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martedì 10 settembre 2024

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN ASIA E OCEANIA (2-13 settembre 2024) - Timor-Leste, a migliaia su alberi e tetti per dare il benvenuto a Francesco (cronaca, testo, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN INDONESIA, PAPUA NUOVA GUINEA,
TIMOR-LESTE, SINGAPORE

(2-13 settembre 2024)


Lunedì, 9 settembre 2024

DILI

14:10 Arrivo all'Aeroporto Internazionale di Dili “Presidente Nicolau Lobato”
14:10 ACCOGLIENZA UFFICIALE
18:00 CERIMONIA DI BENVENUTO all'esterno del Palazzo Presidenziale
18:30 VISITA DI CORTESIA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA nel Palazzo Presidenziale
19:00 INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO nella Sala del Palazzo Presidenziale


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Timor-Leste,
a migliaia su alberi e tetti per dare il benvenuto a Francesco

Un volo di circa tre ore e mezza ha portato Francesco dalla Papua Nuova Guinea sull’isola del Sudest asiatico a maggioranza cattolica, terza tappa del viaggio che si protrarrà fino a mercoledì prossimo, prima della conclusione a Singapore. Istituzionali i primi appuntamenti in agenda con la visita al presidente Ramos-Horta e il discorso alle autorità del Paese. Accoglienza festosa dalla popolazione riversatasi in massa per strada

Timor-Leste, due giovani in bilico sul cancello di un palazzo a Dili danno il benevenuto al Papa 

Non poteva essere da meno la cattolicissima popolazione di Dili, capitale di Timor-Leste, all’Indonesia e alla Papua Nuova Guinea nel dare il benvenuto a Papa Francesco, giunto oggi nella capitale della più orientale delle Isole della Sonda Minore per la terza tappa del viaggio apostolico di Francesco nel Sud-Est asiatico e in Oceania. Gente arrampicata sui tetti delle case in pietra e sui rami degli alberi, aggrappata alle reti o in piedi sopra le macchine, affacciata ai balconi o dalle saracinesche dei negozi, migliaia e migliaia di persone hanno urlato il loro “Bem-vindo Santitade” al Papa al suo passaggio per le strade della capitale.

Folla all'aeroporto di Dili a Tmor-Leste per dare il benvenuto al Papa

Francesco è atterrato a Dili alle 14.20 (7.20 in Italia), all’aeroporto internazionale “Presidente Nicolau Lobato”, dopo un volo di tre ore e mezza da Port Moresby, da dove è partito subito dopo l’incontro con i giovani nello stadio. Suggestivo il colpo d’occhio appena usciti dal velivolo con il brillare dell’oceano sulla destra, il verde della vegetazione sullo sfondo e il rosso del tappeto preparato per il Pontefice e delle divise della Guardia d’onore. Ad accogliere il Papa c’erano il presidente della Repubblica, José Manuel Ramos-Horta, e il primo ministro, Xanana Gusmão, insieme al nunzio apostolico Wojciech Załuski. Come sempre al suo arrivo sono stati due bambini in abito tradizionale a dare il benvenuto al Papa: oltre ai fiori, lo hanno onorato con una tais, sciarpa tradizionale timorese, che gli hanno poggiato sul collo.

Timor-Leste, persone assiepate lungo il passaggio del corteo papale a Dili

È seguita la parte protocollare con l’esecuzione degli anni davanti alla Guardia d’onore schierata sulla pista dell’aeroporto, poi la presentazione delle reciproche delegazioni. Alcuni ministri si sono messi in ginocchio al passaggio del Papa e gli hanno poggiato la fronte sulla sua mano. Un segno della profonda fede di questo Paese, terra di missione e anche dalla storia sofferta con l’invasione indonesiana del 1976, dopo l’indipendenza dal Portogallo, e il successivo conflitto ventennale che ha sterminato dalle 60 mila alle 100 mila persone, secondo le stime.

Il ricordo di queste tragedie riemergerà in questi giorni di permanenza di Papa Francesco a Dili. Nessuno spazio alla sofferenza, tuttavia, all’arrivo del Pontefice in città. La strada dall’aeroporto alla Nunziatura apostolica ha offerto uno spettacolo sorprendente per la quantità di gente presente. Quasi come se tutta Dili si fosse riversata per strada. Così tanti da restringere la carreggiata e rallentare le macchine del corteo papale. Moltissimi i bambini, molte le donne, alcune in abiti tradizionali, mentre gli uomini suonavano tipici tamburi. Più di qualcuno teneva in mano statue della Madonna, di Gesù o, addirittura, un piccolo presepe.

Timor-Leste, la gioia di un gruppo di giovani nei pressi dell'aeroporto di Dili

Con le fronti imperlate di sudore, agitavano Rosari e bandierine con le bandiere di Timor Est o del Vaticano. Quasi tutti indossavano le magliette con il volto del Papa, il logo e il motto della visita. Lo stesso che si vede nei numerosi cartelli, striscioni e bandiere che puntellano tutta la città: verticali, orizzontali, rossi, bianchi, gialli, piccoli o giganti, il volto di Papa Francesco è ovunque a Dili.

Dopo un breve momento di riposo pomeridiano, il Papa ripartirà in auto dalla Nunziatura alle 17.30, ora locale, per il primo degli appuntamenti di questa tappa del viaggio: la cerimonia di benvenuto e la visita di cortesia al capo dello Stato. Verso le 19, si terrà invece l’incontro con le autorità politiche, diplomatiche e civili di Timor-Est e il primo discorso nel Paese. In serata quindi cena e riposo per affrontare l’intensa giornata di domani, la nona del più lungo viaggio del suo pontificato.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 09/09/2024)


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Foto e video






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Il Papa: Timor-Leste, esempio nel combattere l'odio con la riconciliazione

Francesco parla alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del Paese asiatico nel quale è giunto oggi, apprezzando l’atteggiamento che l'ha portato alla pace con l’Indonesia dopo decenni di un conflitto sanguinoso, chiudendo le ferite e purificando la memoria. E in tema di abusi sui minori, il richiamo ad agire con responsabilità per prevenire questa piaga


Giunto dove “Asia e Oceania si sfiorano e, in un certo senso, incontrano l’Europa”, in una terra “ornata di montagne, foreste e pianure, circondata da un mare meraviglioso”, Papa Francesco viene accolto al palazzo presidenziale di Dili, capitale di Timor-Leste, dal capo di Stato, uno degli artefici dell'indipendenza e Premio Nobel per la pace del 1996, Josè Manuel Ramos-Horta. I due sorridono e scherzano fra loro, dopo aver ascoltato gli inni e dopo che tre bambini in abito tradizionale hanno offerto al Papa dei fiori e una sciarpa in tais, il tessuto locale.

L’accoglienza al palazzo presidenziale

La firma del Libro d’Onore e un incontro privato con il presidente, precedono l’arrivo di Francesco nella bianca Salåo China del palazzo presidenziale, dove il Pontefice si rivolge alle circa 400 persone che rappresentano le autorità, la società civile e il corpo diplomatico di Timor-Leste e ne ripercorre la storia. Dall’arrivo dei primi missionari domenicani che portarono il cattolicesimo e la lingua portoghese - tutt’ora la lingua ufficiale insieme al tetum - alla lotta per l’indipendenza dall'Indonesia dopo l’emancipazione dal Portogallo nel 1975, definitivamente ottenuta nel 2002.

Un bambino timorese saluta Papa Francesco 
Un’alba di pace e libertà

Timor-Leste, ribadisce il Papa, “ha conosciuto le convulsioni e le violenze, che spesso si registrano quando un popolo si affaccia alla piena indipendenza e la sua ricerca di autonomia viene negata o contrastata”, ma “ha saputo però risorgere, ritrovando un cammino di pace e di apertura a una nuova fase”, di sviluppo e di valorizzazione delle sue risorse naturali e umane.

Rendiamo grazie a Dio perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, voi non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà.

Il radicamento della fede cattolica

A essere stato di grande aiuto, per il Pontefice, è stato il “radicamento della fede cattolica”, già messo in rilievo da San Giovanni Paolo II durante la sua visita nel 1989 ed espressione di quel cristianesimo, nato in Asia tramite i missionari europei “testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più alta e profonda”. Inculturazione della fede ed evangelizzazione della cultura, aggiunge, sono infatti un binomio importante per la vita cristiana. Ne è un esempio il quadro situato alle spalle del Papa nella sala dove si trovava il Libro d’Onore, in cui appaiono i primi missionari portoghesi, i primi edifici missionari, un’immagine di Papa Wojtyla e il primo cardinale timorese, che lo stesso Francesco ha firmato prima di lasciare il palazzo presidenziale. Insegnamenti evangelici e continuità nella fede che hanno guidata “a una piena riconciliazione con i fratelli dell’Indonesia”. Una “politica della mano tesa” particolarmente lodata dal Papa.

Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio della pace. Infatti l'unità è superiore al conflitto, sempre. La pace dell'unità è superiore al conflitto. E per questo si richiede anche una certa purificazione della memoria, per guarire le ferite, combattere l'odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione.

Papa Francesco e il presidente di Timor-Leste Horta

Lotta all’emigrazione e gestione delle risorse naturali per il bene pubblico

Timor-Leste, ribadisce Francesco “ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo” e “oggi vive come un Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società che è fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”. Non mancano tuttavia le sfide: dalla costruzione e il consolidamento delle istituzioni e della rappresentanza, all’emigrazione dal Paese “che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse”. Per questo, per Francesco, serve un’azione corale di ampio respiro che coinvolta molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali per combattere la povertà presente in tante zone rurali, come anche è indispensabili preparare adeguatamente la classe dirigente del futuro, in particolare nella gestione delle risorse naturali del Paese, “in primo luogo delle riserve petrolifere e del gas, che potrebbero offrire inedite possibilità di sviluppo” nell’esclusivo interesse del bene comune.

Prevenire il male sociale degli abusi

Il 65% della popolazione di Timor-Lester, a differenza dell’Europa, è al di sotto dei 30 anni di età e molte sono le criticità per questa fascia della popolazione, come gli alcolici e le gang criminali.

Date ideali ai giovani, perchè escano da queste trappole! E anche un fenomeno del costituirsi in certe bande, le quali forti della conoscenza delle arti marziali, invece di usarla al servizio degli indifesi, la usano come occasione per mettere in mostra l'effimero e dannoso della violenza. La violenza è sempre un problema nei villaggi. E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità - questo fenomeno sta emergendo in utto il mondo - tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire questo male sociale e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi.

La Salåo China del palazzo presidenziale di Dili

Il pilastro della dottrina sociale della Chiesa

Ad aiutare il popolo timorese in questo oltre alla fede - Que a vossa fé seja a vossa cultura! (che la vostra fede sia la vostra cultura) è infatti il tema della visita del Papa nel Paese asiatico e Francesco lo ha anche ribadito nella sua dedica sul Libro d’Onore, in cui definisce il popolo timorese la cosa più del Paese e lo invita a vivere la gioia della fede in armonia e in dialogo con la cultura - c’è il pilastro insostituibile della dottrina sociale della Chiesa, che “è basata sulla fraternità e favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri”.

In questo senso è motivo di grande gioia per Francesco, l’aver recepito - come ha annunciato il presidente Horta - quale documento nazionale quello sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi, affinchè “essa possa venire adottata e inclusa nei programmi scolastici. Istituzioni legate alla Chiesa, poi, contribuiscono all’assistenza e alla carità dei bisognosi, all’educazione e alla sanità: una preziosa risorsa che consente di guardare al futuro con occhi pieni di speranza.

Merita apprezzamento, al riguardo, il fatto che l’impegno della Chiesa a favore del bene comune possa avvalersi della collaborazione e del sostegno dello Stato.

L’entusiasmo dei giovani e la saggezza degli anziani

Investire sull'educazione, nella famiglia e nella scuola è un invito a essere fiduciosi e a mantenere uno sguardo pieni di speranza verso l’avvenire, anche grazie alla commistione tra l’entusiasmo dei giovani e la saggezza degli anziani, una “miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani” e una “grande risorsa” che non permette ne passività né pessimismo.

Guardando al vostro recente passato e a quanto è stato finora compiuto, c’è motivo di essere fiduciosi che la vostra Nazione saprà ugualmente affrontare con intelligenza, chiarezza e creatività le difficoltà e i problemi odierni. Confidare nella saggezza del popolo. Il popolo ha la sua saggezza. Fidatevi di quella saggezza.

Dopo aver affidato Timor-Leste alla protezione dell’Immacolata Concezione, Virgem de Aitara, tanti tra gli invitati al palazzo presidenziale e anche qualcuno del personale del palazzo sono andati da Papa Francesco per ricevere una benedizione. Francesco ha regalato loro dei rosari.
(fonte: Vatican News, articolo di Michele Raviart  09/09/2024)

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INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

   Sala del Palazzo Presidenziale (Dili, Timor Leste)
Lunedì, 9 settembre 2024


Signor Presidente,
Signor Primo Ministro,
distinti Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
Signor Cardinale, fratelli Vescovi,
Rappresentanti della società civile,
Signore e Signori!

Vi ringrazio per la gentile e gioiosa accoglienza in questa bella terra di Timor-Leste; e sono grato al Presidente, Signor José Ramos-Horta, per le cortesi espressioni che mi ha appena rivolto.

Qui Asia e Oceania si sfiorano e, in un certo senso, incontrano l’Europa, lontana geograficamente, eppure vicina per il ruolo che essa ha avuto a queste latitudini negli ultimi cinque secoli – non mi riferisco ai pirati olandesi! –. Dal Portogallo, infatti, nel XVI secolo giunsero i primi missionari domenicani che portarono il Cattolicesimo e la lingua portoghese; e quest’ultima insieme alla lingua tetum sono oggi i due idiomi ufficiali dello Stato.

Il Cristianesimo, nato in Asia, è arrivato a queste propaggini del continente tramite missionari europei, testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più alta e profonda. Il cristianesimo si incultura, assume le culture e i diversi riti orientali, dei diversi popoli. Infatti una delle dimensioni importanti del cristianesimo è l’inculturazione della fede. Ed esso, a sua volta, evangelizza le cultura. Questo binomio è importante per la vita cristiana: inculturazione della fede ed evangelizzazione della cultura. Non è una fede ideologica, è una fede radicata nella cultura.

Questa terra, ornata di montagne, foreste e pianure, circondata da un mare meraviglioso, per quello che ho potuto vedere, ricca di tante cose, di tanti frutti e legname…Con tutto ciò, questa terra ha attraversato nel recente passato una fase dolorosa. Ha conosciuto le convulsioni e le violenze, che spesso si registrano quando un popolo si affaccia alla piena indipendenza e la sua ricerca di autonomia viene negata o contrastata.

Dal 28 novembre 1975 al 20 maggio 2002, cioè dall’indipendenza dichiarata a quella definitivamente restaurata, Timor-Leste ha vissuto gli anni della sua passione e della sua più grande prova. Ha sofferto. Il Paese ha saputo però risorgere, ritrovando un cammino di pace e di apertura a una nuova fase, che vuol’essere di sviluppo, di miglioramento delle condizioni di vita, di valorizzazione a tutti i livelli dello splendore incontaminato di questo territorio e delle sue risorse naturali e umane.

Rendiamo grazie a Dio perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, voi non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà.

Nel conseguimento di queste importanti mete è stato di grande aiuto il vostro radicamento nella fede, come San Giovanni Paolo II mise in rilievo nella sua visita al vostro Paese. Egli, nell’omelia a Tasi-Tolu, ricordò che i cattolici di Timor-Leste hanno «una tradizione in cui la vita familiare, la cultura e i costumi sociali sono profondamente radicati nel Vangelo»; una tradizione «ricca degli insegnamenti e dello spirito delle Beatitudini», una tradizione ricca di «umile fiducia in Dio, di perdono e misericordia e, quando necessario, di paziente sofferenza nella tribolazione» (12 ottobre 1989). E traducendo questo nell’oggi, io direi che voi siete un popolo che ha sofferto, ma saggio nella sofferenza.

A questo proposito, desidero in particolare ricordare e lodare il vostro impegno assiduo per giungere a una piena riconciliazione con i fratelli dell’Indonesia, atteggiamento che ha trovato la sua fonte prima e più pura negli insegnamenti del Vangelo. Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio della pace. Infatti l’unità è superiore al conflitto, sempre; la pace dell’unità è superiore al conflitto. E per questo si richiede anche una certa purificazione della memoria, per guarire le ferite, combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione. È bello parlare della “politica della mano tesa”, è molto saggia, non è sciocca, no, perché quando la mano tesa si vede tradita, sa lottare, sa portare avanti le cose.

È motivo di grato encomio anche il fatto che, nel ventesimo anniversario dell’indipendenza del Paese, avete recepito come documento nazionale la Dichiarazione sulla Fratellanza umana – ne sono grato, Signor Presidente – da me firmata insieme al Grande Imam di Al-Azhar il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. E lo avete fatto affinché – come auspica la Dichiarazione stessa – essa possa venire adottata e inclusa nei programmi scolastici, e ciò è fondamentale.

Nel medesimo tempo, vi esorto a proseguire con rinnovata fiducia nella sapiente costruzione e nel consolidamento delle istituzioni della vostra Repubblica, in modo che i cittadini si sentano effettivamente rappresentati ed esse siano pienamente idonee a servire il Popolo di Timor-Leste.

Ora davanti a voi si è aperto un nuovo orizzonte, sgombro da nuvole nere, ma con nuove sfide da affrontare e nuovi problemi da risolvere. Per questo voglio dirvi: la fede, che vi ha illuminato e sostenuto nel passato, continui a ispirare il vostro presente e il vostro futuro. «Que a vossa fé seja a vossa cultura!»; cioè, che ispiri i criteri, i progetti, le scelte secondo il Vangelo.

Tra le molte questioni attuali, penso al fenomeno dell’emigrazione, che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse; come pure della difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base. E non sempre è un fenomeno esterno. Ad esempio, in Italia c’è l’emigrazione del sud verso il nord e abbiamo tutta una regione del sud che si sta spopolando.

Penso alla povertà presente in tante zone rurali, e alla conseguente necessità di un’azione corale di ampio respiro che coinvolga molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali, per porvi rimedio e per offrire valide alternative all’emigrazione.

E penso infine a quelle che possono essere considerate delle piaghe sociali, come l’eccessivo uso di alcolici tra i giovani. Per favore, abbiate cura di questo! Date ideali ai giovani, perché escano da queste trappole! E anche il fenomeno del costituirsi in bande, le quali, forti della loro conoscenza delle arti marziali, invece di usarla al servizio degli indifesi, la usano come occasione per mettere in mostra l’effimero e dannoso potere della violenza. E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità – questo fenomeno sta emergendo in tutto il mondo –: tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire ogni tipo di abuso e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi.

Per la soluzione di questi problemi, come pure per una gestione ottimale delle risorse naturali del Paese – in primo luogo delle riserve petrolifere e del gas, che potrebbero offrire inedite possibilità di sviluppo – è indispensabile preparare adeguatamente, con una formazione appropriata, coloro che saranno chiamati ad essere la classe dirigente del Paese in un non lontano futuro. Mi è piaciuto quello che mi ha detto il Signor Presidente riguardo all’educazione qui. Essi potranno così avere a disposizione tutti gli strumenti indispensabili a delineare una progettualità di ampio respiro, nell’esclusivo interesse del bene comune.

La Chiesa offre come base di tale processo formativo la sua dottrina sociale. Essa costituisce un pilastro indispensabile, su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini. La dottrina sociale della Chiesa non è un’ideologia, è basata sulla fraternità. È una dottrina che deve favorire, che favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri.

Tuttavia, se i problemi non mancano – come è per ogni popolo e per ogni epoca –, vi invito ad essere fiduciosi e a mantenere uno sguardo pieno di speranza verso l’avvenire. E c’è una cosa che vorrei dirvi, che non sta nel discorso, perché la porto dentro. Questo è un Paese bello, ma che cos’è la cosa più bella che ha questo Paese? Il popolo. Abbiate cura del popolo, amate il vostro popolo, fate cresce il popolo! Questo popolo è meraviglioso, è meraviglioso. In queste poche ora dal mio arrivo ho visto come il popolo si esprime, e il vostro popolo si esprime con dignità e con gioia. È un popolo gioioso.

Siete un popolo giovane, non per la vostra cultura e per l’insediamento su questa terra, che sono invece molto antichi, ma per il fatto che circa il 65% della popolazione di Timor-Leste è al di sotto dei 30 anni di età. Penso a due Paesi europei, dove l’età media è di 46 e 48 anni. E da voi, il 65% ha meno di 30 anni; possiamo pensare che l’età media sarà intorno ai 30 anni, un po’ meno. Questa è una ricchezza. Questo dato ci dice che il primo ambito su cui investire è per voi l’educazione. Sono contento di ciò che ho appreso dal Presidente e che state facendo. Andate avanti. Credo che ci sono già diverse Università, magari anche troppe, e in più varie scuole secondarie, cosa che forse vent’anni fa non c’era. Questo è un ritmo di crescita molto grande. Investite sull’educazione, sull’educazione nella famiglia e nella scuola. Un’educazione che metta al centro i bambini e i ragazzi e promuova la loro dignità. Sono rimasto contento vedendo i bambini sorridere, con quei denti bianchi! C’era pieno di ragazzi da tutte le parti. L’entusiasmo, la freschezza, la proiezione verso l’avvenire, il coraggio, l’intraprendenza, tipici dei giovani, uniti all’esperienza e alla saggezza degli anziani, formano una miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani. E qui mi permetto di dare un consiglio: mettete insieme i bambini con i nonni! L’incontro dei bambini e dei nonni provoca saggezza. Pensateci. Insieme, questo entusiasmo giovanile e questa saggezza sono una grande risorsa e non permettono la passività né, tantomeno, il pessimismo.

La Chiesa Cattolica, la sua dottrina sociale, le sue istituzioni per l’assistenza e la carità ai bisognosi, quelle educative e quelle sanitarie sono al servizio di tutti e sono anch’esse una preziosa risorsa, che consente di guardare al futuro con occhi pieni di speranza. Merita apprezzamento, al riguardo, il fatto che l’impegno della Chiesa a favore del bene comune possa avvalersi della collaborazione e del sostegno dello Stato, nel quadro delle cordiali relazioni sviluppate tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, recepite dall’Accordo tra le Parti entrato in vigore il 3 marzo 2016. Relazioni eccellenti.

Timor-Leste, che ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo, oggi vive come Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società che è fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale. Guardando al vostro recente passato e a quanto è stato finora compiuto, c’è motivo di essere fiduciosi che la vostra Nazione saprà ugualmente affrontare con intelligenza, chiarezza e creatività. le difficoltà e i problemi odierni. Abbiate fiducia nella saggezza del popolo. Il popolo ha la sua saggezza, abbiate fiducia in questa saggezza.

Affido Timor-Leste e tutto il suo popolo alla protezione dell’Immacolata Concezione, celeste Patrona invocata con il titolo di Virgem de Aitara. Ella vi accompagni e vi aiuti sempre nella missione di costruire un Paese libero, democratico, solidale e gioioso, dove nessuno si senta escluso ed ognuno possa vivere in pace e dignità. Deus abençoe Timor-Leste!Maromak haraik bênção ba Timor-Lorosa’e!


VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN ASIA E OCEANIA (2-13 settembre 2024) - Il Papa ai giovani papuani: mi auguro che tutti voi parliate la lingua più profonda: che tutti voi siate “wantok” dell’amore! (cronaca, testo, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN INDONESIA, PAPUA NUOVA GUINEA,
TIMOR-LESTE, SINGAPORE

(2-13 settembre 2024)


Lunedì, 9 settembre 2024

PORT MORESBY 

9:45 INCONTRO CON I GIOVANI nello Stadio “Sir John Guise”
11:10 CERIMONIA DI CONGEDO presso l’Aeroporto Internazionale di Port Moresby “Jacksons”
11:40 Partenza in aereo dall'Aeroporto Internazionale di Port Moresby “Jacksons”



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Il Papa ai giovani papuani:
scegliete l’armonia, non la divisione e sollevate chi cade

Nell’ultimo incontro in Papua Nuova Guinea, allo stadio di Port Moresby, Francesco dialoga con oltre diecimila ragazzi e ragazze, nel Paese degli oltre 800 idiomi: “La vostra lingua comune è quella del cuore dell’amore, della vicinanza e del servizio” ricorda, e contro l’indifferenza “dovete avere l’inquietudine del cuore di prendervi cura degli altri” e se qualcuno cade, “aiutarlo a non rimanere caduto”. Nelle testimonianze dei giovani i drammi degli abusi in famiglia e le unioni distrutte

 
Un discorso che diventa presto dialogo di sorrisi, gesti e risposte corali. Questo è stato il cuore dell’incontro di Papa Francesco con i diecimila giovani papuani che hanno fatto festa con lui nello stadio “Sir John Guise” di Port Moresby, lo stesso della Messa di sabato mattina. Uno scambio di sguardi, pollici alzati e occhi che brillano tra l’anziano Papa e coloro che sono la “speranza per il futuro” di un Paese “giovane abitato da tanti giovani”.

La lingua comune del cuore, dell'amore e del servizio

Dopo aver lasciato il discorso preparato, un sorridente Francesco chiede ai giovani di scegliere tra il modello della dispersione o quello dell’armonia, ricordando quello che avevano fatto i discendenti di Mosè con la Torre di Babele. “L’armonia”, rispondono i giovani in coro. E poi ricorda loro che “Il Signore ci ha creati per avere buoni rapporti con gli altri”. Nel Paese degli oltre 800 idiomi, il Pontefice dice ai giovani che serve “una sola lingua che ci aiuti ad essere uniti. Qual è?” chiede, e qualcuno risponde “l’amore”. “La vostra lingua comune è quella del cuore, dell’amore, della vicinanza e del servizio”, chiarisce ancora, si augura “che tutti parliate questa lingua e siate Wantok dell’amore!”. (“Wantok” è il termine papuano che indica chi parla una certa lingua e appartiene ad un certo gruppo etnico. n.d.r.). Contro il male dell’indifferenza, prosegue il Papa “dovete avere l’inquietudine del cuore di prendervi cura degli altri”. E ricorda che “c’è un rapporto molto importante nella vita di un giovane, la vicinanza con i nonni”.

"Se vedete qualcuno cadere, aiutatelo a rialzarsi"

Infine il Pontefice introduce un tema a lui molto caro: “Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. E dobbiamo sempre correggerci”. E ricorda la canzone di montagna che dice così: Nell’arte di salire, quello che importante non è non cadere, ma non rimanere caduto”..“E se vedete un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa dovete fare? – domanda Papa Francesco - Ridere di quello?”. “No” rispondono in coro i giovani. “Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi”. Francesco ripete la domanda altre due volte, in diversi momenti dell’incontro, l’ultimo dopo il canto finale: “Quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, per tanti problemi, cosa dove fare, dare una botta?”. Al forte “No!” dello stadio aggiunge: “Qual è il gesto che dovete fare davanti a qualcuno che è caduto?” I giovani rispondono: “get back up!” e il Pontefice mima il gesto di sollevare una persona.

La danza di accoglienza per il Papa allo stadio di Port Moresby @VaticanMedia

Il racconto della Torre di Babele

Il Papa aveva iniziato il suo intervento ringraziando per la bella rappresentazione appena messa in scena dai giovani, che ha narrato la bellezza di Papua “dove l’oceano incontra il cielo, dove nascono i sogni e sorgono le sfide”; e lanciato a tutti un augurio importante: “affrontare il futuro con sorrisi di speranza!”. Ai ragazzi e ragazze del Paese, che sono “la speranza per il futuro”, Francesco ha chiesto di riflettere insieme “su come si costruisce il futuro” e “che senso vogliamo dare alla nostra vita”. E lo ha fatto parlando del racconto biblico della Torre di Babele, dove si scontrano due modi opposti di vivere e di costruire la società: “uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli”. Poi il suo discorso si è trasformato in un dialogo con i giovani.

Il vescovo John Bosco e le sfide per i giovani papuani

Dopo la danza di benvenuto di una ventina di giovani, nei variopinti e piumati costumi tradizionali, a salutare il Pontefice è John Bosco Auram, vescovo di Kimbe e delegato per i giovani, che ricorda come la sfida più grande per i giovani papuani sia “scoprire Cristo all’interno e in mezzo ad una realtà” che li porta ad affrontare sfide profonde “come il vivere i valori cristiani all’interno della famiglia e della società, le limitate opportunità di crescita e sviluppo, le varie frustrazioni derivanti dalle aspettative non soddisfatte della società, del governo e persino della Chiesa”.

Il saluto del vescovo John Bosco Auram, delegato per i giovani

La rappresentazione “Isole di speranza”

La festa entra nel vivo con la rappresentazione “Isole di speranza”, che vede protagonisti quattro giovani della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, impegnati a costruire un futuro “con sorrisi di speranza”. Una partendo dalla sua famiglia, uno dalla protezione dell’ambiente, un’altra dalla valorizzazione della cultura locale e l’ultimo dal sostegno all’educazione. Un narratore, alla fine, invita a ricordare che “i giovani non sono solo i leader di domani, ma gli artefici del cambiamento di oggi. Sosteniamo il loro viaggio e celebriamo il loro contributo al nostro mondo”.

Patricia e l’impegno dei giovani professionisti cattolici

La prima testimonianza davanti al Papa, dopo l’esibizione del grande coro, è di una giovane che fa parte dell’Associazione dei professionisti cattolici Patricia Harricknen-Korpok, che parla della difficoltà di testimoniare la fede e la morale cattolica in una società che subisce l’influenza negativa “delle industrie dello sport e del divertimento, dei social media e della tecnologia”, molto attrattive, e per la competizione di tanti valori e credenze religiose. Nonostante questo, i giovani professionisti della Papua Nuova Guinea, assicura Patricia, si battono “per il bene comune e per il benessere del nostro popolo, soprattutto per coloro che non hanno voce o si trovano ai margini della società”. Per questo, ammette “prendere posizione su questioni sociali, politiche, economiche, ambientali e di diritti umani attraverso la lente della nostra fede cristiana” non è sempre stato facile, ma oggi i giovani professionisti cattolici si battono “per il bene comune”, soprattutto “per coloro che non hanno voce o si trovano ai margini della società”.

Il Papa e la testimone Bernadette

Ryan e la sofferenza dei giovani per le famiglie divise

Dopo di lei Ryan Vulum racconta la sua difficile infanzia in una famiglia divisa, e che la Chiesa “è diventata il mio rifugio”. Quella delle famiglie divise o che hanno grandi aspettative nei confronti dei giovani è una difficoltà che per Ryan “sperimenta la maggior parte dei giovani” dell’arcipelago. Che trovano “molto difficile comunicare con i loro genitori, perché questi non stanno insieme o sono separati”, e molti di loro “ricorrono all'assunzione di sostanze nocive, al coinvolgimento in attività illegali e perdono ogni speranza nella vita”. Per questo incoraggia tutte le coppie cattoliche in Papua Nuova Guinea a ricevere e perseverare nel sacramento del matrimonio, “per diventare famiglie forti e per far sì che i giovani si sentano sicuri e possano vivere meglio”. E i membri della Chiesa “a continuare ad accogliere i giovani a braccia aperte e ad invitarli a condividere le loro idee e a partecipare alle decisioni della comunità ecclesiale locale”, per costruire una Chiesa migliore.

Il grido di Bernadette contro gli abusi in famiglia

Infine Bernadette Turmoni, quarta e ultima figlia di una famiglia numerosa, giovane della Legione di Maria, parla del dramma degli abusi in famiglia, che distrugge la vita di giovani uomini e donne. “Chi ne è vittima – denuncia - si sente non amato e non rispettato. Perde la speranza e può suicidarsi o lasciare la famiglia”. E anche di quello della povertà, che è in aumento nonostante la Papua Nuova Guinea sia ricca di minerali. Questo è uno dei motivi “per cui i giovani non completano gli studi o non perseguono i loro sogni e desideri”. E li spinge “a trovare modi per guadagnare soldi vendendo droga, rubando” o chiedendo l’elemosina. E chiede al Papa, “come affrontare questo problema?”. Trovando una risposta nell’Esortazione apostolica di Francesco Christus Vivit: “Dio è sempre vivo e quindi anche noi dobbiamo essere vivi”. Come giovane, conclude Bernadette, “sono in grado di vivere la mia vita, nonostante tutte le lotte che ho affrontato. Non ho nulla: Dio è tutto”.

Doni a Papa Francesco alla fine dell'incontro
(fonte: Vatican News, articolo di Alessandro Di Bussolo 09/09/2024)

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INCONTRO CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

   Stadio “Sir John Guise” (Port Moresby, Papua Nuova Guinea)
Lunedì, 9 settembre 2024


Cari giovani, buongiorno! Good morning!

Vi dico una cosa: sono felice di questi giorni trascorsi nel vostro Paese, dove convivono mare, montagne e foreste tropicali; ma soprattutto un Paese giovane abitato da tanti giovani! E il volto giovane del Paese abbiamo potuto contemplarlo tutti, anche attraverso la bella rappresentazione che abbiamo visto qui. Grazie! Grazie per la vostra gioia, per come avete narrato la bellezza di Papua “dove l’oceano incontra il cielo, dove nascono i sogni e sorgono le sfide”; e soprattutto grazie perché avete lanciato a tutti un augurio importante: “affrontare il futuro con sorrisi di speranza!”. Con sorrisi di gioia.

Cari giovani, non volevo ripartire da qui senza incontrarvi, perché voi siete la speranza per il futuro.

E come si costruisce il futuro? Che senso vogliamo dare alla nostra vita? Vorrei lasciarmi interpellare da queste domande, a partire da un racconto che si trova all’inizio della Bibbia: il racconto della Torre di Babele. Lì vediamo che si scontrano due modelli, due modi opposti di vivere e di costruire la società: uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli. Confusione da una parte e armonia dall’altra. Questo è importante.

E io vi domando, adesso, cosa scegliete voi? Il modello della dispersione o il modello dell’armonia? Cosa scegliete voi? [rispondono: harmony!] Siete bravi! C’è una storia che racconta la Scrittura: che, dopo il diluvio universale, i discendenti di Noè si dispersero in diverse isole, ciascuno «secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie» (Gen 10,5). Senza annullare le differenze, Dio concesse loro un modo per entrare in comunicazione e per unirsi; infatti, «tutta la terra aveva un’unica lingua» (Gen 11,1). E questo significa che il Signore ci ha creati per avere un buon rapporto con gli altri. State attenti: non ci ha creato per la confusione, ma per avere un buon rapporto. E questo è molto importante.

E davanti a queste differenze di lingue, che dividono, che disperdono, ci vuole una sola lingua che ci aiuti ad essere uniti. Ma io vi domando: qual è la lingua che favorisce l’amicizia, che abbatte i muri di divisione e che ci apra la via per entrare, tutti, in un abbraccio fraterno? Qual è questa lingua? Io vorrei sentire qualcuno di voi coraggioso… Chi è capace di dirmi qual è questa lingua? Chi è il più coraggioso, alzi la mano e venga qui avanti. [Un ragazzo risponde: amore]. Siete convinti di questo? [I ragazzi rispondono: yes!] Pensate un po’. E contro l’amore, cosa c’è? L’odio. Ma c’è anche una cosa forse più brutta dell’odio: l’indifferenza verso gli altri. Avete capito che cos’è l’odio e cos’è l’indifferenza? Avete capito? [I ragazzi rispondono: sì!] Sapete che l’indifferenza è una cosa molto brutta, perché tu lasci gli altri sulla strada, non ti interessi di aiutare gli altri. L’indifferenza ha le radici dell’egoismo.

Sentite, nella vita, voi che siete giovani, dovete avere l’inquietudine del cuore di prendersi cura degli altri. Voi dovete avere l’inquietudine di fare amicizia fra voi. E voi dovete avere cura di una cosa che io vi dirò adesso, che forse sembra un po’ strana. Una cosa che io dirò adesso e che forse sembra un po’ strana. C’è un rapporto molto importante nella vita del giovane: c’è la vicinanza ai nonni. Siete d’accordo? [I ragazzi rispondono: yes!] Adesso, tutti insieme diciamo: “Viva i nonni!” [I ragazzi rispondono: Long live grandparents!] Thank you very much. Thank you. Thank you.

Torniamo al racconto biblico dei discendenti di Noè. Ognuno parlava una diversa lingua, anche tanti dialetti. Vi domando: quanti dialetti ci sono qui? Uno? Due? Tre? Ma voi, avete una lingua comune? Pensate bene: avete una lingua comune? [I ragazzi rispondono: yes!]. La lingua del cuore! La lingua dell’amore! La lingua della vicinanza! E anche, la lingua del servizio.

Vi ringrazio della vostra presenza qui. E mi auguro che tutti voi parliate la lingua più profonda: che tutti voi siate “wantok” dell’amore!

Cari giovani, sono contento del vostro entusiasmo e sono contento di tutto quello che fate, quello che pensate. Ma mi domando – state attenti alla domanda! – un giovane, può sbagliare? [I ragazzi rispondono: yes!]. E una persona adulta, può sbagliare? [I ragazzi rispondono: yes!]. E un vecchio come me, può sbagliare? [I ragazzi rispondono: yes!]. Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. Questo è importante. Noi non siamo superman. Noi possiamo sbagliare. E questo ci dà anche una certezza: che dobbiamo sempre correggerci. Nella vita tutti possiamo cadere, tutti. Ma c’è una canzone molto bella, mi piacerebbe che voi l’imparaste, è una canzone che cantano i giovani quando stanno salendo sulle Alpi, sulle montagne. La canzone dice così: “Nell’arte di salire, quello che importante non è non cadere, ma non rimanere caduto”. Avete capito questo? [I ragazzi rispondono: yes!] Nella vita tutti possiamo cadere, tutti! È importante non cadere? È importante non cadere? Vi domando. [I ragazzi rispondono: no!] Sì, ma cosa è più importante? [I ragazzi rispondono: get back up!] Non rimanere caduti. E se tu vedi un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa devi fare? Ridere di quello? [I ragazzi rispondono: no!] Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi. Per aiutarlo a sollevarsi. Siete d’accordo o non siete d’accordo? [I ragazzi rispondono: yes!] Se uno di voi è caduto, è un po’ giù nella vita morale, se è caduto, tu, voi, dovete dargli una botta, così? [I ragazzi rispondono: no!] Bravi, bravi.

Adesso ripetiamo insieme, per finire. Nella vita l’importante non è non cadere, ma non rimanere caduto. Ripetete. Thank you very much.

Cari giovani, vi ringrazio della vostra gioia, della vostra presenza, delle vostre illusioni. I pray for you. I pray for you. And you don’t forget to pray for me, because the job is not easy. Thank you very much for your presence. Thank you very much for your hope.

And now, all together, pray. Pray for all us.

[Recita del Padre Nostro in inglese]

Thank you very much. But, I forgot: se uno cade, deve rimanere caduto? [I giovani rispondono: no!] Bravi. E se noi vediamo un amico, un’amica, un compagno, una compagna, che cade, dobbiamo lasciarlo lì o dargli una botta? [I giovani rispondono: no!] Cosa dobbiamo fare? [I ragazzi rispondono: get back up!]

Thank you very much. God bless you. Pray for me, don’t forget.

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Parole a braccio dopo la benedizione:

Prima del canto finale, ho dimenticato qualcosa. Vorrei domandarvi, non ricordo: quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, caduto per tanti problemi, cosa dovete fare, dargli una botta? [I giovani rispondono: no!] Qual è il gesto che dovete fare davanti a qualcuno che è caduto? [I giovani rispondono: get back up!] Facciamolo insieme!

Thank you very much.

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Parole a braccio dopo il canto finale:

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preparato questo bell’incontro. Questo, me lo ha fatto notare questo Vescovo salesiano che è venuto da voi vestito come un vero operaio! Adesso, tutti insieme, un applauso a tutti coloro che hanno preparato questo incontro. C’è una cosa che ho dimenticato: come si deve fare? Così? [sollevare una persona caduta]


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Foto e video











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Francesco in volo verso Timor-Leste, terza tappa del suo viaggio

L'aereo B-737 della compagnia Air Niugini è decollato dall’aeroporto Jacksons International di Port Moresby, capitale della Papua Nuova Guinea, alle 12.12 ora locale (le 4.12 in Italia). L'atterraggio all’aeroporto Presidente Nicolau Lobato di Dili è previsto dopo 3 ore e mezza, che porteranno il Papa, con il seguito e i giornalisti, nel terzo Paese visitato nel suo 45.mo viaggio apostolico, il più lungo finora


Papa Francesco ha lasciato la capitale della Papua Nuova Guinea per iniziare la terza tappa del suo 45mo viaggio apostolico, che lo porta a Timor-Leste, dove si tratterrà per tre giorni, fino a mercoledì 11 settembre. Il Pontefice, dopo la Messa in privato, ha lasciato la Nunziatura di Port Moresby congedandosi dal personale e dai benefattori. Ha lasciato come dono, a ricordo del suo soggiorno, un mosaico che riproduce il suo stemma pontificio.

All’aeroporto Jacksons International è stato accolto dal primo ministro su un palco allestito sulla pista di decollo, e insieme hanno ascoltato gli inni nazionali. Prima di imbarcarsi, il Papa ha salutato il seguito locale, la delegazione papuana ed è salito per ultimo a bordo. L'aereo B-737 della compagnia Air Niugini è decollato dall’aeroporto Jacksons International di Port Moresby, capitale della Papua Nuova Guinea, alle 12.12 ora locale (le 4.12 in Italia). L'atterraggio all’aeroporto Presidente Nicolau Lobato di Dili è previsto dopo 3 ore e mezza.

Nel volo per Timor-Leste, Francesco invia telegrammi ai governatori generali di Papua Nuova Guinea e Australia. Nella capitale e città più grande della Repubblica democratica di Timor orientale avranno luogo, nella prima giornata di permanenza, i consueti appuntamenti ufficiali riservati alla cerimonia di benvenuto all'esterno del palazzo presidenziale, alla visita di cortesia al Presidente, nonché Nobel per la Pace José Manuel Ramos-Horta, all'incontro con le autorità politiche e civili. Il motto di questa visita è “Che la vostra fede sia la vostra cultura”

Cristianesimo e migranti

Cristianesimo e migranti

Nella Bibbia è talmente evidente il riconoscimento da parte di Dio del povero e degli stranieri che ci si chiede come possa ancora destare stupore un Papa che collega peccato e non accoglienza dei migranti


In una recente udienza generale, Papa Francesco ha detto una cosa scontata, persino banale nella sua semplicità: mare e deserto si sono trasformati in cimiteri per coloro che fuggono da povertà, guerra e disperazione. In particolare, il Mediterraneo – il Mare Nostrum, un tempo crocevia di civiltà – oggi è solo una distesa d’acqua che inghiotte sogni e vite: non solo per le difficoltà oggettive di questi viaggi della speranza spesso condotti su mezzi di fortuna, ma anche per la negligenza di una politica che ha scelto di chiudere gli occhi e avallare politiche di respingimento. Ecco, quando tutto questo male è fatto con consapevolezza e responsabilità, allora siamo di fronte a un peccato grave.

Se non si è credenti, si può tranquillamente essere indifferenti a queste (e altre) parole del Papa. Il guaio è quando a fare i conti con queste parole devono essere i nuovi rappresentanti della cristianità politica, stabilmente situati nell’area politica del centrodestra, con la Lega in prima fila ed il cui segretario, Matteo Salvini non ha mancato occasione, tra rosari e invocazione di santi e madonne, per accreditarsi come difensore dei valori cristiani, cavalcando un’ondata di tradizionalismo nostalgico che vede nella religione l’ultimo baluardo di un’identità culturale in via di estinzione ).

Non che Salvini abbia inventato qualcosa: il suo atteggiamento sembra ancora fare l’occhiolino alla stagione dei valori non negoziabili dell’epoca Ruini e quindi, sotto sotto, rimesta nel torbido di gruppi tradizionalisti che vedono nella religione un possibile collante culturale per resistere alle trasformazioni sociali, culturali ed economiche del nostro tempo. Come sottolinea Habermas nel suo “Discorso filosofico della modernità” era una strategia utilizzata anche dalla cosiddetta destra hegeliana. Un discorso che, per altre vie, aveva già affrontato Lowith in “Da Hegel a Nietzsche: la frattura rivoluzionaria nel pensiero del XIX sec”. Se infatti nella cosiddetta sinistra hegeliana autori come Marx, Feuerbach, D. F. Strauss e B. Bauer avevano condotto una critica serrata alla religione per criticare poi le strutture dello stato borghese di cui la religione era ideologia, gli autori della destra hegeliana, pur riconoscendo l’assoluta sterilità del discorso religioso sul piano esistenziale e veritativo, avevano portato avanti una difesa della religione proprio perché reputata un collante ancora in grado di tenere in piedi gli elementi dello stato borghese e liberale di fronte alla contestazioni civili e alle rivoluzioni politiche e sociali dell’epoca..

Forse Salvini non ha letto Habermas, ma si inserisce comunque, quasi per inerzia, in questa tradizione. Nel frattempo, leggendo le dichiarazioni dei leghisti e dei loro giornali – quelli che un tempo si definivano di centrodestra e che ora sono semplicemente destra-destra – mi chiedevo: ma perché si stupiscono? Che cosa avrebbe dovuto dire Papa Francesco? E allora mi è tornata in mente quella famosa lettera di Don Milani a tal Pipetta, segretario locale del partito comunista che, ogni volta che lo incontrava, lo elogiava dicendogli: “Se tutti i preti fossero come te…” E Don Milani rispondeva che questo suo presunto elogio era in realtà sale su una ferita. Don Milani sapeva bene, infatti, che Pipetta lo elogiava perché gli dava ragione su questioni politiche legate a povertà e giustizia sociale. Ma sapeva anche quale fosse il compito elevato cui era destinato: annunciare il Vangelo. “Solo questo il mio Signore mi aveva detto di dirti”, ma non si può annunciare il Vangelo se non si è solidali con i poveri e non si denunciano le ingiustizie; se non si è radicalmente poveri e non si sta dalla parte degli sconfitti della storia. E proprio per questo, quando Pipetta avrebbe vinto, quando non avrebbe avuto più fame né sete, proprio allora Don Lorenzo non solo non avrebbe festeggiato, ma lo avrebbe tradito: “Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: ‘Beati i… fame e sete’.”

Allo stesso modo, papa Francesco non ha inventato nulla. Ed è davvero sorprendente che ci si sorprenda. Evidentemente, chi lo fa non ha mai letto la Bibbia. O, se l’ha letta, ne ha capito ben poco, come quell’eunuco, funzionario della regina d’Etiopia, di cui si parla in Atti 8, 26-40, che stava leggendo il rotolo del libro di Isaia e, quando il diacono Filippo gli chiese: ‘Ma capisci quello che stai leggendo?’, quello aveva risposto onestamente: ‘Come potrei se non c’è nessuno che mi istruisce?’

In effetti, la Bibbia è un libro strano e complesso, frutto dell’incontro di numerose storie, teologie ed esperienze, ma una cosa è certa: è un libro schierato dalla parte dei poveri. Prendiamo il Decalogo, il più famoso dei codici legislativi dell’AT (anche se non è esclusivo dell’AT e, a ben vedere, non è neanche un codice legislativo), in cui Israele è chiamato a ridefinirsi intorno a due prospettive: in positivo, celebrando la gratuità che riconosce tutto come dono di Dio e non come qualcosa di derivante dal diritto naturale; in negativo, sanzionando tutti quegli atti che esprimono egoismo e usurpazione.

Il Decalogo è anche la più compiuta e famosa espressione dell’alleanza: radicata nell’esperienza dell’Esodo, diventa per Israele la condizione per costruire una comunità che sappia prendersi cura degli altri, in particolare dei poveri. Questa cura del debole quindi non è comunismo ante litteram o “una sponda alle politiche del PD”, ma è la risposta responsabile e adeguata all’iniziativa di liberazione di YHWH. Israele si prende cura del povero perché è stato povero e sarebbe rimasto povero e sofferente se Dio non l’avesse salvato (Es 3, 7-8). Il Decalogo è la memoria di questo evento e, allo stesso tempo, l’impegno a far irrompere nella quotidianità quell’esperienza di salvezza e di sollecitudine verso chi è debole: “Non maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido. Io ascolterò il loro grido perché io sono un Dio pietoso” (Es 22, 22-23).

Questo legame tra l’agire di Dio – la tutela del povero – e l’agire di Israele si fa ancora più evidente nella predicazione dei profeti, come Amos. Amos si scaglia contro la piaga del latifondismo che crea disuguaglianze e ulteriore povertà per chi è già povero: “Per tre misfatti d’Israele e per quattro non revocherò il mio decreto, perché hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri; fanno deviare il cammino dei miseri” (Am 2, 6-7). L’ingiustizia sociale è interpretata come infedeltà a Dio, generata dal flirt con gli idoli stranieri e i valori politici, economici e sociali che questi rappresentano, in contraddizione con la libertà e la fede nell’unico Dio, garante della vita dei poveri: “Io vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto, vi ho condotto per quarant’anni per darvi in possesso il paese…” (Am 2, 10).

Lo straniero, poi, rappresenta una delle categorie a cui Israele è chiamato a offrire prossimità e accoglienza. Senza entrare troppo nei dettagli, sappiamo che il concetto di straniero era tutt’altro che univoco. Tuttavia, nelle legislazioni del Vicino Oriente Antico, gli stranieri erano considerati privi di dignità giuridica, al pari degli schiavi. Dio chiede al suo popolo non solo di accogliere lo straniero, ma di rispettarlo nella sua dignità umana: “Tu non sfrutterai e non opprimerai lo straniero […] Se tu lo maltratti, egli griderà a me e io ascolterò il suo grido […] perché sono compassionevole” (Es 22, 20.22.26); “Non opprimerai lo straniero: voi infatti conoscete il respiro dello straniero, perché siete stati stranieri in terra d’Egitto” (Es 23, 9). D’altra parte, secondo Dt 10,18 “Dio ama lo straniero”. Dio, in tutto l’Antico Testamento, è soggetto del verbo “amare” solo quattro volte. È significativo che una di queste si riferisca proprio allo straniero. Conseguentemente, chi offende, opprime o non rispetta lo straniero si pone al di fuori dell’alleanza. Questo perché Israele è strutturalmente straniero. Lo si confessa apertamente in quello che Von Rad chiamerà “piccolo credo storico”: “Mio padre era un arameo errante” (Dt 26, 5). Abramo, il grande patriarca, era “straniero e di passaggio” (Gen 23, 4). Ma l’esperienza più amara Israele l’ha vissuta come schiavo in Egitto: proprio in quella condizione di sofferenza, è stato liberato da YHWH, un Dio sfuggente, futuro, irrimediabilmente compromesso con l’uomo, che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero, al quale provvede pane e vestiti (cf Dt 10, 17-18; Sal 146, 9). Israele sa di essere stato salvato dalla propria condizione di oppressione perché Dio ama gli oppressi.

Come se non bastasse, quell’ebreo marginale che visse all’inizio del I secolo d.C., di nome Gesù di Nazareth, mostrò il volto di un Dio accogliente, schierato con gli ultimi e gli emarginati, non solo a parole (“Ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” Mt 25, 35), ma anche nei fatti, con la scandalosa amicizia con pubblicani e prostitute e il dono totale di sé: “non considerò un tesoro prezioso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6-11).

Giusto per ricordare che un cristiano non è tale perché ripete incessantemente “Signore, Signore”, ma per l’amore che ha saputo dare, soprattutto a chi era più povero o in difficoltà. Il deserto, il Mar Mediterraneo, Gaza, l’Ucraina sono i nuovi Golgota su cui, ogni volta che un uomo muore, muore un pezzo della nostra umanità. E muore anche Dio.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Gian Paolo Bortone 06/09/2024)