MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
promossi dalla
FRATERNITÀ CARMELITANA
DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO
SE VUOI LA PACE,
DISARMA LE RELAZIONI
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Terzo Mercoledì - 15 febbraio 2023
Da Gerico, la città chiusa e cieca,
alla Gerusalemme, la città aperta e luminosa
(Gs 5,13- 6,26; Lc 18,35-43; Ap 21,25)
a cura di Carmelo Raspa
(VIDEO INTEGRALE)
1. La nascita
della città secondo la Scrittura
La città è l’invenzione di un fratricida, il cui nome è Caino (Gen 4,17). Come può l’assassino di suo fratello essere il costruttore della civiltà? Eppure, leggendo la sua storia, si comprende il motivo: Caino è un uomo respinto, apparentemente senza motivo, che non sopporta la discriminazione e vi si ribella in modo violento (vv 1-5). Ma il fratello Abele, il cui nome si lega per assonanza al termine “soffio”, è indice di quella vanità (significato metonimico derivato dal precedente “soffio”), che può trasformarsi in presunzione di superiorità e di grandezza ostentata sfacciatamente di fronte all’altro, ciò che irrita Caino: l’errare del pastore, del viandante, può diventare diabolico.
Ma su Caino che uccide e che a modo suo si pente è posto un segno ambivalente: quello della maledizione (v 11), che dispiace, perché essa, la maledizione, viene da Dio e ci si chiede allora come Dio possa dichiarare maledetto un uomo, fosse anche l’uccisore di suo fratello, che rimane pur sempre un suo figlio, stando alle parole di Eva, la quale afferma di aver acquistato un uomo con Dio (v 1); e quello della custodia (v 15), per cui Caino non sarà più costretto a fuggire, ma nell’animo resterà inquieto.
Fonda allora una città per trovare pace: ma questa ha lo stesso nome del suo primogenito (v 17b). Una scoperta terribile, che fa inorridire: non forse che la città è costruita sul sacrificio del primogenito? Gerico, la più antica città della terra, nasce proprio così ed in tal modo è fondata di nuovo: «Chiel di Betel ricostruì Gerico; gettò le fondamenta sopra Abiram suo primogenito e ne innalzò le porte sopra Segub suo ultimogenito» (1Re 16,34).
Il sangue del primo figlio inaugura il sorgere della civiltà. Nella città sono il contadino, l’artigiano, il fabbro, il vasaio (Gen 4,20.22), coloro che, secondo quanto scrive il Siracide, «hanno fiducia nelle proprie mani» (Sir 38,31): «senza di loro», continua lo stesso Siracide, «sarebbe impossibile costruire una città» (v 32). La città conosce i cantori, i suonatori di cetra e di flauto e, insieme, Naama, l’amata, la bella, la cui professione è svelata dal suo stesso nome (Gen 4, 21.22b).
La città di Caino non soffre della tensione con una periferia, simbolo del caos e del male: in essa tutto sembra unificato, secondo un procedere sereno, se non proprio ordinato. Essa sorge in un contesto di genealogie che, nel libro di Genesi, si estendono dal cap. 1 al cap. 11: «la genealogia è dunque strettamente legata a una progressione nella quale vengono inserite (per lo più singolarmente) le varie ‘invenzioni’ che costituiscono il patrimonio attuale di quelle istituzioni e di quei beni che formano il tessuto civile e culturale dell’umanità storica»[1].
La città è frutto, pertanto, di relazioni, situandosi in un contesto di genealogie: relazioni che generano vita o la uccidono, relazioni che stringono patti di mutuo soccorso ispirandosi alla solidarietà o che possono esplodere in conflitti incontenibili sino alla violenza, enorme e ingiustificata, come lascia chiaramente arguire l’exploit di vanto di Lamech, che è, di conseguenza, una possibilità e non soltanto e semplicemente un’affermazione eccessiva: «ho ucciso un uomo per una mia scalfitura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette» (Gen 4,23-24).
La città è, pertanto, parte di quei beni di civiltà, necessari, ma ambivalenti “perché il loro esito supera i limiti delle possibilità umane”[2], che scaturiscono dall’impossibilità di vivere le origini ideali per l’umanità: di quest’ultima la città reca i segni della complessità e della contraddizione.
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Di Gerusalemme, poi, Gesù, piangendo, si rammaricherà, poiché essa non ha riconosciuto né la via della pace né il tempo della visita di Dio nei suoi profeti, che ha sempre ucciso e per i quali ha poi innalzato splendidi sepolcri (Mt 23,37; Lc 13,34-35; 19,41-44).
La città non sembra essere il luogo della guarigione né tanto meno il Tempio (Mc 1,33; At 3,1ss): occorre che essa discenda dall’alto, come la Gerusalemme celeste descritta in Ap 21, e che in essa non vi sia più il tempio, sostituito dalla presenza viva di Dio stesso (vv. 22-23), perché il dolore, la sofferenza e la morte siano cancellati dalla sua faccia (v. 4). In questa città non abitano i mentitori, la cui sorte è lo stagno di fuoco, segno di una perenne confusione e di un loro oblio da parte di tutti gli altri uomini. Chi mente rimane solo (v. 8).
La città ideale è pertanto un’aspirazione legittima che si fa storia e cammino (Eb 11,9-10.13-16): essa si costruisce nel momento in cui ci si riconcilia con l’estraneità più grande, quella verso se stessi. Solo allora, rinunciando alla tentazione del possedere afferrando, si costruisce, nella logica e nelle strutture, la città perfetta intravista nella visione. In questa città, rivestita della gloria di Dio (Ap 21,10), le porte delle mura sono sempre aperte: dai quattro angoli del mondo giungono le nazioni recando la loro gloria ed il loro onore (v. 26), cioè le loro ricchezze culturali, che l’annuncio cristiano ha messo in luce accogliendole.
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