Alberto Pellai
Fafo? Cari genitori, in educazione non esistono ricette miracolose, neanche sui social
Sui social spopola dall'America una nuova moda in fatto di educazione: qualcosa del tipo "lascialo fare, così impara". Ma può funzionare davvero? Che cosa si rischia crescendo i figli con questo metodo?
Il parere di Alberto Pellai

In un tempo di fragilità educativa, ecco affacciarsi nuovi approcci e metodi con cui gestire la relazione con un figlio. La novità nel campo dell’educazione si chiama “Metodo FAFO” dove FAFO è l’acronimo di "Fucking Around and Find Out” che tradotto in Italiano potrebbe suonare come “mettiti alla prova e scopri tu stesso quali conseguenze hanno le tue azioni”. Il metodo è completamente centrato sull’autonomia del bambino e vede l’adulto sottrarsi ad ogni tentativo di direzionamento o guida, convinto che sarà il bambino stesso a dedurre da ciò che vive e agisce il miglior modo per stare al mondo.
Siamo usciti da due decenni che hanno esaltato il modello del “gentle parenting” ovvero di una genitorialità sempre attenta ai bisogni emotivi del bambino, sempre sintonizzata sui suoi stati mentali, sempre disponibile a chiedere, verificare, spiegare, accogliere e accompagnare. Si è pensato a lungo che l’educazione basata sul gentle parenting fosse ciò di cui il bambino ha più bisogno. Ma è accaduto che i bambini non sembrano aver giovato di questa super-attenzione e disponibilità emotiva del mondo adulto. Anzi… Oggi molti specialisti dell’età evolutiva parlano di un’infanzia fragile perché troppo protetta, troppo attenzionata, troppo abituata a vedersi sottratta ad ogni forma di disagio e frustrazione da genitori incapaci di lasciar andare, di fare sì che un bambino possa anche affrontare le conseguenze di errori e di cadute che nella vita non sempre possono essere prevenute o rimosse. Così, la genitorialità di inizio terzo millennio spesso definita come “genitorialità elicottero” o “spazzaneve” lascia ora spazio ad un modello genitoriale esattamente opposto, che è quello proposto dal metodo FAFO.
Qui, i genitori lasciano che il bambino agisca e si assuma le conseguenze delle sue decisioni. Fuori fa freddo è tu vuoi uscire con la maglietta a maniche corte? Ti ammalerai e capirai che sarebbe stato meglio decidere altrimenti. È questo uno degli esempi che viene usato per comprendere la natura di questo approccio educativo, che ha come obiettivo quello di permettere ai bambini di imparare dall’esperienza, autorizzando quindi l’apprendimento automatico che deriva dagli errori e dalle cadute. Possiamo parlare di un passo avanti nei modelli educativi? Possiamo immaginare che questo approccio sia lo specchio di una nuova genitorialità che finalmente si sgancia dal modello dell’iperprotezione e consente a chi cresce di sfuggire alla trappola dell’ansia e della dipendenza dall’adulto? Io penso di no. Perché anche questo modello, oggi tanto chiacchierato e esaltato nel mondo dei social media, sembra essere una risposta facile ad un quesito ben più complesso. I genitori spesso vorrebbero una ricetta con “il metodo magico” che applicato in ogni situazione dia sempre l’esito sperato. Ma in educazione questo metodo magico non esiste.
Perché essere buoni educatori non è semplicemente questione di strategia o metodo da applicare, ma è prima di tutto una questione di relazione. L’adulto deve essere esperto di relazione. Deve dosare la giusta distanza e la giusta vicinanza in funzione del bisogno specifico che un minore ha in un determinato momento. Non è una semplice questione di sintonizzazione emotiva, come richiesto dal metodo del “gentle parenting” o – al contrario - di distanziamento come evocato dal metodo FAFO. L’educatore competente a volte sta davanti e a volte sta dietro al bambino di cui si sta occupando. A volte sta di fianco e lo accoglie amorevolmente in tutti i suoi bisogni, ma altre volte lo deve contenere e accompagnare nell’affrontare disagi o frustrazioni, aspetti che il bambino non sempre sa gestire in autonomia. In educazione, si è spesso fatto ricorso al mito del bambino “competente” che ha già in sé abilità e risorse per affrontare tutto. Ma la competenza del bambino non è una dimensione innata, bensì è qualcosa che si sviluppa in funzione della capacità dell’adulto di offrirgli relazione ed esperienza a misura della fase di sviluppo.
Credo che il metodo FAFO oggi rappresenti uno stimolo per i genitori del terzo millennio ad abbandonare la loro versione “elicottero” o “spazzaneve”, ma non rappresenti la reale soluzione all’emergenza educativa tanto evocata da più parti. Perché quello che oggi viene richiesto al genitore non è la capacità di aderire ad un metodo, ma l’assunzione di una responsabilità educativa che appartiene alla dimensione del suo “essere Adulto”. Scrivo Adulto con la A maiuscolo, intendendo l’Adulto come portatore di responsabilità e competenza. Cosa che il metodo FAFO potrebbe completamente non prevedere, divenendo la metodologia preferita di adulti distratti, assenti e spesso immersi nella propria realtà, che con la scusa di un metodo in cui il bambino agisce, elabora e deduce potrebbero trovare un alibi inattaccabile per la loro inconsistenza.
(fonte: Famiglia Cristiana 30/07/2025)