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mercoledì 29 novembre 2023

È morto Gianni Novelli, fondatore del CIPAX, il ricordo di PeaceLink e NEV - Tonio Dell'Olio: Canto per Gianni Novelli

Ci ha lasciato Gianni Novelli


E' morto Gianni Novelli, un protagonista in Italia del dialogo religioso per la pace.

Ha fondato nel 1982 il Cipax, ossia il Centro Interconfessionale per la Pace, un’associazione di promozione sociale con finalità di solidarietà sociale, umana, civile, culturale e di ricerca etica.

Era una persona gentile, mite e garbata in ogni sua cosa.

Negli anni Ottanta mandava per posta la newsletter del Cipax, un piccolo bollettino che aveva creato una rete di persone appassionate alla pace e alla cultura della nonviolenza.

PeaceLink tenne uno dei suoi incontri nazionali proprio alla sede romana del Cipax.

La grande disponibilità e apertura al dialogo di Gianni Novelli rimarrà nel cuore e nel ricordo di tutti noi.
(fonte: PeaceLink 29/11/2023)

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Tonio Dell'Olio
Canto per Gianni Novelli

 

Il sorriso di Gianni è una porta spalancata verso chiunque, sempre. Sul cuore del mondo. Io ho conosciuto un uomo libero.

E la danza non è solo una metafora per dire il suo modo di stare al mondo, mille volte lo abbiamo visto abbracciare i popoli della terra con la leggerezza di un passo. Chi potrebbe scrivere a elogio ciò che lui ha scolpito a vita? Camminatore leggero, sguardo profondo, ha sempre avuto un libro da consigliare che si aprisse come una finestra, un viaggio a cui invitarti, la registrazione dell'ultima conferenza da consegnarti come uno scrigno. E poi raccontare. Storie che trasudano vita. Vite che diventano storia. E lui segretamente nascosto in seconda fila a godere della parola dell'altro e del tributo riconosciuto. Di porto in porto, perché la pace si costruisce in cammino, la nonviolenza è cammino. E Gianni ha sempre camminato facendosi amico dei popoli. Portando tanti tanti volti nel cuore. A uno a uno. Io gli invidiavo la rubrica. Anche il dissenso era solo amore per un cammino frenato da una chiesa statica e complice corrotta, colpevolmente silente anche di fronte alle vite calpestate. Perché Gianni era capace solo di amare. E sorridere. Anche nella sofferenza che gli infliggevano. L'augurio che sempre gli rivolgeva il padre, oggi è per lui, e lui lo ripete a noi: Que Dios vaya contigo caminante.
(fonte: Mosaico dei Giorni 29/11/2023)

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È morto Gianni Novelli, fondatore del Centro interconfessionale per la pace


È mancato ieri a Roma Gianni Novelli, fondatore del Centro interconfessionale per la pace (CIPAX). Nato a Roma nel 1936, avrebbe compiuto 87 anni il prossimo 6 dicembre. Novelli, instancabile promotore di cultura e di pace, ha fatto del suo percorso di attivismo una viva testimonianza della sua fede cristiana.

Gianni Novelli si è prodigato, con la sua mente, con l’anima e con il corpo, nella costruzione di percorsi di dialogo e pace, in ambito ecumenico e non solo. Ricordiamo la sua partecipazione a manifestazioni pacifiste, in Italia come oltre Oceano, da Comiso a New York, da Roma a Washington. Noto anche per le sue collaborazioni con Pax Christi, con le chiese e le riviste protestanti, con esponenti di tutte le religioni, in ambito nazionale internazionale, ha partecipato alle assemblee mondiali convocate dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), a pellegrinaggi per la pace, ed è stato per anni promotore delle celebrazioni in ricordo di Oscar Romero. Instancabile nel documentare la storia e le storie pacifiste, di movimenti e testimoni di pace, Gianni Novelli è stato inoltre punto di riferimento importante presso la Comunità di base di San Paolo guidata da Giovanni Franzoni. Ha pubblicato numerosi interventi e libri, fra cui “Ecumenismo e pace. Da Kingston 2011 a Busan 2013”, insieme al giornalista vaticanista Luigi Sandri.

“Gianni Novelli, il nostro fondatore, una persona che ha speso tutta la sua vita al servizio della pace e delle donne e degli uomini in ricerca, intessendo instancabile reti tra persone, comunità, mondi anche molto lontani, ha lasciato oggi la sua vita terrena.
Lo ricordiamo con grandissimo affetto per la sua profonda umanità, per l’immenso sorriso che ci ha sempre regalato, per la gentilezza e la pacatezza con cui esprimeva la sua forza, per la capacità di stare vicino a tutte e tutti coloro che, lontano o vicino, avessero bisogno di un segno di pace, di solidarietà e affetto.
Ringraziamo le tante persone che stanno condividendo con noi in queste ore il dolore della sua scomparsa.
Il Cipax, Centro Interconfessionale per la pace è più che mai determinato a continuare a camminare sulle vie della pace, della nonviolenza e dell’incontro interreligioso che Gianni ci ha aperto”. Ha scritto così l’attuale presidente del CIPAX, Cristina Mattiello, in un messaggio di cordoglio.

Per salutare Gianni Novelli, mercoledì 29 è possibile andare alla camera mortuaria del Fatebenefratelli dalle 15 alle 17. Sempre mercoledì 29, alle 19, veglia funebre presso la comunità di San Paolo in via Ostiense 152 b. I funerali saranno giovedì 30 alle 11.30, sempre in via Ostiense.
(fonte: NEV 29/11/2023)


Cop 28 a Dubai, la Terra brucia nel solito scontro ricchi-poveri (con una sola buona notizia)

Cop 28 a Dubai, la Terra brucia nel solito scontro ricchi-poveri (con una sola buona notizia)

Riflettori accesi sull’annuale conferenza Onu sui cambiamenti climatici. I punti nevralgici in discussione e il positivo accordo raggiunto di recente tra Usa e Cina


Si apre giovedì a Dubai Cop28, l’annuale conferenza Onu sui cambiamenti climatici, annunciata da cinque dati inquietanti. 1) Non c’è ormai più alcun dubbio che il 2023, sotto la spinta di El Niño, sarà l’anno più caldo di sempre. 2) Il 4 luglio con 17,19 gradi è stato il giorno con la temperature media globale più alta di sempre sulla Terra da quando esistono le misurazioni. 3) Il 1° agosto la temperatura dei mari tra le latitudini di 60° N e 60° S con 20,96 gradi è stata la più alta di sempre. 4) Il 17 novembre sono stati per la prima volta superati i 2 gradi sul livello di base pre-industriale 1850-1900. 5) Gli obiettivi fissati negli Accordi di Parigi del 2015 sono lontanissimi: entro il 2030 si dovevano ridurre del 43% le emissioni di gas serra per limitare possibilmente a 1,5 gradi l’aumento di temperatura media entro la fine del secolo (siamo già a +1,2 °C) e assolutamente entro 2 gradi, ma le azioni finora intraprese porteranno nel 2030 a ridurre le emissioni soltanto del 2% .


I temi centrali in agenda a Cop28 sono quindi due: il bilancio a otto anni da Cop21 e il Fondo Loss & Damage, finanziato dai Paesi più ricchi, destinato a compensare perdite e danni causati dai cambiamenti climatici nelle nazioni più povere. Intorno a quest’ultimo argomento si dibatte da anni, sono stati spesi fiumi di parole e tante promesse (100 miliardi di dollari all’anno) ma di soldi veri se ne sono visti pochi. Anche perché in mezzo, occorre riconoscerlo, c’è stata una pandemia e la guerra in Ucraina che ha fatto dirottare le risorse verso altre direzioni. L’unica buona notizia è il recente accordo Usa-Cina, che apre la strada a una possibile intesa anche sul clima tra i due colossi mondiali, anche perché se si prosegue su questa strada l’aumento di temperatura a fine secolo sarà di 2,5-2,9 °C, con tutte le conseguenze che ciò comporta (scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, tempeste sempre più forti, siccità più lunghe, temperature in alcune zone che supereranno il confine dei limiti vitali).

A Dubai si prevede un acceso scontro tra Paesi ricchi e poveri proprio sul tema dei soldi per il Fondo Loss & Damage, sul quale nelle riunioni pre-Cop28 sembra che ci si avvii verso un compromesso, ma occorrerà vedere a quale livello. A Dubai è atteso anche Papa Francesco, salute permettendo. Ancora incerta la sede del prossimo anno: si erano fatte avanti Bulgaria e Repubblica Ceca, ma la Russia ha posto il veto per tenere Cop29 in una nazione Ue. Cop30 nel 2025 dovrebbe avere luogo a Belem, in Brasile. Staremo a vedere.
(fonte: Corriere della Sera - Buone Notizie articolo di Paolo Virtuani 27/11/2023)


martedì 28 novembre 2023

Intenzione di preghiera per il mese di Dicembre 2023 Preghiamo per le persone con disabilità (commento, testo e video)

Intenzione di preghiera per il mese di Dicembre 2023 
Preghiamo per le persone con disabilità


Francesco invita la Chiesa e le istituzioni civili ad abbracciare l’inclusione e a incoraggiare la partecipazione attiva delle persone con disabilità

Questa intenzione di preghiera coincide con il mese in cui le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata internazionale delle persone con disabilità (3 dicembre) con l’obiettivo di promuovere i loro diritti e il loro benessere. E Papa Francesco insiste sul concetto di “diverse abilità“, a sottolineare il grande apporto che può arrivare alla società da una piena inclusione e valorizzazione dei più fragili.

Lo testimoniano le immagini che accompagnano le sue parole: storie diverse tra loro, accomunate dalla capacità di valorizzare i talenti delle persone disabili. Dagli atleti paralimpici che sfidano con successo i propri limiti nelle varie competizioni internazionali agli amici della Comunità di Sant’Egidio che dipingono opere d’arte o servono ai tavoli di una trattoria; dal gesuita ipovedente, teologo in Australia, alla religiosa down impegnata a Lourdes, che hanno partecipato all’assemblea generale del Sinodo e che sono raccontati nella campagna #IamChurch del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita: Il Video del Papa di questo mese – realizzato in collaborazione con il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale – è un inno alla vita stessa, oltre che un appello a cambiare modo di pensare.

La società e la Chiesa

Nel mondo di oggi, denuncia Francesco, alcune persone con disabilità “sperimentano un rifiuto, basato sull’ignoranza o basato sui pregiudizi, che li trasforma in emarginati”. È dunque ora di “cambiare un po’ la nostra mentalità per aprirci ai contributi e ai talenti di queste persone con diverse abilità, sia nella società che nella vita della Chiesa”. Alle istituzioni civili, il Papa chiede di sostenere i progetti delle persone disabili “attraverso l’accesso all’educazione, all’occupazione e agli ambiti in cui si esprime la creatività” e con “iniziative che favoriscano l’inclusione”. Alla Chiesa, di non limitarsi a “eliminare le barriere fisiche, ma anche capire che dobbiamo smettere di parlare di ‘loro’ e cominciare a parlare di ‘noi’”. A tutti, poi, ribadisce che “c’è bisogno di cuori grandi che siano disposti ad accompagnare”.

Uno sguardo più profondo

Il Cardinale Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, commentando il video di dicembre del Santo Padre, aggiunge: “L’invito del Papa ad accogliere le persone con disabilità nella vita della Chiesa e della società è di grande aiuto per riconoscere il mistero che ogni persona è. Gesù ha incontrato persone segnate da fragilità fisiche, psichiche e spirituali e in loro vedeva la bellezza e la promessa. Così, loro percepivano in Lui il mistero divino, avvertivano la presenza di Colui che salva, di Colui che è Padre. In un mondo in cui la produttività sembra essere più importante dell’essere umano e il bello è omologato entro canoni commerciali, la comunità cristiana che prega guadagna uno sguardo più profondo e più libero. La Chiesa non nega ad alcuno la partecipazione, la Parola e i Sacramenti, ma condivide con ciascuno il percorso adatto. Le nostre società, spesso poco inclusive, necessitano di un impegno comune e concreto perché, seguendo l’esempio di Gesù, venga rispettata la dignità di tutti e cresca la fraternità”.

L’inclusione, la roccia su cui costruire

Padre Frédéric Fornos S.J., Direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, rafforza l’invito di Francesco: “Il fulcro dell’intenzione di preghiera del Papa di questo mese è promuovere la partecipazione attiva delle persone con disabilità, costruendo programmi e iniziative in modo che nessuno sia escluso, in modo che siano sostenuti, accolti, integrati e riconosciuti dalla società. È quello che ha fatto Gesù, che ha accolto tutti: con lui nessuno si è sentito escluso. Noi lo sappiamo, ma facciamo fatica a viverlo: per questo dobbiamo pregare, perché richiede un cambio di mentalità, di prospettiva, a partire dalla nostra. È così, ci dice il Papa, che potremo ‘aprirci ai contributi e ai talenti di queste persone con diverse abilità, sia nella società che nella vita della Chiesa’”.

Questo progetto è realizzato grazie alle donazioni, possibili attraverso il sito web.

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Guarda il video


Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Tra i più fragili in mezzo a noi ci sono le persone con disabilità. 
Alcune di loro sperimentano un rifiuto, basato sull'ignoranza 
o basato sui pregiudizi, che li trasforma in emarginati. 

Le istituzioni civili devono sostenere i loro progetti attraverso l’accesso 
all’educazione, all’occupazione e agli ambiti in cui si esprime la creatività. 
C’è bisogno di programmi, di iniziative, che favoriscano l’inclusione. 
Soprattutto, c’è bisogno di cuori grandi che siano disposti ad accompagnare. 
Si tratta di cambiare un po’ la nostra mentalità per aprirci ai contributi e ai talenti 
di queste persone con diverse abilità, sia nella società che nella vita della Chiesa. 

E quindi, creare una parrocchia completamente accessibile 
non significa solo eliminare le barriere fisiche, ma anche capire che 
dobbiamo smettere di parlare di “loro” e cominciare a parlare di “noi”.

Preghiamo perché le persone con disabilità siano al centro dell’attenzione 
della società, e le istituzioni promuovano programmi di inclusione 
che valorizzino la loro partecipazione attiva.

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Anche nel mese di Dicembre l'intenzione di preghiera del Papa è stata resa nota con un tweet


Tonio Dell'Olio Beniamino Zuncheddu - 32 anni in carcere da innocente

Tonio Dell'Olio
Beniamino Zuncheddu
Mosaico dei Giorni 28/11/2023

Al cospetto della tragica vicenda di Beniamino Zuncheddu mi sono chiesto come si fa a rimanere reclusi per 32 anni da innocente e a non impazzire.

Penso alla mente che si sofferma ossessivamente sempre sugli stessi particolari del giorno dell'arresto, l'ultimo giorno di libertà. Penso alle parole della condanna definitiva che gli sono rimaste scolpite dentro a fuoco. Penso ai pensieri sui "perché proprio io", "perché proprio a me". Penso agli affetti da cui sono stati tranciati di netto gli abbracci e i sorrisi, il pranzo della domenica e i Natali in famiglia. Sì, come ha fatto Zuncheddu a non impazzire? Che cosa gli ha lasciato in vita quella serena lucidità che traspare anche di fronte ai microfoni che lo intervistano e all'intero paese che gli fa festa? Non lo so. Non riesce a dirlo nemmeno lui. È una persona semplice. E forse è proprio questo modo di accogliere la vita dei giorni con il peso quotidiano e le vicende ordinarie e straordinarie che hanno mantenuto in vita quest'uomo. Per noi, mendicanti di frammenti di felicità, Zuncheddu è un maestro di vita che non troveremo sulle cattedre e non logorerà le parole.

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32 anni in carcere da innocente

Beniamino Zuncheddu: scarcerato dopo 32 anni di carcere. Si è sempre professato innocente. Un supertestimone della strage di Sinnai del 1991 ha raccontato di aver fatto il nome di Zuncheddu su pressione di un poliziotto

Beniamino Zuncheddu torna libero dopo 32 anni di carcere. Condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai del 1991, è stato scarcerato in attesa della sentenza del processo di revisione. La pena è stata sospesa. Festa a Burcei, suo paese Natale in Sardegna. Zuncheddu non è stato liberato in via definitiva, la prossima udienza davanti ai giudici della Corte d’Appello è stata fissata il 19 dicembre.

Per decenni è stato indicato come il solo responsabile dell’omicidio di tre uomini. La scarcerazione arriva dopo che il supertestimone di quella strage, Lugi Pinna, aveva ritrattato, raccontando di pressioni e manipolazioni da parte di un dirigente della polizia per fargli fare il nome di Zuncheddu.

Il poliziotto Mario Uda ha negato di aver mostrato al superstite la foto di Zuncheddu prima del riconoscimento ufficiale. “Non gli ho mostrato alcuna immagine”, ha dichiarato.

Quando ieri è stato liberato Beniamino Zuncheddu stava mangiando alla mensa del carcere. “Oggi non me l’aspettavo proprio, perché di sabato gli uffici sono chiusi ed è una cosa rara. Oggi è una giornata specialissima, è passato troppo tempo per ottenere questo giorno”, ha raccontato al TG Regionale.

La strage del Sinnai

Dal 2017 il nuovo avvocato difensore di Zuncheddu, Mauro Trogu, aveva cominciato a portare avanti nuove indagini difensive che avevano portato a nuove intercettazioni e alle prime dichiarazioni di Pinna che alla moglie parlò delle pressioni ricevute. La Procura generale di Cagliari sposava la tesi dell’innocenza di Zuncheddu e la Corte d’Appello fissava una serie di udienze.

Pinna raccontò che “mi venne mostrata la foto di Zuncheddu quale colpevole”. Il massacro dell’8 gennaio 1991 però si era consumato al buio, chi aprì il fuoco indossava una calza di nylon. A morire furono Gesuino Fadda di 57 anni, suo figlio Giuseppe di 25 e il loro collaboratore Ignazio Pusceddu, 57 anni. Le dichiarazioni di Pinna sono arrivate nell’ambito del processo di revisione in corso davanti ai giudici della Corte d’Appello di Roma.

“Prima di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l’agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Beniamino Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui. È andata così”, ha detto il teste. “Ho sbagliato a dare ascolto alla persona sbagliata. Penso che quel giorno a sparare furono più persone, non solo una. Con un solo fucile non puoi fare una cosa del genere”. Il teste si sarebbe contraddetto diverse volte e ha raccontato che il killer aveva “il volto travisato da una calza”. Una deposizione drammatica: “Non ce la faccio più, sto impazzendo, vorrei morire. In questi anni sono stato minacciato varie volte”.
(fonte: Osservatorio Repressione 27/11/2023)


Enzo Bianchi Che cos’è l’uomo?

Enzo Bianchi
Che cos’è l’uomo?


La Repubblica - 20 Novembre 2023

Per la prima volta nella storia l’umanità oggi è costretta a uscire dalla logica della guerra tra i popoli e del depauperamento incondizionato dell’ambiente. Sembra che possa iniziare un’inversione di tendenza con l’assunzione di consapevolezza che così non si può andare avanti, pena la distruzione dell’umanità e la desolazione della terra. Se negli ultimi decenni avevamo constatato in maniera crescente di procedere a grandi passi verso la barbarie (e lo abbiamo denunciato più volte su queste colonne!), sembra ora emergere una reazione che non è ancora quell’“insurrezione delle coscienze” invocata da Pierre Rabhi, ma è un ribadire nuovamente il bisogno urgente di umanizzazione.

Sono significativi, a questo proposito, i titoli di alcuni saggi filosofici e sociologici che chiedono di umanizzare la modernità, la politica, la società... Di fronte alle crisi globali che si sono abbattute su di noi come la pandemia, le crisi economiche, le guerre ai confini dell’Europa e del Mediterraneo (accanto dunque a casa nostra e in realtà guerre che stiamo anche noi combattendo fornendo armi ai belligeranti), come affermare un umanesimo che sia un obiettivo perseguito con convinzione dalle diverse umanità che sono parte di un tessuto della vita, della comunità globale?

Ecco perché la domanda seria, urgente che dobbiamo porci non è su Dio ma sul mondo umano: “Che cos’è l’umano?”. Domanda in realtà antica, che significativamente ritroviamo all’inizio e alla fine del Salterio ebraico: “Che cos’è l’uomo?”.

Dobbiamo rifarci queste domande soprattutto oggi, perché l’umano è schiacciato tra l’inumano e il post-umano.

L’inumano lo conosciamo bene come possibilità di depredazione e negazione dell’umano stesso: quando l’uomo è ridotto a res, cosa, quando è umiliato e ridotto al nulla, stravolto dall’odio e dalla violenza delle stragi e dei genocidi, misconosciuto nei migranti che invocano solo compassione, l’inumano regna e nega il volto alla persona, nega la sua vita. Certamente resta sempre un impegno il discernimento del disumano anche nella nostra vita quotidiana, nei rapporti personali tra familiari e conviventi, là dove viene a mancare la parola indirizzata, il rispetto che sa riconoscere l’altro, la mitezza che può assicurare la pazienza reciproca. Scriveva Bernanos: “La barbarie si annida sui confini delle nazioni come nelle case più umili”.

E tuttavia oggi l’umano è sfidato anche dal post-umano, cioè da quel nuovo stadio evolutivo dell’umanità nel quale l’intreccio tra biologia e tecnologia diventa sempre più onnipresente. Dovremmo nutrire molta trepidazione di fronte a queste nuove opportunità che potrebbero arrivare a negare il corpo per sostituirlo con strutture artificiali munite di elementi di intelligenza umana. All’homo sapiens succederà la macchina sapiens? E questo non è forse segno di un delirio di onnipotenza che vorrebbe essere capace di transumanesimo fino a negare la mortalità?

Personalmente nutro una tale fiducia nell’umanità da non credere possibile tale deriva e resto convinto che ancora una volta l’homo sapiens saprà rispondere in modo vitale alla domanda che lui solo sa porsi: che cos’è l’uomo? Perché c’è nell’umanità un sigillo che può essere calpestato e negato, ma che è indistruttibile e giace come indistruttibile nel suo profondo: la fraternità. Questa ha la forza di emergere così come la terra dopo l’acqua, il fuoco, il vento, lascia spuntare l’erba e riprendere la vita.
(fonte: blog dell'autore)


lunedì 27 novembre 2023

DONNE - Lo sguardo rivoluzionario di Gesù Le testimoni del coraggio di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

DONNE - Lo sguardo rivoluzionario di Gesù
Le testimoni del coraggio
di Bruno Forte 
Arcivescovo di Chieti-Vasto

(pubblicato su "Avvenire" -26 novembre 2023)


      In questi giorni si è detto molto e giustamente contro la violenza sulle donne. C’è però un modello che per tanti è rimasto nel silenzio: mi riferisco al modo con cui Gesù si è rapportato alle donne. Accennarvi può essere utile e significativo per i credenti e non solo per loro. Secondo il racconto dell’evangelista Luca, figlio della cultura pagana eppure in questo così lontano da essa, sono «le donne il prototipo dello slancio e del coraggio». La loro fede sta «all’opposto dell’incredulità degli apostoli, i quali anzi disprezzano il loro “vaneggiamento” (Lc 24,10s). Sembrerebbe qui che ad essere svalutati siano gli uomini, e non le donne... Esse sono state le più fedeli e le più coraggiose. Il loro timore non è pusillanimità, ma atteggiamento religioso normale di fronte al Dio invisibile» (René Laurentin, Gesù e le donne: una rivoluzione misconosciuta, in Concilium 16, 1980). Quello che «vi è di più originale nel vangelo di Luca è che egli osa riconoscere le donne come discepole di Cristo... Egli le mette sullo stesso piano degli Apostoli: “Lo accompagnavano i Dodici e alcune donne”» (ib., 691). In realtà, l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne presenta i caratteri di un’assoluta novità in rapporto all’ambiente culturale e religioso del suo tempo: egli «accoglie senza distinzione uomini e donne, stabilisce fra di loro un’identità di statuto che viene espressa dall’uso di battezzare identicamente e senza distinzione di sesso» (ib., 697). La novità di questo comportamento risulta chiara se si pensa che in Israele la circoncisione è esclusivamente maschile e sono i maschi a entrare prioritariamente nel mistero dell’elezione, al punto che è la presenza di dieci maschi adulti (il “minyan”) la condizione necessaria della preghiera liturgica, da cui la donna è di per sé dispensata. «Questa novità del messaggio di Cristo ha sorpreso, ha messo in imbarazzo i suoi nemici e gli stessi suoi discepoli. Le loro preoccupazioni apologetiche li hanno indotti a sfumare questo aspetto della rivoluzione evangelica. I due ultimi evangeli [Luca e Giovanni], liberati da questa difficoltà, manifestano meglio il fatto e gli danno una portata antropologica» (ib.). 

      Qual è stata, dunque, l’esperienza delle donne che hanno incontrato e seguito Gesù? Alcuni esempi ci consentono di verificarlo. La prima figura da richiamare è quella di Maria, la Madre del Signore: Luca la presenta come la donna della fede per eccellenza, e lo fa sin dalla scena dell’annunciazione, in cui la Giovane appare come la Vergine dell’ascolto, la donna ebrea, cioè, formata alla spiritualità dello “shemà” (“Shemà, Israel”: “Ascolta, Israele”). Lo sottolineano le parole con cui si rivolge a Maria il vecchio Simeone, figura della speranza e dell’attesa del popolo eletto, che nel suo cantico celebra il bambino Gesù come il Messia venuto a visitare il suo popolo, «per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori». Rivolto a Maria, aggiunge: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (2,34s). La spada è - secondo la concezione biblica – il simbolo della Parola di Dio: Maria è chiamata a vivere in obbedienza alla Parola a Lei data, Parola rifiutata dagli uomini, abbandonata, crocifissa, silenziosa nella morte e resuscitata alla vita. Proprio così, per Luca Maria è la credente che vive l’intero mistero di Gesù nel suo cuore e nella sua carne, la discepola fedele, modello di ogni discepolo, che partecipa della vicenda del Figlio con una intensità “viscerale”, materna, tipicamente femminile. La sua fede, il suo discepolato sono partecipazione profonda d’amore e di dolore, di fede e di speranza finalmente vittoriosa, alla missione di Gesù. Alla scuola della donna Maria i discepoli di ogni tempo impareranno a seguire Gesù non solo con adesione mentale, ma con 1 totale partecipazione affettiva e con dedizione incondizionata d’amore: e nella storia innumerevoli saranno le donne cui la fede potrà ispirarsi come a modello e sorgente di vita.
     
      Una seconda figura cui vorrei guardare è Anna, protagonista della scena della presentazione di Gesù al Tempio, vera testimone dell’attesa (Lc 2, 25-32). Si tratta di una “profetessa” molto avanti negli anni, che mostra di avere una giovinezza della fede e del cuore così grandi, da riconoscere subito il Bambino che le è davanti. Anna è l’esempio di una fede che ha saputo attendere in maniera vigile il compimento delle promesse divine e che - nonostante il passare del tempo - non ha perso la freschezza e l’entusiasmo che la rendono capace di leggere il segno di Dio non appena si presenta. Mentre Simeone si rivolge a Dio e alla Madre, Anna loda il Signore e sente l’urgenza di partecipare la gioia del dono agli altri, rivelando una commovente premura e generosità verso il prossimo, tipicamente femminile e materna: alla sua scuola, e in generale a quella delle donne, è possibile apprendere la difficile virtù dell’attesa vigile e impegnata, tutt’altro che remissiva e rinunciataria. 

      Una terza figura femminile da richiamare mi sembra quella della peccatrice, testimone della potenza sanante dell’amore (cf. Lc 7,36-50): ella ottiene il perdono perché accoglie Gesù nell’amore più profondo, di cui sono segni i gesti teneri e perfino eccessivi che compie. Ciò che conta nell’incontro con Cristo non sono i nostri meriti o i nostri peccati, ma il cuore accogliente, che si esprime in gesti d’amore veri, nell’“eccesso” del dono, tipico dell’agire di chi veramente ama. Anche qui la donna non dice parole, a differenza del Fariseo: il linguaggio dell’amore parla con i fatti, sì che la peccatrice può educarci alla vigilanza fattiva, operosa e feconda. Ancora, fra i tanti altri esempi possibili, richiamerei la donna afflitta da perdite di sangue, sanata perché ha compreso che anche solo toccare il lembo del mantello di Gesù - stabilire cioè un contatto diretto e personale con Lui, pur in mezzo alla folla che si accalca - la potrà salvare. L’audacia del gesto - scandaloso per i benpensanti - è notata da Gesù, che chiama la donna allo scoperto per metterne in risalto il valore della fede e premiarla con il segno della guarigione. Chi resta fra la folla è solo spettatore: chi “tocca” Gesù con la fede della donna viene guarito ed entra nella novità di vita del tempo messianico, al punto che Gesù la chiama “figlia” e le chiede di rendere testimonianza in pubblico di ciò che le è avvenuto (v. 47).
      
      Infine, è opportuno richiamare le donne che vanno al sepolcro (Lc 23,55-24,1-8), fedeli nella morte, per divenire poi testimoni della vita. Sono esse ad accompagnare la deposizione del Maestro, a preparare gli oli e gli aromi, ad aspettare ansiose la fine del sabato per andare alle prime luci del giorno nel luogo della sepoltura: è l’alba dell’ottavo giorno, e dunque la loro azione ha un valore simbolico in riferimento all’intera vita nuova dei discepoli del Risorto. Il loro amore non si arrende davanti alla morte, ma resta vivo, anche nell’apparente fine di tutto. È questo amore più forte della morte che le rende disponibili a ricevere per prime l’annuncio di Pasqua. Esse non temeranno di essere accusate di vaneggiamento, pur di donare agli altri la notizia straordinaria che trasformerà per sempre la loro vita e cambierà quella del mondo: Gesù è il Vivente fra noi, per noi... Esse sono le “apostole degli apostoli”, le testimoni del nuovo, sorprendente inizio che si compie nel Risorto, al quale hanno saputo aprirsi con un amore che non si è fermato davanti a nulla, nemmeno davanti alla morte. Il loro slancio dà inizio alla missione cristiana nel tempo, annuncio gioioso e contagioso dell’incontro con il Risorto che cambia il cuore e la vita. Senza di loro non ci saremmo noi a vivere di quell’annuncio e a volerlo portare fino ai confini della terra. Le donne con cui Gesù si è rapportato non hanno dunque meno da insegnarci degli apostoli, sulla cui fede la Chiesa è edificata: chi non sapesse coglierne il valore, rischierebbe di perdere non solo il profumo che Cristo dona alla vita, ma anche il fondamento e la consistenza della fede che da duemila anni, anche grazie a tante donne, nutre la vita e la speranza di tanti. 
Non per nulla, come ama ripetere Papa Francesco, «la Chiesa è donna»…

(Fonte: sito della Diocesi)

“La ringrazio di trattarmi come una vera sorella; […] questo titolo mi è caro” (Lettera 201). L’esperienza di fraternità e sororità a cura di Aurelio Antista (Testo e video)

MERCOLEDÌ DELLA SPIRITUALITÀ 2023
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto (ME)


S. TERESA DI LISIEUX
SORELLA NEL CAMMINO DELLA VITA
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Settimo Mercoledì - 22 novembre 2023


“La ringrazio di trattarmi
 come una vera sorella; […]
questo titolo mi è caro” 
(Lettera 201).
L’esperienza di fraternità e sororità

 Aurelio Antista
(Testo e video)




1. Premessa 
   Una cosa che sorprende, a proposito di Teresa di Lisieux, è il fatto che molti studiosi si siano interessati a lei, ai suoi scritti, alla sua esperienza spirituale; non solo agiografi, ma teologi: André Combes, René Laurentin, von Balthassar, Francois Six; filosofi: Henri Bergson, Jaques Maritain: Scrittori: Giorgio Papasogli, Jean Guitton; romanzieri: Van der Meerch; cineasti: André Haguet, ecc. Recentemente, perfino l’UNESCO (Agenzia dell’ONU) si è interessato a lei e l’ha inclusa nell’elenco delle 60 personalità i cui anniversari (che ricorrono nel biennio 2022-2023), vanno commemorati perché «hanno contribuito in modo universale al bene dell’umanità». 
    Teresa è annoverata tra le donne che «con la loro vita, le loro azioni e i loro scritti hanno promosso i valori della pace».
...
     L’amore di Dio lievita tutta l’esistenza di Teresa e diventa in lei sorgente di amore fraterno, diventa itinerario di fraternità e di sororità che Teresa tesse e percorre in forma tanto silenziosa e umile, quanto ricco di frutti. 
     Pertanto, il cammino della fraternità in Teresa scaturisce dal dono e dalla presenza in lei dell’amore di Dio: «Sentii la carità entrarmi nel cuore; da qui il bisogno di dimenticarmi per far piacere agli altri. E da allora sono felice». 
     Dell’esperienza fraterna di Teresa cercherò di cogliere alcune traiettorie: la prima è quella che la lega al suo prossimo più prossimo, cioè le consorelle; poi quella che la lega ai sacerdoti missionari; infine la traiettoria che la sintonizza con i lontani più lontani: i peccatori e gli atei dei quali lei si è sentita “sorella”, sedendosi alla loro mensa non solo con la preghiera, ma condividendo il dramma della “notte oscura” ...


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Leggi anche:
- La traccia integrale (pdf)

- il calendario completo degli incontri


Ecco i precedenti incontri:

- “Per amarti sulla terra, o Dio, non ho che l’oggi” (Poesia 5).
Contesto storico e profilo biografico- spirituale di Teresa di Lisieux
Alberto Neglia


- “Fa’ che io ti rassomigli” (Preghiera 11). Alla ricerca del Volto nascosto di Gesù -
Egidio Palumbo

- “Una rosa sfogliata si dona incurante” (Poesia 51,3). Il primato della Grazia/Gratuità e della Fede/Fiducia sulla meritocrazia spirituale - Egidio Palumbo

- “Solo l’amore fa agire la Chiesa” (Ms B 254). L’amore come senso e dinamismo della vita cristiana - Gregorio Battaglia

- “Riempi la mia mano, Signore, e io darò i tuoi tesori” (Ms C 310).
La missione come condivisione - Alberto Neglia


- “Una sola parola della S. Scrittura svela orizzonti infiniti” (Lettera 226). Teresa di Lisieux e la Parola di Dio. A cura di Maria Teresa Murgano (Testo e video).


«Il Vangelo oggi ci dice che si è “benedetti” facendosi vicini a chi è nel bisogno.» Papa Francesco Angelus 26/11/2023 (foto, testo e video)

ANGELUS

Casa Santa Marta
Domenica, 26 novembre 2023






Cari fratelli e sorelle, buona domenica!


Oggi non posso affacciarmi dalla finestra perché ho questo problema di infiammazione ai polmoni e a leggere la riflessione sarà Mons. Braida, che le conosce bene perché è lui che le fa e le fa sempre così bene! Grazie tante per la vostra presenza.

Oggi, ultima domenica dell’Anno liturgico e Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il Vangelo ci parla del giudizio finale (cfr Mt 25,31-46) e ci dice che esso sarà sulla carità.

La scena che ci presenta è quella di una sala regale, in cui Gesù, «il Figlio dell’uomo» (v. 31), è seduto in trono. Tutti i popoli sono radunati ai suoi piedi e tra essi spiccano «i benedetti» (v. 34), gli amici del Re. Ma chi sono? Che cos’hanno di speciale questi amici agli occhi del loro Signore? Secondo i criteri del mondo gli amici del re dovrebbero essere quelli che gli hanno dato ricchezze e potere, che lo hanno aiutato a conquistare territori, a vincere battaglie, a farsi grande fra gli altri sovrani, magari a comparire come una star sulle prime pagine dei giornali o sui social, e a loro egli dovrebbe dire: “Grazie, perché mi avete reso ricco e famoso, invidiato e temuto”. Questo secondo i criteri del mondo.

Secondo i criteri di Gesù, invece, gli amici sono altri: sono coloro che lo hanno servito nelle persone più deboli. Questo perché il Figlio dell’uomo è un Re completamente diverso, che chiama i poveri “fratelli”, che si identifica con gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati, e dice: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (v. 40). È un Re sensibile al problema della fame, al bisogno di una casa, alla malattia e alla prigionia (cfr vv. 35-36): tutte realtà purtroppo sempre molto attuali. Affamati, persone senza tetto, spesso vestite come possono, affollano le nostre strade: le incontriamo ogni giorno. E anche per ciò che riguarda infermità e carcere, tutti sappiamo cosa voglia dire essere malati, commettere errori e pagarne le conseguenze.

Ebbene, il Vangelo oggi ci dice che si è “benedetti” se si risponde a queste povertà con amore, col servizio: non voltandosi dall’altra parte, ma dando da mangiare e da bere, vestendo, ospitando, visitando, in una parola facendosi vicini a chi è nel bisogno. E questo perché Gesù, il nostro Re che si definisce Figlio dell’uomo, ha le sue sorelle e i suoi fratelli prediletti nelle donne e negli uomini più fragili. La sua “sala regale” è allestita dove c’è chi soffre e ha bisogno di aiuto. Questa è la “corte” del nostro Re. E lo stile con cui sono chiamati a distinguersi i suoi amici, quelli che hanno Gesù per Signore, è il suo stesso stile: la compassione, la misericordia, la tenerezza. Esse nobilitano il cuore e scendono come olio sulle piaghe di chi è ferito dalla vita.

Allora, fratelli e sorelle, chiediamoci: noi crediamo che la vera regalità consiste nella misericordia? Crediamo nel potere dell’amore? Crediamo che la carità è la manifestazione più regale dell’uomo ed è un’esigenza irrinunciabile per il cristiano? E infine, una domanda particolare: io sono amico del Re, mi sento cioè coinvolto in prima persona nei bisogni dei sofferenti che trovo sulla mia strada?

Maria, Regina del Cielo e della Terra, ci aiuti ad amare Gesù nostro Re nei suoi fratelli più piccoli.



Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

oggi si celebra nelle Chiese particolari la 38ª Giornata Mondiale della Gioventù, sul tema Lieti nella speranza. Benedico quanti prendono parte alle iniziative promosse nelle diocesi, in continuità con la GMG di Lisbona. Abbraccio i giovani, presente e futuro del mondo, e li incoraggio a essere protagonisti gioiosi della vita della Chiesa.

Ieri la martoriata Ucraina ha commemorato l’Holodomor, il genocidio perpetrato dal regime sovietico che, 90 anni fa, causò la morte per fame di milioni di persone. Quella lacerante ferita, anziché rimarginarsi, è resa ancora più dolorosa dalle atrocità della guerra che continua a far soffrire quel caro popolo. Per tutti i popoli dilaniati dai conflitti continuiamo a pregare senza stancarci, perché la preghiera è la forza di pace che infrange la spirale dell’odio, spezza il circolo della vendetta e apre vie insperate di riconciliazione. Oggi ringraziamo Dio perché tra Israele e Palestina c’è finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo siano al più presto tutti – pensiamo alle loro famiglie! –, che entrino a Gaza più aiuti umanitari e che si insista nel dialogo: è l’unica via, l’unica via per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole la pace.

Oltre che dalla guerra, il nostro mondo è minacciato da un altro grande pericolo, quello climatico, che mette a rischio la vita sulla Terra, specialmente le future generazioni. E questo è contrario al progetto di Dio, che ha creato ogni cosa per la vita. Perciò, nel prossimo fine settimana, mi recherò negli Emirati Arabi Uniti per intervenire sabato alla COP28 di Dubai. Ringrazio tutti coloro che accompagneranno questo Viaggio con la preghiera e con l’impegno di prendere a cuore la salvaguardia della casa comune.

Accolgo con affetto voi, pellegrini dell’Italia e di altre parti del mondo, in particolare quelli provenienti dal Pakistan, dalla Polonia e dal Portogallo. Saluto i fedeli di Civitavecchia, di Tarquinia e di Piacenza, e la Deputazione San Vito Martire di Lequile (Lecce). Saluto i ragazzi della Cresima di Viserba (Rimini), il gruppo “Assisi nel vento” e il Coro “Don Giorgio Trotta” di Vieste.

A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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domenica 26 novembre 2023

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Solennità di Cristo Re

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


 XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Solennità di Cristo Re

26 Novembre 2023 

Per chi presiede

Nella comune fede nel Signore Gesù crocifisso e risorto e presente in mezzo a noi con il suo Spirito, accostiamoci con fiducia filiale al trono di gloria per intercedere e pregare per noi e per tutti, ed insieme diciamo:
R/  Signore Gesù, Re e Pastore, ascoltaci

  

Lettore

- Custodisci, Signore, la tua Chiesa, perché resti in ascolto della tua Parola e si renda docile all’azione del tuo Santo Spirito, per essere in mezzo ai popoli segno e annuncio del tuo regno di pace e di giustizia. Preghiamo.

- Ravviva, o Signore, con il tuo Santo Spirito quanti credono nella vita e nel mistero dell’uomo, perché la loro testimonianza illumini di speranza una storia di lutti e di grandi egoismi. Preghiamo.

- Abbi pietà, Signore, di questa nostro mondo provato dalla tragedia di numerose guerre. Illumina tutti i governanti. Sostieni quanti nella guerra tra Israele e la Palestina si stanno adoperando per una tregua duratura in vista di una risoluzione del conflitto. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore, tutte le comunità cristiane raccolte attorno al tuo altare per celebrare l’eucarestia, sacramento dell’unità e della fraternità. Il dono della tua vita, fatta pane spezzato, faccia crescere in tutti il coraggio dell’accoglienza e del prendersi cura dell’altro, anche se diverso. Preghiamo.

- Vogliamo ricordarci davanti a Te, o Signore, di tutte le persone che vivono ai margini delle città o che fanno l’esperienza dell’essere abbandonate, incomprese o semplicemente scartate a motivo dell’età o della malattia o della condizione sociale o della provenienza dai paesi di immigrazione. Preghiamo.

- “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Ti affidiamo, o Signore, i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ti affidiamo coloro che muoiono di fame, nella miseria e abbandonati sulle strade: accogli tutti alla tavola del tuo Regno. Preghiamo.


Per chi presiede

O Gesù, nostro Re nel servizio e nel dono di sé, rendici uomini e donne amanti della giustizia e solidali con i fratelli più piccoli, affinché sia resa testimonianza al tuo Regno di amore e di pace. Te lo chiediamo perché tu vivi sempre con noi, ora e sempre nei secoli dei secoli. AMEN.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 55 - 2022/2023 anno A

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

Vangelo:


Tutto il capitolo 25 del Vangelo di Matteo è una narrazione su cosa bisogna fare per vivere come figli di Dio: amare e servire il Signore amando e servendo i poveri, i piccoli, gli ultimi. Sono loro il segno vivente della Sua presenza in mezzo a noi perché il Signore stesso s'è fatto povero, piccolo e ultimo, l'ultimo di tutti, e il giudizio per noi sarà speculare a ciò che facciamo loro. Essere considerati benedetti o maledetti dipende dalle nostre scelte, dall'amore dato o negato a quanti si trovano nel bisogno e nei quali il Signore ci visita: accogliendo loro accogliamo Lui. Il brano, splendido e unico, è una meravigliosa sintesi della teologia dell'evangelista Matteo: saremo giudicati in base a ciò che facciamo agli altri, poiché «ogni altro è sempre l'Altro». Il Kelal Gadol, il comandamento più grande, quello dell'amore, è la sola ed unica dottrina da vivere e da insegnare, perché ci immerge nella Benedizione della Vita: il Mistero della Trinità. Chi, invece, non lo vive rifiutando di amare i fratelli si pone fuori dalla benedizione del Padre maledicendo se stesso, divenendo a motivo di ciò servo e vittima della morte. Il nostro destino ultimo si gioca sulla nostra capacità di vedere ed amare il Signore della Vita in tutti coloro che non contano niente. Chi ama, infatti, è passato dalla morte alla vita, perché Dio è amore.


sabato 25 novembre 2023

LA VERA GLORIA - Se c’è qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla, questa cosa è l’amore. - XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Cristo re dell’universo - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

LA VERA GLORIA
 

Se c’è qualcosa di eterno in noi,
se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla,
questa cosa è l’amore.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. (...) Matteo 25,31-46

per i social

LA VERA GLORIA

Se c’è qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla, questa cosa è l’amore.
 

Una scena solenne e drammatica, un “giudizio universale” che ci svela la verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l'amore.

Il Vangelo qui risponde alla più seria, attuale e martellante delle domande: cosa hai fatto di tuo fratello?
Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli, o sorelline più piccole, l'avete fatto a me!
Ma ecco svelata la pista della fede evangelica: nel supremo confronto tra uomo e Dio il focus non è sul peccato, è sul bene.
Misura ultima della storia non è il negativo o l'ombra, ma il positivo e la luce, il giudizio finale non sarà tarato sui miei peccati, ma sulla bontà; non su tutta la mia vita, ma sulla parte buona di essa.
Solo il vangelo sa essere così regale.

Verità dell'uomo non sono le debolezze, ma la bellezza del suo cuore. Giudizio divinamente truccato, perché alla sera della vita saremo giudicati solo sull'amore (San Giovanni della Croce), e non su devozioni o riti religiosi: renderemo conto solo del laico addossarci il dolore dell'uomo.
Dio non ti sorprende in un momento di debolezza, quando non ce la fai a vivere in un modo nobile e puro, ma è colui che instancabilmente ti sospinge al bene. Che non misura le tue debolezze ma incalza la tua bontà, anche quando la credevi sepolta.

La fede non si riduce però alle sole buone azioni, deve restare scandalosa: il povero come Dio! Allora c'è da innamorarsi di Lui innamorato e bisognoso, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé ma per i suoi amati, che vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, liberati.
Davanti a questo Dio io ancora mi incanto, lo accolgo, entro nel suo mondo.

Poi ci sono quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto il gelo della lontananza: via da me, voi che siete stati lontani dai fratelli.
Non hanno fatto del male ai poveri, semplicemente non hanno fatto nulla. Indifferenti, lontani, cuori assenti che non sanno né piangere né abbracciare, vivi e già morti (C. Péguy).

Ciò che accade nell'ultimo giorno mostra che la vera alternativa non è tra chi frequenta le chiese e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all'uomo bastonato e chi invece tira dritto, chi passa oltre. Ma oltre l'uomo non c'è nulla, tantomeno il Regno di Dio.
Il nostro futuro, cielo e paradiso, è generato dal bene che io, tu, noi abbiamo donato al Lazzaro innumerevole della terra.
Un detto chassidico esorta: se un uomo ti chiede aiuto, non gli dire devotamente: “rivolgiti a Dio, abbi fiducia, deponi in Lui la tua pena”, ma agisci come se non ci fosse Dio, come se in tutto il mondo ci fosse uno solo che può aiutare quell'uomo: tu.
Se c’è qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla, questa cosa è l’amore.
  
per Avvenire 

Le bilance del Signore sono tarate solo sul bene (...)

Leggi su Avvenire



Violenze sulle donne, problema degli uomini - Paola Cavallari (Testo e video)

Violenze sulle donne, 
problema degli uomini
Paola Cavallari


A Bologna un incontro organizzato dall'Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne per ragionare sul patriarcato che rende tossici i rapporti sentimentali




Lunedì 20 novembre, in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si è tenuto un incontro pubblico dal titolo "Violenze sulle donne, problema degli uomini", presso la Sala polivalente del Centro interculturale Zonarelli del Comune di Bologna; evento organizzato dal gruppo Emilia Romagna dell’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne (O.I.V.D.), associazione nazionale che si impegna sul tema delle violenze sulle donne con un taglio laico interreligioso (https://www.oivd.it ).

L’ attività e la produzione culturale di Stefano Ciccone, dell’associazione "Maschile Plurale", ospite della serata, ha costituito il perno attorno a cui sono ruotate riflessioni, osservazioni, domande.
Dopo un minuto di silenzio in ricordo del femminicidio di Giulia Cecchettin, si è passato a un “minuto di parola”, per dare efficacia performativa a quella che, nel lessico femminista, è un’espressione cardine, ovvero “presa di parola”; sono state pronunciate parole tratte da un’intervista alla magistrata Paola Di Nicola, una delle più attive e lucide magistrate nel panorama italiano: «Sbagliato parlare di gelosia, è imposizione del potere maschile sulle donne». Se usiamo, infatti, il termine gelosia come movente della ferocia maschile, banalizziamo e oscuriamo la radice del sistema che alimenta questi crimini, che va ricercata nell’impianto strutturale che ordina l’organizzazione sociale: il contratto sessuale patriarcale. La sorella di Giulia, Elena, ha nominato con parole autorevoli la radice di tali crimini: essi sono frutto del patriarcato.

Il titolo dell’incontro è rivelatore del taglio con cui si è pensato di realizzare l’appuntamento
La questione deve essere rivolta al sesso/genere che quella violenza agisce: è lui che ha un compito storico, oggi più che mai: quello di mettere in discussione quella cultura che ha posto le premesse per le violenze. Si è ribadito un concetto decisivo. Non le individualità specifiche sono oggetto di tale messa in questione. Molti uomini reagiscono risentiti: loro non han mai “fatto del male” a nessuna donna, e con ciò dirottano la centralità del problema. Ciò che va posta a tema è quell’economia simbolica sessista che ci ha formato, che ci pervade con estrema capillarità, che regna invisibile e sfuggente; va posta in questione quella costruzione di identità maschili e femminili che plasma ogni soggetto, che interiorizza “spontaneamente” norme sociali inscritte in privilegi di un sesso: esse attribuiscono a maschi e femmine inclinazioni, ruoli, atteggiamenti o preferenze affatto “naturali”; su essi va svolto un immenso lavoro di decostruzione.

Ciccone è stato sottoposto a un tiro incrociato di domande da parte sia delle organizzatrici, sia del pubblico; ha raccolto la sfida rispondendo brillantemente a quesiti (anche spinosi come quello sulla prostituzione) e nodi tematici, declinando la materia con un approfondimento del tutto inusuale.

Le battutine pecorecce “innocenti” a sfondo misogino (“in fondo era solo una battuta!”) sono esemplari nel testimoniare i microgesti quotidiani di un sottotesto sessista/omofobo soggiacente. Non si tratta di applicare censure o di vigilare sul politicamente corretto; piuttosto si tratta di avere coscienza che tali miniepisodi sono la spia di un sotterraneo codice “d’onore virile” che agisce come disciplina discriminante: colloca il maschio nella primazia legittimata a inferiorizzare chi maschio ( o maschio eterosessuale) non è.

La trasformazione del soggetto uomo, innescata e auspicata dalla rivoluzione delle donne - è stato ripetuto più volte - spaventa gli uomini; ancora pochi decenni fa nel nostro diritto era contemplato lo ius corrigendi: il marito/padre era legittimato a percuotere moglie e figli, se lo riteneva opportuno. 
Il senso comune ha estirpato questa tirannia, gli equilibri sono cambiati erodendo il dominio maschile. Ma molti uomini interpretano “l’evaporazione del padre” nostalgicamente, dentro una cornice di decadenza e fallimento; la ferita narcisistica li sommerge, il fantasma della morte aleggia. E spesso anche quello della rivincita.

Qui sta uno dei nodi principali: la trasformazione che ci sta di fronte - dice Ciccone- non dovrebbe essere vissuta in un orizzonte di perdita: può invece preludere a interessanti prospettive nuove, faticose nel partorirsi ma foriere di processi virtuosi di evoluzione. Può essere occasione per abbattere quella gabbia simbolica che impedisce all’uomo di piangere in pubblico, che lo educa a una sessualità autistica ( dove regna l’imperativo della prestazione), ad una socialità con altri uomini tributaria di ossessione omofoba, ad esperienze alienate del corpo, vissuto più come strumento che come un Io che si dilata, in forme di libertà impensate.

La chiamata alla responsabilità, quindi, non è da intendersi come richiamo a un senso di colpa, e nemmeno si colloca in un quadro di discorso prescrittivo: le ingiunzioni costituirebbero solo i puntelli corazzati di un dover essere. Essa si dischiude invece nella assunzione coraggiosa della proposta trasformativa. L’uomo vecchio può metamorfosarsi nell’uomo nuovo.
E, aggiungiamo noi, ciò è in perfetta sintonia con le parole del maestro di Nazaret, il chicco deve morire per poter risorgere ad una nascita redenta nella fede.

(Fonte: Riforma.it)

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L'incontro integrale



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- Violenza sulle donne, i nove segnali di allerta. «Ecco quando si deve abbandonare la relazione»