di un mondo non sfiorato né da guerre né da missione alcuna.
M come meraviglia, come meraviglioso. Perché meravigliosa è la vita, sicché ogni attività umana degna di questo nome inizia con la capacità di stupirsi. Sì, di stupirsi, perché ci sentiamo parte di un tutto cui apparteniamo, di una storia che ci accompagna, della stessa umanità che ci sostiene e che noi rafforziamo. È thaumazein, cioè restare meravigliati, ma per intimo getto di una gioia inedita e senza paragoni. Lo scriveva già Platone, per il quale tale stupore accompagnato dall’ammirazione anticipa ogni altra intuizione e qualsiasi tipo di considerazione sull’uomo. Scriveva: “Lo stupore (thaumazein) è il pathos del filosofo. Da altro non ha inizio la filosofia se non da questo, e colui che chiama Iride la figlia di Taumante, non sembra definire in modo errato la sua origine” (Teeteto). La meraviglia è, dunque, ciò che nasce nel guardare l’arcobaleno, quell’Iride che nella Teogonia (l’origine degli dei) del poeta Esiodo è appunto figlia dello stupore in persona (Thaúmas).
Ma la religione inizia alla stessa maniera: nel sorprendersi immensamente grandi nella propria povertà, nel bussare con le nostre mani finite e doloranti alle porte dell’Infinito che ci chiama.
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