Rileggendo l’enciclica “Dilexit nos”
A colloquio con Antonio Ducay, docente di Teologia sistematica
L’empatia, la tenerezza e la misericordia
sono i rimedi per le ferite del mondo
Dilexit nos è «una terapia per i mali del mondo attuale, un mondo che sopravvive tra guerre, squilibri socio-economici, consumismo e uso antiumano della tecnologia». Il Papa spiega che «il cuore dell’uomo può essere retto solo quando è guarito dall’amore di Cristo» e «l’enciclica cerca di avvicinare tutti a questo Cuore, dove possiamo sperimentare l’amore che guarisce e rafforza». Lo afferma il professor Antonio Ducay, della Pontificia Università della Santa Croce, in questa intervista con «L’Osservatore Romano», in cui offre alcune chiavi di lettura per la nuova enciclica.
Dopo due encicliche di taglio sociale, Papa Francesco propone un’enciclica pastorale. Cosa pensa che Dilexit nos offra alla Chiesa e al mondo?
Dilexit nos è molto più di un’enciclica pastorale; è una terapia per un tempo ferito. Oggi, i media e le reti sociali ci mostrano drammi e disastri in ogni angolo del pianeta, avvicinandoci a problemi che, il più delle volte, non possiamo risolvere. Questa valanga di dolore lontano, che non possiamo toccare, genera distanza emozionale e una certa indifferenza. L’enciclica ci invita a non permettere che il nostro cuore s’inaridisca in questa «abitudine al dolore altrui». Papa Francesco, di fatto, illustra come il mondo perde il suo «cuore» proprio ignorando le sofferenze umane; parla delle anziane che hanno perso tutto nella guerra, anche i propri cari. È straziante vederle e ascoltare il loro lamento e, tuttavia, quel dolore resta spesso senza risposta. Personalmente credo che siamo diventati immuni, o preferiamo distogliere lo sguardo per evitare questa sofferenza inutile. A tale proposito, Francesco ci ricorda che l’amore di Cristo è «l’unico capace di dare un cuore a questa terra». Il suo messaggio è un appello a ripristinare il calore umano: il Cuore di Gesù c’insegna a essere una «Chiesa ospedale da campo» dove l’empatia, la tenerezza e la misericordia sono i rimedi per le ferite del mondo.
Il Pontefice spiega che la devozione al Cuore di Cristo non è il culto a un organo separato dalla Persona di Gesù, che cosa intende dire?
Papa Francesco ci ricorda che la devozione al Sacro Cuore non è un culto a un organo isolato, ma a Cristo nella sua totalità. Si allude a quelle immagini che rappresentano soltanto il cuore, circondato di spine o fiamme, le quali, sebbene simboleggino il suo amore, possono far perdere il senso pieno di questa devozione. Il cuore di Gesù, di fatto, è il centro intimo della sua persona, il simbolo della sua immensa carità. Perciò, le immagini che rappresentano l’intera figura di Cristo con il cuore in evidenza mostrano meglio che questo amore non è un simbolo astratto, ma l’espressione della sua missione salvifica. Il cuore di Cristo è stato in realtà il motore di tutta la sua vita e del suo ministero qui sulla terra: il luogo del suo amore per il Padre, di cui ha reso partecipe l’umanità, e che lo ha portato a donarsi per noi. Ed è anche il motore della sua intercessione per noi dal suo trono di gloria in cielo. L’immagine del Sacro Cuore ci rimanda allora all’incarnazione e alla vita di Gesù: il suo umile passaggio per Nazaret, la sua predicazione, le sue guarigioni e, soprattutto, la sua passione, morte e risurrezione. In questa immagine troviamo il suo amore fatto presenza viva e tangibile nella storia.
«Vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte — scrive il Papa —, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore». Che importanza ha per il mondo di oggi parlare di amore divino del cuore di Gesù Cristo?
Quando si perde il senso di Dio e del suo amore per gli uomini, si perde anche il fondamento ultimo della dignità umana. Senza questa base trascendente, i rapporti umani tendono a disintegrarsi e degenerano in meri rapporti di convenienza, semplici strumenti d’interessi di alcune persone o gruppi, dove non c’è quasi spazio per le considerazioni morali. Ciò porta a quello che Dostoevskij dice in I fratelli Karamazov: senza Dio, «tutto è permesso». Sebbene possa essere interpretato in molti modi, alla fine il suo messaggio evidenzia una verità fondamentale: senza un punto di riferimento ultimo, come l’amore divino, si apre la porta a una mentalità senza coscienza né compassione, che è capace di giustificare qualsiasi atto. Allora la persona diventa disumana, si snatura la capacità di amare. L’enciclica evoca un’altra opera di Dostoevskij, I demoni, dove un personaggio vive chiuso in sé stesso, incapace di «avere cuore» per relazionarsi sinceramente con gli altri. Francesco, seguendo Romano Guardini, ricorda che «solo il cuore sa accogliere e dare una patria». Ed è così: senza un cuore capace di uscire da sé stesso, non riusciamo a riconoscere in profondità il prossimo, a capire il suo mondo, e diventiamo persone distanti, indifferenti. Il Cuore di Cristo, invece, si presenta come l’esempio di un amore che accoglie, accompagna nelle luci e nelle ombre della vita e non indietreggia di fronte al sacrificio che tante volte l’amore comporta. La Chiesa vede in questo amore la manifestazione dell’amore di Dio, un amore che rafforza il cuore umano, lo rinnova e gli permette di amare veramente. Così il messaggio dell’enciclica acquista forza per il mondo di oggi: solo se torneremo a questo amore di Cristo, potremo consolidare rapporti di autentica fratellanza e solidarietà, capaci di resistere agli interessi egoistici e di ridare alla società un vero «cuore».
Riguardo all’intelligenza artificiale, il Papa assicura che i piccoli dettagli del cuore non potranno mai stare tra gli algoritmi. E «nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore». Come possiamo viverlo concretamente?
L’intelligenza artificiale è uno strumento potente, capace di replicare certi modelli di ragionamento umano, ma non è una persona. L’enciclica sottolinea che proprio e naturale dell’essere umano non è tanto la capacità dell’intelligenza bensì l’atteggiamento attento e disponibile del cuore che è capace di creare un vero incontro con il prossimo. L’amore non è fatto normalmente di grandi prodezze, ma di piccoli dettagli, di gesti semplici che, benché modesti in apparenza, costituiscono la vera trama della vita. Per vivere tutto ciò in modo concreto è fondamentale essere attenti ai bisogni di quanti ci circondano. La vita è intessuta di momenti che sembrano ripetitivi e comuni, ma in realtà hanno un valore immenso quando li dedichiamo all’altro. Una carezza a un bambino, un gesto amorevole verso un anziano, un consiglio sincero a un amico o un compito svolto con cura suscitano gioia e benessere, sebbene raramente assurgano a titoli dei mass media. Questi gesti quotidiani, nel loro insieme, arricchiscono la società e sono riflesso dell’amore di Dio per gli uomini. Senza di essi, il contesto si impoverisce e i rapporti diventano più freddi e distanti. In un mondo sempre più digitalizzato, questi atti semplici e umani sono l’antidoto contro la perdita dell’umano.
Il Pontefice inoltre propone l’esperienza spirituale di grandi santi come santa Margherita Maria Alacoque, san Charles de Foucauld e santa Teresa di Gesù Bambino, sant’Ignazio di Loyola; come può la vita dei santi essere d’aiuto nella devozione al Sacro Cuore?
L’enciclica sottolinea la profonda devozione di questi santi al Cuore di Gesù. Attraverso le loro esperienze, hanno saputo comunicare il loro incontro con l’amore di Dio per il popolo. Santa Margherita Maria Alacoque, san Charles de Foucauld, santa Teresa di Gesù Bambino, sant’Ignazio di Loyola e molti altri, sono state anime che hanno compreso la grandezza dell’amore di Cristo e, con cuore generoso, hanno risposto a quell’amore. Questa devozione, attraverso di loro, è diventata un cammino concreto perché il popolo cristiano sperimenti la tenerezza e la vicinanza di Dio. In realtà, tutti i santi hanno incarnato questo amore. Pensiamo a figure come madre Teresa di Calcutta, Giovanni Bosco o Massimiliano Kolbe, che hanno portato la carità a livelli inimmaginabili. Sono stati capaci di un amore estremo perché erano pieni dell’amore del Cuore di Gesù. Nella loro vita possiamo vedere come, in un mondo spesso indurito e secolare, sia possibile irradiare l’amore di Dio con una dedizione radicale ed essere segno di credibilità per il mondo. La loro vita e la loro testimonianza ci ricordano che l’amore d Dio continua a essere vivo e operante nella storia e che, attraverso il Cuore di Gesù, ogni cristiano può raggiungere quella salvezza che Dio ci offre.
«Consolati per consolare». La contemplazione del Cuore di Cristo invita anche, dice il Papa, ad approfondire la dimensione comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica devozione al cuore di Cristo. Ossia, questa devozione ci deve aiutare a muoverci, ad assistere chi ne ha bisogno?
Nelle ultime sezioni dell’enciclica, il Papa riflette su aspetti chiave che hanno segnato la devozione al Sacro Cuore e su come viverla nel nostro tempo. Guardando al passato, propone un «aggiornamento» o attualizzazione di due elementi tradizionali: la consolazione e la riparazione. L’immagine del Cuore di Gesù, pieno di amore ma circondato da spine, evoca la sua passione e la sua sofferenza di fronte al rifiuto e ai peccati dell’umanità. Questo simbolo ha portato i fedeli a consolare quel Cuore ferito e a offrire amore per riparare le offese che Gesù ha subito nella sua passione. L’enciclica sottolinea che, sebbene la passione di Cristo sia un evento che si situa nel passato, la resurrezione del Signore fa sì che trascenda il tempo e diventi, misteriosamente, una realtà contemporanea nella vita di ognuno. Perciò, anche oggi è possibile consolare Cristo e offrirgli una riparazione per le offese subite. L’enciclica propone che tale riparazione si eserciti mediante l’impegno di comunicare l’amore di Cristo al mondo. Così, questa visione conferisce alla devozione al Sacro Cuore una dimensione missionaria: «Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale» diventa un canale del suo amore per tutti. In definitiva, il Papa invita a una devozione che non si limiti all’ambito personale o introspettivo, ma che spinga a condividere l’amore di Cristo in modo concreto, mossi a consolare e a guarire, a rendere presente quel Cuore nella vita e nelle necessità degli altri.
Quali chiavi di lettura darebbe per comprendere Dilexit nos?
Credo che Dilexit nos nasca, in primo luogo, dalla devozione personale di Papa Francesco. Lui stesso ha raccontato che sua nonna gli ha insegnato a pregare «Gesù, fa’ che il mio cuore somigli al tuo». Inoltre gli anni di formazione come gesuita avranno consolidato questa devozione, alla quale ha fatto spesso riferimento nel corso del suo pontificato. A questo si aggiunge il suo amore per tutto ciò che è radicato nel popolo, e poche devozioni sono tanto profondamente radicate come quella al Sacro Cuore. Tutto questo fa parte delle radici dell’enciclica. Ma c’è qualcosa di ancora più profondo che anima questo documento. L’enciclica lascia intravedere che il Papa crede fermamente nei benefici che porterebbe al nostro tempo, una sana «antropologia del cuore». Nelle prime pagine spiega che cosa s’intende con «cuore» e perché dovrebbe occupare un posto centrale nella vita di ogni persona. Nella cultura occidentale moderna, il primato è stato attribuito ad altri elementi: la razionalità nella scienza, la volontà nelle decisioni personali, le emozioni nei rapporti e nell’intrattenimento, e la salute nel benessere fisico. Tuttavia nessuno di questi elementi crea una civiltà dell’amore. Credo che Francesco c’inviti a riscoprire il cuore, come spazio d’incontro e di accoglienza, per trasformarlo nel vero motore di questa civiltà dell’amore. Perciò, come ho detto prima, Dilexit nos è, anzitutto, una terapia per i mali del mondo attuale, «un mondo che sopravvive tra guerre, squilibri socio-economici, consumismo e uso antiumano della tecnologia». Francesco sa bene che il cuore dell’uomo può essere retto solo quando è guarito dall’amore di Cristo, e l’enciclica cerca di avvicinare tutti a questo Cuore, dove possiamo sperimentare l’amore che guarisce e rafforza, capace di costruire quella civiltà fraterna promossa anche in Fratelli tutti. Ad ogni modo, questo nuovo impulso alla devozione al Sacro Cuore non è possibile senza un certo rinnovamento. La devozione deve essere presentata in forma adeguata e fondata sulla rivelazione: è qualcosa che sta molto a cuore al Papa in questa enciclica. Ci offre il fondamento biblico ed ecclesiale di tale devozione, illuminando quegli aspetti che potrebbero essere più difficili da capire per la mentalità attuale. In definitiva, come ha detto l’arcivescovo Bruno Forte in occasione della presentazione, Dilexit nos può essere vista come un compendio di quello che il Papa vuole comunicare a ogni fratello e a ogni sorella in umanità: che Dio li ama e che questo amore risplende soprattutto nella vita di Gesù di Nazaret. Guardare e seguire Cristo è abbracciare l’amore per sempre e imparare a diventare dono per gli altri.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Rocío Lancho García 30/11/2024)